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Autore: BellaLuna    31/07/2023    1 recensioni
Rings of Power | Haladriel
Dal testo:"Pensava di aver peccato già mille e mille volte, Galadriel. Ma nulla di quello che aveva compiuto in passato, teneva in conto ciò che sarebbe poi successo a Númenor. Nulla di ciò che aveva compiuto in passato, teneva in conto Halbrand. E la verità era che Galadriel aveva colto il suo primo peccato direttamente dalle labbra del serpente."
[Questa storia partecipa alla ToBeWritingChallenge indetta sul Forum della Penna e alla First Kiss challenge indetta sul gruppo di Facebook "L'angolo di Rosmerta".]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galadriel, Sauron
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Cogli il mio peccato dalle labbra
 
 


§


 

Il giorno prima di far rotta verso la Terra di Mezzo, Halbrand le chiede di seguirlo in bottega e lì le mostra la sua nuova armatura.
È indubbiamente la più bella che Galadriel abbia visto: così finemente realizzata, curata in ogni più piccolo dettaglio, che sembra più un’opera d’arte anziché uno strumento di guerra.
Anche a quei tempi, le sembrava naturale che solo le mani di Halbrand – che avevano sperimentato le atrocità delle battaglie e toccato come lei l’oscurità – potessero dar vita a qualcosa del genere, rendere uno strumento di morte addirittura bellissimo.
Ma quando esprime ad alta voce la sua ammirazione, lui alza le mani in segno di resa – come se non pensasse di meritarla mai.
“L’ho solo aggiustata e riadattata alle tue misure, e poi ho apportato qualche miglioria.” le spiega, la solita espressione compiaciuta e anche un po' presuntuosa a rendere più affilati e ammiccanti i suoi bei lineamenti.
Le sue nocche picchiano sulla stella sul pettorale, che grazie alla luce del sole che filtra nella bottega pare davvero risplendere di vita propria.
E mentre osserva entrambi – l’opera e il suo creatore – Galadriel non sa se a farle inciampare il respiro sulle labbra e accenderle di rosa le guance, sia il fuoco acceso della fucina o se i sentieri dorati nel suo sguardo beffardo.
“Ti ringrazio” china il volto con rispetto e punta gli occhi sull’armatura nella speranza che lui non abbia notato il rossore sbocciatole sulle gote. “Ti sarà costato molto tempo, non avresti dovuto.”
Halbrand scuote il capo e ride delle sue maniere formali, di quella compostezza da principessa degli Eldar che Galadriel fa ancora fatica a lasciare andare.
(E chissà se lo sapeva già allora, il serpente, che rinunciare a quell’austerità, era diventato più faticoso dopo le rovine di Forodwaith, ché il suo ghiaccio e le sue guglie acuminate Galadriel se li sentiva ancora dentro, conficcate come spine nel suo cuore che, come aculei avvelenati, spesso lei lasciava trasparire a causa del suo carattere fiero e spigoloso.
E chissà se a quel tempo già lo sapeva, il serpente, che solo quando era in compagnia di Halbrand, Galadriel riusciva a sentire lastre di ghiaccio sciogliersi, mura di tenebra creparsi, e la luce ritornare.)
Avrebbe dovuto intuirlo allora, non è così?
Che stava già cercando di insinuarsi dentro di lei, scavalcando le sue difese per puntare dritto dove lei meno si aspettava di trovarlo, nel suo cuore.
“Non è stato difficile.” le risponde, e come sempre non nasconde né le sue doti né la sua boria.
Del resto, Galadriel non ricordava un giorno, dacché lo conosceva, in cui non lo avesse visto divertirsi a fare lo spaccone.
E avrebbe dovuto irritarla, quel suo lato così umano, eppure, chissà perché, c’era qualcosa nel suo pavoneggiarsi ironico, in quel suo sorriso furbo da ragazzino, che aveva permesso a lei di lasciarsi un po'  andare.
Era facile sfilarsi via tutti i suoi ranghi – la principessa, il comandante – quando Halbrand la trattava come se lei non fosse una creatura antica quasi quanto la stessa Arda, come se fra loro non esistesse nessuna rilevante differenza – di potere, di razza, di spirito.
In sua presenza era così facile ritornare a essere solo Galadriel.
E la cosa non aveva alcun senso, perché lo conosceva da praticamente un battito di ciglia, ma all’epoca Galadriel si sentiva come se tutta l’isola di Númenor fosse il Belegaer in tempesta dove aveva rischiato di annegare.  E solo quando Halbrand arrivava a porgerle la mano, lei riusciva di nuovo a respirare.
La sua presenza leniva la sua solitudine, l’aiutava ad alleggerire i pesi della sua responsabilità e del suo destino. Pesi che non aveva mai condiviso con nessuno, prima che lui tagliasse i lacci che la stavano facendo sprofondare negli abissi e la riportasse in superficie.
