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Autore: Quella Della Pasta    11/08/2023    0 recensioni
[Poirot]
Poirot ha amato, anche se nessuno lo direbbe mai.
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Partecipa alla B.I.BI.T.A. challenge indetta dalle Lande di Fandom per la modalità Open bar, su richiesta di Kamy, in qualità di prequel di 'So goes the person, so goes the love'.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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(Titolo e citazione da Mastermind, di Taylor Swift, perché mi pare molto azzeccata ai personaggi. Per il resto, è un prequel di questa fanfic.)


 

So I told you none of it was accidental

And the first night that you saw me, nothing was gonna stop me

I laid the groundwork and then saw a wide smirk

On your face, you knew the entire time

You knew that I'm a mastermind

 

Vera Rossakoff. Contessa in esilio. Non appena gli era stata presentata da lord Hardman, Poirot aveva avvertito qualcosa cambiare, in quello studiolo già appropriatamente illuminato da due grandi vetrate – ma esposto alquanto inappropriatamente agli occhi dei passanti di strada, per essere il luogo deputato a custodire la sua preziosa cassaforte. E i suoi ancor più preziosi gioielli d’annata.

Poirot aveva iniziato a sospettare di madame Rossakoff sin da quel momento. Il ritrovamento del portasigarette con le sue iniziali in cirillico era avvenuto neanche pochi secondi prima, e lui non era digiuno di un po’ di alfabeto cirillico. Che razza di investigatore di caratura mondiale sarebbe stato, altrimenti? Ma era proprio la posizione inconsueta di quel portasigarette d’argento, quel doppio indizio così presente e lampante, ad averlo spinto a indagare sulla sua possibile proprietaria. Poirot aveva già depennato quel dandy astuto ma distratto, le cui iniziali erano anche solo apparentemente coincidenti con quelle impresse sul portasigarette, dalla sua lista di sospettati. Per cui, aveva deciso di buon grado di calarsi nei panni dello chaperon, dell’amico per caso trovato in altrettanto esilio. Solo...

Poirot non era pure così stupido da non essersi accorto come e quanto l’atmosfera in quella stanza fosse cambiata, all’apparizione di madame Rossakoff. Era diventata...più luminosa, l’aria; più limpida, quasi. Tale da appannare un poco i rumori dell’ingranare delle sue celluline grigie mentre cercavano la quadra di quell’ennesimo mistero, di un furto di gioielli come lui ne aveva visti tanti. Ma non di quella caratura.

Poirot non contava di provare ancora anche solo un’ombra, un assaggio, di quel sentimento che anche lui conosceva e ben sapeva si chiamasse amore.

Non dopo aver lasciato il Belgio. Una spilla d’argento era l’unico memento, suo e per il mondo, che una volta, una sola, quando era giovane e fiducioso e l’Europa non aveva ancora conosciuto bombe e trincee, anche monsieur Hercule Poirot, il grande investigatore, aveva amato. Con tutta l’ingenuità che l’età e la guerra gli avrebbero poi strappato via.

Era galante, la contessa. Pacata, rispettosa, sagace. Un po’ ingenua, forse, come può esserlo soltanto un ospite in casa d’altri. Una maschera ben oliata, non c’era che da dire. Poirot era curioso di vedere fin dove si sarebbe spinta. E fin dove sarebbe arrivato lui. Un gioco degli specchi che in un giorno qualunque l’avrebbe inorridito.

Ed eppure...con Vera, Poirot si sentiva quasi a casa. Forse perché era l’unica che riuscisse a capire quella ferita mai sanabile fino in fondo che era l’esilio, il mai più rivedere l’amato cielo di casa propria. O la tomba della propria amata.

Milady Mesnard era stata seppellita nel mausoleo di famiglia, di nuovo a casa. A Bruxelles. Poirot sentiva stringersi il cuore, ogni volta che ci ripensava. E il buon capitano Hastings scambiava l’illucidirsi dei suoi occhi per una profonda nostalgia di casa. Non era del tutto in errore, come sempre d’altro canto.

