Anime & Manga > Yuukoku no Moriarty/Moriarty the Patriot
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Autore: Rjsecretful    14/08/2023    0 recensioni
Un missing moment sui tre anni in cui Sherlock e William si sono dati per morti. Il periodo del lungo ricovero di Liam che, dopo aver perso la voglia di morire, deve fare i conti con una vita e un futuro che non si sarebbe mai aspettato di poter vivere. E i dubbi di Sherly, che per la prima volta si ritrova a prendersi seriamente cura di qualcuno, confrontandosi con la propria fragilità umana.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes, William James Moriarty
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Trascorsero diversi giorni, da quando Sherlock si era svegliato nella suite infermieristica del transatlantico, sdraiato sopra un letto, accanto ad un altro letto su cui aveva trovato giacente Liam. Dopo essere sbarcati in America, i due uomini erano stati accolti in un centro ospedaliero, ed era lí che soggiornavano, con il mantenimento di entrambi da parte di Sherlock che aveva aderito ai servizi segreti del governo americano, offrendo la propria consulenza investigativa senza far sapere al mondo che il famoso detective di Londra e il Signore del Crimine fossero ancora vivi. In tutto quell’arco di tempo, il compagno di alloggi non si era mosso dal proprio capezzale. Era in preda ad una tremenda depressione, dal quale sembrava impossibile che ne uscisse.
Dopo che l’investigatore e il suo rivale erano precipitati dalla Tower Bridge, improvvisamente si erano ritrovati nella stessa stanza l’uno accanto all’altro, e quello che era successo fra il momento in cui erano l’uno fra le braccia dell’altro e il loro risveglio era buio totale per entrambi. Quando Sherlock si era destato, si era sentito sollevato di aver trovato Liam accanto a sé, dopo un attimo di spavento in cui aveva creduto che egli potesse essere andato perduto chissà dove. Aveva temuto di non essere riuscito a salvarlo, ma per fortuna questa sensazione aveva avuto grazia di dissolversi in un istante.
Però, malgrado l’iniziale sollievo, quando Holmes si era messo in procinto di avvicinarsi all’amico per capire come stava, quest’ultimo in uno scatto d'impeto gli aveva proibito di fare anche un solo passo verso di lui. Sherlock, per un attimo, era rimasto sorpreso della reazione di Liam, non capendo cosa gli fosse successo. Era come se fosse arrabbiato con lui. E in seguito, il detective aveva visto il suo occhio bendato, iniziando a comprendere che il professore stava attraversando un terribile trauma, che non era dettato dal solo fatto di aver perso un occhio, ma anche da quello di essere ancora vivo. Liam, prima che Sherlock lo stringesse fra le braccia, era pronto a morire, sperando di portare a compimento il suo piano di epurazione contro la nobiltà corrotta. Ma Holmes aveva stravolto i suoi piani, togliendogli tutte le ragioni che aveva per morire. Nel loro abbraccio, Moriarty aveva avvertito un tepore che non aveva mai provato prima, neanche con l’amato fratellino Lewis, e mentre il biondo si era perso nel calore che l’investigatore gli aveva trasmesso, aveva udito le sue parole incitanti: “Liam... Viviamo!” Così gli aveva detto Sherlock, incoraggiandolo a non buttare via la propria vita. Il genio del crimine aveva perso, in questo modo, la voglia di morire, e aveva riacquistato il desiderio di vivere. Però a quale scopo poteva vivere, ora? Con quale ragione poteva andare avanti, adesso? Come poteva continuare a vivere proprio lui, che per tutta la vita si era sporcato le mani di sangue? Era per tutto questo, probabilmente, che Liam era arrabbiato. Perché avrebbe preferito morire, e ora si sentiva vuoto. Comprendendo il suo stato d’animo, Sherlock aveva cercato, nei giorni successivi, di non essere troppo invadente nei confronti di William, e aveva deciso di dargli tempo per riprendersi, limitandosi a stargli vicino nei limiti del possibile.
Ma non fu sempre facile mantenere una distanza di sicurezza. I continui silenzi di Liam, che non accennava a volersi alzare dal letto, preoccupavano sempre di più Holmes e lo mettevano a disagio. Il detective era sempre stato un tipo introverso, che non interagiva con gli esseri umani se non era necessario, o se non si trattasse di persone di cui si fidava. Ma in quel tempo per lui fu difficile rintanarsi in sé stesso, fingendo che il mondo non esistesse a meno che non ci fosse un caso da risolvere. Era la prima volta che sentiva di aver trovato una persona cara, ed era anche la prima volta che si prendeva seriamente premura per qualcuno. Si vergognava quasi di sé stesso, come se in tutti gli anni della sua vita non avesse mai realmente vissuto, e si sentiva impotente perché non sapeva cosa fare per quella persona che era tanto importante per lui. Col trascorrere dei giorni, il biondo inizió, gradualmente, a rivolgergli qualche parola. Ma parlava solo del piú e del meno. All’inizio diceva solo “Buongiorno”, “Buonasera”, “Bentornato”... piú in lá cominció a chiedere al compagno di stanza cosa avesse fatto durante il giorno.
