Roxane allunga la mano verso la radiolina, preme il pulsante per cambiare la stazione. Un motivetto monotono echeggia per l’ufficio, privo di testo o di cambi di ritmo particolari, le serve solo per non sentire il silenzio. Tiene il braccio meccanico con una mano e con l’altra inserisce il cacciavite per stringere le ultime viti.
Poggia l’attrezzo e recupera il telefono, sblocca lo schermo, lo sfondo è un selfie dove in primo piano vi è Irene. Capelli biondi mossi dal vento, fa quel ghigno da protagonista da shonen sicuro di sé; lei è a qualche metro di distanza con un’espressione sorpresa.
Roxane non è il tipo di persona a cui piace stare al centro dell’attenzione, al contrario, meno la cercano meglio è. Il rapporto con i clienti è più che sufficiente per soddisfare la sua necessità quotidiana di contatto umano, ma Irene è una pessima coinquilina quando si tratta di rispettare gli spazi personali.
Illusa io che pensavo avere una risolutrice in casa non sarebbe stato un problema. Quei tipi sono sempre fuori ad avere a che fare con le emersioni o i danni che causano, sarà a casa solo per dormire.
Povera idiota.
Ogni settimana Irene spalanca le porte dell’officina con un calcio e cerca ogni metodo per tirarla fuori da lì, anche caricarsela in spalla se necessario.
Forse dovrei richiedere un’ordinanza restrittiva.
Roxane sblocca lo schermo, preme sulla chat del cliente.
Protesi di riserva pronta.
Accede alla rubrica, preme il numero della coinquilina e porta il cellulare all’orecchio.
“Sei a letto, vero?” calca l’ultima parola come un rimprovero.
Una risata colpevole si sente dall’altra parte. “Teheh, beccata.”
Roxane sospira. “Dovresti riposare, o non uscirai più di lì.” Mette il vivavoce, poggia il telefono a portata e ripone sullo scaffale il braccio meccanico.
“Beh… sai come funziona, c’è sempre qualcosa da fare anche qui, e hanno carenza di personale, non mi sento così male, posso sollevare qualche scatolone.”
Roxane tira fuori dalla borsa un robottino dalla forma cilindrica, inizia a smontarlo. “Hm.”
“Non fare ‘Hm’ a me.” sente secca.
“Hm.”
Un gemito sofferente proviene dal telefono. “Sono in punizione per quello che è successo?”
“Non sono tua madre.” allunga la mano sulla radio e la spegne.
Cala un lungo silenzio interrotto dagli scatti dei pezzi rimossi. Sta aspettando un ‘ma’?
“E-ehi. Ho saputo che c’è stata un’emersione a poco da lì. Rimani in casa, ok?”
Potrebbe preoccuparsi per la sua salute ogni tanto più che per quella degli altri, specie ora che è in convalescenza. “Esco di casa quando tu mi ci trascini fuori. Non ce rischio.”
“Uh.”
Mette sul tavolo il robot mezzo smontato e prende il telefono in mano. “Torna a letto a riposare, non è una richiesta.”
“Ay sir.”
Roxane chiude la chiamata.
Chi vorrebbe uscire sapendo che potresti finire male in qualsiasi momento per qualcosa che non puoi nemmeno vedere arrivare?
Stringe le dita sul telefono, le mani le tremano.
L’agenzia del suo cliente è a cinque isolati da casa sua, nella direzione opposta all’area delimitata dalla Kaiser. Non dovrebbe volerci tanto, ed è possibile che capitino due emersioni così vicine nello spazio e nel tempo?
Non sono così sfigata. Sarà praticamente una passeggiata.
Roxane sistema sulle spalle lo zainetto, il braccio meccanico spunta con le nocche delle dita che le sfiorano la nuca, la sensazione del metallo freddo non la infastidisce. Esce dalla porta, nessuno nelle strade, meglio non farsi vedere, inizia a correre.
