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Autore: Fanny Jumping Sparrow    18/07/2023    0 recensioni
La maledizione azteca è finalmente spezzata, la Perla Nera è svanita nella notte e i nostri tre eroi, Jack, Will ed Elizabeth, dopo tante battaglie, si ritrovano tutti sulla stessa nave, dovendo fare i conti con il futuro incerto che li attende una volta tornati a Port Royal.
In questa breve storia in 5 capitoli ho provato ad immaginare come sia potuta andare la loro navigazione.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Jack Sparrow, James Norrington, Weatherby Swann, Will Turner
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IV – La leva giusta

Sottili lame di luce s’infiltrano tra le intercapedini delle paratie fradice di un’umidità salina che penetra fino al midollo.
Le ore scorrono inesorabili nell’aria stagnante, il tramonto deve essere vicino e quella che sta per calare potrebbe essere la sua ultima notte.
Per quanto spesso sia stato propenso a farsene beffe, Jack Sparrow è ben conscio di non essere disposto a morire. Non di nuovo, non in maniera così umiliante.
Può ancora vivere. Vuole vivere. Deve vivere. Ha troppo da riconquistare.
Lo hanno privato di tutto, la sua amata nave, i suoi stimati effetti, il suo sudato titolo, la sua rinomata reputazione, i suoi grandiosi sogni di gloria, e, per ultimo, ciò a cui tiene di più in assoluto: la sua libertà.
Due sole cose gli sono rimaste che nessun nemico e nessuno sgambetto della fortuna sono mai riusciti a portargli via: il suo spirito arguto e il suo irriducibile istinto di sopravvivenza, che lo spinge a non arrendersi facilmente.
E, a ben guardare, ha ancora con sé anche la sua prodigiosa bussola. Non che le sue indicazioni si siano sempre rivelate così cruciali, come ha millantato quella stramba fattucchiera che anni prima gliel’ha ceduta, ciò nonostante quando si è trovato alle strette, con la falce della Nera Signora insidiosamente vicina al collo, per scrupolo ha comunque provato a interrogarla e ad affidarsi al suo consiglio, talvolta ignorandola e agendo di testa sua, talvolta giovandosene.
Deve contorcersi un po’ per riuscire a schiudere lo sportellino e intercettare un raggio che illumini il quadrante a sufficienza per cogliere il riscontro dell’ago magnetico. Come di consueto, compie un paio di giri a vuoto, sembra rotto o impazzito; dopo qualche secondo si ferma e indica di fronte a sé.
È lì che si è infine risolto ad accucciarsi il giovane Turner, cessando di annoiare tutti con quel suo indisponente gironzolare da animale in gabbia.
E se fosse lui la sua scappatoia?
Ha già considerato quel ragazzo come possibile complice di evasione: è prestante, ardito, generoso, dissennatamente votato al suicidio. Si è anche trovato piuttosto in sintonia con lui durante la battaglia di Isla de Muerta, pur conoscendolo appena.
E tuttavia ciò potrebbe non bastare. Checché ne dica quella capricciosa carabattola, il furbo pirata sa perfettamente che per architettare un piano efficace deve comparare accuratamente tutte le probabilità di riuscita con quelle di fallimento.
Perciò, prima di far convergere tutte le sue disperate speranze su di lui, socchiude le palpebre, tentando di isolarsi dal persistente chiacchiericcio in sottofondo, per passare mentalmente in rassegna tutte le restanti possibilità, una seconda volta.
Al suo cervello servirebbe del rum, anche solo un goccetto per macchinare meglio, disgraziatamente però deve rinunciare a quell’aiutino e spremersi le meningi a gola asciutta.
La HMS Dauntless è una nave di linea di prim’ordine, agile e veloce, ma anche pesante e ingombrante, con una velatura così ampia e un’artiglieria tanto cospicua da essere impossibile poterla governare con un solo paio di braccia. E viaggia anche a pieno carico.