Sherlock trascorreva le giornate prestando la sua consulenza investigativa nei servizi segreti, lavorando per poter guadagnare quanto bastava per mantenere sé stesso e prendersi cura di Liam, nell’attesa e nella speranza che lui si ricomponesse. Svolgeva il proprio lavoro con la stessa lucidità e mente fredda che aveva sempre mantenuto quando svolgeva le indagini, dovendo però combattere contro l’ansia dovuta al fatto che, nel frattempo, il biondo era solo in quella stanza a combattere contro i propri demoni che lo tormentavano, aspettando il ritorno del suo salvatore.
I momenti peggiori arrivavano la notte. In quell’arco di ore, mentre entrambi cercavano di dormire, succedeva spesso che Sherlock si svegliasse di soprassalto, sentendo delle urla spaventose. Erano le urla di Liam, che si agitava nel sonno, in preda a terribili incubi. Le grida erano talmente forti che facevano mobilitare gli infermieri, i quali intervenivano per somministrargli dei tranquillanti, mentre il detective cercava di acquietarlo come meglio poteva, anche se in modo impacciato. Quelle notti furono le prime esperienze in cui Holmes conobbe la paura, che tratteneva a stento mentre provava a tenere fermo il biondo, in attesa che arrivassero i dottori con i calmanti. Dopo che Liam riceveva la dose, immediatamente si rilassava, e nel frattempo Sherlock continuava a fare di tutto per rassicurarlo, poggiandogli le mani sulle spalle e dandogli delle leggere pacche, tenendogli la mano o abbracciandolo.

Una di queste notti la storia si ripeté, quando Sherlock era arrivato ad un punto tale che faceva molta fatica ad addormentarsi, sapendo che il suo vicino di letto avrebbe potuto esplodere da un momento all’altro. A mezzanotte passata, Liam ebbe una nuova crisi e iniziò a dimenarsi nel letto sbraitando a più non posso. E di nuovo, Holmes balzò in piedi e si lanciò verso di lui per riuscire a immobilizzarlo, prima che potesse farsi male sbattendo da qualche parte. L’investigatore si mise in ginocchio sopra il materasso di Liam e tentò di tenerlo giù, ma venne respinto dalle braccia del biondo che si agitavano all’aria. Nel mentre, Sherlock chiamò aiuto.
“Dottore... Dottore! Qualcuno venga, per favore! Servono i tranquillanti!!”
E, come al solito, quasi come se avessero subito risposto alla chiamata, entrarono due infermieri, pronti per calmare il paziente. Uno dei due aiutò Sherlock a immobilizzare Liam, mentre l’altro afferrò la mandibola del biondo per tenergli la bocca bene aperta e fargli ingoiare la sostanza contenuta in un flaconcino. Con forza, il dottore gli chiuse il canale orale, costringendolo a deglutire. I tre uomini tennero stretto alcuni secondi l’uomo, fino a quando non avvertirono che il suo corpo si stava rilassando, a conferma dell’effetto del calmante. I due dottori, allora, si discostarono per lasciarlo respirare, e Sherlock, invece, rimase abbracciato a lui, per dargli consolazione. Il viso di Liam sprofondava nel ventre dell’investigatore. Il biondo rimase impassibile, mentre il moro faceva dei respiri profondi per riprendersi dallo spavento.
“Signore, tutto a posto?” disse uno dei due infermieri, per rompere il silenzio prima di congedarsi.
“Dannazione!” disse Holmes. “Non potremmo avere qualche dose a portata di mano, per evitare questo trambusto, ogni volta?”
“Ci perdoni, signore.” rispose l’altro. “Ma non possiamo rischiare che ne faccia abuso. I tranquillanti sono sostanze potenti, se dovesse eccedere lo potrebbero uccidere.”
“Tsk! Dovrei riprendere a fare esperimenti per inventarmi qualcosa di meglio. Uscite, per favore!”
“Vi auguriamo una buona notte, signore.” I due infermieri, facendo un leggero inchino e ignorando l’insolenza del detective, si dileguarono, lasciando i due da soli.
Sherlock tenne ancora per un po’ stretto Liam, accarezzandogli il capo. Quei gesti erano alquanto imbarazzanti, per lui che era sempre stato freddo e distaccato nei confronti di chiunque, tranne che con Watson. Però, dopo tante volte che li aveva ripetuti, ci aveva preso la mano e aveva imparato a far sentire la propria la vicinanza ad una persona in difficoltà. Era come se il suo cuore si fosse schiuso. Sherlock aveva dimenticato da tempo lungo ormai quando era stata l’ultima volta che aveva dato o ricevuto dimostrazioni di affetto.
“Liam...” disse all’improvviso. “Non devi temere, ci sono io con te adesso. Quando ti sentirai pronto, ricorda che ti potrai appoggiare a me.”
Liam ebbe un leggero sussulto. Ancora una volta stava udendo le parole confortanti di Sherlock mentre era abbracciato a lui. Da un lato quel tepore lo rassicurava, ma da un altro lato lo odiava, perché sapeva che lo avrebbe esortato ancora di più a continuare a vivere. Eppure, non ci poté fare niente. Aver incontrato Sherlock lo aveva allontanato da quel senso di solitudine, nella quale aveva sempre sentito di portare sulle spalle il peso del mondo intero. Il suo mondo, che era sempre stato tinto di rosso sangue, aveva preso colore e aveva visto la luce nell’istante in cui il moro si era lanciato per afferrarlo.