“Inoltre,” lo sente aggiungere ammiccante, prendendola persino alla sprovvista con una gomitata prima di chinarsi a prendere qualcosa da sotto uno dei tavoli, “Scommetto quello che vuoi, che sarai doppiamente contenta che abbia deciso di lavorarci io, dopo l’orribile armatura che hanno rifilato a me.”
“Halbrand.”
“Non cominciare con la predica. Non senza prima averla vista.”
“Non può essere così terrificante come dici t-… Oh!”
“Già, oh.
“Beh è...”
“Terrificante?”
“È un’armatura...”
“Una terrificante armatura, allora.”
Nonostante il più delle volte si limitasse a essere arrogante e testardo e sfuggente, Galadriel non poteva negare che persino la sua petulanza fosse in qualche modo umanamente divertente.
“Hai bisogno che ti ricordi come sarà ridotta dopo la battaglia? Ti serve per uccidere orchi, non per fare colpo.”
“Che significa? Che ho più possibilità di uccidere orchi, se assomiglio a uno dei loro mostri con le squame e le zanne?”
“Se non ti piace, modifica anche questa.”
“No.”
La luce scaltra che gli brillava negli occhi aveva già allora il potere di farle venire i brividi – avrebbe preferito che fossero di paura, ma non era così, perché come la sua armatura, Halbrand era bello e letale, un binomio che non pensava avrebbe mai avuto il potere di scuoterle l’anima, prima di lui.
Ma erano tante, del resto, le cose in cui era convinta di credere, prima di incontrarlo.
Prima di...
“Vincerò anche con addosso questa... cosa... così da meglio sbatterla in faccia ai númenoriani, poi.”
Era scaltro ed era orgoglioso.
E all’epoca non riusciva a comprendere come quell’accozzaglia di pregi e difetti potesse attrarla così tanto.
Come riuscisse il suo sguardo a incatenarla, a far sì che il resto del mondo sfumasse nel verde e nell’oro dei suoi colori.
Come riuscisse a farla sorridere, solo arricciando le labbra a sua volta.
Come riuscisse a farla bruciare dentro, disseminare vene di calore denso lungo tutto il suo corpo, pur sfiorandola a malapena.
Avrebbe dovuto intuirlo già allora, non è così?
Che l’unico che poteva restituirle il sorriso era anche l’unico che glielo aveva portato via.
Che nessun mortale avrebbe mai potuto attrarla in quel modo, non dopo Forodwaith, non dopo che per intere Ere Galadriel non era stata in grado di sentire nient’altro, se non il richiamo del potere e della vendetta.
O forse era proprio per questo.
Perché lui li rappresentava entrambi.
Perché quando si scontrava con il suo sorriso, con il suo sguardo, quando le sue dita fingevano solo di trovare per sbaglio le sue sul bordo del tavolo, era come raggiungere, finalmente, ogni suo scopo. Avere il potere. E avere la vendetta.
Anche se, intrappolata nell’illusione del serpente – osservandolo immerso nella luce del giorno, i capelli dalle sfumature ramate arricciati sulle tempie, fuliggine a macchiargli le guance, odore di ferro e fuoco impressa sulla sua pelle, tutto intorno a lei – era un altro il nome che al tempo dava al sentimento che sentiva piantare con forza radici dentro di sé.
Non si trattava né di vendetta né di potere.
Era qualcosa di molto più potente a tenerla ancorata a lui.
Qualcosa di molto più pericoloso.
Ehm... Perdonatemi...”
L’arrivo del capo mastro spezza l’incantesimo, e a disagio Galadriel può solo prendersi la sua armatura, chinare il capo in segno di rispetto e poi lasciar loro il suo arrivederci.
“Ci vediamo stasera alla festa d’addio dei soldati, Lord Halbrand.”
“A questa sera, Comandante.”
Non aveva potuto farne a meno.
Una volta uscita, le loro parole erano arrivate alle sue orecchie e lei non aveva avuto modo – o motivo – per non ascoltarle.
“Attento, giovanotto.” era il borbottio che il vecchio fabbro aveva mormorato fra un colpo di martello e un altro. “Nulla di buono è mai venuto all’uomo che decide di andare in guerra per una donna.”
Anche trasportata dal vento, Galadriel non aveva fatto fatica a comprendere che la risata di Halbrand non aveva nulla di ironico, nulla di allegro.
“Vi sbagliate, signore. Credo, infatti, che nulla di buono sia mai venuto all’uomo che scelga la guerra e basta.”
Galadriel aveva aumentato il passo il più possibile.
Solo perché non voleva fermarsi a pensare se le parole di Halbrand l’avessero lasciata più delusa o sollevata.
Solo perché non voleva fermarsi – non ci riusciva, non è così? – e pensare se lui potesse avere ragione.
 
