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Autore: TigerEyes    15/07/2023    16 recensioni
Akane voltò con estrema cautela il viso, pronta a sferrare un pugno micidiale che avrebbe mandato a fare da satellite alla luna quel cretino di…
Un’espressione pucciosa da gattino sornione la scrutò a un palmo di naso, mentre il ciuffo di capelli alla fine di una treccia le solleticò la gola.
“Prrrrrau…”.
…Ranma?!
Stava per lanciare un urlo che gli avrebbe perforato i timpani, quando il suo fidanzato (?) tirò fuori la lingua e le leccò il naso.
Akane si pietrificò all'istante.
“Maauuu…”.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’idea per questa what if è partita dalla bellissima e tenera fanart di Ktjm108 che vedete sotto. Ringrazio di cuore Moira e Giorgi_b per avermi aiutato con lo sviluppo della trama, ma in modo particolare Tyllici, infallibile cecchino di refusi e implacabile betareader, un vero e proprio editor professionista che ha rivoltato storia e caratterizzazioni come un calzino pur di non farmi pubblicare fesserie! Infinitamente grazie!



Non siamo noi a scegliere un gatto,
è lui a scegliere noi.

(Philippe Ragueneau)




KITTEN



kitten2




Il cagnolino era adorabile, un piccolo ammasso di pelo con due bottoncini neri per occhi, le orecchie flosce e la codina festante, che cercava in tutti i modi di leccarle la punta del naso con la linguetta ruvida facendola squittire felice. Si sforzava anche di emettere dei deboli latrati, ma somigliavano più a dei miagolii. Ma che importanza aveva? Era così kawaiiii! Però stava cominciando a crescere rapidamente o sbagliava? No, no, cresceva proprio a vista d’occhio fra le mani, costringendola a doverlo sostenere con le braccia. Forse era meglio farlo scendere al suolo, ma la bestiola non sembrava intenzionata a staccarsi da lei, passando anzi a darle leccatine non più sul naso, ma su una guancia e poi sul collo… Non riusciva più a scrollarselo di dosso, voleva solo che quel bestione poggiasse le zampe a terra, invece si aggrappava a lei continuando a crescere a dismisura e per tutti i kami… ma quanto pesava?
Akane spalancò gli occhi, sbattendo confusa le ciglia alla luce del mattino che inondava la stanza attraverso la finestra inspiegabilmente aperta, mentre una brezza fresca gonfiava le tende. E come se non bastasse, qualcosa stava davvero appollaiato su di lei schiacciandola contro il materasso. E le stava davvero leccando il collo, dopo averle inumidito mezza faccia. E quel qualcosa non poteva essere di certo P-chan, visto il peso non indifferente che gravava per intero sul proprio fianco. Anche perché quel qualcosa faceva le fusa e stava oltretutto massaggiandole ritmicamente la spalla con… con…
…due mani?!
Akane voltò con estrema cautela il viso, pronta a sferrare un pugno micidiale che avrebbe mandato a fare da satellite alla luna quel cretino di…
Un’espressione pucciosa da gattino sornione la scrutò a un palmo di naso, mentre il ciuffo di capelli alla fine di una treccia le solleticò la gola.
“Prrrrrau…”.
…Ranma?!
Stava per lanciare un urlo che gli avrebbe perforato i timpani, quando il suo fidanzato (?) tirò fuori la lingua e le leccò il naso.
Akane si pietrificò all'istante.
“Maauuu…”.
Adesso un cazzotto in piena faccia con cui l’avrebbe spedito nello spazio siderale a orbitare attorno alla Terra non glielo levava davvero nessuno. Serrò le dita nello stesso momento in cui il deficiente le diede una leggera testata contro la fronte, riprendendo subito dopo a massaggiare il piumone come se stesse impastando il riso glutinoso per i mochi.
Akane abbassò poco a poco il pugno: diversi graffi facevano bella mostra su una guancia del fidanzato, altri sul collo, altri costellavano le braccia, là dove le maniche erano arrotolate sino al gomito lasciando scoperta la pelle. Senza contare le foglie imprigionate fra le ciocche della frangia e persino nella treccia, a cui in un primo momento non aveva fatto caso. Ma che aveva combinato, quella mattina, per ridursi così? Si era azzuffato con un branco di gatti randagi?
“Oh, povera me…”, esalò riuscendo non senza fatica a far sgusciare le gambe fuori dal letto per mettersi seduta sul bordo, intanto che Ranma si leccava una zamp… il polso. “D’accordo, vieni qui, micino”, lo invitò col tono di voce più conciliante possibile picchiettando su una gamba con una mano affinché il fidanzato si avvicinasse di nuovo. Ranma la prese anche troppo in parola: salì sulle sue cosce e si raggomitolò con l’intero corpo e anche se pesava come un macigno, con un sospiro rassegnato Akane chiuse gli occhi e cercò di sopportare.
Prese un bel respiro e riaprì le ciglia, iniziando a sfilargli via le foglie dai capelli mentre gli parlava dolcemente e lui fuseggiava così tanto da rivaleggiare con un trattore. Qualunque cosa gli fosse accaduta, Ranma di certo non se la sarebbe ricordata al ‘risveglio’, per cui sarebbe rimasta un mistero. Una volta ancora comunque, nella sua forma gattizzata, si era recato da lei per ricevere coccole e conforto, anziché da una qualsiasi delle ‘fidanzate carine’ che di certo non chiedevano di meglio che spupazzarselo.
Che strano, eh?
Sorrise fra sé, mentre toglieva anche l’ultima foglia rimasta incastrata nel codino. Ma le aveva davvero tolte tutte? Meglio controllare. Cominciò allora a far scorrere le dita fra i capelli, dapprima – si disse – perché voleva sul serio verificare che non una foglia le fosse sfuggita. Poi, però, l’esplorazione divenne un tocco sempre più lieve, finché percorrere le sue ciocche seriche e lucenti come il pelo di un gatto non si tramutò in una carezza. L’unica che potesse concedergli – e concedersi – senza compromettersi.
Chiuse di nuovo gli occhi, mentre si lasciava a sua volta accarezzare dal venticello fresco che entrava in leggere folate dalla finestra e cullare dalle fusa che Ranma faceva sempre più forti, dal suo respiro profondo ma regolare, dai cinguettii provenienti dagli alberi in giardino. Finché non si ritrovò a sbattere con veemenza le palpebre rendendosi conto di essersi quasi appisolata. Il fidanzato invece dormiva proprio della grossa.
“Ranma? Ehi?!”, lo chiamò cercando al tempo stesso di scuoterlo affinché si svegliasse: il suo peso ormai era diventato insopportabile, un altro po’ e avrebbe perso l’uso delle gambe. “Ma ti vuoi schiodare? Alzati, su, ormai dovresti essere…”.
“Maauu?”, rispose lui con un sonoro sbadiglio, allungando al tempo stesso le braccia in avanti per stiracchiarsi, prima di mettersi comodamente seduto sempre sulle proprie gambe e leccarsi il dorso di una mano, per poi strusciarlo contro un orecchio, più e più volte.
Non era ancora tornato in sé? Com’era possibile?!
“Ma… ma che stai facendo, la toletta? Scendi subito!”, lo sgridò stavolta puntando un dito al suolo.
“Prau?”, ribatté lui voltandosi a guardarla, un istante prima di avvicinare il viso al proprio per annusarla e strusciare una guancia contro la sua, le labbra pericolosamente vicine alle proprie. Il ricordo dell’unica volta che l’avesse baciata – a tradimento – proprio mentre era gattizzato la fece scattare come una molla: Akane balzò in piedi nonostante le gambe intorpidite scaraventando un sorpreso Ranma sul pavimento.
“Ehi, non scherziamo! Ora basta!”.
Ma lui, seduto composto sulla moquette, la fissò perplesso, la testa inclinata da un lato, finché una mosca non attirò la sua attenzione: dapprima la seguì con sguardo predatore, poi iniziò a rincorrerla per tutta la stanza. “No, fermati, mi distruggerai la camera così, fermati!”.
Lungi dall’ascoltarla, il fidanzato si bloccò solo quando imprigionò la mosca con le mani contro la parete del letto.
Perché non è ancora tornato in sé? Che sta succedendo?!
“Cos’è questo baccano di prima mattina? È domenica, volete fare più piano voi due?”.
Akane si voltò verso la porta, dove una Nabiki in pigiama mandava lampi omicidi dagli occhi assonnati. Non fece in tempo a spiegarle una situazione che non capiva nemmeno lei, perché la sorella inarcò un sopracciglio, inducendola a tornare a focalizzarsi su un Ranma che tentava di grattarsi un orecchio con un piede, prima di scendere dal letto e strusciarsi contro le proprie gambe avanti e indietro.
“Beh, che aspetti a farlo tornare normale?”, lo indicò la sorella col mento.
“Guarda che ci ho provato, non capisco!”.
Nabiki arricciò le labbra in un’espressione dubbiosa.
“Vuoi dire che nonostante le martellate è rimasto così? Ma che straaaaano!”.
“Non scherzare, la cosa è seria!”, la implorò preoccupata.
“Va bene, va bene… Quanto tempo lo hai coccolato, esattamente?”, chiese con lo sguardo assottigliato da investigatore.
“Beh, parecchio, mi sono quasi appisolata!”.
“Interessante… E cosa hai fatto di preciso?”.
“Gli ho carezzato la nuca come sempre e… ehm… dietro le orecchie…”, ammise arrossendo.
“Ah sì?”, sorrise Nabiki a trentadue denti.
“Non fare quella faccia, mi sono solo lasciata prendere la mano!”.
“Forse è qualcos’altro che la tua mano dovrebbe carezzargli…”, insinuò la sorella.
“In che senso?”.
La sorella scosse la testa trattenendo una risatina.
“Niente, dicevo che magari dovresti cambiare approccio: prova, che so, a grattarlo sotto al mento?”.
“Oh, per favore!”.
“Prova, che ti costa?”.
“E va bene…”, sbuffò lei. “Vieni qui, micio, micio!”, lo chiamò sedendosi sul letto e tendendo una mano, verso la quale Ranma si precipitò, strusciando una guancia contro il suo palmo a occhi chiusi. A quel contatto Akane avvampò, ma non ritrasse le dita, con le quali anzi cercò di fargli un grattino sulla gola, da cui provenivano fusa di autentica goduria.
“Senti, senti…”, esclamò Nabiki subito prima che un flash illuminasse l’intera stanza.
“Ma che fai, scatti delle foto?!”.
“Certo! Un simile momento va immortalato!”, ammise divertita sventolando nell’aria la Polaroid affinché si asciugasse.
“Ma insomma, Nabiki, vuoi aiutarmi o no? Guardalo, non può restare così!”.
“Perché no?”, le chiese osservando concentrata l’istantanea che andava lentamente colorandosi.
Akane rimase così interdetta che sbatté le palpebre più volte, prima di tornare a guardare un Ranma talmente felice da buttarsi di schiena sul pavimento affinché gli grattasse anche la pancia.
“Tu non parli sul serio…”, scandì fissando inorridita la sorella.
“Sì, invece, e sono sicura che tra non molto a te non dispiacerà affatto che rimanga così…”, malignò lei con un sorrisetto sbieco.
“Ma che dici, sei impazzita?”, sbraitò saltando in piedi. “Ho provato in ogni modo a farlo rinsavire, ma non c’è stato verso, credimi! E tu vuoi smetterla?!”, intimò al cretino cercando di respingerlo, ma il fidanzato si avvinghiò a una sua gamba e scuoterla nell’aria non servì a nulla.
“Hai fatto di tutto? Sul serio?”, sorrise sorniona Nabiki osservando Ranma in versione koala. “Vuoi dire che hai provato anche a baciarlo?”.
Vapore acqueo lasciò all’istante le sue orecchie che, ci avrebbe giurato, scottavano al pari della propria faccia.
“Ba… ba… ba-ba-ba-ba…”.
“Non c’hai minimamente pensato, vero? Né avresti il coraggio… Certo, morireste d’infarto entrambi se tornasse in sé proprio nel momento in cui tieni le labbra incollate alle sue, ci scommetto!”, scoppiò a ridere la serpe.
“Nabiki, accidenti, piantala di burlarti di me!”.
La sorella tornò seria e la squadrò da sotto in su.
“A quanto pare non ti è ancora chiaro: credo che a meno di un forte choc, dovrai tenerti un gattino per fidanzato, d’ora in avanti!”.
“No… no e poi no, mi rifiuto!”.
“Eppure avrebbe i suoi vantaggi, un Ranma in quelle condizioni”.
“Tu devi essere impazzita sul serio!”.
“Comunque, fossi in te, io ne approfitterei, prima che riacquisti il senno, non si sa mai: guardalo come pende dalle tue labbra…”, le suggerì Nabiki facendole l’occhiolino. A lei quasi cascarono le braccia insieme alla mascella. “Suvvia, quando ti ricapita un’occasione così, in cui Ranma vuole stare attaccato a te, invece che il più lontano possibile da te? Chissà fin dove si spingerebbe in quello stato… Magari più in là di un semplice bacetto a stampo, stavolta?”, ridacchiò.
“Non voglio più ascoltarti! Dici solo assurdità!”, si scandalizzò lei ancor di più rimanendo con la gamba a mezz’aria, la faccia che diventava paonazza.
“Assurdità? Più di un Ranma che imita un koala abbarbicato a un albero? Non lo vedi da te che sta esprimendo i suoi veri sentimenti? Pensaci, Akane, pensaci bene…”, la salutò Nabiki con una mano nel darle la schiena, prima di sparire nel corridoio.
Impietrita, spostò titubante lo sguardo sulla faccia da micetto pacioso di Ranma mentre lei riabbassava con cautela la gamba ostaggio delle sue braccia forzute. Non importava a cosa alludesse Nabiki, non voleva saperlo, perché in quel momento a un’unica cosa riusciva a pensare un’Akane con la vescica piena.
E adesso come me ne libero?!
“Ranma, ora basta! Se questo è uno stupido scherzo dei tuoi, sappi che non è divertente!”, sbraitò dapprima camminando in tondo per tutta la stanza facendolo sbattere contro ogni mobile possibile, poi sedendosi di nuovo sul letto per cercare di spingerlo via con la gamba libera e le mani premute contro le sue spalle. Ma fu solo grazie all’intervento provvidenziale di una falena che svolazzò sopra la sua testa, che il fidanzato finalmente mollò la presa per inseguire l’insetto.
Akane si lanciò verso la porta e poi giù per le scale, corse in bagno e si chiuse nel gabinetto. E già che se ne stava seduta lì a sospirare beata, iniziò a ragionare sul fatto che, se Ranma non voleva rinsavire nel modo tradizionale, lo avrebbe fatto tornare in sé a suon di sberle, poco ma sicuro.
E se dopo tutti gli sforzi rimane comunque così?
No, no, no, una soluzione andava trovata, altrimenti come lo avrebbe gestito? Era felice di sapere che, nonostante il suo atteggiamento e le sue parole da sbruffone, in realtà il deficiente teneva a lei, ma così non poteva funzionare!
Scrat!
Akane increspò perplessa la fronte.
Cos’è stato?
Scrat!
Scrat!
Scrat!
Spalancò gli occhi, incredula: possibile che fosse oltre la porta?
“Maaauuuuuuuuu!”.
Oh no!
Ranma stava grattando la porta del gabinetto per entrare e se avesse insistito sarebbe perfino riuscito a sfondarla.
Eh no, eh, questo è troppo!
“Maaauuuuuuuuuuuuuuuuuuu!”.
“Piantala, gattaccio, adesso esco!”.
Ma un paio… no, tre dita s’infilarono sotto l’anta, a cercare cosa non lo sapeva nemmeno lui, in quel suo cervellino da gattino lagnoso.
Akane sollevò un piede e gliele pestò di slancio.
“Mrrrauuu!”, si lamentò Ranma dall’altra parte ritirando lesto la mano.
“Così impari! Cosa credevi di fare?”, replicò lei tirando lo sciacquone.
Quando spalancò furibonda la porta, lo trovò accucciato a leccarsi le dita mentre le dava la schiena, chiaramente offeso. Lei, per niente intenerita, lo prese per un orecchio e se lo tirò dietro.
“Adesso andiamo da tuo padre, dovrà pur esserci un modo per…”. Ma Ranma si divincolò soffiando e corse via a quattro zampe. “Torna subito qui!”, gli urlò dietro inseguendolo, solo per vederlo saltare sul tavolo dove era apparecchiata la colazione, facendo spaventare i presenti e puntando al pesce arrosto.