“So bene di poter solo immaginare come ti senti. So poco o niente del tuo passato, e forse uno come me non è neanche all’altezza per capire. Ma se ci fosse anche una piccola cosa che un idiota del mio calibro può fare, dammene la possibilità.”
Moriarty si ridistese, lasciandosi completamente andare all’abbraccio di Holmes e chiudendo l’unico occhio che aveva. Allungò le proprie braccia, che erano rimaste con le mani aggrappate alla camicia da notte del compagno di stanza, e gliele cinse attorno ai fianchi. Senza dire neanche una parola, si lasciò andare quel senso di conforto, che fu talmente appagante da farlo addormentare all’improvviso.
Quella notte, il moro non riuscì a dormire completamente. Rimase seduto ai piedi del letto del biondo, che aveva messo in posizione supina dopo che lo aveva visto cadere in preda al sonno. Per ammazzare il tempo, Sherlock fumò qualche sigaretta, sperando che prima o poi il sonno sarebbe calato anche a lui. Solitamente la notte, se non avesse avuto niente da fare, Holmes si sarebbe addormentato facilmente, dato che il suo cervello era sempre talmente attivo che, quando si faceva ora di dormire, gli sarebbe bastato sdraiarsi e trovare una posizione comoda. Ma questa volta il sovraccarico di pensieri era talmente forte che il detective non riusciva a spegnerlo. Ormai erano già passato quasi un anno da quando i due uomini si erano svegliati e ritrovati vicini, e la salute psichica di William non accennava a migliorare. Sherlock cominciò a sentirsi scosso come non mai, in preda alla propria frustrazione per il senso d’impotenza che provava. Lui e Liam avevano sempre avuto un'affinità oltre ogni immaginazione, erano entrambi per l’altro l’unica persona in grado di comprendere i rispettivi pensieri, dato che avevano un’elevata intelligenza. Tuttavia, erano anche due persone totalmente agli antipodi, con vissuti diversi, malgrado le loro similitudini. Il Signore del Crimine aveva sofferto la povertà e la miseria, mentre il detective aveva avuto una vita più agiata che gli aveva permesso di soddisfare i propri vizi e capricci, nonostante avesse conosciuto anche lui la solitudine. Erano così vicini, quanto così lontani. Lewis James Moriarty aveva riferito a Holmes, nella propria richiesta di aiuto per il fratello, che il moro stesso era l’unico in grado di salvare Liam. Ma più di quanto aveva fatto che poteva fare, se non dargli il tempo di cui avesse bisogno per riaprirsi?
La mattina seguente, Sherlock si preparò prestissimo per andare a svolgere il suo lavoro di consulente investigativo, dato che la notte l’aveva trascorsa in bianco. Approfittò della buon'ora per godersi l’alba, altrimenti, a forza di stare chiuso fra quattro mura senza fare nulla, avrebbe finito per impazzire anche lui. Prima di uscire diede uno sguardo al biondo, che ancora dormiva, o fingeva di dormire. Il moro non disse nulla, né fece nulla, se non augurarsi in cuor suo che il compagno di stanza sarebbe stato forse anche meglio, senza lui nei paraggi, per avere spazio per riflettere e continuare a risolvere i propri conflitti interiori. Poi, con un leggero sospiro e un chino del capo, Sherlock si voltò e abbandonò la stanza.
Uscito dal centro che ospitava lui e Liam, si diresse verso il locale piú vicino per fare colazione. Appena entrato, gli capitó la sorpresa di vedere Billy seduto ad un tavolo. Udendo l’apertura della porta d’ingresso, il giovane alzó lo sguardo e notó la presenza dell’amico Coda di Cavallo (com’era solito chiamare Sherlock, data la sua abitudine di raccogliersi i capelli ribelli in una coda di cavallo).
“Oh ma buongiorno investigatore. Siamo mattinieri, oggi?”
Senza dire una parola, Holmes espresse un leggero dissenso con un ghigno sarcastico e andó a sedersi accanto al pistolero.
“Lo sai che non devi chiamarmi in quel modo o in altri simili. Io qui sono in incognito.” commentó il moro.
“Sí, scusa. È che non mi aspettavo di incontrarti cosí presto. Di solito ti alzi piú tardi...”
“Non ho chiuso occhio tutta la notte, dannazione! Cosa sarei rimasto a fare a letto? Avrei potuto prendere sonno all’ultimo momento e non riuscire ad alzarmi.”
“Uhm...” fece Billy, sfoggiando uno sguardo indagatorio. “È avvenuta un’altra crisi?”
Sherlock rispose con un silenzio assenso.
“Se posso permettermi, quanto ancora pensi di aspettare che si dia una smossa?” commentó il pistolero.
“Buongiorno.” disse un cameriere, interrompendo la discussione. “Perdonate la mia intromissione, ma cosa desidera il signore?”
“Va bene il solito, grazie.” rispose Holmes per rompere il ghiaccio. “Prego, arriva subito.”
Il cameriere si congedó, e il detective riprese la conversazione.
“Se proprio lo vuoi sapere, non lo so nemmeno io. Ho fatto tutto il possibile.”
“Non ci credo.” replicó Billy. “Non hai fatto il possibile. Fin dove ti sei spinto per spronarlo?”
Senza lasciarlo trasparire, Sherlock si sentí spiazzato da quella domanda che gli risultava quasi provocatoria.
