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Autore: chelestine    13/07/2023    0 recensioni
"I'm down in the deep deep freeze,
what was I thinking of...
In the painful breeze,
by the frozen trees,
with a heart disease called love."

John Cooper Clarke
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Matt Helders, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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11.

 
 
Il secondo appuntamento con Ben era arrivato.
Lui era una ventata d’aria fresca, il soffio del vento scozzese, scogliere bagnate dalle onde salate, risate di pancia e un fuoco acceso nel camino. Andy era stata bene, talmente bene da non aver pensato neanche per un attimo alle parole di Alex della sera prima. Rinizieresti da dove abbiamo lasciato. Si erano incontrati al solito bar, quello che ormai Ben aveva preso a definire «il nostro bar», e avevano passato insieme tre ore a chiacchierare delle loro vite.
Raggiunto l’orario di chiusura, lo scozzese l’aveva invitata a prendere una birra. Andy lo aveva guardato. Aveva guardato quegli occhi color nocciola, le lentiggini e le labbra piene e sincere.
«Certo, perché no?» In uno slancio di impulsività, gli aveva preso la mano e, senza guardarlo, erano arrivati fino al pub.
 
«Quindi? Dai, raccontami com’è lavorare nell’ambito editoriale qui a Los Angeles? Hai conosciuto parecchi pezzi grossi?»
«E lo chiedi a me?! Sei tu che lavori con Coldplay, U2 e Beyonce!» Andy rise di gusto. Per una volta, era bello passare del tempo con qualcuno che non lavorasse nel suo stesso settore. Ben scosse la testa e prese un altro sorso di birra.
«A ognuno il suo» tentò di giustificarsi l’inglesina.
«A proposito, stai preparando qualche intervista interessante?» Andy sorrise di nuovo, giocherellando con la pinta di birra. La conversazione con Ben era facile, spontanea, scorreva come un fiume in piena. E i suoi occhi la cercavano con una luce gioiosa e riconoscente.
«Visto che me lo chiedi, sì» rispose Andy in maniera fintamente altezzosa. «In ufficio siamo un po’ in subbuglio perché lunedì prossimo verrà in radio per la prima volta Lady Gaga.» Ben spalancò la bocca, fissandola.
«Cooosa?» Andy scoppiò a ridere.
«Dai, smettila! Ordiniamo qualcosa da mangiare, piuttosto.» La ragazza si sporse per chiamare la cameriera.
«Suppongo quindi che questo fine settimana sarai impegnata con il lavoro…» butto lì Ben con un sorrisetto e lanciandole uno sguardo di sottecchi.
«Perché? Volevi forse rivedermi? … Ben! Non ti pare di star correndo troppo? Tre appuntamenti in due settimane?» lo canzonò inclinando la testa.
«Non sai che ti perdi! Volevo invitarti alla festa di compleanno di una mia cara amica, anche lei è inglese.» Andy parve stupita.
«Ah, sì?»
«Sì, si chiama Georgia. L’ho conosciuta all’università, qui a L.A. È un tipo veramente forte, si occupa anche lei di libri, ma più del lato social» spiegò dopo aver ordinato un hamburger alla cameriera. Lo stesso ordine di Andy. «Ci troviamo sabato sera per una bevuta al SOS, se vuoi passare… Be’, non ti dirò che mi farai felice, ma diciamo che non mi dispiacerà!»
Andy sorrise, e annuì prima di prendere un altro sorso di birra. «Okay, cerco di passare. Ovviamente mi porterò anche James, per supporto, sai.»
«Ovviamente» ripeté lui con una punta di sarcasmo. E le sue fossette sorrisero per lui.
Dopo aver mangiato e aver conversato davanti ad altre due birre, Ben e Andy si erano salutati. Lui l’aveva abbracciata a lungo, con trasporto. Lei si era fatta l’idea che fosse timido, e avesse bisogno di tempo prima di passare a un eventuale stadio successivo.
Gli aveva dato due baci sulla guancia e, salutandolo, gli aveva fatto l’occhiolino.
Per qualche minuto, sulla strada del ritorno, pensò addirittura di saltellare a casa. Era felice: aveva passato delle ore splendide, stava conoscendo nuove persone e la sua vita a Los Angeles sembrava finalmente avere un senso. Certo, anche l’incontro della sera precedente aveva il suo ruolo in quella momentanea euforia.
Per tutta la mattina si era sforzata: non voleva pensare ad Alex e neanche alle parole di Miles, a quel Sei una delle migliori che abbia mai avuto, era ubriaco e probabilmente stava straparlando. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era ricadere in un vortice di dubbi e malintesi con una rockstar con cui parlava a stento da otto mesi. Piuttosto, doveva concentrarsi sul convincere James a farle da +1 sabato sera, perché le situazioni sociali non rientravano esattamente nella sua comfort zone.
Continuando a camminare, tirò fuori il telefono dalla borsa di tela con il logo dei Paramore, più che altro per controllare che non fossero arrivati messaggi di lavoro.
 