*
 
Ora che entrambi aveva seppellito l’ascia di guerra, Halbrand era persino più gentile con lei, e anche se passavano molto tempo a battibeccare sulle cose più stupide, negli ultimi giorni passati insieme prima della partenza, erano persino riusciti a diventare amici.
E la cosa non soltanto le andava bene, ma le piaceva perfino: le piaceva che lui cercasse più spesso la sua compagnia, le piacevano le sue risposte argute, le sue occhiate complici, le sue battute ironiche.
Perciò, non aveva trovato nulla di male, anzi, avrebbe solo fatto meglio alla loro immagine di fronte unito e di grande alleati contro il male, presentarsi insieme alla festa d’addio dei soldati quella sera al molo.
C’erano cibo e vino e musica e danze in abbondanza. E Halbrand aveva cercato di usare tutto il suo carisma per conquistare la stima dei númenoriani che stavano partendo per aiutarlo a riprendersi il suo regno.
Galadriel aveva sorriso e aveva danzato con molti di loro.
Fino a quando, la musica non aveva iniziato a rallentare e il suo sguardo non si era soffermato sui loro volti estataci, così giovani, così spensierati, pieni di sogni da realizzare e bramosi di gloria.
E lei li stava conducendo a morire.
Quando sarebbero tornati, e se sarebbero tornati, non avrebbero più avuto quello sguardo, quell’innocenza, perché la guerra gliela avrebbe strappata via. E avrebbe insegnato loro cosa significasse avere davvero paura.
E se lei era disposta comunque ad andare avanti e portarli con sé all’inferno, allora cosa la rendeva diversa da Sauron?
Cosa non era disposta a sacrificare pur di raggiungere il suo scopo? La sua vendetta?
“Galadriel, va tutto bene?”
Halbrand la raggiunge nell’ombra, lontana dalle belle luci fluttuanti delle lanterne che illuminavano la notte delle strade númenoriane, riflettendosi sull’acqua.
“Sì,” risponde, inghiottendo un boccone – una verità – più amara del fiele. “Penso... penso che sia giunto per me il momento di ritirarmi, ma tu resta, se vuoi.”
“No, vengo con te.”
Il suo tono è fermo e irremovibile. Il suo tono è quello di un Re.
E allora insieme salutano i soldati, Elendil, e ripercorrono la strada lungo il fiume che li condurrà a palazzo, nelle stanze che sono state loro assegnate fino alla prossima alba.
Halbrand le getta occhiate in silenzio, fra un cono di luce proiettato dalla luna e dalle lanterne e un altro, luci e ombre che fanno a gare per inseguirsi lungo le strade labirintiche di Armenelos.
“Galadriel...”
Si accorge di essersi fermata e di star piangendo, solo quando non sente più alcun brusio intorno a loro, solo il battito del cuore di Halbrand – costante, reale, avrebbe condotto anche lui a morire? – fermo dinanzi a lei.
Quando alza il viso per guardarlo, non la sorprende nemmeno vedere il suo stesso tormento riflesso nel suo volto, che in fondo era stato proprio lui, quella mattina, il primo a dire che nulla di buono viene mai a chi sceglie di versare sangue.
Aveva ragione come sempre.
E questo cosa diceva di lei? Cosa faceva di lei? Quanto stava diventando simile al mostro a cui dava la caccia?