Il primo isolato sparisce alle sue spalle, nessun segnale di pericolo, continua la sua corsa, sente di non star respirando per la tensione. I consigli sulla corsa di Irene non stavano venendo ascoltati. Perfetto.
Il suono di vetri infranti le fa alzare la testa, Due corpi cadono verso terra. Le crepe all’impatto attraversano l’incrocio del terzo isolato. Roxane si ferma a diversi metri.
Sulla figura a terra di una ragazza con abiti fin troppo vistosi troneggiava quella di un robot; arti molto sottili, coperto da una specie di mantello di fibre metalliche, la testa avvolta da bende grige, solo un occhio rosso rimane scoperto.
Ha già visto lei. Forse su una rivista? Le ‘paladine della giustizia’ che girano per la città... Si chiama Polaris, forse?
Roxane ha paura, l’ha sempre avuta. Quella roba assurda spunta da chissà dove e distrugge indiscriminatamente. Spegne i notiziari quando parlano degli emersi.
Per quel che ne sa, una volta finito con la ragazza a terra quel robot punterà a lei. Si ripete di muoversi ma le gambe non le rispondono.
Tutta questa roba assurda da cartone animato è troppo per lei. Non riesce a capacitarsi come una qualche sorta di entità superiore possa scegliere delle adolescenti come unica possibilità per combattere il male. Usa gente addestrata, magari adulti, qualcuno che sappia pensare alle conseguenze, non dare un potere simile a delle ragazzine!
Il robot tende una delle braccia verso Polaris, s’ingrossa formando una specie di cannone. Lei non dà segno di riprendere conoscenza.
Spostati maledizione, reagisci!
Roxane stringe i pugni. La bocca di fuoco del cannone inizia a diventare incandescente.
Scherziamo? Non aveva delle compagne? Dove si trovano? Aiutatela!
Le mani le tremano, si guarda alle spalle. Forse qualcuno dall’area di contenimento si è accorto di ciò che sta succedendo. La strada è deserta, nemmeno una persona alle finestre. Quella ragazza sta per morire.
Sposta lo sguardo sulla scena. Del plasma fuoriesce dal cannone mantenendo una forma sferica.
Roxane stringe i denti.
Non verrà nessuno a salvarla. Nessuno salverà lei o me dopo.
La mano si alza, corre verso il braccio meccanico, lo stringe e lo tira fuori dallo zainetto.
“Fermati!” Scaglia il braccio con tutta la forza che ha in corpo.
Il robot si gira al suo urlo, l’arto meccanico si stampa sul suo viso, si sbilancia e cade a terra, i pezzi schizzano da tutte le parti.
Roxane sbatte le palpebre. “Sul serio?” Fa un passo verso i rottami, rimane all’erta, nessun nuovo suono nei paraggi. Raggiunge Polaris lentamente, con cautela, lo sguardo fisso su quei pezzi metallici. Non c’è una singola vite a tenerlo insieme, come sta su?
Volta lo sguardo verso la ragazza a terra. Lancia un altro sguardo verso i rottami, s’inginocchia accanto a lei.
“Ohi.” Le poggia la mano sulla spalla e la scuote. Nessuna risposta. Poggia l’indice e il medio al lato del collo.
Il battito è presente, è viva.
Non può lasciarla lì. Le autorità la troverebbero indifesa e la metterebbero dentro.
Roxane cerca di metterla a sedere, passa un suo braccio dietro le sue spalle e cerca di tirarsi su.
Il grattare del metallo contro l’asfalto le fa alzare lo sguardo. Inizia a tremare quando vede i pezzi di metallo sparsi per la strada strisciare verso un unico punto, arrampicarsi uno sopra l’altro e riformare il robot.
Via, ora!
Si volta, fa un paio di passi, quella tizia era più alta di lei. Semmai scoprissi che è molto più piccola di me...