MA CHE COMBINI, IDIOTA!


Recitava il cartello con cui il signor Genma formato panda colpì Ranma in piena nuca spedendolo in giardino a nuotare con la carpa.
Ranko riemerse con un pesce abbrustolito tra le fauci e l’espressione di chi non capisce cosa gli fosse accaduto, sbattendo confusa le lunghe ciglia. Bene, forse la botta era stata sufficiente a farlo…
“Mau?”.
Il silenzio piombò nella sala da pranzo come un asteroide da due tonnellate.
Mau? Come sarebbe a dire mau? Che storia è questa? Che succede?”, chiese allarmato il proprio, di padre. Mai quanto lei, comunque, quando vide coi suoi occhi Ranko gettare il pesce sul prato e accucciarsi per divorarlo.
“Te lo spiego io, papà: il tuo futuro genero si è gattizzato di nuovo, ma stavolta a quanto pare nemmeno Akane riesce a rimettergli le rotelle a posto”, scherzò Nabiki riprendendo a piluccare il riso nella propria ciotola.
“Oh, questo significa che dovrò comprare i crocchini? O forse è meglio il paté?”, chiese Kasumi portando una mano alla guancia.


MA PERCHÉ HO UN FIGLIO SCEMO?


“Come se la colpa di tutto ciò fosse di Ranma e non la sua, vero, signor Genma?”, sbottò Akane al colmo della sopportazione nel leggere il cartello mentre il genitore degenere si ingozzava. “Stamattina l’ho trovato già in queste condizioni nella mia stanza, le coccole non funzionano, le botte non funzionano, forse sarebbe il caso di pensare a una soluzione, anziché insultarlo o comprargli cibo per gatti!”.
“O forse, Akane, non l’hai coccolato abbastanza…”, insinuò Nabiki con un sorrisetto mellifluo. “Perché non lo riporti in camera tua? Sono sicura che come tutti i gatti sarà felice di dormire nel letto con te…”, ridacchiò posando ciotola e bacchette.
“Ma che stai dicendo?!”, gridò lei sbattendo una mano sul tavolo.
“Quello che tutti pensano, mia cara: che sarebbe ora che vi deste una mossa”, osservò la sorella pulendosi la bocca con un tovagliolo. “Approfitta del suo stato attuale, Akane, dammi ascolto”, concluse facendole perfino l’occhiolino.
“Mai! Non farò mai una cosa del genere!”.
“Su, su, non bisticciate, voi due”, le redarguì suo padre. “Vedrai, Akane, che prima o poi grazie alle tue premure Ranma tornerà in sé, vero, amico mio?”, chiese il genitore rivolgendosi al signor Genma.
“Bo-bo!”, rispose il panda rotolandosi sul pavimento con una palla da circo.
“La smetta, signor Genma, e ci aiuti, Ranma non può restare così!”.


ABBIAMO FATTO TUTTO QUELLO CHE POTEVAMO


“Veramente lei non ha fatto nulla…”, osservò Kasumi chiudendo il cuociriso ormai vuoto.


COME NO? L’HO COLPITO!


Akane si mise le mani fra i capelli. Ormai era chiaro che dalla sua famiglia non avrebbe ottenuto nulla, tanto valeva chiedere aiuto a uno specialista.
“Sorellina, il tuo gatto è scappato”, le fece notare Nabiki alzandosi in piedi.
Akane spalancò gli occhi e corse in veranda per affacciarsi in giardino: davanti al laghetto solo la lisca del pesce arrosto, di Ranko nessuna traccia. Fece il giro del portico e si bloccò col respiro mozzato, quindi tornò di corsa indietro e si appoggiò con una mano alla shoji della sala da pranzo, mentre con l’altra si copriva gli occhi.
“Che altro succede, figliola?”.
“Ecco, Ranma… lui… no, cioè, lei… sta…”.
“Ho capito, vado a vedere io, papà, visto che Akane è paonazza”, annunciò in tono annoiato Nabiki uscendo all’esterno. E tornando poco dopo trattenendo a stento le risate. “Il tuo futuro genero ha scavato una buchetta in giardino e ci sta seduto sopra tutto concentrato: ho idea che se rimane in quello stato, avremo presto tutto il prato concimato…”.
“Nabiki!”.