Ehi, com’è andata? Scozia e Inghilterra vanno d’accordo, alla fine?
 
Andy aveva sorriso. Un messaggio di Marg di due ore prima. Assurdo come riuscisse a ricordarsi ogni suo singolo impegno.
 
Scozia-Inghilterra: 1-0. Nuovo match: sabato sera, compleanno di un’amica dello scozzese. Mi presti un vestito? PLEASE

Aveva risposto col sorriso.
 
Certo! Finalmente me l’hai chiestoooooo!
 
Grazie, bellezza <3
 
Ti voglio bene. Te lo meriti!
 
Mettendo via il telefono, Andy sospirò. Sapeva a cosa si riferiva.
Marg non era mai stata contenta del flirt che aveva avuto con Alex, e in generale non era una grande fan del cantante inglese. Nonostante Andy non fosse una persona esageratamente espansiva e non avesse mai parlato con le amiche dei suoi sentimenti per Alex – soprattutto dopo la sua partenza per il tour –, Marg la conosceva abbastanza per sapere che era stata male per quell’assenza, arrivata così ingiustamente nel momento in cui stava iniziando a provare qualcosa. Qualcosa, per giunta, di profondo. E per quanto l’inglesina avesse provato – anche con se stessa – a dar la colpa alla distanza, sia lei sia Margareth sapevano benissimo che l’atteggiamento di Alex non aveva aiutato la loro situazione, di per sé già impossibile.
Diciamo che, se fosse stato presente, sincero e diretto, la loro neonata “storia” sarebbe sfumata con molto meno dolore. Almeno da parte di Andy. Adesso, dopo otto mesi, ancora Marg non perdeva occasione per sottolineare quanto Alex non fosse adatto a lei. D’altronde, chi meglio di lei poteva parlare a ragion veduta di rockstar e musicisti?
Andy sapeva che lo faceva per il suo bene, ma una parte di lei non poteva non convincersi che in fondo Marg non conosceva Alex, che aveva deciso di fermarsi alla superficialità e che non poteva sapere cosa avevano vissuto insieme, seppur per così poco tempo. In ogni caso, quella storia era finita. Sepolta. Non la riguardava più.
 