“Dimmi... dimmi che non mi sto sbagliando! Che stiamo facendo la cosa giusta! Che dovevamo tornare! Per le Terre del Sud, per Sauron… Ti prego, dimmi che non mi sto sbagliando!” lo implora, afferrandogli le braccia come per trovare di nuovo un appiglio in mezzo alla tempesta dei suoi dubbi, dei suoi timori, dei suoi peggiori incubi.
Halbrand resta fermo e imperturbabile all’inizio, e poi prova ad abbozzare un sorriso che però non rifulge d’oro nei suoi occhi, ma è come una fiammella che sta per spegnersi nelle ombre del suo sguardo. Così flebile, così tremolante, proprio come lei. Come le loro esistenze.
È bello, Halbrand.
Così fiero e forte e pieno di sé, che è bravo a nascondere la desolazione che sembra sempre gravargli addosso, dentro, come una sorta di pena, punizione, maledizione.
E Galadriel non sa davvero da dove provenga tutta quell’oscurità, ma sa che è gentile il tocco delle sue dita che si intrecciano alle sue.
Sa che è delicata la pressione della sua fronte contro la sua.
Sa che non potrebbe più respirare, se lui la lasciasse andare.
“Io non lo so, Galadriel. Se è la decisione giusta, o quella sbagliata. So che abbiamo scelto la guerra e dobbiamo accettarne le conseguenze. E so anche che avevi ragione tu: scappare non ci avrebbe reso liberi, né ridato la pace, quella...”
È la prima volta che lo vede perdere le parole, incepparsi nei suoi stessi pensieri, irrigidirsi, tremare sotto il suo sguardo.
Così, quella notte, anche se il suo cuore è ancora spezzato, anche se le sue parole non le hanno offerto una reale consolazione – solo la verità, per una volta – Galadriel decide che può dargli anche lei qualcos’altro oltre a una corona a cui aggrapparsi.
Stringe la presa sulle mani e gli dice guardami.
“Quella... possiamo ancora andare a riprendercela insieme, vero?”
Halbrand sorride, un vero sorriso e non un abbozzo questa volta, e crederci così diventa persino più facile anche per lei.
Come se un mortale potesse davvero cambiare le sorti del suo destino, le sorti di tutta Arda.
Oh, se solo la storia fosse davvero stata così clemente...
Proseguono per la loro strada in silenzio, e Galadriel si rende conto di avergli stretto la mano per tutto il tempo solo quando, di fronte alle porte separate delle loro stanze, è costretta a lasciargliela andare.
Halbrand prova a smorzare la tensione e la tragedia che aleggia su di loro, mostrandole un altro dei suoi ghigni furbi da ragazzino.
“Ci vediamo domattina sul ponte della nave, Comandante. Io sarà quello con l’armatura terrificante.”
La sua battuta è così ridicola, che riesce davvero a farla ridere.
“E io sarò quella con l’armatura più bella.”
Il suo complimento fa tornare a risplendere sentieri dorati nei suoi occhi, allontana le ombre.
È già una piccola vittoria, anche se poi Halbrand si allontana dalla sua porta per raggiungere la sua.
Un giorno, a dividerli, di Porta ce ne sarà una sola.
Avrebbe dovuto intuirlo già allora, non è così?
“Buonanotte, Galadriel.”
“Buonanotte, Halbrand.”
Che solo due cose avrebbero potuto distogliere il suo pensiero da Sauron.
Lui stesso, o l’amore.
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno li avrebbe avuti entrambi?
 