Durante la sua permanenza a bordo ha conteggiato un equipaggio di almeno novanta baldi marinai e, pur considerando che almeno una dozzina siano periti nell’affrontare i pirati maledetti, il loro numero rimane sproporzionatamente alto rispetto ai riottosi furfanti che potrebbe persuadere a unirsi a lui. Invero quegli sporchi traditori non meriterebbero il suo aiuto, né lui vorrebbe fornirglielo a cuor leggero, eppure ingoierebbe a malincuore quel boccone amaro, la collera e l’avversione per come l’hanno umiliato, se avesse la certezza di ottenere qualcosa di consistente in cambio.
Ma non ne è convinto che il gioco valga la candela.
I più di quei balordi lo odiano, a buon diritto, per aver condotto la Marina britannica da loro; parecchi, inoltre, sono usciti alquanto malconci dai combattimenti e sarebbero soltanto un’inutile zavorra. Gli servirebbe la collaborazione di qualcun altro per portare a compimento un simile proposito.
Per assurdo, certi soldati, scontenti, sfruttati e malpagati, sarebbero più corruttibili.
Le due ottuse giubbe rosse che l’hanno accolto a Port Royal, ad esempio, è abbastanza certo che cederebbero senza tanto sforzo alle sue lusinghe. Sfortunatamente, sono stati dispensati dalla ronda sottocoperta, e quelli assegnati al servizio, ancora imbaldanziti dalla recente vittoria, si tengono a debita distanza, non dando ai prigionieri alcuna confidenza.
L'ammutinamento, pertanto, è da escludere.
Mentre riconsidera qualche altro stratagemma, un quartetto di guardie si avvicenda a sorvegliare i detenuti, elargendo loro frasi ingiuriose e denigratorie che qualche briccone più sfrontato ricambia sguaiatamente.
Se creasse un diversivo, magari potrebbe riuscire a richiamare la loro attenzione, attirarli vicino alle sbarre, tramortirli, disarmarli, sottrarre loro le chiavi, sgattaiolare sopraccoperta e requisire una scialuppa.
C’è un solo inconveniente, obietta una sentenziosa vocina: nel mezzo ci sarebbero troppi ponti da attraversare e troppi soldati da schivare, o, alle brutte, freddare. E lui non è mai stato un tipo da maniere forti.
Ci sono poi anche quei fastidiosi ceppi che gli impedirebbero di muoversi speditamente. La probabilità di beccarsi una pallottola o una lama nella pancia è tremendamente alta.
Guardandosi i polsi ammanettati e schioccando la lingua, Sparrow scarta con stizza anche quella soluzione e si riaggiusta sul pagliericcio.
La sua schiena è poggiata contro la robusta parete di legno che lo separa dall’esterno, riesce a percepire il modulato sciabordare dei flutti che scivolano lungo la chiglia.
Potrebbe aprirsi una via d’uscita dall’interno, arrampicarsi sullo scafo, scavalcare la murata, raggiungere la coperta e una volta lì muoversi furtivamente, allentare qualche cima e rubare una barcaccia.
Peccato che, setacciando il pavimento di quello spoglio cubicolo, eccetto qualche ossicino e qualche chiodo arrugginito, non abbia rinvenuto niente di particolarmente acuminato con cui tentare di squarciare il fasciame. Ci vorrebbe troppo tempo. Le prigioni di bordo sono collocate giusto poco sopra la linea di galleggiamento; alla minima fenditura del fasciame si allagherebbero ben prima di permettergli di uscire.
Il filibustiere inghiotte un’imprecazione. Quell’escamotage non è fattibile.
L’astinenza da alcol sta mettendo a dura prova la sua capacità di giudizio.
Con un bofonchio riprende la bussola, la agita un po’, la sbircia. Curiosamente continua a puntare nella stessa direzione. O forse indica la via di scampo alle sue spalle?
Si inclina su un fianco per allungare il braccio lateralmente, tenendo d’occhio quella capricciosa freccetta rossa. Non cambia nulla. Resta fissa lì dov’era anche prima.
Jack si raddrizza. È inutile continuare ad arrovellarsi.
Di solito le pensate istintive, le più balzane che colgono di sorpresa perfino lui, insperatamente si rivelano le più azzeccate.
Sembra proprio che la sua unica ancora di salvezza sia dunque l’erede di Sputafuoco Bill.
Lo fruga con un’attenta occhiata, mentre se ne sta rannicchiato contro la porta della cella, le ginocchia al petto e il mento poggiato su di esse, affatto rilassato, bensì teso come corda d’arco, pronto a scattare al minimo segno di richiamo o intimidazione.