“Cosa vuoi che ti dica? Tu, piuttosto, cosa pensi che dovrei fare?” chiese irritato.
“Prova a ricorrere a qualche misura estrema. Dico, ti sei lanciato da una torre, pur di riuscire a salvarlo, e ora ti trattieni? Cosa ci vuole perché tu riesca di nuovo a buttarti a capofitto?” disse Billy.
“E come faccio a risponderti?” disse Sherlock leggermente alterato. “In quel momento ho agito d’istinto, non sono neanche riuscito a pensare, per una volta.”
“È proprio questo il tuo problema: pensi troppo. Vedi sempre tutto come un enigma di cui bisogna sciogliere i nodi. È la tua deformazione professionale. Devi metterti in testa che l’animo, le emozioni e i sentimenti umani sono un groviglio continuo che non sempre si puó sciogliere. A volte bisogna fare un taglio netto. Non scioglierai i nodi del suo cuore, se continuerai ad aspettare che ti venga il lampo di genio e trovi la soluzione. Indipendentemente da ogni cosa, siamo comunque esseri umani, e lo sei anche tu.”
“Arriva al dunque, Mr. Psicologo. Qual é la migliore soluzione, secondo te?”
“Pensare di piú alla tua salute e fargli capire schiettamente che non potete andare avanti cosí per tutta la vita. Imponiti e digli con parole testuali che deve darsi una svegliata, per il bene di entrambi.”
Ci fu un attimo di silenzio, poi Sherlock emise un sospiro e posó la testa contro le dita della mano, il cui braccio era poggiato sul gomito al tavolo.
“Non posso farlo di punto in bianco. Ieri sera gli ho detto, per l’ennesima volta, che quando si sente mi puó parlare.” disse sconsolato.
Anche Billy emise un sospiro.
“Va bene, ho capito. A questo punto diglielo per gradi. Fai un passo alla volta e digli, ad ogni gradino qualche cosa in piú. Comincia col riferirgli che sei disposto ad aspettare, purché non se la prenda troppo comoda e tenga conto della tua preoccupazione.”
“È va bene, e va bene...” disse Holmes agitando la mano libera all’aria. “Proveró a fare come dici. Se le cose vanno male, almeno sapró con chi prendermela. Ora, se vuoi scusarmi, possiamo parlare di altro, visto quello che abbiamo da fare oggi?”
Detto fatto, i due colleghi non parlarono piú di argomenti inerenti a William, concentrandosi sul proprio lavoro. Sherlock, come sempre gli riusciva meglio, mise da parte le emozioni e si diede da fare con tutta la sua perspicacia. Si era apprestato per svolgere qualsiasi incarico, a patto che si trattasse di lavori che gli permettessero di rimanere a New York quanto piú possibile, nell’attesa che le condizioni di Liam migliorassero. Tuttavia, oltre a queste trattative, Sherlock non fece altre storie ai suoi superiori. Lui per il mondo era morto, era lontano dai suoi agi con i quali aveva vissuto prima di cadere dalla Tower Bridge, e non poteva certo permettersi di aspettare che gli dessero da risolvere casi che lui ritenesse alla sua altezza. Doveva fare tutto il possibile per guadagnarsi di che vivere e nel contempo contrbuire alle spese per la salute del caro amico.
A fine giornata, la maggior parte degli incarichi assegnati all’investigatore in incognito furono portati a compimento, e pochi rimasero in sospeso. Sherlock rincasó a Sole tramontato. Salí le scale, giungendo al piano dove si trovava la stanza che condivideva con Liam. Quando giunse alla porta, appena avvicinó la mano alla maniglia per aprirla, immediatamente si bloccó. Gli tornó in mente la discussione avuta con Billy quella mattina, riesaminando ció che egli gli aveva consigliato di dire al biondo, per cercare le parole giuste da dire. Restó lí davanti per un minuto, pieno di titubanza finché non rimenbró che Billy gli aveva anche raccomandato di agire a qualsiasi costo. Perció strinse i denti e si decise ad aprire la porta, pronto a prendere di petto la situazione. La spalancó a sufficienza e, quasi sorpreso, trovó Liam seduto sul letto, rivolto verso la finestra. L’uomo con l’occhio bendato rimase immobile, come se nulla intorno a sé stesse accadendo. Holmes prese un lungo respiro, e si fece avanti, chiudendosi dietro la porta. Si avvicinó a Moriarty e gli si sedette accanto, poggiandogli a fianco un sacchetto di carta con la cena.
Si sentí impacciato. Sapeva cosa doveva fare, ma continuava a chiedersi se dovesse trovare le parole giuste per parlargli. Le parole potevano essere un arma a doppio taglio, ed era una lezione che purtroppo aveva dovuto imparare, il giorno in cui aveva deciso che avrebbe fatto di tutto per salvare quel caro amico.
“Come ti sei sentito, oggi?” disse all’improvviso il moro.
Liam rimase in silenzio. Sherlock cercó di mantenersi calmo e rilassato, per non farsi prendere dal panico.
“Va bene, puoi anche non rispondere, se non te la senti. Peró ho qualcosa da dirti.” continuó l’amico Coda di Cavallo.
“Sono disposto ad aspettare che tu ti senta pronto per uscire dalla tua zona di comfort. Peró perdonami, ma non sarebbe ora che cominciassi a fare qualche passo, anche il piú piccolo?”