- § -


Il dottor Tofu stava spazzando il vialetto d’ingresso alla clinica, quando gli sembrò di udire la voce di Akane oltre il cancello chiuso. Solo che la ragazza sembrava rivolgere dei vezzeggiativi a un animaletto, di certo un gattino o un cagnolino.
Essendo domenica, in teoria lo studio medico era chiuso, ma nulla gli vietava di affacciarsi sulla strada anche solo per salutare la giovane e, già che c’era, mandare i suoi saluti anche a Ka-ka-ka-kasumi! Non la vedeva da ben tre giorni, dopotutto, doveva sincerarsi sulla sua salute, che medico era, altrimenti?
Appena sporse il naso dal cancello, tuttavia, vide Akane ritta sulle punte dei piedi che cercava di indurre Ranma a darle retta. Nulla di strano, se non fosse stato per il fatto che il fidanzato se ne stava appollaiato in cima a un muretto nel tentativo di catturare una farfalla con le mani ad artiglio – come i gatti – mentre Akane, sotto di lui, agitava una piuma per richiamare la sua attenzione.
“Avanti, micino, andiamo! Vieni, micio, micio?”.
Il dottore scosse il capo: era chiaro che non fossero lì per caso. Stava quindi per chiamare Akane, quando dal cielo una bicicletta piombò sulla testa di Ranma, il quale tuttavia, anziché riceverla in piena faccia, una volta tanto con uno scatto fulmineo – degno di un vero felino – la scansò saltando giù dal muro di recinzione per andare a nascondersi dietro le gambe di Akane.
E soffiare in direzione di Shampoo.
Il dottor Tofu si aggiustò gli occhiali sul naso.
Sì, sì, Ranma aveva tutti i capelli dritti, persino il codino era ritto dietro la nuca e stava davvero soffiando in direzione della cinesina, il cui mieloso ni-hao! morì sulle labbra.
“Cosa gli hai fatto, Akane?”, le chiese indispettita con le mani poggiate sui fianchi in atteggiamento ostile.
“Chiedilo a lui, se ci riesci”, rispose lei incrociando le braccia al petto con un sorriso soddisfatto. “Stamattina è venuto a svegliarmi in questo stato”.
“Oh, povero amore…”, commentò Shampoo scendendo dalla bicicletta e accucciandosi di fronte a un Ranma che emetteva, invece, un verso minaccioso. “Hai incontrato Maomoling? O forse un branco di gatti randagi? In ogni caso la tua Shampoo ti farà tornare normale”, lo rassicurò tendendogli una mano e sfregando il pollice sull’indice. “Su, vieni da me, lai, lai, lai!”.
Ma Ranma si acquattò ancora di più dietro le gambe di Akane, soffiò più forte ed emise un miagolio prolungato di avvertimento a non avvicinarsi oltre.
“Non vedi che non vuole avere nulla a che fare con te? Lascialo stare!”, la ammonì la giovane Tendo.
Il dottore aprì il cancello e uscì in strada.
“Fatti gli affari tuoi, tu! È ovvio che ha bisogno di me, visto che tu non sei riuscita a farlo rinsavire!”.
“Forse non ci sarò ancora riuscita, ma almeno non è a me che sta soffiando!”.
“Ammettilo, hai approfittato del suo stato per mettermelo contro, vero?!”.
“Ma non dire assurdità!”, replicò Akane alzando la voce e poggiando le mani sui fianchi per far intendere che stava perdendo la pazienza. “Io non sono come te! E comunque come puoi pensare che in uno stato del genere Ranma sia manipolabile?!”.
“Non lo so, ma gli hai fatto qualcosa di sicuro, lui non mi soffierebbe mai!”.
“Ma se ti respinge sempre!”.
“Bugiarda! È sempre felice di vedermi e accetta sempre con piacere di uscire con me!”.
“Certo, perché lo ricatti!”.
Le due ragazze erano quasi naso contro naso, ormai, mentre Ranma se ne stava acquattato sul marciapiede. Era il momento di intervenire.
“Buongiorno Akane, sei… ehm… arrivata, finalmente, ti stavo aspettando da un po’!”, mentì il dottore facendosi avanti, mentre Ranma si precipitava a nascondersi dietro le proprie gambe prima ancora di finire la frase. “Oh, avevi proprio ragione! Ranma si comporta in modo bizzarro, ahahah, su, vieni dentro, così posso visitarlo!”.
Sia lei che Shampoo lo fissarono sbattendo le ciglia, ma per fortuna Akane colse la palla al balzo.
“Subito, dottore! E grazie per avermi ricevuto di domenica!”, sorrise Akane assecondandolo e piantando Shampoo ancora stupita in mezzo alla strada.
Lui si affrettò a far entrare i fidanzati per chiudere il cancello dietro di loro subito dopo.
“Ehi, voglio assistere anch’io!”.
“No, Shampoo, mi dispiace, sono ammessi solo i parenti!”.
“Ma… ma lui è il mio futuro marito!”.
Akane, che stava per oltrepassare la porta dell’ambulatorio seguita da Ranma, si bloccò all’istante, girò sui tacchi delle ballerine e strinse i pugni lungo i fianchi.
“Casomai è il mio futuro marito!”.
Prima che un’esterrefatta Shampoo potesse riprendersi dalla sorpresa, il dottore si affrettò a spingere Akane e Ranma dentro l’ambulatorio e a chiudere bene la porta dietro di sé.
“Allora, che sta succedendo?”, chiese con un sospiro sedendosi su uno sgabello dello studio, mentre Ranma – saltato sul lettino – si leccava il dorso di una mano e se la passava su un orecchio.
Akane si accomodò a sua volta su una sedia, iniziando a tormentarsi la gonna con le mani mentre, un po’ balbettando, raccontava cos’era accaduto quella mattina. Stranamente arrossendo e senza guardarlo in volto.
“Mmmm… sento che stai tralasciando qualcosa…”.
La piccola Tendo si morse il labbro e abbassò la testa ancora di più.
“Ecco… per Nabiki stavolta non ho fatto abbastanza per Ranma…”.
“Perché? Cos’altro avresti potuto fare di più?”.
“Beh, secondo lei, avrei dovuto ba… ba… ba… ba… baaaaa…”.
Bastonarlo? Barattarlo? Battezzarlo?
“…ciarlo!”, sputò il rospo Akane col fiatone, nemmeno avesse corso una maratona, mentre Ranma – con una gamba alzata – cercava in ogni modo di farsi la toletta là dove non avrebbe mai potuto arrivare nemmeno se fosse stato un contorsionista.
“Ah… ehm… capisco… Facciamo così, tu accomodati nella saletta d’attesa, intanto che io lo visito”.
Si alzò in piedi di slancio quasi la sedia scottasse e si precipitò alla porta dello studio.
“Pensa che possa aver battuto la testa?”, gli chiese titubante fermandosi sulla soglia, ma senza voltarsi.
“È ciò che voglio appurare”.


Seduta sul divanetto della sala d’aspetto, una gamba preda di un tic nervoso, Akane non faceva che sbuffare spazientita mentre sfogliava una rivista vecchia di un mese senza guardarla davvero, preda di un’angoscia crescente: e se il dottor Tofu non fosse venuto a capo del problema? Se una cura non fosse esistita? Se il suo fidanzato… sì, insomma, se lui fosse rimasto così per sempre?
(Non potremmo più sposarci)
La rivista le scivolò di mano e cadde sulle mattonelle con un fracasso degno di un vaso di cristallo. E come se ne avesse davvero infranto uno, si era portata una mano al petto e una alla bocca.
Fino a quel momento aveva rimandato quel pensiero, ma adesso che era sola doveva affrontarlo: il matrimonio sarebbe stato impossibile, in tali condizioni, pertanto il loro fidanzamento di fatto era… era…
…nullo.
Tuttavia, nessun sospiro di sollievo accompagnò quel pensiero, nessuna sensazione di leggerezza allietò l’attesa sfibrante in quella stanza vuota: anziché sentirsi sollevata all’idea di essere finalmente libera da un matrimonio imposto, l’immaginazione si lanciò al galoppo quasi le avesse dato il segnale di via, facendole rivedere se stessa contesa da Tatewaki, Happosai e Gosunkugi alla recita di Romeo e Giulietta, solo che in questa versione di quell’infausto giorno tendeva disperata la mano verso un Ranma che se ne stava invece beatamente raggomitolato in braccio a Shampoo. Peggio ancora, faceva le fusa mentre si faceva grattare la pancia da Kodachi e rimpinzare da Ukyo. Perché se già di norma si faceva accalappiare dalle sue ‘fidanzate’ per la gola o dietro ricatto, nello stato in cui era in quel momento sarebbe stato del tutto in loro potere: sarebbe bastato mettergli un succulento piatto davanti al naso e il gioco era fatto. Invece davanti a un suo, di piatto…

(…Ranma si avvicina circospetto annusando l’aria col naso arricciato di chi ha fiutato un lezzo insopportabile a metri di distanza, finché arrivato alla pietanza che lei gli ha preparato si dibatte in preda a conati di vomito fino a rigurgitare un enorme botolo di pelo)