*

Quella notte sogna di aver scelto la pace.
Non è l’unica.
Perché sotto la luce degli Alberi di Valinor, qualcuno la sta aspettando.
Finrod, pensa.
Ma anche se non può vedere il suo volto, intuisce presto che non può essere suo fratello quello che l’attende.
Ma è qualcun altro.
E anche se non sa chi sia, è già verso di lui che le sue gambe stanno correndo, è già verso di lui che è proteso il suo abbraccio, è già il suo il nome che viene scandito dal suo cuore.
Quello vero.
Peccato che, al mattino, Galadriel lo abbia già dimenticato.
 
*
 
Molti diranno, poi, che quando salì sul ponte della nave per raggiungere il suo alleato mortale, Re delle Terre del Sud, Galadriel dei Noldor splendeva di una luce mai vista, così radiosa che nessuno pareva in grado di distogliere lo sguardo dal suo splendore etereo, dalla sua potenza divina.
Tutti quel giorno avrebbero potuto giurare, che la Principessa dei Noldor sembrava la personificazione di un'arma che gli Dei avevano inviato su Arda per debellare una volta per tutte l'oscurità.
Tutta Númenor era stata catturata, abbagliata, ammaliata da lei, dalla sua luce.
Mentre Galadriel, invece, era stata catturata, abbagliata, ammaliata, solo dallo splendore di uno solo.
Racconteranno che tutta Númenor non aveva occhi che per lei.
E che lei, invece, non aveva occhi che per il suo Re mortale.
Oh, se solo la storia fosse davvero stata così clemente...
  
*
 
Durante quelle due settimane e poco più che avevano speso insieme sulla nave da guerra, nulla le aveva dato da pensare che Halbrand nutrisse verso di lei un sentimento particolare.
Più spesso rispetto che ad Armenelos cercava il suo consiglio e la sua compagnia, ma Galadriel era convinta dipendesse dal fatto che, per la prima volta, i loro scopi coincidessero e le loro intenzioni fossero perfettamente allineate.
Entrambi volevano sterminare gli orchi che avevano invaso e insozzato le sue terre. Entrambi volevano vendetta, volevano riprendersi la gloria e la pace che era stato loro strappata via.
Halbrand aveva bisogno di lei come alleata.
Per questo sedeva ogni giorno al suo fianco durante i pasti. Per questo si faceva trovare all'alba sul ponte della nave, per duellare insieme prima dell'arrivo degli altri soldati. Per questo, certe sere, rimaneva con lei sul timone di prua ad ammirare le stelle. Per questo l'ascoltava parlare, per ore e ore, di come immaginava potesse essere un giorno Arda finalmente spoglia di ogni male, ricostruita, risanata dall'oscurità che l'aveva corrotta.
Per questo la sfiorava a malapena, di tanto in tanto, indugiando quel poco dal non poter mai essere ritenuto inopportuno, eccetto una volta, una notte in cui vento le aveva incastrato una ciocca di capelli fra le labbra, e con dita veloci e roventi lui gliela aveva rimessa a posto, disegnando il confine del suo orecchio con la punta dell'indice.
"Non devi più nasconderle."
"Non lo sto facendo."
"A volte lo fai. Celi la tua grazia e la tua bellezza come se fossero armi che qualcuno potrebbe usare contro di te, o peggio, come se fosse qualcosa che qualcuno potrebbe usare per farti provare vergogna."
"Non mi vergogno, né temo chi sono."
Ma c'era stato Fëanor, un tempo, che non aveva accettato un no come risposta e che aveva preteso qualcosa che lei non desiderava concedergli, e di fronte al suo diniego l’aveva indicata come la più arrogante fra tutte le donne. Come se la sua bellezza potesse essere considerata un dono degli Dei, solo se fosse stata felice di condividerla per gli altri. Per i loro occhi, per le loro mani, per le loro bocche.
C’era stato un tempo in cui aveva provato vergogna, sì, perché non aveva potuto fare nulla per mettere a tacere quelle voci, se non chiudersi nei suoi confini.
Perché c’era stato un tempo in cui tutti l’avevano preferita bellissima e impotente. E lei aveva accettato.
"Bene.” Halbrand è così vicino, quella notte, che Galadriel può sentire il suo respiro danzarle sul volto, può sentire il suo corpo assorbire il suo calore, domandare di più, anche se le parole le restano incastrate fra il battito imbizzarrito del suo cuore e il suo respiro spezzato, accelerato.
“Non dimenticarlo. Perché sei la creatura più straordinaria che io abbia mai conosciuto."
Quando lei sgrana gli occhi e apre le labbra come a voler dire qualcosa – qualsiasi cosa, davvero, che lo trattenga ancora più vicino a lei – Halbrand si limita a sorridere e ad augurarle la buonanotte depositandole un bacio sulle nocche livide della sua mano.
E poi va via.
Appena sorta era nel firmamento la stella della sera.
 