 
Si svegliò di soprassalto.
«James?!» gridò subito. Il coinquilino era solito svegliarla d’improvviso per scherzi idioti.
Ci mise un secondo a capire dove si trovasse, e cosa stesse succedendo.
Nella sua stanza era buio pesto e un rumore squillante la rimbambiva. Una luce in fondo al letto… Il telefono! Stava squillando. Ma che ore sono? Mi sono scordata di mettere il silenzioso ieri sera…
Con gli occhi ancora impastati di sonno, si precipitò a rispondere, terrorizzata che si potesse trattare di un’emergenza riguardante sua madre, dall’altra parte dell’oceano.
«Pronto? Pronto?» si affrettò a dire nel microfono del telefonino.
«Stonem.» Il sangue le si gelò nelle vene.
«Alex?» chiese con un filo di voce.
«Ehi» fu l’unica cosa che lui riuscì a dire.
«Alex, sei tu?» ripeté lei. Tra la confusione dovuta dal sonno e dalla sorpresa, non riusciva a spiegarsi come fosse possibile. L’aveva chiamata una sola volta in otto mesi di tour, e adesso, dopo averla vista poco più di quattro giorni prima, alla festa, la stava chiamando nel cuore della notte. Deve essere ubriaco…
«Ehi, sì, scusa. Ti ho svegliata?» Eppure la sua voce suonava normale. Profonda, lucida, soffice. Come sempre. Andy guardò il suo Apple Watch. Erano le 4.13, come pensava che potesse essere sveglia? Per giunta, il giorno seguente era un giovedì, doveva andare al lavoro.
«Ehm… No, cioè sì, ma non fa niente. Va… va tutto bene?» chiese. Improvvisamente le balenò in mente il peggiore scenario: era successo qualcosa a Marg e Miles e lui l’aveva chiamata per avvertirla. Lui, tra tutte le persone al mondo.
«Sì, sì, scusami. Cazzo, non volevo spaventarti, scusami. Scusami…» Andy tirò un sospiro di sollievo e si mise a sedere a gambe incrociate sul letto. Lentamente, i suoi battiti iniziarono a tornare alla normalità. «È che… non riuscivo a dormire, okay? Merda, detto così sembro veramente un egoista del cazzo, aspetta…»
Andy era sempre più confusa. In effetti, non aveva senso che lui l’avesse disturbata alle 4 di notte solo perché non riusciva a dormire. Voglio dire, sicuramente in più di trent’anni di vita avrà imparato altri metodi per tornare a letto… considerato che si parla di Alex Turner, pensò Andy. Alex restò in silenzio per una manciata di secondi.
«Pronto?» disse di nuovo lei.
«Sì, volevo dire che non riuscivo a dormire perché avevo bisogno di parlare. Cioè, di parlare con te.» Il cuore di Andy tornò a battere all’impazzata, e si passò una mano tra i capelli mossi tirandoli indietro per il nervosismo.
«Okay…?» provò a rispondere lei.
«Okay, quindi sono sotto casa tua.»
Andy sbiancò: un’espressione stupefatta si dipinse sul suo volto. L’aveva lasciata senza parole, non poteva credere alle sue orecchie. Provò a balbettare qualcosa in risposta ma si bloccò di nuovo, si sentiva completamente congelata.
«Se-Sei sotto casa mia?» ripeté, per essere sicura di aver capito bene.
«Sì, sono sotto casa tua. Puoi scendere?» Andy sospirò profondamente, cercando di rimettere in ordine i pensieri. Per prima cosa, non aveva chiesto di salire: buon segno, voleva parlare e basta. Seconda cosa, evidentemente era lucido, non era una chiamata da ubriaco: altro buon segno. Terza cosa, doveva darsi una calmata, perché non poteva vederlo in quelle condizioni.
«Okay, mi dai un secondo? Mi lavo la faccia e scendo.»
«Certo, ti aspetto.»
 