Prima di sedersi ha rimesso al loro posto un paio di bricconi insolenti che, allungando le loro manacce dalle celle vicine, lo importunavano.
Potrebbe essere molto meno facile tenerlo in scacco adesso che ha imparato qualche nozione di codice piratesco, ha tastato le sue capacità, è stato da lui imbrogliato e barattato, ed ha sicuramente maturato una certa mal disposizione nei suoi confronti.
Ma al momento non vede alternative.
Non gli importa gran che di quel ragazzo, tuttavia spera che se riuscirà a scampare al patibolo, come prevede, lo aiuterà a fare altrettanto o che almeno non si dimentichi di lui e magari gli faccia ottenere uno sconto di pena.
Sa già quale appiglio usare. L’amore non è forse la leva più potente che esista?
Accantonati l’innato orgoglio ed egoismo pirateschi, Jack Sparrow esibisce uno dei suoi migliori sorrisi, vano espediente data la fitta penombra in cui sono immersi, e con accento saggio inizia a declamare: «Suvvia, sta’ tranquillo figliolo! Non devi rattristarti per ciò che ti aspetta, giacché hai Miss Swann dalla tua parte. Quell’adorabile fanciulla non ti lascerà penzolare da una forca!»
Will solleva gli occhi scuri verso di lui, frastornato dalle tante emozioni e aspettative che quella frase proferita con tanta consumata certezza gli ha suscitato: più che un tentativo di conforto, sa di derisione. Quel ciarlatano lo sta deliberatamente prendendo per i fondelli ancora una volta, oppure ha origliato davvero qualcosa di importante prima che arrivassero su quell’isola maledetta? Anche se la tentazione è forte, desiste dal rispondergli, preferendo tenere quegli interrogativi per sé.
Il filibustiere, soddisfatto per aver calamitato il suo interesse, continua a sciorinare melodrammatico: «In quanto a me, chissà dove getteranno le mie sudice ossa. Magari andrò a fare compagnia a quei simpatici gentiluomini all’imbocco della baia …»
«Tu come fai a dirlo?», il giovane fabbro non vuole esporsi e mostrarsi troppo credulone, perciò opta per una risposta neutra e un tono un po’ diffidente.
«Perché è quello che fanno a noi pirati. Ci trasformano in grotteschi trofei per il loro becero ludibrio», sostiene Jack con una smorfia colma di ribrezzo che instilla una reazione similmente indignata nei compari di reclusione, i quali ricominciano a sacramentare animatamente contro l’atrocità della giustizia.
Will non presta troppo ascolto a quegli osceni improperi, troppo assorto a soppesare l’attendibilità della sua precedente affermazione: «Mi riferivo a quello che hai detto prima. A proposito di Elizabeth», bisbiglia timidamente, incapace di rimanere ancora in silenzio, anche se gli sembra quasi di essere irrispettoso a pronunciare il nome della ragazza che ama trovandosi in mezzo a quella volgare marmaglia. Oltretutto non capisce esattamente come mai quell’inaffidabile filibustiere gli stia mostrando una sorta di complicità, se il suo intento sia incoraggiarlo oppure aizzargli contro tutti gli altri.
Sparrow nasconde un sogghigno sotto i baffi, pago di aver scorto una vivida scintilla riaccendersi nelle sue iridi cupe e sperse: «Beh, ho un certo intuito sulle donne», ribatte con compiacimento, divertendosi a tenerlo nel dubbio. «Dopotutto è la figlia del Governatore di Port Royal, significherà pure qualcosa», aggiunge vago, distogliendo le pupille sulle punte dei logori stivali.
Ed è davvero sicuro di quell’assunto. Il detestabile periodo in cui ha bazzicato presso la Compagnia delle Indie Orientali è stato in tal senso illuminante. Avendo modo di frequentare gente altolocata, infatti, ha appreso come l’intercessione di un personaggio influente possa sovvertire leggi date sulla carta come immutabili.
Da parte di Turner ancora nessun segnale di distensione; lo sente sospirare più forte, la testa tra le mani, imperturbabile nel suo scoramento.