Lasció trascorrere qualche secondo di silenzio, stringendo i pugni sulle ginocchia.
“Dimmi almeno se c’é qualcos’altroaltro che posso fare, per esempio. Forse starai pensando che non ti capisco. È una cosa sulla quale ci ho riflettuto, in tutto questo tempo. Magari su alcune cose abbiamo dei punti di vista diversi, non abbiamo certo delle vite parallele. Peró ho sempre pensato che ci sono altrettante cose su cui siamo simili, e proprio per questo dobbiamo trovare un punto d’incontro. Dobbiamo trovare il modo per uscire da tutto questo.”
Dopo aver detto queste parole, raccolse il suo coraggio e si voltó verso il professore, sperando che i loro sguardi si sarebbero incrociati. Ma il biondo rimase col capo rivolto davanti a sé, il suo unico occhio funzionante era coperto dai capelli, e non diede neanche un cenno. Sherlock sospiró di nuovo.
“Liam, ti prego.” Lo supplicó. “Non voglio piú vederti in questo stato, ancor meno voglio vederti in preda ai deliri di notte. Io... io...” Il moro esitó un attimo. Si vergognava di quello che stava per dire.
“Io ho seriamente paura che se non mi dai la possibilità di aiutarti, finirai col fare qualche pazzia... cioé, voglio dire... Ho paura che tu possa arrivare a farti male, ad autolesionarti.”
Il muro fra loro due sembrava non volersi abbattere. Sherlock cominciava a sentirsi disperato, credeva che ogni sua azione sarebbe stata inutile. Ma, proprio in quel momento, Liam giró lentamente il capo verso di lui. Il suo occhio non era né caldo, né freddo.
“Perché?” disse il biondo, facendo sussultare l’altro. Era la prima volta, da quando avevano ripreso coscienza, che finalmente dava l’impressione di voler parlare seriamente, non tanto per rompere il silenzio.
“Perché ti spingi fino a tal punto solo per me?”
Sherlock rimase qualche secondo ammutolito, come se avesse perso la lingua, ancora incredulo che Liam si fosse deciso improvvisamente a parlare. Poi si schiarí la voce e diede la risposta.
“Mi sembra che sia chiaro il motivo, te l’ho anche detto apertamente...”
“Non intendevo quello!” sbottó quasi l’altro. “Perché mi reputi tanto importante? Cosa ho mai fatto per essere considerato in tal modo da te?”
Ancora una volta, Holmes si sentí spiazzato. Si domandó che risposta avrebbe mai potuto dare. Si rivoltó verso la finestra.
“Non lo so nemmeno io. Qualcuno mi ha detto che i sentimenti non sono come gli enigmi, a cui puoi dare una spiegazione razionale. Peró, se devo dire qualcosa, fin dal primo momento che ti ho visto e ho chiacchierato con te, ho subito avvertito che fra di noi c’era una sintonia. Era come se fossimo sulla stessa lunghezza d’onda. Nessuno, prima di te, era mai riuscito a sostenere una conversazione con me, nemmeno Watson. La seconda volta che ci siamo incontrati mi sono accorto di essermi entusiasmato come non mi era mai successo al di fuori dei miei casi da risolvere. Se mi spingo fino a tanto, evidentemente é perché, anche se ci sono state persone che mi sono rimaste vicine malgrado tutto, un mondo senza di te non avrebbe senso. Perché sei l’unico che mi capisce... perché se tu sparissi, sono sicuro che mi sentirei solo per davvero. Sono sempre stato solo, ma dopo averti conosciuto, la vita ha assunto qualche significato in piú.”
Liam guardó ancora un momento il compagno di stanza e, in seguito, si fece scappare un lieve sorriso.
“Capisco.” disse. “Comunque, hai ragione su molte cose.”
Queste parole richiamarono l’attenzione di Sherlock, che si giró nuovamente verso il biondo.
“Io e te siamo agli antipodi. Io non ho avuto la stessa fortuna che hai avuto tu di poter utilizzare il tuo talento per semplice diletto. Ho sempre usato la mia intelligenza per scopi di utilitá. Parlando di te, specificatamente, sei un bambino viziato nel corpo di un adulto. Non ti adatti per niente alla societá, e lo fai per semplice capriccio. Ti sei sempre adagiato sugli allori, prendendo la vita come se fosse un gioco. Ma, soprattutto, non sai cosa significhi soffrire la fame, cosa sia combattere ogni giorno per portare a casa un tozzo di pane. Non ti sei mai curato del fatto che il mondo sia crudele e che non sia una cosa scontata vivere come hai sempre vissuto fino agli ultimi mesi. Nel tuo mestiere ti sei sempre trovato faccia a faccia con la morte, ma non l’hai mai provata sulla tua pelle; non hai mai sentito l’odore di sangue che impregnava il tuo corpo.”
Tutto quanto arrivó alle orecchie del detective come frecciatine l’una di seguito all’altra, ma lui reagí ridendoci sopra. Non poteva in alcun modo contraddirlo.
“Peró hai ragione anche su un’altra cosa: entrambi conosciamo la solitudine. In questo mondo, le persone piú sono intellingenti, piú hanno una vita triste e solitaria.” arrivato qui, Liam tornó silenzioso come una tomba.