Scosse la testa con veemenza. No, no, no, che sciocchezze, solo mezz’ora prima aveva soffiato contro la cinese! E comunque prima o poi Ranma sarebbe rinsavito, giusto?
Giusto…?
Sì, certo, l’imbecille sarebbe tornato in sé, matematico come il sole che sorgeva, a costo di prenderlo a sberle per l’eternità, perché…
…non voglio rinunciare a lui…
Non era per quello che aveva fatto pace con Ranma quando Nabiki si era sostituita a lei come sua fidanzata? Perché nonostante tutto non voleva perderlo? Non per tenere lontani i mosconi che le ronzavano intorno, né per far contenti i loro genitori. Lei voleva tornare a essere la sua promessa sposa, perché desiderava davvero un giorno unirsi in matrimonio con Ranma. Non lo aveva forse dichiarato poco prima a Shampoo? Lui era il suo futuro marito! Ma se Ranma avesse perseverato nel suo atteggiamento…
Che ne sarà di noi? Come faremo?
Ma che accidenti andava a pensare?! Era della sanità mentale di Ranma che lei doveva preoccuparsi, adesso, solo quella contava, nient’altro! Giusto?!
(…)
“Akane, puoi entrare ora”, annunciò il dottor Tofu aprendo la porta di scatto e facendola saltare in piedi. “Tutto bene? Ti ho spaventata?”.
“Eh? Ah… no, no! Come… come sta Ranma?”, gli chiese lei nel seguirlo nello studio, solo per essere investita dall’odore del disinfettante.
Il dottor Tofu prese di nuovo posto sullo sgabello, lei sulla sedia, mentre il suo fidanzato era tutto preso dal far rotolare per terra un bicchiere di plastica.
“Fisicamente, a parte i graffi su viso e braccia, è sano come un pesce”.
Solo allora Akane notò che il dottore aveva i capelli arruffati, una lente incrinata e mezzo camice a brandelli.
“Ma cosa le è…?”.
“Eh? Oh, nulla! Ho tentato di medicare i tagli di Ranma, ma mi ha soffiato contro e… beh, puoi vedere da te. Applicargli i cerotti è stato inutile, se li è strappati coi denti. A parte ciò, sta benissimo, come ti dicevo!”, rise cercando di sdrammatizzare.
“Quindi… non ha battuto la testa?”.
“No, né alcuno tsubo è stato premuto, da quel che ho potuto appurare”.
Lei spostò di nuovo lo sguardo sul fidanzato sdraiato su un fianco che tentava di raggiungere qualcosa sotto l’armadietto dei medicinali.
“Ma… allora…”.
“Ecco, temo che Ranma abbia un blocco psicologico. Se ho ragione, bisognerebbe capire cosa l’ha originato”, le confessò mentre il fidanzato si stiracchiava allungando prima le braccia e poi le gambe. “Se davvero ha avuto a che fare con una colonia di gatti randagi, forse tua sorella ha ragione: dovremmo provocargli uno choc altrettanto forte. Ma è anche possibile che ciò peggiorerebbe le cose, anzi, ne sono quasi certo”.
Ranma si avvicinò fino a strusciare il viso e poi il corpo contro le proprie gambe, mandandole a fuoco la faccia per l’imbarazzo.
“Accidenti a te, smettila, maledizione!”, sbottò Akane salendo in piedi sulla sedia. Lui tentò allora di afferrarle dapprima un lembo della gonna, poi cercò di salire a sua volta sopra la sedia e ci sarebbe riuscito, se lei non gli avesse spalmato un piede in faccia.
“Tuttavia”, proseguì il dottor Tofu schiarendosi la voce e aggiustandosi gli occhiali sul naso, “a ben guardarvi comincio a sospettare che il blocco di Ranma non dipenda da un trauma…”.
“Che vorrebbe dire?”, gli chiese lei tornando seduta, mentre Ranma poggiava il capo sulle sue gambe e iniziava a fuseggiare. Akane, che non sapeva dove mettere le mani, prese ad accarezzargli la testa con dita esitanti. Magari, così, si sarebbe almeno calmato.
“Sì, sì, più vi guardo, più sono convinto che sia tu il motivo per cui non torna in sé”.
Akane alzò di scatto il viso.
“Cosa?!”, proruppe afferrando con forza una ciocca dei capelli di Ranma e provocando così un miagolio risentito da parte sua. “Ma se non l’ho ancora nemmeno colpito!”, protestò mentre il fidanzato cercava di liberarsi dalla sua presa.
“No, no, non fraintendere! Voglio dire che Ranma… non vuole tornare in sé. E il motivo sei tu”.
Akane lo mollò per prendersi la faccia tra le mani, tanto rovente a contatto con le dita da temere di scottarsi.
“Ma-ma-ma-ma… ma che dice, dottore?!”.
“Beh, basta guardarlo: l’istinto ‘animale’ ha prevalso sulla ragione facendo emergere a livello conscio ciò che Ranma desidera veramente, cioè stare con te”, espose candidamente il dottore come se spiegasse il contenuto della boccetta di un medicinale.
Adesso era la propria frangetta ad aver preso fuoco.
“Lui… lui…”.
“Credo che inconsciamente sia convinto che rimanere in questo stato sia l’unico modo per starti vicino e… non essere rifiutato. Dopotutto quando è gattizzato lo coccoli, non lo prendi a pugni anche se Ranma non ha freni inibitori, perché sai che non è nel pieno delle sue facoltà”.
Ad Akane caddero le braccia in grembo, mentre il fidanzato, sulle proprie gambe, apriva e chiudeva le dita e faceva le fusa beato.
Ranma voleva stare con lei nell’unico modo che credeva possibile. Perché in effetti – doveva ammettere con amarezza – non ne esisteva un altro, dal momento che due riottosi imbranati come loro non riuscivano a comunicare senza far volare almeno un insulto. Ma se per lui quella era la sola soluzione, non era così che lei voleva averlo vicino: Akane – ormai lo sapeva – rivoleva il Ranma spaccone che la mandava fuori dai gangheri con le sue linguacce, le sue offese e le sue battute acide. Ma come?
“Cosa suggerisce di fare? Come dovrei comportarmi?”.
Il dottor Tofu sospirò senza staccare gli occhi da Ranma.
“Beh, una cosa è sicura: ora come ora, io non gli metterei un gatto davanti al naso per farlo rinsavire con un forte choc, potresti ottenere l’effetto contrario. Che ne dici di lasciarlo qui con me, mentre faccio qualche ricerca tra i miei libri? Magari esiste un qualche tsubo da stimolare”.
Akane sospirò a sua volta e incurante del miagolio seccato di Ranma, si alzò in piedi e s’inchinò con le mani giunte.
“D’accordo, dottore, lo affido a lei e grazie per la sua disponibilità. Mi informi subito se dovessero esserci novità”.
Si voltò verso il fidanzato, che la scrutava con la testa reclinata da un lato e gli occhioni languidi.
Akane allungò esitante una mano e gli diede qualche colpetto sulla testa, prima di ritrarla.
“Su, non guardarmi così, starai… starai bene qui…”.
Ma appena accennò a lasciare lo studio, Ranma le tagliò la strada insinuandosi tra le sue gambe per strusciarvisi contro avanti e indietro. Lei cercò di respingerlo spalmandogli di nuovo un piede in faccia mentre lui allungava le zamp… le mani per tentare di afferrarla ricordandogli terribilmente il senpai Kuno, ma appena il dottor Tofu accennò ad avvicinarsi per aiutarla a scrollarselo di dosso, Ranma si voltò, inarcò la schiena e gli soffiò contro con un ringhio basso e cupo, bloccandolo all’istante sullo sgabello.
Faceva sul serio, era pronto ad attaccare il dottore. E lei ricordava fin troppo bene di cosa Ranma fosse capace quando regrediva in quello stato.
“E va bene! Torniamo a casa insieme!”, si arrese aprendo la porta per farlo uscire. Lo scemo, tutto contento, sgattaiolò fuori. “Mi perdoni, dottore, ma non voglio che faccia più danni di quelli che ha fatto già”.
“Ah… ehm… d’accordo, non preoccuparti, io farò comunque delle ricerche, ma tu, ecco, cerca di avere pazienza con lui: se lo sgridi potrebbe scappare e andare a nascondersi chissà dove”.
“Sì, giusto”, convenne Akane. “A proposito, dottore, pensa… pensa che mia sorella abbia ragione? Dovrei… coccolare Ranma di più?”, chiese d’un fiato.
Adesso l’intera chioma era andata a fuoco. Ma se avesse usato l’altra parola, sarebbe arsa nella sua interezza.
“Ecco, senza dubbio essere gentile con lui gli gioverebbe molto: lo farebbe rilassare e forse, chissà, potrebbe anche tornare in sé”.
“Capisco… Grazie ancora!”, lo salutò Akane con un sorriso prima di congedarsi con un altro inchino.


- § -


Ryoga girovagava trasognato fra le nuvole della sua testa, lo zaino sulle spalle e la speranza che i piedi lo portassero prima o poi da Akane. Anche se in quel momento si trovava in Nepal e il caldo lo stava liquefacendo: chi avrebbe mai immaginato che Kathmandu fosse così afosa? Poteva solo sperare che il souvenir che aveva comprato per la sua adorata non si rovinasse nel lungo tragitto di ritor…
“Ciao, Ryoga!”.
Il souvenir in questione – un dolce di cui non ricordava il nome perché tanto per lui impronunciabile – gli volò dalle mani per la sorpresa.
“A-Akane! Ma che ci fai tu sull’Himalaya?!”.
La sua amata sbatté le ciglia perplessa, mentre una abnorme goccia di sudore si materializzava dal nulla giusto dietro la sua testa.
“Ve-veramente siamo a Nerima!”, gli confessò lei con una risatina imbarazzata.
Solo allora Ryoga decise di guardarsi attorno e con sommo stupore riconobbe i pali della luce della sua infanzia.
“Oh… già, è vero!”, ridacchiò lui a sua volta desiderando solo sprofondare nell’asfalto. “Beh, comunque, ti ho portato un pensiero da… ehm… ma dov’è finito?!”.
Solo allora l’occhio gli cadde sulla casacca di quella sciagura umana del suo acerrimo nemico che, accucciato per terra, gli dava la schiena.
Strano non mi abbia ‘salutato’ saltandomi sulla testa, che sta combinando?!
La risposta alla sua domanda fu la bocca piena di Ranma quando si voltò verso di loro, la scatola del souvenir sbriciolata fra le sue mani: il bastardo si stava sbafando i dolci che lui aveva portato per Akane!
“Ma io ti ammazzo!”, gli urlò un istante prima di vederlo saltare a quattro zampe sul muro di fronte, la schiena ingobbita, il codino ritto e arruffato come la coda di un gatto. E gli stava perfino soffiando contro come un gatto!
“Ryoga, no, ti prego!”, lo implorò Akane frapponendosi fra loro a braccia spalancate. Ma come, cercava di proteggere quel deficiente? Che storia era mai quella?! “Non è in sé, non lo vedi?”.
Ryoga scoccò al cretino un’occhiata dubbiosa, ma il minaccioso suono gutturale che scaturiva dalla sua gola, insieme alla postura su quattro zamp… mani e piedi non lasciavano dubbi: l’eterno rivale si era scolato il cervello.
“Si è davvero… gattizzato?”.
“Sì e non riesco a farlo tornare normale! Il dottor Tofu l’ha appena visitato e non sa spiegarsi nemmeno lui cosa gli è capitato, dice che potrebbe essere un blocco psicologico! Se non trovo il modo per farlo rinsavire, potrebbe anche rimanere così per sempre…”, concluse sconfortata abbassando le braccia.
Ah sì?!
Le sinapsi di Ryoga scoppiettarono come un fuoco d’artificio.
“Akane!”, la chiamò afferrandole le mani per chiuderle fra le sue. “Questo significa che il tuo fidanzamento è nullo! Sei libera!”.
“Eehh? No, ecco… veramente…”.
“È tanto tempo che-che-che io vo-vorrei confessarti una cosa, ma-ma-ma non ho mai trovato il co-coraggio… P-però adesso che-che quell’idiota s-s-si è tolto di me-mezzo, posso osarAAARRGGHH!”.
L’idiota in questione gli era piombato addosso, gettandolo per terra e graffiandogli la faccia con le unghie, tra soffi e striduli miagolii di collera.
“Ranma, no!”, sentì Akane urlare mentre cercava inutilmente di staccarglielo di dosso. “Lascia stare Ryoga, è tuo amico!”.
“Mau?”, parve chiedersi lo scemo fermandosi di colpo per voltarsi dubbioso verso di lei.
“Sì, Ryoga è il nostro più caro amico, vero Ryoga?”.
Nostro… Amico…?!
“Nient’affatto! Levati di dosso, razza di cretino!”.
Ranma evitò il suo pugno saltando vigliaccamente in braccio ad Akane che, doveva ammetterlo, era davvero forzuta se riusciva a sostenere il peso di quel maledetto. Il quale, per giunta, si stava pure accoccolando strusciandosi pacioso fra i suoi seni. Come faceva lui in versione P-chan, ogni volta che lei lo accoglieva fra le braccia. Adesso sapeva quali vette di gelosia Ranma raggiungesse, quando il maialino Ryoga approfittava della propria taglia extra small: poteva solo mangiarsi le mani dalla rabbia. Solo che Akane non lo aveva mai guardato come in quel momento stava guardando quel vile approfittatore del suo fidanzato.