Evidentemente non è stato abbastanza convincente, nonostante non abbia neanche mentito troppo. Non lo biasima: lui, conoscendosi, non si sarebbe mai fidato di se stesso.
Jack gli si appropinqua di soppiatto, muovendosi carponi verso di lui, per poi dargli un buffetto sulla fronte: «Inoltre lei è palesemente, e, a mio avviso inspiegabilmente, innamorata di te», sussurra con piglio da grande intenditore.
«Tuttavia è James Norrington che ha promesso di sposare», dissente pragmatico il giovane, serrando la mascella.
Il pirata agita un palmo con fare noncurante: «Quisquilie», chiosa sedendoglisi accanto, gli si appiccica, spalla contro spalla, parlando confabulatorio e un po’ esasperato: «Orbene, sì è fatta rapire da quel vecchio caprone di Barbossa dandogli il tuo nome come suo. Ha disdegnato un’indimenticabile notte di passione con il sottoscritto su di un’isola paradisiaca, che il mattino dopo ha incendiato. Ha imperdonabilmente mandato in fumo una magnifica scorta di rum, pur di farsi notare dalla marina britannica, per poi supplicare l’incorruttibile Commodoro di venirti a salvare, promettendogli in cambio di maritarlo. Omettendo che, così facendo, avrebbe dato in pasto un’intera ciurma di onesti marinai ad un branco di scellerati pirati maledetti ... Se queste non sono eloquenti prove d’amore!»
Will distoglie lo sguardo dal movimento quasi ipnotico delle sue dita, accentuato dal ritmico tintinnio di anelli e catene, come cercassero di orchestrare una sorta di malia cui teme di non riuscire del tutto a sottrarsi.
Seppure si è dimostrato un callido imbroglione doppiogiochista, quel Jack Sparrow indubbiamente ne sa molto più di lui di come va il mondo.
E forse dopotutto non sta dicendo il falso. Gli pare impossibile che Elizabeth non provi lo stesso bene incondizionato per lui, quel bene che lo ha spronato a sacrificare tutti i frutti di una vita retta e onesta, a non aver paura di salpare verso l’ignoto, ad accettare senza tante remore di farsi uccidere per lei.
Riesce a figurarsela protagonista delle irruente azioni da lui citate, ha potuto ammirare da vicino il suo sapersi destreggiare con determinazione e abilità tra assalti e bucanieri, come se non abbia mai fatto altro dal giorno in cui è nata.
Quando sono stati accanto, poi, ha sentito ardere tra loro qualcosa di etereo e impalpabile, eppure inconfutabile e dirompente. Sente le orecchie surriscaldarsi, le palpitazioni aumentare, le mani prudere, ripensando alle occasioni che non ha colto e maledice la sua maldestra inesperienza.
Anche se lei dovesse amarlo unicamente come un amico, non gli è difficile supporre che, caparbia e volitiva qual è, infrangerebbe tutte le regole, si scontrerebbe perfino con suo padre per farlo assolvere e concedergli l’opportunità di rimediare ai suoi errori.
«Forse è così», mormora senza troppo entusiasmo; gli pare inopportuno esultare mentre tutti gli altri attorno a lui, avendo origliato la loro conversazione, gli lanciano occhiate livide disperando di poter scampare altrettanto comodamente al capestro.  
«Certo che è così!», ammicca con sicumera Sparrow, trafficando con un cavicchio di ferro che ha scovato chissà dove, tentando di forzare il chiavistello delle manette.
Per uno come lui, con la tendenza a gesticolare di continuo, quei ceppi devono essere una gran tortura.
Il ragazzo si distanzia un po’ dallo strambo fuorilegge, continuando a spiare con la coda dell’occhio i suoi infruttuosi armeggi, che almeno lo tengono impegnato mentalmente e materialmente.
A lui invece sembra che, da quando si trova confinato in quella lercia cella, le ore stiano scorrendo a rilento e che abbia ancora più tempo per continuare a struggersi.
Ciò che l’aspetta una volta fuori di lì, è una magra consolazione.
