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Autore: Jeremymarsh    13/07/2023    5 recensioni
"Ricordava con particolare minuzia, nemmeno fosse stata lei stessa una Storiografa, tutto ciò che era stato rimosso anni prima; ogni ricordo che avrebbe potuto frantumare la fragile facciata che aveva costruito; ogni oggetto che rappresentava una storia conclusasi troppo presto.
Aveva preso la scelta giusta; non era rimasto nulla.
Tuttavia, per quanto strofinasse e levigasse la superficie, tante cose sarebbero rimaste per sempre ingranate nella sua mente – e lo erano ancora di più in quei giorni in cui il presente si ostinava a riportare a galla la memoria dolorosa che con tanto fatica aveva fatto affondare."
[Questa storia partecipa all'iniziativa "Do you want to know a secret?" indetta sul forum Ferisce la penna.]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Berenilde, Thorn
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa all'iniziativa "Do you want to know a secret?" indetta sul forum Ferisce la penna ed è candidata agli Oscar della Penna 2024 sullo stesso.

A Flofly, 
tu chiedi e io rispondo 😌❤. 
Spero che questo regalo possa rinfrescare la tua estate.
 

 

 


 

 

Essere un Drago

 

 

Il suono della porta che si chiudeva rimbombò nel silenzio della notte riscuotendola dai suoi pensieri.

Meditò di riaprirla per controllare se il rumore avesse svegliato il bambino, ma subito dopo scosse la testa e si avviò lungo il corridoio. Da quel poco che aveva visto negli ultimi giorni, non sarebbe stato qualcosa come quella a smuoverlo e a interrompere il suo sonno.

Finora Thorn si era dimostrato pacato, a modo, silenzioso e rigoroso – estremamente silenzioso e rigoroso; tutti aggettivi che non avrebbe mai pensato di attribuire a qualcuno della sua età, non di certo qualcuno con sangue di Drago nelle vene.

Ma era pur vero, rifletté mentre proseguiva a passi lenti, che le era bastato posare lo sguardo su di lui per capire che era l’opposto di qualsiasi aspettativa.

Di quelle positive ed egoistiche di chi lo aveva messo al mondo e di quelle negative e offensive dei parenti.

Thorn era un’incognita, ma sapeva anche che non le dispiaceva; l’idea di scoprire cosa si nascondesse dietro la sua espressione neutra la riempiva di un sentimento diverso, uno che aveva abbandonato anni prima quando aveva perso la propria famiglia e che non aveva pensato avrebbe potuto mai riprovare.

Voleva sapere di più di lui, imparare a conoscerlo, dimostrargli l’affetto che finora gli era stato negato e magari ricercare anche in lui i tratti che lo accomunavano con il fratello – con lei.

Non si illudeva però.

Aveva compreso sin dal primo istante le difficoltà a cui sarebbe andata incontro nell’accoglierlo e della guerra intestina che sarebbe scoppiata non appena gli altri ne sarebbero venuti a conoscenza.

Lei contro tutto il resto del clan.

Una anche più violenta di quella avvenuta anni prima quando il fratello non aveva ancora lasciato quel mondo nel quale Thorn si accingeva ad affacciarsi.

Finora aveva dovuto combattere solo con gli sguardi ostili della madre, ma si aspettava altro da un momento all’altro. Non era da un Drago starsene buono e in silenzio, non quando gli era stata fatta – apparentemente – un’offesa di tale portata.

Infatti, non avrebbe atteso ancora molto prima di far sapere a Berenilde quanto fossero in disaccordo con la sua ultima decisione.

Aveva appena comunicato alle cameriere che si sarebbe ritirata nelle sue stanze quando arrivò, fiero del trambusto che la commozione aveva provocato, il sorriso maligno quasi nascosto dalla folta e ispida barba.

“Berenilde!” tuonò non appena i suoi occhi gelidi la individuarono. “Pensavi avresti potuto tenercelo nascosto? Pensavi che non saremmo venuti a saperlo?” Posò lo sguardo su Kathrin, che era rimasta immobile su una poltrona per tutto per quel tempo, prima di riportarlo su di lei. “Tutta la corte non fa che coprirci di ridicolo, come se quel traditore di Boris non avesse già fatto abbastanza. Vuoi fare la sua stessa fine?”

“Padre Vladimir,” lo salutò, rigida, calando solo leggermente il capo e poi lanciando un’occhiata diffidente alla madre che ancora restava seduta, indifferente. “A cosa devo questa visita?”

La sua voce, certamente più melodiosa, era chiaramente udibile nella stanza, ma mancava della stessa potenza che aveva usato lo zio.

Dopo tutto, anche se erano passati alcuni anni, le erano bastati pochi giorni in compagnia di Thorn per ricordare le accortezze che aveva sempre riservato ai figli.