Virginie Mesnard era una cara creatura, la più raffinata lady che Poirot avesse mai conosciuto. Arguta ma gentile. Appassionata, ma distaccata. E lui l’aveva amata dal primo istante in cui aveva pensato che fosse stato destino, che gli avesse chiesto di risolvere il caso dei cioccolatini per lei. Poirot ci aveva pure pensato, a farle recapitare una scatola del loro amato cioccolato belga. Ma sarebbe stato inappropriato. Anche senza un omicidio di mezzo. Non erano sposati, non erano fidanzati, e lui, quale infinitesimale agentucolo di polizia come nel Belgio ve n’erano milioni, non poteva sperare di ricadere nelle sue grazie, che l’acuto sguardo di milady Mesnard si posasse su di lui. Non avrebbe mai potuto sperarlo. Neanche quando il destino, anni ed anni più tardi, li avrebbe fatti incontrare di nuovo. E li avrebbe poi separati ancora una volta.

La cara Virginie s’era fatta seppellire col cognome di suo marito, e Poirot non era riuscito a portarle un solo mazzo di fiori. Non aveva potuto neanche assistere al funerale. Ma la sua spilla d’argento, il giorno che Jean-Louis gli aveva fatto recapitare quel telegramma listato di nero, era rimasta vuota di fiori, in segno di lutto. Di quello che Poirot non poteva permettersi di indossare.

Vera non vestiva di nero. Un blu profondo come la vastità della notte, era l’unico colore cupo che aveva scelto di indossare, casomai. Sfidava il lutto della perdita della propria patria col fulgore della sua dignità. E dei gioielli contrabbandati. Sì, madame Rossakoff si credeva molto astuta. Troppo, anche per Poirot. Perché, dopo il loro pomeriggio al museo, le sue celluline grigie per la prima volta si erano rifiutate di obbedirgli. E cercavano ogni scusa possibile per non additarla come la reale colpevole.

E allora via alle danze dei sotterfugi, al rimediare quei due investigatucoli di gatti scomparsi e anziani senza memoria e mariti fedifraghi nascosti nel fondo del camerino di una ballerina. Ai sotterfugi anche verso Hastings e verso miss Lemon, che chissà se gliel’avrebbero mai perdonata. Poirot aveva sistemato tutte le tessere quasi stesse completando uno dei suoi amati puzzle; si era divertito, perfino. Japp aveva avuto il suo colpevole, un vagabondo inesistente come metà delle segnalazioni che gli arrivavano in ufficio, la collana scomparsa era stata ritrovata grazie all’efficiente intuito del solerte ispettore, e tutto era andato per il meglio. Madame Rossakoff era riuscita anche a prendere in tempo il suo treno.

Poirot, d’altro canto, aveva deciso di perdere il suo.

 

Si era mai pentito di averla lasciata andare? Oh, sì. Più volte di quante ne lasciasse trasparire. Farla rinchiudere in cella da Japp non sarebbe servito, era comunque una contessa e nemmeno Poirot riusciva ad assicurare alla giustizia per tutto il tempo necessario quei furfanti che potevano fregiarsi d’un alto rango.

Meditava perfino di raggiungerla, ovunque fosse andata. Non che non lo sapesse, poi. Vera si arrischiava a mandargli una cartolina, di quando in quando. Vienna, Roma, Atene, Marrakech. In ogni capitale industriosa che avrebbe recato la firma di uno dei suoi furti. Gli spediva una cartolina, e un indizio. Perché il caro, vecchio Hercule non s’annoiasse troppo, in sua assenza. Gli aveva scritto proprio così.

Poirot risolveva quei furti prima che ci pensasse la polizia. Si divertiva, in effetti. Ma mai che avesse fatto un colpo di telefono al commissario locale. Poi non avrebbe avuto di che baloccarsi, si diceva. Non avrebbero comunque arrestato una contessa in regolare esilio, si giustificava con se stesso. Evitando accuratamente di guardarsi allo specchio, per non incorrere nel suo stesso sguardo accusatore. Sì, Hercule Poirot era un gran vigliacco.

Almeno di fronte alle sue celluline grigie, si permetteva di esserlo.