Mentre si lavava la faccia facendo meno rumore possibile, nella mente di Andy scorrevano tutti i papabili scenari che poteva trovarsi davanti una volta scesa in strada. Che fosse uno scherzo? O che Alex dovesse dirle qualcosa riguardante Marg o Miles? Che si trattasse di lavoro? O che si trattasse, ancora peggio, della sua coinquilina Hester, con cui il cantante aveva avuto due incontri passionali prima di iniziare la “storia” con lei. No, non può essere, sarebbe uno scherzo troppo crudele, da parte del destino.
Si infilò la maglietta di un concerto di Bruce Springsteen, un paio di pantaloncini sportivi da ciclista e le Vans. Raccolse i capelli in una crocchia e il coraggio nel petto. Dopo aver fatto un grande respiro, prese le chiavi di casa e si chiuse la porta alle spalle con un movimento morbido, per cercare di non svegliare nessuno dei coinquilini. Scese le tre rampe di scale a piedi e, dall’ingresso vetrato, lo vide.
Le dava le spalle, era sul marciapiedi deserto. Una mano nella tasca dei jeans scuri, il volto di profilo che guardava in lontananza, l’espressione apparentemente seria. La camicia nera era arrotolata sulle braccia, e la mano destra, oltre a due anelli teneva anche una sigaretta. Andy si fermò di colpo a osservarlo, ormai a pochi metri da lui. Pensò che chiunque, nell’attesa, avrebbe guardato il telefono. Lui, ovviamente, non era chiunque. Era nervosa, agitata all’idea di passare un altro momento da sola con lui, perché sapeva perfettamente con quanta facilità l’emozione poteva giocarle brutti scherzi. Ma la curiosità era più forte di tutto il resto.
Lo fissò ancora un secondo prima di aprire il portone d’ingresso con il pulsante interno. Al rumore del ronzio metallico, Alex si voltò. Immediatamente, i loro occhi si incontrarono, ed entrambi ebbero la sensazione di essersi rivisti allora per la prima volta dopo otto mesi, non il giorno precedente.
«Ehi» si lasciò scappare lui, come in un sospiro.
Andy superò la porta e se la chiuse alle spalle. «Ehi» lo salutò lei alzando una mano, un po’ impacciata. Di tutta risposta, Alex alzò il mento in cenno di saluto. «Qua vicino c’è un giardino con un paio di panchine, possiamo andare lì se ti va» proseguì Andy.
Alex annuì con un’espressione seria e, dopo aver gettato la sigaretta, si avviò dietro di lei. Teneva lo sguardo basso e per un paio di volte gli balenò l’idea di fare due chiacchiere per smorzare la tensione, ma era troppo confuso. Si sentiva in colpa per averla tirata giù dal letto in una nottata infrasettimanale e in più non era neanche più così sicuro di cosa voleva dirle.
Da parte sua, anche Andy era troppo nervosa per proferire parola. Preferiva camminare nella frescura notturna di fine agosto e torturarsi l’anima su ciò che stava per avvenire. In una decina di minuti raggiunsero il parchetto e la ragazza prese posto su una panchina tra due alberi. Inevitabilmente, le menti di entrambi corsero a quella notte a Griffith Park di tanto tempo prima, quando per la prima volta avevano provato qualcosa l’uno per l’altra.
Alex prese posto accanto a lei stirandosi i jeans sulle ginocchia, le mani sudate per il nervosismo.
«Andy, scusami» iniziò lui passandosi una mano tra i capelli e fissando la tela scura dei pantaloni. «Sono sveglio da mezzanotte, sono uscito in macchina alle due e sono passato sotto casa tua tre volte… non riesco a fermare tutti i pensieri.» Deglutì rumorosamente e sospirò un paio di volte.
Il vento estivo portò al naso di lei il profumo di dopobarba di Alex. Chiuse gli occhi un attimo per goderselo. Più parlava, più il suo nervosismo cresceva: non poteva credere di star vivendo davvero quel momento. Per paura di intromettersi tra i suoi pensieri già abbastanza ingarbugliati, preferì rimanere in silenzio e voltarsi – con non poca fatica – verso il profilo di Alex. Lui si leccò le labbra, secche dall’agitazione.