Non desiderava svegliarlo, ma data l’impetuosità con cui Padre Vladimir si era precipitato da loro e considerato anche il tempo che aveva atteso prima di fare la sua mossa, immaginò che avesse abbastanza da dirle – e che non sarebbe stata una cosa carina.

“Come osi prenderti gioco di noi in questo modo? Credi che ci metterei molto a disconoscerti dopo ciò che hai osato fare?”

Berenilde si mantenne composta, ma dentro di sé era molto tesa; sapeva di trovarsi in acque molto pericolose.

“È un Drago, proprio come noi,” tentò di dire, ma lo zio non le diede la possibilità di continuare.

“Quel bastardo non è uno di noi né lo sarà mai. E nascondendolo non migliori la situazione. Nemmeno sua madre lo ha voluto, dopo essersi data pena per averlo, cosa ti fa credere che dovremmo accoglierlo noi?”

L’unica volta che Berenilde lo aveva visto così tanto agitato, il clan aveva appena ricevuto notizia delle indiscrezioni di Boris e del futuro arrivo di Thorn.

Padre Vladimir era un uomo crudele e spietato né si faceva scrupolo ad attaccare qualcuno che condivideva il suo stesso sangue. Incarnava alla perfezione le qualità migliori di un Drago e ne faceva un vanto.

Ecco perché aveva immediatamente ripudiato Boris, lo stesso motivo per cui Berenilde non provò a perorare la sua causa facendo il nome di quest’ultimo.

Vladimir avrebbe preferito vedere il clan estinto prima di accettare Thorn, ma questo lei lo aveva sempre saputo.

Tuttavia, doveva pur sempre tentare di mantenere le apparenze, non mostrargli apertamente quanto lo stesse sfidando con la sua decisione.

“Avreste preferito che qualcuno estraneo a noi lo crescesse sfruttando ciò che è solo nostro? Con me il bambino avrà la possibilità di essere un vero Drago e diventare un assetto importante per-”

“Quel bastardo non è un Drago,” ripeté con un boato, alzando così tanto la voce da far scoppiare la cristalliera e scuotendo anche la cugina finora rimasta indifferente.

Berenilde fece un passo indietro, colpita dallo schiaffo, ma ancora più determinata di prima a non dargliela vinta.

Lo sguardo le si fece ugualmente duro, perdendo quella dolcezza che aveva riservato a Thorn, e raddrizzò le spalle, prima di rispondere. “Che lo vogliate o no, che sia stato riconosciuto o meno, quel bambino è pur sempre figlio di Boris e, come tale, è un Drago.”

Padre Vladimir ricambiò lo sguardo e l’aria nella stanza si fece così calda da quasi sciogliere il ghiaccio dei suoi occhi, ma poi, senza preavviso, scoppiò a ridere.

Però, era una risata beffarda e crudele, così come le parole che la seguirono: “Non immaginavo fossi tanto disperata, Berenilde. Ho sempre saputo che la morte di Nicolas ti avrebbe dato alla testa e che prima o poi avresti cominciato a mostrarlo per quanto tu possa cercare di mantenere le apparenze. Sei tanto bisognosa da accollarti il bastardo di tuo fratello.” La guardò con occhio calcolatore, sapendo bene l’effetto che avevano sulla nipote e poi, con un altro ghigno, le diede lo scacco matto. “Fai pure, Berenilde, accoglilo. Dopo tutto, sarà l’ultimo figlio che avrai, non importa quanto ti avvicini a Faruk. Ma fa attenzione a non affezionarti troppo; non sai quanto possa passare prima che faccia la fine degli altri.”

E detto ciò, dopo aver visto il lampo di dolore attraversarle gli occhi, fu abbastanza soddisfatto da lasciarla sola.

Le diede le spalle, per nulla impaurito di una rappresaglia, perché sapeva che Berenilde non avrebbe osato e che era ben in grado di tenere a bada i propri artigli, e se ne andò.

Rimaste sole, madre e figlia non si mossero per alcuni secondi.

La prima guardò contemplativa la seconda, ma non appena Berenilde si riprese e si mosse nella sua direzione, riacquistò la sua espressione indifferente.

“La pensate allo stesso modo, non è vero, Mamà?”

“Sciocchezze, Berenilde. Piuttosto, non credi che sia ora di andare a riposare? Non ti fa bene restare sveglia fino a tardi.” Poi si alzò, avanzando lentamente e lasciando la donna del tutto sola con i propri pensieri.

Berenilde seguì la sua uscita ben consapevole della verità che la sua indifferenza celava e chiedendosi se avesse ancora la forza per vivere insieme a lei e al suo giudizio o se, invece, Padre Vladimir avesse avuto ragione nel dire che aveva del tutto perso il senno dopo la morte di Nicolas.