“E allora perché?” disse Sherlock. “Perché sembra che ancora non ti fidi di me? C’é forse qualcosa in cui sto sbagliando?”
Ma dopo quella breva conversazione, l’uomo dall’occhio color rubino non disse piú nulla per il resto della serata. Il silenzio caló nuovamente. Holmes comprese il bisogno di Liam di rimanere ancora con sé stesso. Del resto, anche Billy gli aveva consigliato di andare per gradi, se avesse ritenuto opportuno non forzarlo troppo. Perció l’investigatore decise di uscire dalla stanza, lasciandogli la cena che gli aveva comprato, e scese fuori, all’uscio del centro, per fumarsi una sigaretta. Quando poi rientró, il biondo si era giá messo in posizione supina, per dormire. Sembrava quieto, per il momento. Ma Sherlock decise di essere prudente e di rimanere a vegliare, dunque si sedette su una sedia vicino al suo letto e, quando avvertí il sonno che lo stava pervadendo, si appoggió con le braccia al materasso e sonnecchió. Temeva che a Liam sarebbe potuta venire un’altra crisi. Ma la notte passó in fretta, e senza che Holmes se ne accorgesse si fece subito giorno. Quando alzó il capo, il sole sorgeva su New York e sia Liam che Sherlock erano rimasti dov’erano. Non c’erano stati segni di crisi, avevano entrambi dormito di filato e senza interruzioni.
La cosa peró rassicuró poco il detective. Era ancora presto, per dire che le cose stavano andando di buon grado. Non poteva neanche essere sicuro se ci fosse una causa dietro quella notte quieta, o se fosse solo un caso raro, capitato per caso. Dovette aspettare la sera seguente, in cui avrebbe provato ad estrapolargli un’altra confidenza. Se anche la notte entrante fosse trascorsa normalmente, era probabile che la conversazione avuta il giorno prima avesse provocato un effetto placebo.
A sera calata, Sherlock, rincasando, trovó Moriarty in piedi, appoggiato al muro accanto alla finestra. Anche se il suo sguardo era nascosto dall’occhio bendato, poiché il moro lo vedeva di profilo, quest’ultimo capí che, probabilmente, l’altro stava guardando lontano, come se sperasse di scrutare qualcosa al di lá dell’orizzonte.
“Liam, tutto bene?” disse il moro, preoccupato. Fino ad allora lo aveva visto inchiodato al letto, in qualsiasi situazione. Questa era la prima volta che lo rivedeva in piedi.
“È successo qualcosa?” provó a indagare Holmes. “Sei riuscito a dormire stanotte?” si azzardó a chiedere.
“Nulla di nuovo.” rispose il biondo. “Questa notte il sonno non é mancato, ma gli incubi non passano. Mi sono svegliato dopo che tu eri andato via, in preda allo spavento. Ma comunque non ho avuto deliri, se é questo che mi vuoi chiedere.”
“Capisco.” disse Sherlock, avvicinandosi verso il letto di Liam e poggiando sul comodino il solito pacchetto con la cena. Si sedette sul materasso e si accese una sigaretta.
“Se ti senti di parlarne, ti ascolto quando vuoi.” Tese il braccio verso il compagno, tenendo in mano il pacchetto di sigarette. “Vuoi?” chiese.
Liam si giró e, notando il pacchetto, annuí con il suo solito leggero sorriso, e andó a sfilare anche lui una sigaretta. La accese e la fumó tenendo la mano libera in tasca e l’altra nella tipica posa dei fumatori.
“Questa notte...” disse all’improvviso il biondo. “Nei sogni ho visto mio fratello minore che si sacrificava al posto mio.”
Sherlock tese bene le orecchie in ascolto, mentre continuava a fumare.
“Forse mi sento in colpa perché l’ho coinvolto nel mio piano di epurazione.” riprese Liam. “Una volta mi ha testualmente detto che era pronto a seguirmi ovunque, e che non gli importava di doversi sporcare anche lui le mani. Non voleva sentirsi inutile. Eppure non riesco a spiegarmi da dove arrivi questo rimorso.”
Dopo aver fatto alcuni tiri con la sigaretta, il biondo, senza curarsi di finirla, la spense nel posacenere sul comodino vicino al letto e si diresse verso Holmes. Lo colse di sorpresa, inginocchiandoglisi accanto e appoggiandogli sulle gambe il viso, con i pugni che gli strattonavano i pantaloni.
“Sherly, pensi che Lewis stia bene?”
Il moro rimase un attimo incredulo. Ecco che gli capitava un’altra delle prime volte con Liam. In quel momento, si stava mostrando vulnerabile, e lo aveva anche chiamato Sherly. Gli stava parlando in modo diretto. Il detective scosse leggermente il capo, ricomponendosi. Pose la mano libera sui capelli del compagno, accarezzandogli.
“Penso che tuo fratello conosca bene i tuoi sentimenti. Non credo che farebbe mai nulla di folle. Sicuramente sa bene che tu desideri che lui viva.”
S’interruppe un attimo per fare un tiro, e poi soffió fuori il fumo.
“Tuo fratello deve essere una persona molto importante, per te. Dovrebbe essere naturale che tu stia cosí in pensiero.”
“Esatto, lo é.” disse Liam.