Non si fa troppe illusioni: ammesso che verrà davvero graziato, non sarà più degno di frequentare la nobile figlia del Governatore. Non che abbia mai avuto la presunzione di esserlo. Adesso che il suo onore è macchiato, Elizabeth Swann diverrà per lui ancora più inavvicinabile, non potrà più sfiorarla se non durante qualche sporadico incontro formale, oppure dovrà limitarsi a contemplarla di nascosto, da lontano, in mezzo ad una folla distratta e vociante che ignorerà la sua persistente malinconia.
Dopo tante peripezie che li hanno uniti e avvicinati, tra loro tornerà ad esservi un limite invalicabile. Non avrà scelta, dovrà mettersi l’anima in pace, rinunciare a quel sogno irrealizzabile e adeguarsi a ciò che gli altri si aspettano da lui.
Non sarà così semplice, perché lei nei suoi pensieri c’è sempre stata e sempre ci sarà.
«La prima volta che ho incontrato Elizabeth è stato otto anni fa», comincia a parlare, un po’ per ingannare quella snervante attesa, un po’ per puro bisogno di sfogarsi. Sa che quello non è il contesto più adatto, che quelli non sono gli ascoltatori più comprensivi, ma per qualche momento abbandona la ritrosia, aprendosi a qualche confidenza.
«Mia madre era morta, così decisi di imbarcarmi per i Caraibi e lì di mettermi alla ricerca di mio padre. Il mercantile su cui ero riuscito a farmi assumere come mozzo però una notte fu attaccato, nel bel mezzo dell’oceano, da una nave pirata. Ricordo ancora il frastuono, il fuoco, il fumo, le urla disperate della gente che cercava di fuggire calpestando chi era caduto o era stato ferito. Non sapevo cosa fare, dove andare, quando si sentì una grande esplosione e fui sbalzato in acqua. Non si vedeva nulla ma riuscii a trovare una tavola e a stendermici sopra. Poi persi i sensi, non so per quanto tempo. Quando rinvenni, mi apparve il volto di una bambina dalla pelle chiarissima, gli occhi curiosi, la voce gentile. Si presentò e io le dissi il mio nome. Mi sentii al sicuro e tornai a dormire, senza sapere dove fossi».
«Perché racconti questa storiella a me?», biascica seccato Sparrow, scagliando via il pezzo di ferro arrugginito che gli si è rotto tra le mani, senza tornargli utile.
«La nave in questione doveva essere la Perla Nera», appura Ragetti, dando di gomito al compare mezzo appisolato sulla sua spalla.
«Capitan Barbossa ci impose di attaccare qualunque nave provenisse dall’Inghilterra, dopo che avevamo compreso che quel cane rognoso di Sputafuoco aveva inviato un pezzo del tesoro al suo pargolo», precisa Pintel, non senza una punta di recriminazione.
Will resta turbato: se nessuno lo ha trovato fino a qualche giorno prima, è stato anche grazie alla vista aguzza e all’altruismo di quella sveglia ragazzina dai riccioli dorati; se durante quell’assalto fosse finito tra le grinfie di quei predoni, di lui sarebbero rimaste soltanto le ossa sui fondali marini.
Elizabeth lo aveva salvato e protetto, ancora prima di conoscerlo. E di questo le sarebbe stato per sempre debitore. Ora che non è più offuscato dalla sfiducia, è travolto dal bisogno urgente e sconsiderato di vederla e parlarle, ma da solo non riuscirebbe mai ad uscire di lì. Sparrow invece, a quanto ha sentito, è famoso per le sue evasioni …
Non può sapere che Jack intanto è attraversato dalle stesse considerazioni e si rabbuia ancora di più per come sono andate le cose: ha avuto una grande occasione nel momento in cui è stato fortuitamente lui a trovare per primo William Turner, ha consumato la sua bramata vendetta, ma non ha fatto i conti con l’imprevedibilità dell’umore dei suoi compagni, ammutinati e traditori.
Ancora una volta, ha peccato di eccessiva fiducia nel proprio carisma e nel proprio talento nel manipolare gli animi altrui.
«Sei stato tu!», attacca di punto in bianco il compagno di prigionia seduto al suo fianco, puntandogli un dito contro e volgendogli uno sguardo astioso.
Il ragazzo è sovrappensiero e resta spiazzato da quell’intempestiva accusa: «Come dici?»