 

*

 

Giunta infine nelle sue stanze fredde e scarne, se non per alcuni gingilli, Berenilde si sedette sul bordo del letto con gli occhi che non stavano fermi un secondo, intenti a posarsi su quelle poche cose che la circondavano.

Ricordava con particolare minuzia, nemmeno fosse stata lei stessa una Storiografa, tutto ciò che era stato rimosso anni prima; ogni ricordo che avrebbe potuto frantumare la fragile facciata che aveva costruito; ogni oggetto che ricordava una storia conclusasi troppo presto.

Aveva preso la scelta giusta; non era rimasto nulla.

Tuttavia, per quanto strofinasse e levigasse la superficie, tante cose sarebbero rimaste per sempre ingranate nella sua mente – e lo erano ancora di più in quei giorni in cui il presente si ostinava a riportare a galla la memoria dolorosa che con tanto fatica aveva fatto affondare.

Le azioni di quella donna l’avevano a suo modo costretta a interrogare se stessa e, soprattutto adesso, dopo le parole crudeli di Padre Vladimir, si chiese quanto davvero fosse stata brava lei con Thomas, Petrus e Marion; se davvero avesse il diritto di giudicare colei che aveva abbandonato Thorn sulla sua soglia o se fosse in grado di dargli ciò che non aveva avuto.

Dopo tutto, quali esempi aveva avuto lei? Era nata in un Clan di Draghi, della sua – di madre – non ci si poteva fidare, e a modello venivano prese figure che crescevano i loro figli come le belve a cui davano la caccia e poi portavano sulle tavole degli gli abitanti del Polo.

Anche lei era stata cresciuta in quel modo e, sempre a lei, erano stati insegnati i valori apparentemente fondamentali da passare di generazione in generazione.

Non si illudeva di essere tanto diversa dai suoi parenti, conosceva anche lei l’importanza di un’istruzione rigida, eppure inconsciamente aveva sempre tentato di dare ai suoi figli ciò che le era mancato.

Ora, però, si chiedeva se glielo avesse dato davvero.

Se avesse sorriso abbastanza a Thomas.

Se Petrus avesse ricordato tutte le volte che lo aveva messo a letto.

Se Marion avesse davvero sentito le sue carezze sul viso.

Forse, si disse ancora, i suoi sforzi erano stati vani ed era impossibile andare oltre la fama della sua famiglia, forse la mancanza di certi valori era una prerogativa dei Draghi tanto quanto gli Artigli e i tatuaggi che sfoggiavano.

Eppure, non le importava sembrare disperata agli occhi del clan, perché sapeva che non sarebbe mai riuscita ad abbandonare quella parte di se stessa che anelava così tanto a essere madre da far male.

Come avrebbe potuto?

I suoi figli non sarebbero mai tornati da lei per alleviare quelle paure che le erano nate nel cuore, ma intanto sapeva di avere anche solo l’ultima possibilità per dimostrare al Clan – e a se stessa – che poteva essere un vero Drago e al tempo stesso una madre degna di quel titolo.

Scosse la testa, dimenticando tutte quelle idee, e suo malgrado si trovò a ripercorrere lo stesso corridoio di prima. Fece ugualmente attenzione nel riaprire la porta e tirò il fiato quando infine i suoi occhi si posarono sulla figura di Thorn addormentata.

Non aveva cambiato posizione però la sollevò notare che almeno in quelle ore le sue spalle erano rilassate e il viso privo di quell’ombra che vi aveva visto al suo arrivo.

Si appoggiò piano ai lati del letto e continuò a osservarne i tratti e, forse, indugiò così a lungo da confondere ciò che vedeva con i suoi ricordi perché, anche solo per un secondo, le sembrò di riconoscere i tratti perduti dei suoi bambini

Non era pazza, si ripeté nel chiudere e riaprire gli occhi, ed era sicura che tutti quei pensieri quella notte avessero un significato preciso.

Con una mano distese una piega delle coperte come aveva fatto tante altre volte mentre l’altra si allungava verso un ciuffo biondo che gli era caduto sul viso; non osò toccarglielo però.

Strinse le labbra incapace di staccare gli occhi da quella visione, ma alla fine, anche se le costò forza, si alzò e se ne andò.

Fuori dalla stanza, si abbandonò con le spalle alla porta e rilasciò il respiro che aveva trattenuto.

Sapeva di non avere alcuna reale certezza, che c’era la possibilità che i suoi fossero vaneggi, ma non poteva lasciarsi spaventare dalle parole dello zio né doveva considerare lo stesso Thorn come un rimpiazzo.

Quella che aveva scelto di intraprendere era una battaglia diversa da tutte le altre e, giurò a se stessa, avrebbe avuto anche una fine diversa.

   
 
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