*

Certe notti, nel Belegaer, Galadriel sogna la guerra. Altre sogna la pace.
Ed è illogico, fuori da ogni schema o previsione, ma certe notti è convinta che, in ogni scenario, ci sia sempre lui ad attenderla dall'altra parte.
Che sia il suo abbraccio mortale, o il suo abbraccio innamorato, ad accoglierla sempre quando gli va incontro.
Non può essere.
Non può essere.
Non può essere.
E al suo risveglio, per fortuna o per sfortuna, non ricorda mai di aver singhiozzare di dolore o di gioia sempre lo stesso nome.
Mairon. Mairon. Mairon.
Non lo ricorda mai.
 
*
 
Galadriel pensava di aver commesso molti peccati da quando aveva abbandonato le sponde di Valinor per seguire i suoi fratelli al di là del mare, fino alle novelle sponde della Terra di Mezzo.
Pensava di aver peccato quando, ospite di Doriath, aveva per la prima volta accarezzato il desiderio di poter avere, un giorno, un Regno che fosse tutto suo. Di cui esserne l’assoluta sovrana, colei che ne plasmava forma e grandezza – e tutti mi ameranno e si dispereranno!
Galadriel pensava di aver peccato ogniqualvolta che Celeborn si aggrappava alle sue mani e le chiedeva: “Ma tu davvero mi ami?” e lei non era stata in grado di comprendere fino a quando non era stato troppo tardi – fino a quando anche Celeborn aveva preferito cavalcare fino alla morte e starle lontano, intristito dalla sua indifferenza – che quei dubbi e quelle incertezze non erano dovute alla debolezza di carattere del suo consorte, ma solo all’egoismo del suo animo.
(Che Sauron era l’unico pensiero, l’unica costante della sua vita che sembrasse non vacillare mai. L’unico che sembrava non volerla mai lasciare indietro.)
Pensava di aver peccato anche nel suo giorno più oscuro, quand’era stata trafitta dalla perdita più devastane, e il corpo di Finrod era ritornato da lei in una bara.
E invece di onorare la purezza della sua anima e di riportalo a casa, lei aveva impugnato la sua daga e aveva giurato vendetta in suo nome, usato la sua morte per avere finalmente la possibilità, la scusa, il motivo, per dare lei stessa la caccia al male. Trascinando così anche il ricordo del più buono e puro dei suoi fratelli nell’oscurità, insieme a lei.
E infine, pensava di aver peccato, quando, invece di fare ammenda e rassegnarsi, posare la spada e compiere il viaggio che l’avrebbe portata a inginocchiarsi e chiedere perdono ai Valar per riaccoglierla in Paradiso, Galadriel aveva preferito non lasciarsi incantare dal loro canto, ed era saltata giù dalla sua nave.
Aveva inghiottito l’acqua del Belegaer con la sua daga – il suo giuramneto di morte e vendetta – ancora stretto in mano, e aveva cercato con tutte le sue forze di non scambiare i fuochi fatui lungo il suo cammino per la vera luce.
Fino a quando, nella nebbia, proprio quando credeva di essersi persa, che sarebbe morta senza niente – né perdono né vendetta, Sauron libero e lei prigioniera delle Aule di Mandos – qualcosa era apparso all’orizzonte, nella vastità dell’oceano.
Un miraggio, aveva creduto all’inizio.
E così, ancora una volta, aveva toccato l’oscurità per accertarsene.
Le maree del fato fluiscono...
Avrebbe dovuto intuirlo già allora, non è così?
Che non c’era alcun salvatore, alcun alleato in quella zattera, solo il serpente.
Ma era stata la sua mano a tirarla in salvo dalle acque.
E Halbrand era solo un mortale.
Quale arma poteva mai possedere per farle del male?
 