Una stilettata di dolore le fa abbassare lo sguardo. La macchia di sangue sul suo fianco si espande lentamente, uno spuntone metallico sporge di un paio di centimetri. Forse è per l’adrenalina ma sente che non le fa male come dovrebbe. L’estrazione improvvisa la fa cadere in ginocchio, Polaris le sfugge dalla presa e cade poco più avanti. Roxane pianta le mani a terra per non finire di faccia contro l’asfalto. Boccheggia, la fitta al fianco le ha tolto il respiro, cerca di incanalare ossigeno, ma non riesce. Gocce di sangue le cadono dalle labbra, picchiettano contro il terreno.
Il secondo colpo lo sente arrivare, si spinge di lato, la lama entra nella spalla, brucia da impazzire. Caccia un grido mentre cade a terra a pancia in su.
Riesce a gonfiare i polmoni ma le costa uno sforzo immenso, le fitte le annebbiano la mente. Sto per morire. Fissa quell’occhio bionico fiammeggiante che la scruta. Le palpebre si fanno pesanti.
Cinque isolati huh, praticamente una passeggiata...
La consapevolezza di essere viva viene con le prime due fitte lancinanti al fianco e alla spalla. Poi con tutta una serie di piccoli dolori. È in una posizione fin troppo comoda per essere ancora per strada. Quello o la composizione nuova dell’asfalto è basata su strati di lana o poliuretano.
Aprire le palpebre le costa uno sforzo enorme, deve riprovarci qualche volta per riuscire. A giudicare dalla luce non proveniente dalla finestra doveva essere l’alba. Rimane a fissare il soffitto, il neon sfarfalla per un istante.
Ci stavo lasciando la pelle in quella strada.
Il respiro le si affanna, alza una mano al petto e stringe il camice all’altezza del petto.
Stavo morendo lì. Che cazzo mi è preso!?
Serra le palpebre, inspira lentamente. È al sicuro adesso. È al sicuro. Riappoggia la testa sul cuscino cerca di prendere sonno, quando la porta si spalanca.
Un bolide le si spalma addosso senza delicatezza, la pressione le causa nuove fitte. Apre gli occhi, una zazzera disordinata di corti capelli biondi le ostruisce il campo visivo.
“Sei viva!” Esclama Irene stringendola. Un altro po’ ed avrebbe aggiunto altre costole rotte alla diagnosi.
“Per ora,” Mormora appena. “Non stai aiutando.” Irene si stacca da lei, ha gli occhi gonfi di chi ha pianto, ma è il grosso cerotto sulla guancia sinistra e le bende che le fasciano la testa ad attirare la sua attenzione.
“Dovresti riposare.”
“Con te qui? Non ci riuscirei.” Irene si lascia cadere sullo sgabello accanto al suo letto. Le bende che le fasciano gli arti sono allentate, come non si sia sfacciata venendo fino alla sua stanza rimane un mistero. O forse quel cerotto è più recente di quello che crede.
“Non hai detto che non saresti uscita?” Le domanda incrociando le braccia.
Roxane alza gli occhi al cielo. “Cinque isolati non li consideravo un’uscita. Tempo di consegnare il braccio e sarei tornata indietro.”
Ed invece ho incontrato l’incarnazione del tetano da molto vicino.
Irene mugola. “Cos’è successo di preciso? La Kaiser ha parlato di un’emersione poco al di fuori dalla zona di contenimento.”
È conveniente per la Kaiser che quella faccenda venga considerata una svista dell’esercito, così potranno chiedere autorizzazioni per estendere la loro area d’influenza.
“Era un robot… strano. Non saprei dire se era qualcosa fatto con conoscenze esterne ma ‘nostro’ o se si trattasse di un emersione.”
Roxane deglutisce, sente di avere la gola secca, cerca con lo sguardo dell’acqua. “Come sono arrivata qui?”
Irene tira fuori una bottiglietta d’acqua da dietro la schiena – Roxane rifiuta di credere che riuscisse a stare nella tasca posteriore degli shorts – e gliela porge.