«Da quando ti ho vista, alla festa, non riesco a darmi pace. In realtà, sono andato via dalla festa perché non riuscivo a darmi pace.» Trovò finalmente il coraggio di guardarla negli occhi. «Non so perché non te l’ho detto, ma in questi otto mesi ti ho pensato.»
Andy si morse il labbro inferiore e annuì. In realtà quella per lei non era una nuova informazione, già nella telefonata che Alex le aveva fatto da ubriaco, dopo una festa, si erano detti a vicenda che il pensiero dell’altro attraversava le reciproche menti. La ragazza si lasciò scappare un mezzo sorriso, e decise di togliere dall’imbarazzo Alex. «Anche io ti ho pensato.»
«Ti ho pensato tanto» specificò subito lui con una certa urgenza. «Non so perché non ti ho detto che ti ho pensato tanto, ma da quando ti ho vista, l’altro giorno, mi tormento.»
Andy aggrottò le sopracciglia. «È successo qualcosa, Alex?»
Lui scosse la testa, confuso. Si prese la testa tra le mani. «Prima neanche me ne accorgevo: ti pensavo ogni giorno, casualmente. Non… non so perché, ma mi giustificavo dicendo che avevamo passato dei bei momenti insieme, che tu mi piaci, insomma, non mi era mai successo, ma comunque neanche tu mi eri mai successa… poi, alla festa…»
Andy era forse più confusa di lui. «Aspetta un attimo.» D’istinto, prese le mani di Alex tra le sue e si voltò con il busto verso di lui. «Aspetta…» ripeté di nuovo. «Calmati, non sto capendo.»
«Per me non è facile parlare dei miei sentimenti. Soprattutto con una persona che ho idealizzato per otto mesi.» Stringendo le mani di lei, alzò finalmente lo sguardo. Fece un sospiro e sembrò prendere più coraggio. «Sembro pazzo?»
Andy non poté fare a meno di lasciarsi scappare un sorriso. «Diciamo che sono molte informazioni in una volta.»
«Anche per me. Fino all’altro giorno non mi ero reso conto di averti idealizzata così. Ma sono venuto alla festa solo sperando di vederti, e quando mi hai seguito in cucina è stato difficile non mostrare tutta l’agitazione che provavo… Ciò nonostante non sono riuscito a dirti niente di ciò che pensavo.» Alex deglutì, in difficoltà.  Rimase in silenzio per qualche secondo e per un istante si pentì di quell’idea folle, di averla svegliata in piena notte per blaterare parole senza un filo logico. Lasciò la sua mano un attimo e si grattò la fronte, poi la riprese immediatamente. Andy guardò il dorso della mano di Alex, e a sua volta sospirò. In cuor suo pensava di aver capito cosa voleva dirle, ma le sembrava troppo strano per essere vero. Forse lui stesso non sapeva riconoscere i propri sentimenti.
«E cosa pensavi?» chiese lei dopo quella che parve un’infinità.
«Che ti voglio, Andy. Che sono stato un idiota a non chiamarti appena sono tornato a Los Angeles. Ho pensato che avrei voluto avere il tuo coraggio e chiederti di uscire, avvertirti che ero in zona. E non sono riuscito a dirtelo nemmeno l’altra sera.» Alex le lanciò uno sguardo speranzoso. Poi abbassò di nuovo gli occhi. «Miles mi ha scritto cosa vi siete detti.»
Andy lo studiò, poi allontanò le mani dalle sue. Dunque l’unico motivo per cui è qui è che Miles ha fatto la spia e gli ha detto che sto uscendo con Ben. Sono in parte… lusingata, credo, ma mi sento anche raggirata.
La ragazza scosse la testa. «Quindi sei qui solo perché hai saputo che esco con un ragazzo e dopo la festa non sono tornata a casa con te. Cos’è, hai una sorta di feticismo per ciò che non puoi avere?»
Alex si strofinò le cosce con i palmi sudati delle mani e fece un sorriso amaro, distogliendo lo sguardo. Rimase in silenzio per qualche secondo e prese dalla tasca un’altra sigaretta, che accese continuando a osservare il vuoto.
Ma Andy non aveva finito. «Alex, non ci vediamo da otto mesi e oggi mi chiami alle 4 di notte solo perché hai saputo che non sono disponibile per ogni tua futura evenienza, ogni volta che sarai a Los Angeles?» La sua voce era pacata e bassa, ma traspariva un certo nervosismo.