“Ieri parlavi di sentimenti, no?” continuó il biondo. “Hai detto che sono la prima persona con cui hai potuto parlare alla pari e tutto il resto? È lo stesso anche per me. Anche io mi sono sempre sentito solo, anche se avevo Lewis al mio fianco. Lui era tutto ció che avevo, era la prima ragione per cui ho sempre lottato e affrontato la vita, che era ogni giorno una sofferenza continua, la quale riuscivo a sopportare solo grazie a lui. Mi rendeva felice essere la sua ancora di salvezza, per questo motivo ho commesso tutti i miei peccati. Non l’ho fatto solo per i miei ideali, pensando di fare ció che era giusto. L’ho fatto anche per lui, perché non desideravo questo mondo ingiusto per mio fratello.”
Sherlock lanció, con uno scatto di dita, la sigaretta nel posacenere e, con la mano liberata, diede a Liam delle pacche sulle spalle.
“Dal mio punto di vista di fratello minore, sei un fratello maggiore davvero premuroso. Io e il mio ci siamo sempre, a mala pena, sopportati. Devo ammettere che provo invidia per Lewis. Se avessi potuto sceglie come, dove e quando nascere, avrei voluto far parte della vostra famiglia.”
Liam alzó leggermente il capo e buttó fuori una risata amara.
“Sei uno stupido, Sherly! Se cosí fosse accaduto, non saresti mai diventato il piú grande detective del mondo. Saresti stato parte della mia organizzazione di Signore del Crimine, e non avresti mai potuto salvarmi.”
Anche Sherlock si lasció andare ad una sottile risata.
“Giá, non hai tutti i torti. Se fosse stato diverso, non saremmo neanche qui a chiacchierare.” disse il moro.
La conversazione, quella sera, fu piú lunga del previsto. Non aprirono piú argomenti relativi allo stato di Liam, e si persero nel piú e nel meno. Questa volta, peró, l’aria intorno a loro fu meno tesa, rispetto alle volte scorse. Le confidenze che si erano scambiati avevano creato delle aperture fra di loro, anche se ancora piccole. Sherlock pensó che Billy aveva avuto ragione nel dirgli che fosse arrivato il momento di abbattere quel muro invisibile di traumi con qualsiasi mezzo. Gli aveva suggerito di ricorrere a misure estreme, ma alla fine anche quei gradini che Sherly e Liam, insieme, avevano iniziato a salire erano stati un ottimo consiglio da seguire.
Al calar della notte, Liam si sdraió sul proprio letto, mentre Sherlock rimase a vegliare fino a che non fosse sicuro che il caro amico si fosse addormentato serenamente, stando seduto sul bordo del materasso. Il brutto sogno che aveva fatto la notte precendente doveva averlo scosso, seppur, da quanto gli aveva riferito, non avesse manifestato segni di crisi. E dunque Sherlock aveva deciso di farlo sentire in qualche modo rassicurato con la propria vicinanza. In seguito, anche l’investigatore si mise a dormire, e chiuse gli occhi osservando Liam, nell’augurio che anche quella notte sarebbe filata liscia.
Le previsioni di Holmes si rivelarono corrette. Quando si sveglió, era giá giorno. Il suo sonno non era stato interrotto in alcun modo. Era proprio un effetto placebo quello che aveva ipotizzato avesse permesso al compagno di stanza di dormire tranquillo. I dubbi si erano ridotti di molto, dopo la seconda notte. E dato che non c’é due senza tre, Sherlock era quasi convinto che anche la terza notte sarebbe stata breve. La sicurezza gli permise di lavorare con mente piú lucida durante la giornata, e nelle pause si chiese, quasi con entusiasmo, cosa avrebbe potuto fare, una volta rincasato, per far fare un ulteriore passo a Liam. La sua calma non sfuggí agli occhi di Billy the Kid, che non tardó a fargli domande.
“Come sta andando, quindi? Ci sono novitá?” chiese. Senza girare intorno, Sherlock rispose arrivando al nocciolo.
“Sono due notti che non ha crisi. Incubi ancora sí, ma nessun delirio notturno.”
“Hai ricorso alle maniere forti?” continuó a domandare il pistolero.
“Perché?” disse Sherlock. “Sei stato tu a dirmi di provare per gradi, se non sbaglio. Sí, ho anche calcato la mano. Peró ha fatto il primo passo per riaprirsi.”
“Capisco.” disse Billy, dopo aver mandato giú un sorso della bevanda che aveva ordinato nel locale in cui si trovavano.”
“Stai comunque attento, peró!” riprese.
“Che cosa?” esclamó Sherlock.
“Potrá sembrare che io stia facendo l’avvocato del diavolo, peró non cadere nella trappola della zona di comfort. Voglio dire: va anche bene andare per gradi, ma attento che non si lasci viziare. La depressione é una cosa seria. All’inizio serve la comprensione, ma succede spesso che molte persone depresse se ne approfittino.”
“Smettila!” sbottó Sherlock, battendo una mano sul tavolo. “Non ti azzardare a dare a Liam del bambino capriccioso. Se devi trattare qualcuno in questo modo, fallo con me piuttosto! Liam é una persona che non ha avuto vita facile, non hai diritto di giudicarlo.”
Billy rimase apparentemente impassibile, di fronte alla reazione di Sherlock. Ma nella sua mente, il comportamento di Coda di Cavallo era stato come una pietra scagliata in faccia.