«Tu mi hai fatto promettere a quella conturbante moretta che l’avrei risarcita del mio non furto con un’altra nave. Tutta la ciurma ne è stata testimone. Ed ecco che alla fine quegli ingrati voltagabbana se ne sono svignati con la mia Perla», Sparrow stringe i pugni amareggiato, non nascondendo la sua frustrazione.
«Non pensavo che dessero tanto credito alla parola di un pirata», il fabbro si discolpa senza cattiveria, ma alle orecchie del diretto interessato la sua innocente constatazione risulta comunque offensiva.
D’impeto si scansa da lui, guardandolo in cagnesco: «La parola di un Capitano. Ha sempre credito», rimarca con bizzosa veemenza, voltandogli le spalle.
«Me ne ricorderò», balbetta Will, disorientato dalla sua scorbutica reazione, non volendo insistere a contraddirlo. Non ha mai conosciuto un uomo più ondivago e suscettibile.


«Più alzo! Cambiare le mure! All’orza la barra!»
Il neo-Commodoro James Norrington ha sempre saputo quali ordini impartire, quali manovre disporre, quale tono usare per farsi rispettare e obbedire dai sottoposti affinché durante la navigazione tutto fili liscio e non si verifichino intoppi di sorta.
Solcando a lungo i sette mari, ha sviluppato una spiccata perizia nel riconoscere e individuare nell’assetto dell’attrezzatura o dell’armamento ogni dettaglio fuori posto, da correggere o limare, e ha maturato una buona predisposizione nel giudicare e capire gli animi degli uomini che gli stanno di fronte, così da saper appianare con diplomazia controversie e dissapori.
Ora, però, al solo pianificare un approccio non troppo stucchevole con la donna che desidera impalmare, si ritrova completamente allo sbaraglio. È assalito dal terrore di sbagliare goffamente, a parlare, a muoversi, a guardarla, anche solo a pensare cosa sia più appropriato dire o fare per mostrarle quanto ci tiene a lei e alla sua felicità.
E quanto vorrebbe esserne l’artefice principale.
Deve solo trovare un innocuo pretesto per intentare una conversazione e poi basterà andare di buon braccio, si ripete nervoso, rimirandone la figura slanciata e l’andatura elegante mentre passeggia lungo la fiancata di tribordo, incurante delle occhiate giudicanti dei marinai, poco abituati a dividere i ridotti spazi di bordo con una presenza femminile.
Sebbene superficialmente e forse in maniera un po’ idealizzata, la conosce da tanti anni, sa già che a causa delle loro divergenze di opinioni su alcuni argomenti non sarà facile riuscire a conquistarla. Tuttavia vuole impegnarsi a piacerle, provare a farsi apprezzare.
Dopotutto appartengono allo stesso ambiente, confida che troveranno punti di contatto, un terreno in comune su cui poter costruire delle fondamenta resistenti per il loro matrimonio.  E forse un giorno ricambierà i suoi sentimenti.
Mentre si dibatte ancora nell’indecisione e le sue suole restano cautamente ancorate alle assi scricchiolanti, è lei a fare il primo passo, andandogli incontro in tutto lo sfrontato candore dei suoi vent’anni, che non le impedisce di apparire a suo agio perfino avendo indosso quell’uniforme del tutto inadatta alla sua spiccata femminilità.
«Buon pomeriggio, James», scandisce con inaspettata informalità il suo nome di battesimo, provocandogli un leggero fremito.
James Norrington scende la rampa del casseretto, raggiungendola sulla tolda: «Buon pomeriggio, Miss Swann».
Sul volto della giovane aristocratica passa un’ombra: «Potreste provare a chiamarmi per nome, giacché siamo fidanzati», mormora sottovoce, quasi stesse ricordandolo a se stessa.
L’ufficiale cerca di non apparire troppo austero e intransigente nel risponderle: «Perdonatemi, credo di essere negato nell’arte del corteggiamento».
«E invece supponete che io sia stata istruita a dovere in questa pratica», ribatte lei, naturalmente indisposta dalla sua velata insinuazione.
Il Commodoro piega il capo con un breve cenno costernato, per mormorare un impacciato e cortese: «Non intendevo recarvi offesa».