Senza fiatare, lui si alzò dalla panchina e si ravviò i capelli con la mano libera. Poi, dopo essersi grattato la fronte con il mignolo, fece un tiro di sigaretta e si voltò verso di lei, ma comunque non la guardò negli occhi. Fece per dire qualcosa ma poi scosse la testa con un sorrisetto disilluso.
Andy continuava a fissarlo, ancora seduta. «Lo sai che mi piaci, non posso e non voglio nascondertelo… Come potresti non piacermi?» riuscì a dire prendendo il coraggio a due mani. Si alzò e si avvicinò a lui di un passo incrociando le braccia sotto il seno.
«Sono quattro giorni che penso solo a quella notte passata con te a casa mia» confessò lui. Deglutì e poi si strinse nelle spalle con un sorriso finto. «Però è troppo tardi per dirtelo, giusto? Be’, volevo tu lo sapessi, tutto qui.» Annuì tra sé e fece per voltarsi. «Scusa se ti ho svegliata» disse, prima di incamminarsi.
D’istinto, Andy allungò una mano e strinse il tessuto morbido della sua camicia in un pugno, per fermarlo. «Alex…»
Lui si voltò, l’espressione esausta a causa della nottata in bianco e della fatica che aveva provato a esprimere i propri, confusi, sentimenti. «Che c’è? Non ti devi sentire in colpa, hai ragione.»
Andy lasciò andare la sua camicia e lo fissò negli occhi, anche se lui tendeva a evitarla. Fece un altro tiro di sigaretta. Nonostante fosse evidentemente a disagio, era ovvio che Alex non volesse andarsene. Rimase fermo qualche secondo prima di alzare gli occhi su quelli di Andy. Lei lo fissava, spudoratamente, con uno sguardo intenso e confuso al tempo stesso. La sua espressione era il riassunto perfetto dell’indecisione.
«A che canzone stai pensando?» chiese allora lui facendo un altro tiro, buttando lì la loro domanda come se niente fosse.
«Just Breathe dei Pearl Jam» rispose lei in un soffio.
Lui, ancora indeciso sul da farsi, annuì soddisfatto. «Bel pez-»
Le sue parole si infransero contro le labbra di Andy, che in un istante lo aveva raggiunto. La sigaretta gli cadde a terra, e in un attimo le sue braccia si strinsero sul torso di lei, togliendole il respiro. Andy chiuse gli occhi e accarezzò le guance di Alex mentre con la lingua cercava quella di lui con un’urgenza improvvisa. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, che quel bacio le avrebbe incasinato la vita per settimane, che lui doveva partire di nuovo per il tour in America del Sud, che era sparito per otto mesi, che con ogni probabilità era lì solo per uno sfizio irrisolto e che, non meno importante, nella sua vita era appena arrivato Ben… ma niente di tutto questo era stato sufficiente a convincerla a non fare ciò che veramente voleva fare: baciarlo, stringerlo, annusarlo e toccarlo.
A contatto con l’urgenza di lei, Alex infilò le mani sotto la maglia larga del concerto di Bruce Springsteen e strinse con forza la vita nuda di Andy, spingendola il più possibile contro di sé. Le morse il labbro inferiore prima di tornare a giocare con la sua lingua. I loro nasi si sfioravano in un eccesso di foga, mentre le sue mani correvano sotto i pantaloncini da ciclista, strette tra la pelle dei glutei e il tessuto tecnico.
Le labbra di Andy si staccarono dalle sue e Alex la seguì per un momento, sporgendosi in avanti. Poi sorrise leccandosi le labbra umide e la guardò negli occhi, a un paio di centimetri di distanza. Lei, nonostante fosse stata la prima a baciarlo, sembrava ancora confusa e spaesata. Alex allora le diede un bacio soffice sul naso e si staccò da lei, per lasciarle il suo spazio: era evidente perfino a lui che ad agire era stato puro istinto e niente di razionale.
«Dicevo… bel pezzo!» scherzò lui per metterla a proprio agio, ravviandosi i lunghi capelli neri.
Andy si toccò le labbra con due dita, come per verificare che ci fossero ancora, come se avessero agito di testa propria. Poi tornò a guardarlo, ancora confusa e piena d’indecisione.