Ryoga


“Non è il caso di reagire così, Ryoga, ti ho detto che non è in sé!”.
“Ma… ma lui…”, protestò puntando un dito contro quella tronfia faccia da schiaffi che lo sfidava con lo sguardo a riprovarci con Akane. Lei, dal canto suo, lo fece scendere a terra, ma il cretino non lasciò mai le gambe della sua amata, strusciandovisi contro avanti e indietro, senza però staccare gli occhi inferociti da lui.
“Buono, su, adesso andiamo a casa, va bene?”, gli si rivolse Akane con lo stesso, soave tono che usava con P-Chan, salvo chinarsi a prendergli il viso tra le mani e affondarle poi nella chioma mentre gli rivolgeva un sorriso triste e dolce al tempo stesso. Con lui non aveva mai indugiato tanto: una grattatina dietro le orecchie, qualche veloce carezza sul pelo ispido e tanti saluti.
“Scusalo se ti ha aggredito, puoi perdonarlo?”.
“Ma Akane, non vedi che ti sta prendendo in giro?!”.
Come ho sempre fatto io…
“Che cosa? No! Non sta fingendo, non ragiona davvero, chiedi al dottor Tofu!”.
“Allora gli farò tornare il senno io!”, lo minacciò facendo scrocchiare le nocche.
“Ryoga, no!”.
Troppo tardi.
Non seppe dire come non riuscì a evitare l’affondo, ma si ritrovò catapultato nello spazio siderale. E mentre la sua adorata Akane diventava un disperato puntino infinitesimale, a Ryoga sorse l’atroce dubbio che lei, forse, non avrebbe mai lasciato Ranma, nemmeno se quel monumentale idiota fosse rimasto gattizzato a vita.


- § -


Akane non poteva credere a ciò che aveva fatto.
Il pugno ancora alzato verso il cielo, aveva appena spedito in orbita un suo carissimo amico per proteggere un deficiente che non aveva alcun bisogno di essere protetto. E quell’idiota del suo fidanzato la ignorava pure, leccandosi una mano tutto soddisfatto come se a sferrare il cazzotto fosse stato lui.
Aveva agito per puro istinto, come aveva fatto quando aveva schiaffeggiato Ranma per impedirgli di colpire Shinnosuke. Stavolta però aveva picchiato duro e, a conti fatti, quello che aveva protetto non era Ranma, bensì Ryoga: se avesse affrontato il cretino gattizzato, ne sarebbe uscito a brandelli. Ciò non toglieva che avrebbe dovuto scusarsi con lui, quando lo avesse incontrato di nuovo.
Akane abbassò il braccio e poggiò le mani sui fianchi, prima di volgersi verso il suo fidanzato.
“Ti ho appena impedito di ridurre in striscioline un nostro amico, potresti anche ringraziarmi! E guardami quando ti parlo!”.
Per tutta risposta, Ranma si stiracchiò allungando prima le braccia in avanti, poi le gambe indietro, una alla volta, quindi iniziò a pulirsi un orecchio passandoci sopra il dorso di una mano.
Akane sospirò, ripensando alle parole del povero Ryoga. E se quello scemo stesse davvero fingendo?
“Sai che forse Ryoga ha ragione?”, buttò là incrociando le braccia al petto per ostentare indifferenza. “Se non torni in te, i nostri genitori finiranno per rompere il nostro fidanzamento, forse è questo che vuoi?”.
Perché io non voglio, maledizione, e visto come mi sei stato appiccicato finora, non credo che lo voglia anche tu!
Ranma passò all’altro orecchio. Akane sbuffò.
“E se viene rotto, non immagini cosa accadrà? Che mio padre mi fidanzerà con qualcun altro!”.
In realtà non lo credeva possibile, anzi, considerando che avevano convinto Ranma a sposare una papera che avevano scambiato per lei, si stupiva che il suo genitore e il signor Genma non avessero ancora approfittato dell’incapacità del suo fidanzato di opporsi per farli sposare prima del tramonto.
“Magari potrebbe farmi sposare proprio Ryoga!”, insistette disperata poggiando di nuovo le mani sui fianchi. “Capito, deficiente? Ryoga!”.
Ranma si lasciò catturare da una foglia vagante e la seguì con lo sguardo finché non l’afferrò tra le mani e non iniziò a giocarci. Altro che fingere, quell’idiota era proprio…
“Stai per sposare Ryoga?!”.
Akane si voltò di scatto con una mano sul petto. Ma perché balzavano tutti fuori all’improvviso? I muri di recinzione avevano varchi dimensionali?
“Ciao, Ukyo, no, stavo solo cercando di…”.
“Allora vuol dire che Ranma è libero!”.
“No, Ukyo, ascoltami…”.
“Congratulazioni!”, trillò la cuoca stringendole con vigore una mano fra le sue. “L’ho sempre detto che tu e Ryoga siete fatti l’uno per l’altra! Dov’è Ranma?”.
“Mau?”.
“Oh, Ranchaaaan!”, gridò Ukyo lanciandosi a braccia aperte verso di lui. “Finalmente possiamo stare insieme!”.
Il gigantesco cretino si lasciò circondare dalle braccia della cuoca, che al settimo cielo prese a roteare su se stessa come una trottola con un Ranma penzoloni che si limitò a una debole protesta.
“Meeeooo?”.
“Eeehh? Come sarebbe ‘meo’?”, si chiese Ukyo fermandosi di colpo, per poi prendere il volto di Ranma fra le mani e osservarlo meglio. “Si è gattizzato?!”.
“È quello che cercavo di spiegarti, è così da quando mi sono svegliata, non riesco a farlo rinsavire!”.
“Oh, povero Ranchan! Ma adesso c’è qui la tua Ucchan, ci penso io a farti tornare in te! Che ne dici di una bella okonomiyaki al tonno?”.
Gli occhi del suo fidanzato, di colpo stranamente brilluccicosi, scrutarono Ukyo per un nanosecondo prima che Ranma tirasse fuori la lingua e le leccasse la punta del naso.
Akane non seppe dire se a essere più scioccata fosse lei oppure Ukyo, che mollò di colpo l’emerito deficiente per portarsi le mani al viso al colmo dell’imbarazzo.
“Ranma!”, gridò Akane furibonda, mentre la cuoca ballava in tondo sprizzando gioia perfino dalla spatola gigante.
“Lo prenderò per un sì! Ti avverto, Akane: se Ranma torna in sé grazie a me, vuol dire che sono io la donna della sua vita, per cui diventerà il mio fidanzato!”.
Ad Akane quasi cascarono le braccia per terra.
“Ma non puoi ragionare così!”, esalò lei esasperata portandosi una mano alla fronte. “Perché nessuna di voi tiene mai in conto ciò che Ranma desidera, perché?”.
“Perché mi pare ovvio che Ranma desideri la mia cucina! Allora, ci stai?”.
“No che non… Ehiiii!”, urlò pestando un piede per terra: in barba alla sua protesta, Ukyo aveva afferrato Ranma e, tenendolo alto sopra la testa, stava correndo verso il suo ristorante. E quell’emerito demente sbadigliava!
Akane corse dietro a Ukyo finché non varcò l’ingresso del locale, dove la cuoca stava già mescolando gli ingredienti in una ciotola, mentre Ranma, accucciato su uno sgabello davanti a lei, la osservava concentrato annusando l’aria. Se già era facilmente accalappiabile con un qualsiasi piatto appetitoso, ora che era regredito allo stadio del puro istinto era anche peggio. Infatti nell’allungare una mano per arrivare alla ciotola di Ukyo, poggiò l’altra sulla piastra rovente, cacciando un tale urlo di dolore che di sicuro l’avevano udito anche a Osaka. Al contempo saltò via dallo sgabello e si rifugiò sotto di esso per leccarsi con furia le dita offese, le lacrime agli occhi e uno straziante miagolio prolungato che non le fece pena per nulla.
Ben ti sta, vile traditore!
“Ranchan, ti sei fatto male?!”.
“Ci penso io a lui!”, s’intromise Akane avvicinandosi per vedere in che condizioni fosse la mano dello sciagurato. Decisamente, comunque, non stava fingendo. Appena tuttavia udì un inconfondibile sfrigolio e nella saletta si diffuse l’aroma del composto preparato da Ukyo che cuoceva sul teppan, ogni sofferenza magicamente svanì: Ranma riemerse alla velocità della luce da sotto lo sgabello e vi saltò sopra, stando però ben attendo stavolta a non avvicinarsi alla piastra, ma tentando lo stesso di afferrare l’okonomiyaki come un gatto che dà zampate poco convinte.
“Aspetta, non è ancora cotto! Chissà che fame che avrai, non vedi l’ora di divorarlo, vero?”, ridacchiò Ukyo prima di rigirare l’impasto con due spatole. “Cos’ha mangiato per colazione, croccantini? È così che l’hai sfamato, Akane?”.
“Veramente si è sbafato il pesce arrosto preparato da Kasu…”.
“Tranquillo, Ranchan, non appena assaggerai ciò che ho cucinato per te con tutto il mio amore, tornerai subito in te!”, affermò convinta Ukyo ignorando la sua risposta. “Osserva, Akane!”, le disse puntandole contro una delle sue spatole, mentre Ranma ingoiava l’okonomiyaki quasi intera.
“Sì sì, sto osservando… il mio fidanzato che credendosi un gatto si lecca il dorso di una mano per passarselo sulla faccia”.
“Eeehhh?”, sbottò stralunata Ukyo nell’osservare a sua volta Ranma tutto preso dalla toletta.
“Su, andiamo, micetto, torniamo a casa”, sospirò Akane.
“No, aspetta, voglio fare un altro tentativo!”.
Ukyo sfornò al volo un’altra okonomiyaki e poi un’altra e un’altra ancora, finché quello scroccone patentato non finì per terra a rotolare satollo.
“Burp!”, sbottò pancia all’aria. Doveva ammettere che non vedeva alcuna differenza tra il Ranma umano e quello felino: due sbafatori della peggior specie.
“Su, adesso basta, andiamo!”, partì Akane alla carica per raccogliere da terra quella caricatura di gatto e buttarselo su una spalla, ma con sua sorpresa Ranma si aggrappò a uno sgabello implorando Ukyo con gli occhi.
“Ferma, Akane! Non vedi che vuole rimanere con me?”.
Lei si voltò per scrutare la faccia di Ranma, che la scrutava di rimando con l’angoscia negli occhi.
“Ah, è così?”.
Indispettita, lasciò cadere il baka al suolo affinché vi sbattesse la faccia.
“MEO!”.
“Vuoi davvero rimanere con Ukyo?”, gli chiese afferrandolo per un orecchio. “Preferisci stare con lei?!”.
Il fidanzato annusò l’aria e poi balzò dentro la ciotola con i residui dell’impasto per l’okonomiyaki schizzandoli su piastra, pareti e in faccia a Ukyo, prima di scivolare di peso dietro il bancone e schiantarsi sul pavimento con un fragore degno di una pila di piatti che si frantuma, perché nella caduta Ranma aveva tentato di aggrapparsi a tutto ciò che gli capitava a tiro, inclusi i barattoli delle salse, facendo volare nell’aria gli ingredienti più disparati.
“Gattaccio maledetto, cos’hai combinato?!”, gridò affranta la cuoca guardando intorno a sé il disastro fatto di uova che scivolavano lungo le pareti, farina che incipriava i capelli, gamberi e pancetta che arrostivano sulla piastra, tonnetto secco che volteggiava nell’aria, verza che cresceva sul pavimento e condimenti vari che colavano dal soffitto.
In tutto ciò, l’autore di quell’opera d’arte post-moderna era schizzato a nascondersi dietro le gambe di Akane: era chiaro che ciò che Ranma desiderava davvero era solo riempirsi gratis la pancia, possibilmente fino a scoppiare.
“Vuoi ancora tenerlo con te?”, chiese Akane dispiaciuta.
“Ti va di scherzare?!”, urlò una Ukyo disperata per le pulizie che avrebbe dovuto affrontare.
“Ti aiuto a ripulire…”, azzardò Akane pestando senza volerlo il guscio di un uovo.
“No, ferma dove sei!”, la stoppò opponendole un palmo aperto, che subito dopo divenne un dito puntato. “Fuori di qui tutti e due e non tornate finché quello là non sarà rinsavito!”.
Ranchan era appena diventato quello là, un gattaccio indesiderato. Perché se c’era una cosa che Akane aveva capito forse persino meglio della stessa Ukyo, era che per la cuoca la sua cucina era più importante di qualunque cosa. E di chiunque.
“Ehm… va bene, come vuoi”, disse congedandosi con un inchino, prima di uscire col gattaccio alle calcagna.