Elizabeth lo osserva apertamente negli occhi per qualche secondo. Nel bagliore che filtra dagli ultimi scampoli di sole, le sue iridi appaiono di un verde intenso e cangiante; non aveva mai notato fossero di quella bella tonalità vivace, che stona con il suo aplomb impeccabile e un po’ respingente. Sarebbe stato sempre così, il suo corteggiamento? Intessuto di rigidi convenevoli?
Tuttavia intuisce che le sue scuse sono sentite e sincere. Non si merita la sua slealtà e il suo rancore. Non è colpa sua se sin dalla nascita è stata priva di scegliere la vita che desidera.
«No. Avete ragione. Sono stata educata a impressionare e affascinare i miei interlocutori con il mio eloquio e le mie buone maniere», ammette con una nota di sdegno, ripensando alle malevole frecciatine di Capitan Barbossa. «Ma, se mi è concesso parlare liberamente, preferisco di gran lunga la spontaneità nei gesti e nelle parole. Ritengo sia essenziale, se ci si vuole conoscere davvero».
Lui la ascolta invaghito, colpito dalla sua schiettezza: «Condivido», asserisce con l’aria di chi sarebbe disposto a perdonarle qualunque peccato.
Tutto ciò cui la ragazza riesce a pensare, osservandolo, invece è: come può sposare un uomo di cui non conosce neppure il colore dei capelli? L’ha sempre visto con la parrucca, sempre impeccabile nella sua divisa linda e stirata.
Al contrario Will, se per combinazione qualche volta riusciva a sottrarsi alla pedante vigilanza della sua governante e andava a trovarlo senza avvertirlo, era spesso impresentabile, coi suoi abiti coperti di segatura e i riccioli arruffati dal sudore ...
Da qualche secondo è calato un imbarazzato silenzio tra loro, screziato soltanto dalle chiacchiere dei marinai disperse nel frusciare del vento e dallo stridio di qualche gabbiano di passaggio, mentre passeggiano fianco a fianco, mantenendo la distanza imposta dalle convenzioni sociali.
Elizabeth si sente sempre più inquieta. Dovranno pur cominciare a conversare seriamente prima o poi, se vorranno trovare delle affinità, intessere un legame.
James Norrington, ha quasi il doppio dei suoi anni, ma è esteticamente gradevole. È un rispettabile gentiluomo, un soldato esemplare, un uomo solido, quadrato, autorevole, con un grande senso dell’onore e del dovere. Forse, passando più tempo insieme, potrebbe imparare ad apprezzare i suoi pregi che ora le paiono noiosi, potrebbe scoprire altre sue doti caratteriali ...
Anche il Commodoro Norrington prova una certa irrequietezza nello starle accanto, il che lo porta a tenere un atteggiamento rigido e lezioso.
Tutto il contrario di come vorrebbe apparire.
Non è avvezzo alle frivolezze e dubita che a lei piacciano, inoltre non intende diventare oggetto di scherno per i suoi uomini. È pur sempre il loro Capitano, deve mantenere un certo decoro. Ciò non implica che debba mostrarsi troppo freddo o distaccato.
Risulterebbe molto più disinvolto se solo riuscisse a persuadersi che lui vale molto di più di quel modesto fabbro e non ha bisogno di competere con lui, né di tante azioni o parole per dimostrarlo – anche se è stato proprio quell’avventato ragazzino a salvarla per primo.
Potrebbe perfino apparirle accattivante, se solo riuscisse a scacciare il pensiero che è soltanto lui a sentire quel qualcosa, mentre lei no.  
Spira un vento foriero di buona navigazione.
Alla sua promessa sposa servono concretezza, affidabilità, accortezze; perciò decide di prendere lui l’iniziativa, stavolta. Le porge il braccio destro, invitandola ad agganciare il suo, ma Miss Swann, intuendo la sua implicita richiesta, ha già sollevato lo stesso braccio e allora lui lo cambia con il sinistro, copiato di nuovo dalla ragazza.
Un sorriso impacciato riscuote entrambi, sciogliendo quella tensione, quando infine, coordinandosi, riescono a mettersi a braccetto.
«Vedo che siete a vostro agio a bordo», esordisce James, percorso qualche metro in direzione della poppa, dove alcuni marinai stanno provvedendo ad accendere i fanali per la notte, «Vi piace il mare».