“Polaris, ha attirato l’attenzione parecchio, si sono affacciati tutti i pazienti,” Irene si stiracchia. “Non è cosa da tutti i giorni incontrare una maghetta.”
Considerando che l’ultima volta sono finita come un colabrodo, cielo, spero proprio di no.
Roxane mugola, stappa la bottiglia e tira giù un sorso. “Se l’è presa comoda, huh.”
Almeno non ha rischiato di morire per nulla.
“Eh?”
“Nulla.”
Roxane stringe la bottiglietta tra le mani, la superficie dell’acqua all’interno della plastica oscilla pericolosamente. Abbassa lo sguardo, sa che la coinquilina la sta fissando.
“Non stai pensando a quello che credo, vero?”
Roxane incassa la testa tra le spalle.
“Non chiuderti dentro, chia-”
“Non sarebbe successo se fosse venuto a prendersi quel braccio!” Appoggia la fronte sul tappo della bottiglia, la plastica crepita per la pressione delle dita.
“Da quello che hai detto non è stata una scelta sua.”
Irene avrà incrociato le braccia. Quella frase sapeva anche a lei di scusa.
“...Come fai a farlo tutti i giorni?” rialza lo sguardo. Raramente Irene è seria, ma in quell’istante, come ogni volta che riprendono questo discorso, lo è. Probabilmente le scoccia pure doversi sorbire la solita solfa. Roxane continua con la sua parte.
“Esci senza sapere cosa ti aspetta, cosa ti trovi davanti. E se non fossi pronta? Se il problema non è qualcosa che puoi superare? Finisci ammazzata per strada? A che scopo!?”
Irene la fissa, afferra il bordo dello sgabello su cui è seduta con le mani. “Vivere?” Si sporge in avanti e fa un saltello per mettersi in piedi. Allunga una mano e le accarezza la testa. “Sei piccolina come una figure, ma non puoi rimanere nella tua scatola tutto il tempo.”
Roxane alza lo sguardo. “Le figure perdono valore se le apri.”
“Ma non puoi apprezzarle davvero se rimangono chiuse.” Irene incrocia le braccia e chiude gli occhi con uno sguardo di chi la sa lunga.
“Ne prendi due.”
“Non è questo il punto!”
“Allora qual è!?” Roxane sa benissimo qual è il punto. “Sono stata pugnalata per strada, più volte. Cosa mi dice che non accadrà domani?!”
“Cosa ti dice che accadrà domani?! Vuoi continuare a vivere aspettando che là fuori sia totalmente sicuro?”
“Certo che no, là fuori non sarà mai del tutto sicuro! Ci sono le persone oltre che gli emersi!” Roxane preme la bottiglietta contro il materasso, stringe le dita sulla plastica, sostiene lo sguardo di Irene tremando. “Non sai di chi ti puoi fidare, non sai chi sarà il prossimo a pugnalarti alle spalle, non sai-” un singhiozzo le rompe la voce. “N-non sai-” Si preme le mani contro il viso, preme con le unghie contro la fronte, la pressione sulla pelle le dà quei piccoli dolori ‘sopportabili’ che in qualche modo le ridanno il controllo di sé. Inspira profondamente i singhiozzi si placano.
“Lascia perdere.”
Si tira indietro per sdraiarsi, ma le braccia di Irene la prendono per le spalle e la stringono. La sua mano le sta accarezzando i capelli.
Roxane alza le braccia, esita. “Che stai facendo?”
“Così puoi buttare tutto fuori senza sentirti in imbarazzo.” Irene guarda verso la porta. “Via libera, sfogati. Ma fallo, ne hai bisogno.”
Roxane lascia ricadere le braccia, affonda la testa nel petto dell’amica. Riprende a singhiozzare.
Note di Mixxo:
Ho messo secoli a tornare attivo sul sito. Ed in parte è colpa mia.
Ci sono altre storie da narrare su Yrff, anche di più longeve di questa shot. Spero di non perdermi per strada.
Alla prossima!