- § -


“Siamo a casa!”, annunciò la voce di sua sorella all’ingresso. Poco dopo, un’Akane dalla faccia funerea e un Ranma su quattro zampe che poco mancava si leccasse i baffi entrarono nella sala da pranzo.
“Siete tornati in tempo, che bello!”, cinguettò Kasumi col cuociriso tra le mani un istante prima di vedere Ranma saltare sulla tavola apparecchiata.
Nabiki afferrò la propria ciotola, aspettandosi di vedere quelle di tutti gli altri volare per aria, invece stavolta Akane fu più lesta del suo fidanzato: lo afferrò per il codino e lo tirò a sé, trattenendo il suo impeto con grande disappunto di Ranma.
“Fermo là tu, hai combinato abbastanza disastri per oggi! E hai già mangiato a sbafo!”.
“Maaaaauuuuuuuuuuuuuuuuuuu!”, si lamentò Ranma tentando di raggiungere ugualmente il tavolo apparecchiato con le mani protese. Fortuna che Akane sprigionava la forza di un toro, quando era furibonda.
“È una mia impressione, o il dottor Tofu non è riuscito ad aiutarlo?”, chiese Nabiki sfoggiando un sorrisetto sarcastico, intanto che Kasumi s’inginocchiava per riempire le scodelle di tutti.
“Fai poco la spiritosa tu: ha detto che fisicamente non ha nulla, quindi ormai è certo che il suo sia un blocco psicologico”.
Nabiki ridacchiò. Come volevasi dimostrare.
“Allora si risolve facilmente”, affermò convinta posando la propria ciotola sulla tavola per farsi servire.
“Ne sei proprio convinta, figliola?”, le chiese il padre preoccupato accantonando il giornale, mentre il signor Genma, al contrario, affondava la faccia nella tazza ricolma di riso e al tempo stesso ingurgitava sottaceti. Probabilmente aspirandoli dal naso, visto che la bocca era già piena.
“Certo, papà. Ne ho già parlato con Akane stamattina: lei sa cosa deve fare, ma non vuole farlo”.
“Davvero, figlia mia? Perché? Non vuoi che Ranma torni normale?”, mugolò Soun.
“Certo che lo vorrei, papà, ma…”.
“Hai sentito, amico mio? Akane vuole che Ranma torni in sé! Significa che vuole sposarlo! Non sei contento?”.
“Non ho mai detto niente del genere!”, protestò lei pestando un piede per terra, mentre Ranma si dimenava cercando di agguantare il bordo del tavolo con dita ad artiglio.
“Hono fehihisshimo!”.
Che razza di menefreghista irresponsabile…
“Si rende conto, signor Genma, che se Ranma non rinsavisce il fidanzamento è rotto e lei e suo figlio dovrete lasciare per sempre questa casa?”.
“Hoha?”, chiese il genitore degenere alzando la faccia imbottita di riso dalla ciotola per guardarla con tanto d’occhi.
“Non dire sciocchezze, Nabiki!”, la ammonì suo padre. “Non c’è alcun bisogno di…”.
“Infatti!”, deglutì il signor Genma. “Ranma in quelle condizioni è ancora più temibile, anzi, invincibile per chiunque, per cui se resta così è anche meglio! Pertanto per me possono sposarsi anche ora!”, sentenziò in tono greve con la bocca costellata di chicchi.
“Concordo!”, assentì suo padre. “Direi anzi che è la condizione ideale, dato che Ranma non può opporsi. Si pone però il problema degli eredi, amico mio: come farebbero questi due a… beh… ecco… hai capito, vero?”.
“Non riesco a credere alle mie orecchie!”, protestò Akane allibita.
“Sì, in effetti potrebbe essere un ostacolo, con un figlio già scemo di suo e per di più ora in questo stato… Come farebbe poi ad addestrare gli allievi? No, a ben pensarci così com’è non può mandare avanti la palestra”.
“Hai ragione… Allora si torna al punto di partenza”, sospirò suo padre. “Akane, devi risolvere questo problema, costi quel che costi, lo farai, vero figliola?”.
“Vero, sorella?”, gli fece il verso Nabiki cercando di non scoppiare a ridere davanti all’espressione allucinata di Akane.
“Possibile che il futuro della palestra sia la sola cosa che vi importi?!”.
“Sbaglio, o è ciò che fa campare questa famiglia, sorellina?”, le ricordò Nabiki. “Anche se, a ben guardare, io non ne ho bisogno…”, considerò afferrando con le bacchette una porzione di pesce arrosto.
“Nessuno si preoccupa per la sanità mentale di Ranma? Contano solo gli eredi che dovremmo mettere in cantiere per voi?”.
Il signor Genma e il loro genitore si fissarono per un nanosecondo.
“Sì!”, rispose il padre di Ranma.
“Beh, ecco, vedi figliola, devi capire che…”.
“Andiamo, sorellina, non fare quella faccia: questi due hanno tentato di far sposare Ranma con una papera, quando tutti credevano che Mousse ti avesse bagnato con l’acqua di una delle sorgenti maledette”, le ricordò Nabiki mentre masticava un’umeboshi. “Di che ti stupisci?”.
“Ah sì? Bene, allora sapete che vi dico? Che il fidanzamento lo rompo io!”, annunciò un’Akane furiosa lasciando andare la treccia di Ranma. Il quale, nemmeno a dirlo, si buttò a corpo morto sul tavolo facendo volare nell’aria piatti e vassoi, ma ingurgitando alla velocità del suono frittata, tempura, cotoletta panata e funghi shiitake. E mentre quel disgraziato del suo genitore cercava di strappargli il cibo di bocca, dal nulla si materializzò quel fesso del suo cliente più affezionato, che si avvinghiò alla vita di Akane strusciandosi contro di lei e spargendo lacrime al grido di: “Tendo Akane, mai parole più soavi lasciarono le tue labbra!”.
“E tu da dove spunti?! Lasciami, Tatewaki!”.
“Mio soave fiorellino, come potevo stare lontano da te, quando mi è giunta voce della pazzia che ha colpito quel maledetto che ha osato prendere il mio posto nel tuo cuore!”.
“Ranma non è pazzo! E mollami!”.
“Ordunque, ora che hai finalmente compreso che quell’idiota di un Saotome non è degno di te, possiamo celebrare le nostre nozze!”.
“Il pazzo sei tu!”.
E siccome le disgrazie non vengono mai sole, un nastro si avvolse nello stesso istante attorno al collo di Ranma.
“Ohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohoh!”.
Il futuro cognatino (?) finì strozz…
“Ohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohohoh!”.
Sssssssssssì… strozzato dalla degna sorel…
“Ooooooooooooooooohohohohohohohohohohohohohoh!”.
Sorella dello svalvolato! Che quando infine riprese fiato, lo attirò a sé abbarbicandosi alla sua schiena, intanto che Ranma virava verso il melanzana radioattivo.
“Mio adorato, non sei contento? Ti sei liberato una buona volta di quell’insulsa ragazzina! Ora potremmo coronare il nostro sogno d’amore! Non temere, mi prenderò io cura di te, come ho sempre fatto con Tartarughina!”.
Mai Akane fu più lesta a liberarsi di Tatewaki con un pugno che lo spedì a far compagnia a un satellite. Ranma, invece, a parte artigliare il nastro nel tentativo di allentarlo, altro non fece: era troppo impegnato a non morire asfissiato. Eppure sua sorella parve non comprenderlo, perché dopo aver calciato via la Rosa Nera affinché affiancasse il fratello nella sua orbita intorno al globo, scappò dalla sala e corse su per le scale piangendo a dirotto.
Tra un colpo di tosse e l’altro, Ranma la seguì con sguardo rapito, per la prima volta disinteressato al cibo.