*
 
Pensava di aver peccato già mille e mille volte, Galadriel.
Ma nulla di quello che aveva compiuto in passato, teneva in conto ciò che sarebbe poi successo a Númenor.
Nulla di ciò che aveva compiuto in passato teneva in conto Halbrand.
O La Porta.
Dicevano che gli Eldar potessero amare solo una volta.
Dicevano che i Maiar fossero stati creati solo per servire.
E lui glielo aveva detto spesso che, a differenza degli altri, loro due non erano proprio fatti per giocare secondo le regole.
Oh, se solo la storia fosse davvero stata così clemente.
Perché la verità è che Galadriel il suo primo peccato lo coglie direttamente dalle labbra del serpente.
La verità è che quando una notte, sorta la stella del mattino, lui finalmente la invita ad assaggiare il suo veleno, lei non dice di no.
Accoglie le carezze delle sue labbra sulle sue, danza con la sua lingua, scivola e si scioglie contro il calore del suo corpo, lascia che le sue mani slacciano via ogni laccio, ogni catena che ancora le impediva di toccarlo.
E a ogni respiro, bacio, tocco rubato, il serpente le restituisce solo piacere, calore, appartenenza.
La verità è che quando Halbrand aveva affondato con disperazione le sue dita fra i suoi capelli, dicendole: “Perdonami. Perdonami. Perdonami” mentre le baciava le palpebre e le guance e le labbra, lei non aveva capito perché.
E lui non si era mai davvero fermato.
Aveva continuato a toccarla e a baciarla, fino a quando tutto ciò che conosceva, tutto ciò che al mondo sembrava avere ritrovato importanza, era il suo sapore di ferro e fuoco, erano le sue mani calde che sapevano come modellare il suo corpo, quali fossero i sentieri più nascosti per donarle piacere, per accenderla di un fuoco mai sentito, mai provato, che la consumava come la stava consumando la sua bocca rovente che calava ancora e ancora a reclamare la sua.
Una danza senza fine, con il battito del cuore che sembrava rimbombarle ovunque, nel petto, nella gola, fra le tempie, sul suo sesso bagnato, sulle punte delle sue dita.
Un sapore così estatico, così dolce, per un veleno così letale.
Il suo peccato Galadriel lo coglie direttamente dalla bocca del serpente, mentre la stella del mattino splende su nel cielo e il paradiso che entrambi hanno rinnegato si perde a Ovest, alle loro spalle.
La Terra di Mezzo a solo un giorno di distanza, ormai quasi visibile all’orizzonte, e ancora tutto il mare aperto a circondarli, mentre loro stavano avvinghiati l’uno all’altra nell’ultimo riparo dell’oscurità, contro l’albero maestro della nave.
Non aveva mai desiderato nulla, Galadriel – nemmeno la vendetta, nemmeno il potere – come quella notte aveva desiderato che il tempo si fermasse in quell’istante, di poter rimanere stretta nell’abbraccio del serpente per tutta l’eternità che ancora le restava.
Le sue labbra unite alle sue, le sue mani perse fra i suoi capelli e le curve dei suoi fianchi, le sue arpionate al suo collo, a inseguirne il battito, il calore, il respiro, a sentirlo forte e reale, in ogni fibra del suo corpo.
“Perché ricambiare il mio bacio, se ora mi domandi perdono?” gli chiede, negli attimi rubati in cui riesce a riprendere fiato, prima che lui le invada ancora la bocca, penetri con la lingua la sua cavità umida, tracciando il profilo interno delle sue guance, l’arcata dei suoi denti, la punta della sua lingua.