Elizabeth non stacca gli occhi da quell’ammaliante rimescolarsi di onde cobalto e amaranto: «Molto. Suppongo piaccia anche a voi».
Norrington continua a farle sentire il suo tocco gentile ma fermo, conducendola indietro, verso il centro del ponte: «Suppongo di sì. Anche se talvolta può essere pernicioso», stigmatizza risoluto.
La figlia del Governatore non può mancare di cogliere un leggero inasprimento nella sua voce, ma non può dargli del tutto torto, per cui, anche se vorrebbe saperne di più delle sue passate esperienze, si risolve a cambiare argomento: «Quindi mi pare di aver capito che possediate già una dimora».
«Sì. A Nassau», le risponde prontamente James, «Appartiene alla mia famiglia da tre generazioni. Fu re Guglielmo III a concedere tale possedimento al mio bisnonno, per ripagare i suoi servigi alla Corona degli Stuart, durante la guerra con la Francia», le rivela orgoglioso, snocciolando di buon grado altri dettagli sui suoi valorosi antenati e sulla loro acerrima lotta contro le incursioni dei pirati che spadroneggiavano nella zona, sui suoi ricordi sbiaditi legati a quella casa a qualche lega da lì che un giorno sarebbe stata di entrambi, da tramandare ai loro futuri figli.
Elizabeth lo ascolta, si sforza di sorridergli anche, increspando le labbra, la vista le si offusca e solo l’amor proprio le impedisce di versare le incipienti lacrime che sente formarsi agli angoli delle ciglia.
Non è edificante immaginarsi invecchiare aspettando ogni suo saltuario ritorno a terra e trascorrere un’esistenza priva di complicità e compagnia. Ne è certa, finirebbe per ricercare di avere contatti e incontri proibiti con Will, anche se a separarli fosse una lunga e rischiosa traversata. Oppure potrebbe convincere il suo futuro marito a permetterle di accompagnarlo nei suoi viaggi, sebbene è consapevole che per molti sarebbe un comportamento indecoroso e inammissibile.
Come tutte le volte in cui è in balia di forti emozioni, si lascia dominare dall’istinto: «Perché vi siete proposto proprio a me?», lo interrompe con involontaria sgarbatezza con una domanda indiscreta, sganciandosi da lui, scrutandolo supplice. «Dubito vi sia mancata occasione di conoscere donne piacevoli e interessanti …»
L’irreprensibile ufficiale tronca subito le sue illazioni: «Nessuna più di voi», sentenzia in un sussurro, accarezzandola con uno sguardo timido e trasognato.
Non impiega molto a riassumere la sua solita espressione composta e inalterabile, alzando il capo verso le vele gonfiate dalla corrente: «Se continueremo ad avere l’aliseo a favore, arriveremo a Port Royal entro mezzogiorno. «Perdonatemi, il mio dovere adesso mi chiama. Vi auguro una buona notte», chiude poi evasivo la conversazione, allontanandosi verso il castello di prua, il portamento fiero ed eretto, tipico di un uomo inamovibile e determinato.
«Elizabeth, cara. Faremmo bene a rientrare, prima di buscarci un malanno», suo padre Weatherby Swann giunge alle sue spalle, cingendola benevolo e conciliante.
La giovane accetta il suo prudente invito, volgendo un ultimo saluto alle stelle che brillano già nel cielo imbrunito, prima di mettersi al riparo dall’inclemente alito dell’oceano.



Heilà, ciurma! So che sono passate molte più maree di quante non volessi, tra impedimenti vari, cali mostruosi di ispirazione e fuga dei personaggi, ma alla fine eccomi qui ad approdare con il penultimo capitolo.
Eh sì, mi sono resa conto che per concludere questa breve long/missing moment nella maniera in cui l'avevo concepita diversi anni or sono, avrò bisogno di un altro capitolo, che però sarà più breve.

Intanto che lo porto a compimento, sperando di riuscire a completarlo prima dell'estate, vi ringrazio per aver letto i precedenti e vi ricordo che apprezzo ben volentieri osservazioni, commenti, critiche.

Al prossimo approdo!)
   
 
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