«Non… non volevo che te ne andassi» spiegò lei in un soffio, sottovoce.
«Be’, sei stata convincente» rispose Alex, cercando di nascondere un sorriso malizioso.
Lei avrebbe voluto non ridere, ma gli concesse un sorrisetto prima di scuotere la testa e guardarsi le Vans nere e consumate. Si sentiva ancora bruciare la pelle dove Alex l’aveva stretta, sui fianchi e sul sedere, con quell’urgenza che, in tutta onestà, l’aveva fatta impazzire per un secondo. Sospirò, cercando di riordinare i pensieri.
«E ora?» chiese, con un’onestà di cui solo lei era capace.
«Sempre le domande più difficili, Stonem» rispose Alex guardandola negli occhi. «Ora… Be’, ora non sai quanto vorrei prenderti e portarti a casa mia infrangendo tutti i limiti di velocità da qui al mio condominio e passare il poco che resta della notte chiuso in camera da letto con te, dopo averlo sognato per quattro giorni di fila… ma credo sia meglio darci la buonanotte.»
Andy sospirò, le sue parole l’avevano eccitata forse più del bacio in sé: era la prima volta da quando si erano conosciuti che le aveva esplicitamente detto quanto la voleva, anche dal punto di vista prettamente fisico. E lei non era da meno, lo voleva almeno allo stesso modo. Si morse il labbro, un po’ orgogliosa di avere quell’effetto su di lui. Tuttavia annuì, aveva ragione. «Sì, credo anche io» confermò stropicciandosi il viso con le mani, come per svegliarsi da un sogno.
«Però ci sentiamo domani, cioè, oggi, vista l’ora…» continuò Alex con un sorriso. «Okay?» Si avvicinò di nuovo a lei e la abbracciò, prima di avvicinare il naso al suo collo fresco e sussurrare: «Stavolta non mi scappi, Stonem».
Lei lo abbracciò a sua volta allargando i palmi delle mani sulla sua schiena tonica e definita, sotto la camicia nera. Rabbrividì al contatto e appoggiò la testa contro la sua spalla per lasciarsi cullare un secondo in quell’abbraccio che aveva il suo odore. Lui le lasciò un soffice bacio sul collo.
«Buonanotte» disse Alex.
Lei lo strinse a sé ancora un secondo prima di lasciarlo andare. Lo guardò negli occhi mentre il sole stava ormai sorgendo, dovevano essere passate almeno due ore da quando era uscita di casa. «Buonanotte» ripeté lei, anche se sapevano entrambi che nessuno dei due avrebbe chiuso occhio.
Alex si voltò per andarsene lanciandole un ultimo sorriso. «Alex…» lo chiamò di nuovo lei. Quando si fu voltato, chiese, a bruciapelo: «Quando riparti per il tour?».
Lui la fissò per qualche secondo, a un paio di metri di distanza, poi prese coraggio: «Tra una settimana». Si grattò la nuca con l’indice e aggiunse, riluttante: «Stiamo via quattro mesi».
Lei non poté fare a meno di lasciarsi scappare un’espressione stupefatta: quattro mesi?! Ancora? Suo malgrado annuì, ma il sorriso l’aveva abbandonata all’istante. «Okay, buonanotte» disse Andy, prima di incamminarsi verso casa senza voltarsi.
 
 
 
 
Ehi, mi puoi chiamare oggi pomeriggio? Stacco alle 16.
 
Sì, certo. Ti chiamo dopo.
Ma che è successo?
Tutto ok?
Stai bene?
Riguarda Marg?
 
Come sempre, Miles l’aveva inondata di messaggi in risposta a una singola domanda.
Era uno dei suoi tratti distintivi. E solitamente quel fiume di parole si verificava anche in conversazioni dal vivo, in cui Miles faceva fatica a prendere fiato. Andy aveva guardato arrivare quella cascata di messaggi mentre sorseggiava il secondo caffè della giornata, stavolta più necessario del solito: aveva dormito appena quattro ore.
 
Sì Miles, non preoccuparti, sto bene e anche Marg sta bene ;) Ieri notte ho visto Alex, voglio solo fare due chiacchiere con teeeeeeeee!
 
AH… OKAY…
OH-OH.
 
Già, oh-oh. Andy ripose il telefono nella borsa di tela e si ripromise di non pensare più a quella faccenda per il resto della giornata lavorativa. L’ultimo scambio con Alex aveva rovinato tutto il resto, lasciandole un ricordo amaro di quella notte.
 
   
 
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