“Perché tutto cambierà quando approderemo. E io volevo qualcosa di tuo da poter per sempre ricordare. Prima di...”
Avrebbe dovuto capirlo allora, non è così?
Che le stava già dicendo addio, che quel bacio era il frutto del peccato della conoscenza che lei, per orgoglio e per amore, non aveva accettato di vedere, preferendo voler provare a rubargli quella desolazione e quella oscurità che scavava solchi contriti sul suo viso, con il tocco umido e carezzevole delle sue labbra.
“Questa battaglia sarà solo il principio di qualcosa di grande, non la sua fine. Non devi temere che...”
Avrebbe dovuto capirlo allora, non è così?
Quando la luce della stella del mattino aveva colpito il suo sguardo, e nei suoi occhi Galadriel aveva visto solo ombre, bramosia e rimorso.
E lei a splendere come ultima luce rimasta.
Avrebbe dovuto intuirlo già allora, non è così?
Quando la presa delle sue mani era diventata disperata, quando l’aveva stretta ancora di più a sé, come se già temesse di averla perduta.
Quando il richiamo di Orudruin aveva già iniziato a invocare il suo nome.
Quello caduto.
Quello che lei si era rifiutata di pronunciare, finché aveva potuto aggrapparsi all’illusione del serpente.
Alla sua verità.
“Non è la sconfitta, né la morte che temo, Galadriel.”
“Allora cosa?”
Avrebbe dovuto intuirlo allora, non è così?
Che anche quando Halbrand aveva solo la sua mortalità per ferirla, quella era già un'arma che lei non avrebbe mai potuto contrastare, ché tutti gli uomini erano destinati a morire, in fondo. Lui compreso.
Ma lei aveva laccato via il veleno dalle labbra del serpente, si era cibata del suo peccato, e ora quello, eterno, le sarebbe corso per sempre nelle vene.
Avrebbe creato una Porta, un giorno – rifiutata la corona, gettato per sempre nel Glanduin il suo cuore – che li avrebbe legati e divisi per sempre, anime dannate, anime consumate da amore folle, da gioie violente, da desideri inesaudibili.
 “Temo me stesso.” è l’ultima verità che il serpente le rivelerà mai.
Avrebbe dovuto intuirlo allora, non è così?
Che era riuscita a trovare e a cogliere tutto quello che aveva disperatamente cercato – ogni desiderio, ogni giuramento – proprio dalle labbra del serpente che sperava di estinguere da Arda.
Avrebbe dovuto intuirlo già allora, non è così?
Che non sarebbe mai esistito dono più letale, più imperdonabile di quello della conoscenza.
Ché l’orgoglio mai le avrebbe permesso di perdonare – e l’amore mai di dimenticare.
E ciò che le resta, quale prima peccatrice, è solo l’esilio nella Terra di Mezzo.
E poi la solutine dell'eterna dannazione.
 
*
 
Continuerà lungo tutto lo scorrere delle Ere, a sognare di aver scelto la pace, Galadriel.
Così come continuerà a dare la caccia a una creatura persa nell’ultima luce degli Alberi, priva di un volto, priva di un corpo.
Continuerà a ripetere il suo nome.
Mairon.Mairon.Mairon.
Fino al giorno in cui non avrebbe più avuto bisogno di svegliarsi.
 



 


FINE
 






N/A: esiste una storia dietro quest’accozzaglia confusa di idee e missing-moments? Non lo so. Spero di sì, e spero come sempre di aver dato giustizia a questi personaggi e di aver donato a voi lettori qualche minuto di piacevole lettura.
Spero di poter sentire anche qualche vostra impressione a riguardo.
Alla prossima,
BellaLuna
  
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