- § -


Akane si buttò sul letto, maledicendo Ranma e i rispettivi spasimanti. Non bastava il caos che aveva già portato in abbondanza nella sua vita, ci mancava la sua natura “animale” a complicare le cose.
Come avrebbero fatto adesso? Non aveva alcuna intenzione di sposarlo in quelle condizioni, sarebbe stato come ingannarlo. Ma se non tornava in sé, come avrebbero fatto? Avrebbero dovuto davvero separarsi? Niente più fidanzamento? Eppure lui l’avrebbe sposata lo stesso, quando tutti avevano creduto che Mousse l’avesse trasformata in una eterna papera impossibilitata a tornare umana. L’aveva accettata così com’era, anche se in realtà era stato spinto più che altro dai sensi di colpa, ne era certa.
Un miagolio sommesso la ridestò dalle sue riflessioni inducendola a voltarsi verso la porta accostata: Ranma la fissava seduto oltre lo spiraglio cercando al tempo stesso di infilare le dita nella fessura, ma pareva incerto se rimanere dov’era o farsi spazio per entrare.
Akane si mise a sedere sul letto, si asciugò le lacrime con le dita e fissò il fidanzato di rimando, prima di scivolare a gambe incrociate sul tappetino e battervi sopra una mano più volte in direzione di quel testone.
“Dai, su, entra”.
Ranma non se lo fece ripetere: s’infilò tra lo stipite e la porta e, con sua sorpresa, con un balzo atterrò sulle proprie gambe, strofinò una guancia contro una delle sue e ronfando a tutto spiano iniziò a “massaggiarle” la gonna alternando le mani ad artiglio. Akane avvampò ma sopportò, sia il peso di quello sciagurato, sia le sue bizzarrie, dato che non contento cercava anche una posizione comoda che a quanto pare non trovava. Finalmente si acciambellò, ma lei non fece in tempo ad avvicinare la mano alla sua chioma, che Ranma si alzò di nuovo su braccia e gambe e ricominciò a “modellare” l’improvvisato giaciglio girando in tondo.
“Guarda che pesi un accidente, smettila e accucciati!”.
Lui, ovviamente, la ignorò. Peggio, si mise con maggior lena a impastarle le gambe sbattendole in faccia il fondoschiena. Questo era troppo. Akane tentò di alzarsi per farlo scendere, ma Ranma si voltò di colpo per annusarle con insistenza il viso. Avvampare per lei fu questione di un decimo di secondo, piantargli le mani sulle spalle per respingerlo anche meno. Invece, per la seconda volta, il maledetto riuscì a leccarle il naso.
Immediatamente Akane si strofinò con vigore la punta per togliere la sensazione della sua lingua dalla faccia, cercando di resistere all’irrefrenabile desiderio di prenderlo a pugni: dopotutto, per i gatti, leccarsi a vicenda il pelo era il corrispettivo dei baci umani.
Si bloccò all’istante. Come aveva fatto a non pensarci prima? Nella sua testolina era come se la stesse baciando!
D’impulso gli prese il viso fra le mani e lo costrinse a guardarla.
“Quindi è questo che hai sempre voluto?”.
“Prau?”, pigolò interrogativo Ranma.
“Magari potrebbe causarti uno choc tale che…”.
Le sembrava di essere stata catapultata nella favola al contrario della Bella Addormentata, solo che lui era sveglio e la scrutava con un misto di timore e adorazione.
“Devo provarci, non mi resta altro, ormai”.
Akane prese un bel respiro come se dovesse fare uno scatto da centometrista, il cuore che prendeva un’impennata tale da farla quasi decollare, le mani che tremavano, sudaticce.
Ora o mai più!
E dato che Ranma, pur prigioniero delle sue dita, sembrava rapito da un insetto, lei ne approfittò per avvicinarsi alla sua bocca. Non avrebbe mai pensato di prendere l’iniziativa, né che lo avrebbe baciato così, sfruttando un attimo di distrazione, come se gli stesse rubando qualcosa di prezioso. Non sarebbe mai stato il bacio romantico che aveva fantasticato da quando… beh, da quando quell’idiota patentato aveva preso il posto del dottor Tofu nei suoi sogni. Ma che alternative aveva? E poi non era stato lui a strapparle un bacio a tradimento la prima volta che si era gattizzato, rovinandole un momento tanto cruciale della sua vita? Adesso toccava a lei, anche se non ne andava affatto fiera. Ma è per il bene di quel cretino, continuava a ripetersi. Solo per il suo bene.
All’ultimo istante il viso di Ranma le sfuggì tra le dita quando lui riuscì a divincolarsi per inseguire chissà cosa nell’aria e Akane, frustrata, stavolta agì senza riflettere: lo afferrò per le spalle e a occhi serrati si lanciò sulla sua bocca, pregando che Nabiki avesse ragione.
Perdonami!
Pigiò con forza le labbra sulle sue, trattenendo il respiro fino ad andare in apnea. Cercò di non pensare alla fossa che avrebbe scavato con le proprie mani, se lui fosse “rinsavito” proprio in quell’istante. Né al calore della sua pelle, o al suo respiro bollente sulla propria o al sapore di okonomiyaki della sua bocca. Né al fatto che fosse rimasto immobile a subire quell’imposizione…
No, un momento, questo non poteva ignorarlo: nessuna reazione, niente, né di disgusto, né di accettazione. Il nulla cosmico. Era come baciare un jizō riscaldato al sole. Forse si era “ridestato” ed era rimasto talmente scioccato da essersi pietrificato? Era già successo, dopotutto, quando le aveva confessato il suo “amore” credendo di aver agguantato Nabiki attraverso la siepe di quel parco. Così adesso, paradossalmente, Akane non aveva il coraggio di staccarsi da lui per guardarlo in faccia. Ma doveva pur riprendere fiato, o sarebbe diventata verde come il body di Kodachi.
Optò per lasciarlo andare di colpo e tenerlo a distanza, gli occhi sempre ben serrati, in attesa di una qualsiasi reazione che non arrivò mai.
Dapprima, con molta circospezione, riaprì un occhio, poi anche l’altro: Ranma la fissava con la testa inclinata di lato sbattendo le ciglia perplesso.
“Mau?”.
Ad Akane quasi cascò la mascella in grembo.
Mau?! Come sarebbe mau?!”.
“Miauuuu!”, miagolò Ranma avvicinandosi per strusciare di nuovo una guancia contro il suo viso e leccarle la faccia con vigore, come per pulire via una macchia ostinata.
“No, no, no, sciò! Vattene!”, lo allontanò sfregandosela in fretta col dorso delle mani, per poi tornare inorridita a guardarlo saltare per afferrare al volo una mosca, sbatterla sul pavimento e saltarci sopra.
Non aveva funzionato. Non poteva crederci, eppure eccolo lì, che giocava… al gatto col topo.
Non aveva funzionato. Baciarlo non era servito a niente. Nabiki – incredibile ma vero – si era sbagliata.
Raccolse le gambe al petto e poggiando i gomiti sulle ginocchia si prese la testa tra le mani.
Ranma, con molta probabilità ormai, sarebbe rimasto così per sempre: un gattaccio pestifero, giocherellone e mangione che la seguiva ovunque, le faceva le fusa, si strusciava contro le sue gambe e la difendeva quando necessario. La baciava perfino, a modo suo. Non avrebbe mai più riavuto indietro il Ranma scanzonato e sbruffone che negava fino alla morte ciò che provava per lei, avrebbe dovuto tenersi un Ranma infantile che, al contrario, non avrebbe mai nascosto i suoi veri sentimenti.
Peccato che fosse l’altro quello di cui si era… sì, si era innamorata.
Poggiò la fronte sulle ginocchia e sconsolata ricominciò a singhiozzare.
“Pruuuuau?”.
Qualcosa le sfiorò con delicatezza la testa. Akane sollevò allora lo sguardo su quello angustiato di Ranma, che la stava “tastando” come a voler essere sicuro che lei stesse bene.
“Pruuu?”.
Senza pensarci, di slancio lo abbracciò.
“Mi dispiace!”, gemette tirando su col naso. “Ho fatto il possibile, perdonami!”.
“Meo?”.
“Ma anche se restassi così per sempre, io… io ti vorrò bene lo stesso, perché… perché ti ho sempre accettato così come sei! Con la maledizione delle sorgenti, la fobia per i gatti, l’aria da arrogante dongiovanni, la faccia da schiaffi, la boccaccia che usi solo per insultarmi! Avrei… avrei dovuto dirtelo tanto tempo fa e adesso, forse, è troppo tardi!”, confessò scoppiando in un pianto dirotto.
Quasi avesse compreso le sue parole, Ranma le leccò a lungo una tempia e la fronte. Akane, tra un singulto e l’altro, lo lasciò fare senza più opporre resistenza, nemmeno quando il fidanzato si acciambellò su di lei rannicchiandosi in posizione fetale, il volto premuto contro il suo grembo, le mani incrociate a coprire gli occhi. Akane prese allora a carezzargli la chioma e lui rispose facendo le fusa.
“Ma vedrai, insieme ce la faremo”, sorrise convinta. “E magari un giorno, chissà, tornerai in te. Ma anche se non dovesse accadere, io non ti lascerò, ti rimarrò sempre accanto”.
Ranma si era addormentato. E nonostante l’intorpidimento alle gambe, Akane decise di restare lì, seduta con la schiena poggiata contro il letto, ad affondare le dita nella sua chioma e a fissare i ricordi che scorrevano come un film sulle pareti della propria stanza.
Finché non chiuse gli occhi anche lei e si appisolò.