 

Vera non sarebbe morta in esilio. Era troppo orgogliosa per lasciarselo permettere. Poirot, se le aveva mai invidiato qualcosa, era quella sua fortezza d’animo, così ben nascosta sotto strati di seta, di gemme e di pacata alterigia.

Sarebbe morta soltanto dopo aver visto la sua figlioccia rivelarsi nelle orride vesti di un’assassina senza cuore. Vera avrebbe perso il suo, a pochi giorni dall’arresto. Non aveva più motivi per continuare a vivere. Per trascinarsi ancora in questo mondo mortale. Anche i più bei gioielli si impolverano, prima o poi, le loro montature si arrugginiscono, le collane si sfilano e le corone vengono fuse per essere tramutate in monete da conio. Presto o tardi sarebbe accaduto anche a lui: le sue amate carte, chiuse per sempre in un cassetto dalla chiave spezzata; i suoi pince-nez cadranno, e forse s’inabisseranno in qualche canale di scolo; le sue tisane ammuffiranno e la sua adorata cera per baffi giacerà inutile in fondo all’armadietto.

 

Suo figlio non sapeva nulla: né dei furti, né delle identità segrete, e nemmeno che il suo titolo nobiliare fosse fasullo. Vera aveva fatto in modo che vivesse in una perenne estate. Poirot l’aveva incontrato al funerale, presentandosi come un lontano conoscente. E quel giovane uomo l’aveva stretto a sé, il contegno crepato dalla sua apparizione, per essere un altro, e forse l’ultimo, frammento di sua madre ancora in quel mondo. Non aveva mai conosciuto suo padre, e Poirot ben si era riguardato di chiedergli alcun dettaglio. Non era il momento per infantili gelosie, quello.

Vera era riuscita, nonostante tutto, a farsi rimpatriare. Anche se sotto falso nome. E il mausoleo che avrebbe accolto le sue ossa, a Leningrado, non avrebbe mai saputo la verità. Poirot non lasciò neppure un biglietto tra i fiori che portò alla sua tomba, neanche il più piccolo segno che l’avrebbe smascherata. Avrebbe dovuto farlo. Ma si diceva che, almeno da morta, non se lo meritasse. Non davanti al figlio.

Se non altro, Vera aveva avuto la grande fortuna di essere tumulata prima della guerra. Della nuova, grandiosa guerra che avrebbe incendiato il mondo, non soltanto l’Europa. Poirot sapeva che il suo cuore sarebbe stato seppellito con lei, in quella tomba di marmo intitolata a una delle sue mille maschere. Non gli sarebbe servito ancora oltre, e l’orizzonte già rosseggiava dei nuovi cannoni e delle nuove trincee.

 

Negli anni, il dolore si sarebbe attutito, avrebbe lasciato spazio soltanto a ricordi amari come un tè che si era dimenticato di zuccherare, e dolci come un sogno da cui non ci si voleva svegliare. Hercule sarebbe tornato a sorriderne, anche solo un poco. Lasciando i suoi amici – la sua unica famiglia – a vagheggiare chi mai potesse scalfire il suo apparentemente inesistente cuore, a dimostrargli che l’amore esisteva, e poteva volgere il suo benevolo sguardo anche verso di lui. E Poirot li lasciava fare.

Come sempre, restando l’unico custode di quella risposta.

 

And now you're mine

Yeah, all you did was smile

'Cause I'm a mastermind






 

La contessa Rossakoff è un personaggio canonico dei romanzi di Poirot, ma appare anche nella serie televisiva, nella 3x07. Si può considerare la Irene Adler dello Sherlock mentale di Poirot. Che abbia un figlio viene rivelato nella trasposizione de Le fatiche di Hercule (puntata 13x04), da cui ho ripreso nella fic altri dettagli riguardanti il caso. Non dirò altro per non spoilerarvi troppo, in caso vogliate leggere il romanzo o recuperare la serie. (In entrambi i casi, male non vi farebbe <3)

Virginie Mesnard appare invece nella 5x06, dove a differenza del romanzo cui l’episodio fa riferimento, ha un ruolo più presente nelle indagini di un giovane Poirot. Ed è proprio lei a regalargli la sua iconica spilla.

   
 
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