- § -


La nuova macchina fotografica aveva catturato istanti che le avrebbero fruttato tanti di quegli yen da potersi scapricciare per diversi mesi. Se non fosse riuscita a ottenere ciò che desiderava a scrocco, s’intende. Ora non le restava che sviluppare il rullino per rivendere le foto a peso d’oro. Il proprio, ovviamente. Eppure, l’istinto le diceva di aspettare: la confessione della sorella poteva evolversi in nuove effusioni tra i due, dopo la delusione di aver visto Ranma rimanere gattizzato nonostante il bacio di Akane. Sempre che quello si potesse definire bacio… Ma d’altronde, cosa poteva aspettarsi da un’imbranata come la sorella? Comunque, il problema era un altro: l’infallibile Tendo Nabiki aveva preso un granchio e questo non le andava proprio giù, non con una Nikon nuova di zecca fra le mani che, a questo punto, andava sfruttata il più possibile, prima che i suoi danarosi polli perdessero interesse verso i due piccioncini.
Nabiki rimase dunque nascosta nella penombra del corridoio, cercando di regolare meglio la focalità, finché la sua attenzione non fu catturata da un movimento. Guardò attraverso il mirino e scorse Ranma – prigioniero delle braccia di Akane che nel frattempo lo aveva stretto in una morsa scambiandolo forse per P-chan – che sbattendo le ciglia si guardava attorno con la fronte aggrottata, chiaramente sorpreso e spaesato.
È rinsavito?! Akane ce l’ha fatta?
Finché il futuro cognato non alzò lo sguardo sulla sorella, ancora appisolata. E lì non scoppiare a ridere le costò uno sforzo titanico: Ranma divenne della stessa tonalità dell’intonaco delle pareti e spalancò tanto gli occhi che Nabiki temette sarebbero schizzati fuori dalle orbite per rotolare via, il più lontano possibile da lì. Ma sapeva che il meglio doveva ancora arrivare: Akane mugugnò qualcosa e riaprì le ciglia assonnate a sua volta, sorridendo a un Ranma catatonico. Poi, il colpo di grazia: con la leggiadria del gorilla che la contraddistingueva, di slancio se lo strinse al seno fin quasi a spezzargli il collo.
Col panico galoppante negli occhi e la faccia che virava verso un rosso così acceso da rivaleggiare con un’insegna al neon, Ranma scelse saggiamente di rimanere immobile al pari di una preda che cerca di fingersi morta tra le fauci del predatore, mentre Akane poggiava una guancia sulla sua testa e lo cullava parlandogli neanche fosse un bambino.
“Stai tranquillo, mi prenderò cura io di te, andrà tutto bene”.
Andava così bene che Ranma stava soffocando e facendo il bagno nel suo stesso sudore, il codino ritto dietro la nuca che lei amorevolmente accarezzava e l’espressione atterrita in bilico tra assecondare la fidanzata ‘per niente carina’ o morire da eroe.
Nabiki dovette fare appello a ogni briciola di autocontrollo per non strozzarsi dalle risate.
“Ehi, perché stai tremando?”, gli chiese Akane staccandolo da sé per prendergli il viso tra le mani. “E perché stai sudando? Ma… hai la febbre?”, si domandò poggiandogli dapprima un palmo sulla fronte e poi poggiandovi sopra le labbra per saggiare la temperatura, ma indugiandovi un po’ troppo.
“Io no, ma tu evidentemente sì, visto che mi hai scambiato per P-chan!”.
Qui giace Saotome Ranma, promessa delle arti marziali indiscriminate e monumentale idiota!
A Nabiki non rimase altro che documentare, come in un fotofinish, la fine prematura del più grande artista marziale del Giappone attraverso l’obiettivo della sua fidata fotocamera:
Akane che trasmutava in un blocchetto di pietra fratturandosi in più punti – toh, allora ne era capace anche lei!
Akane che tornava di carne e sangue, ma inferocita al punto che Nabiki poteva vedere del fumo uscirle dalle orecchie (e sentirla ringhiare).
Akane che afferrava Ranma per il colletto della casacca con l’espressione più omicida che le avesse mai visto.
Akane che mollava un pugno tale al suo fidanzato da spedirlo a volare attraverso la finestra, per fortuna spalancata. Strano che non gli fosse saltata via la mascella per l’impatto…
“Sparisci dalla mia vista, brutto deficiente di un cretino! E non tornare mai più!”, ansimò la sorella in piedi a gambe divaricate e pugni stretti. Pareva un toro pronto a caricare. “Baka! Imbecille! Dopo tutto quello che ho fatto per te!”.
“E che io posso testimoniare con dovizia di particolari, se occorre”, si palesò poggiando una spalla contro lo stipite della porta.
“Nabiki! Da quanto tempo ci stavi spiando? Ah no, non voglio saperlo!”.
“Suvvia, lo sai che i paparazzi mi fanno un baffo, quando si tratta di te e Ranma… Comunque sia, ottimo lavoro! Ero convinta che bastasse un bacio, invece Ranma aveva solo bisogno di essere rassicurato che tu lo accettassi nella sua interezza, preg… ehm… ma soprattutto difetti. E adesso che è tornato lo scemo di sempre, dovresti esserne contenta! O preferivi rimanesse un micetto vita natural durante?”.
Akane si grattò la zucca. Ci stava davvero pensando?
“Beh, almeno come gatto non fingeva che di me…”.
“Non dire assurdità: come gatto non potevi combinarci niente!”.
“Ma solo a quello pensi tu?!”.
“Sarebbe ora che ci pensaste anche voi, altrimenti quando sarete maggiorenni avrete ancora la mentalità di un bambino di cinque anni! E comunque dammi retta: la prossima volta – se mai ricapiterà – fa’ come lui, usa la lingua, vedi come rinsavisce in un battito di ciglia!”.
Stavolta fu la testa di Akane a emettere fumo. O era il cervello che stava evaporando?
“La… la… cosa?! Nabiki!”.
“Ah, ci rinuncio con voi due…”, sbuffò annoiata agitando una mano nell’aria. “Ora vado, che ho un appuntamento, a più tardi!”, disse scappando giù per le scale, mentre pensava a quanti soldi avrebbe fatto con le foto una volta sviluppate. Corse in palestra, aprì la botola camuffata in un angolo e scese nella camera oscura che aveva allestito sotto il pavimento. Perché pagare un fotografo, quando poteva risparmiare stampando le foto da sé?
Riemerse ore dopo, imbattendosi in un Ranma imbufalito, appena tornato da un giro attorno al mondo, che si massaggiava la mascella – allora Akane era riuscita almeno a lussargliela!
“Si può sapere che è preso a tua sorella? Le manca così tanto quel maiale puzzolente che è uscita di senno?”.
“Lei no, ma tu sì!”, gli rispose mostrandogli orgogliosa le foto in sequenza.
Ranma che si strusciava contro le gambe di Akane.
Ranma che si faceva fare i grattini sotto il mento.
Ranma in braccio alla fidanzata.
Ranma che le leccava la faccia.
E poi l’ultima, l’apoteosi: Akane che gli stampava un bel bacio in bocca.
“Ehi, ti sei pietrificato anche tu?”.
La statua di sale non rispose. Nabiki fece spallucce e si riprese le foto.
“Sono diecimila yen per il mio silenzio, sconto speciale per il mio futuro cognatino che ormai è fregato. Consideralo il mio regalo di matrimonio. A proposito… Papinooooo! Devo mostrarti una cosa! E tu, sei ancora qui? Che aspetti ad andare da lei? Faresti ancora le buchette in giardino se non fosse per Akane, io andrei a ringraziarla…”.
Ranma, senza voltarsi né rispondere, volò su per le scale, mentre Nabiki si accomodava in sala da pranzo per mostrare le istantanee al genitore e al signor Genma, imponendo però loro di fare silenzio.
Una porta, infatti, si aprì e si richiuse con un tonfo al piano di sopra.
Che ci fai tu qui?! Vattene! Ho detto che non voglio più vederti!
Ero venuto a ringraziarti, ma è chiaro che non ne vale la pena!
Come ti permetti, dopo tutto quello che ho sopportato per colpa tua! Ti ho portato dal dottor Tofu, ti ho difeso da Shampoo, ti ho perfino…
Cosa?!
Niente, lascia perdere! Torna a ingozzarti da Ukyo, è quello che sai fare meglio!
Guarda che la sanguisuga mi ha mostrato le foto, quindi non negarlo! Sei arrivata a… a…
E va bene, l’ho fatto! Ma sta’ pure tranquillo, non succederà un’altra volta!
E se dovessi gattizzarmi ancora? Mi lasceresti davvero in quello stato?!
Beh, ecco… Aspetta, quindi tu vorresti… che in caso io ti ba… ba… ba-ba-baciassi di nuovo?
Beh… ecco… s-s-s-se è l-l-l-l’unica soluzione…
Se-secondo Nabiki, ce ne sarebbe una più rapida…
Ah… Ah sì? Qua-qua-quale…?
“Perché non si sente più nulla?!”, protestò il signor Genma dopo un minuto abbondante.
E brava sorellina…
“Credo stiano facendo le prove per la prossima gattizzazione di suo figlio…”, rispose lei alzandosi in piedi.
“Che intendi dire? Che si stanno…?”, chiesero speranzosi all’unisono i due vecchi.
Ma Nabiki fluttuò via, gongolando mentre pensava che avrebbe comunque rivenduto le foto a diecimila yen l’una.
Allegate alla partecipazione di nozze.





Bene ragazzi, spero che questa what if vi sia piaciuta, io mi sono divertita a scriverla anche se la gestazione è stata lunga. Auguro a tutti una serena e spensierata estate, ci rivediamo in un autunno con altre ff, alla prossima! ^^ PS: scusate se non risponderò subito a eventuali commenti che vorrete lasciarmi, ma domani parto per una settimana, a presto! ^_-
   
 
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