“Va bene, scusa. Calmati, adesso! Ci stanno guardando tutti. Ma rammenta comunque quello che ti dico. Lo faccio per il vostro bene, non sto dicendo niente con cattive intenzioni.”
Il detective, pieno di una rabbia che gli faceva ribollire il sangue, strinse il pugno della mano sbattuta sul tavolo. Odiava ammetterlo a sé stesso, ma si era reso conto di essere stato presuntuoso. Non poteva filare tutto liscio come l’olio. Per un attimo si era illuso che stesse facendo tutto il possibile, ma in realtà questo era solo l’inizio. Doveva tenersi pronto al presentarsi delle difficoltá.
Tornando a casa, si chiese cosa avrebbe fatto, dopo essersi ricongiunto con Liam che lo aspettava come sempre. Si domandó se era il caso di prendere seriamente il consiglio di Billy, oppure procedere con calma. Sull’entrata del centro ospedaliero, arrestó il passo e alzó gli occhi verso la finestra della camera che divideva con il biondo. Cadde in preda all’ansia. Fino a tarda mattina era stato sicuro che le cose stessero volgendo per il verso giusto. Ma le parole di Billy, anche non avevano voluto essere uno scoraggiamento, lo avevano in parte demoralizzato. Non sapeva piú che cosa fare. D’un tratto ebbe un abbaglio e si ricompose. Con entrambe le mani si schiaffeggió le guance due volte in contemporanea. Quante storie, che stava facendo! Sarebbe bastato fare, per il momento, quello che riusciva. Doveva stare calmo e riflettere anche lui passo per passo, senza affrettarsi.
Rimesse in sesto le rotelle, entró nel centro e si appropinquó verso la propria stanza. Senza esitazione, aprí la porta e disse: “Eccomi, sono tornato.” Liam, che era di nuovo in piedi davanti alla finestra, rispose con il solito “Bentornato”.
“Vedo che prendi anche oggi una boccata d’aria, eh?”
Dopo un breve silenzio, Liam rispose: “Effettivamente ne avevo bisogno.”
“Eh... giá!” disse Sherlock, grattandosi la nuca.
Come un fulmine a ciel sereno, un’idea gli passó per la testa e disse: “Senti, perché allora non andiamo in terrazzo? Non pensi che un po’ di aria aperta ti farebbe ancora meglio?”
In parte, la sua era una scusa per farlo uscire fuori. In tutti quei mesi, Liam non aveva messo piede fuori dal centro, sotto il pieno cielo, neanche una volta. L’uomo annuí, e decisero entrambi di dirigersi insieme sul posto. Percorsero il corridoio che conduceva alle scale per andare sul terrazzo. Salirono gli scalini. Ma, quando furono all’ultima rampa di scale, d’un ratto Sherlock sentí i passi di Liam arrestarsi. Accortosi del fatto, si fermó e si giró verso di lui. Lo sguardo del biondo era impenetrabile come sempre, ma era chiaro che ci fosse qualcosa che lo turbava.
“Che cosa c’é, Liam?” chiese Sherlock.
Non ottenne risposta. Vide solo il viso di lui chinarsi. Liam sentí le gambe che tremavano, e cominció a perdere l’equilibrio. Per non rischiare di finire con la faccia sbattuta a terra, si accasció al muro e si aggrappó alla ringhiera. Partirono dei battiti cardiaci all’impazzata, fino a fargli dolere il petto e sentire il respiro che mancava. Seguirono dei fiati corti e affannati. Liam si strattonó la mano sul cuore e cadde in ginocchio sui gradini.
“Liam!” disse Sherlock, che si lanció verso di lui. Il biondo stava avendo un attacco di panico. Senza fermarsi a fare domande, il detective cercó di aiutarlo a rialzarsi in piedi. Dopo averlo sollevato, si mise il suo braccio intorno alle spalle, sorreggendolo e aiutandolo a camminare, scendendo le scale.
Che stupido! Sono uno stupido! Si rimproveró, mentalmente, Holmes.
Gli ho fatto fare il passo piú lungo della gamba. Che cretino, sono stato! Alla fine mi sono proprio illuso che sarebbe stato facile, maledizione!
Facendo piú in fretta possibile, Sherlock riaccompagnó Liam fino al corridoio, dove i suoi respiri tornarono regolari e si calmó.
“Liam, é tutto a posto?” disse il moro rivolto verso di lui. Il biondo si ristabilizzó immediatamente sulle proprie gambe e respinse in malo modo Holmes, voltandogli poi le spalle e non rivolgendogli neanche un’occhiata.
Il moro abbassó gli occhi, preso dalla vergogna.
“Scusa, io... io non...”
Moriarty non lo lasció finire di parlare e, ignorandolo, riprese a camminare nella direzione del loro alloggio. Osservandolo mentre si allontanava, Sherlock si stropicció il viso e si passó le mani nei capelli. Gli tornarono i dubbi. Quello che era appena successo era forse prova di ció che aveva detto Billy? Del fatto che la stava facendo troppo comoda a Liam? Oppure era sintomo che la sua depressione era ancora troppo forte? Forse Sherlock aveva corso troppo...
Merda! pensó. Non posso stare a qui a rimuginare, devo trovare il modo di scusarmi...
Decise di raggiungere Moriarty in stanza. Arrivato sul posto, bussó alla porta. Era il minimo che poteva fare, dato come si erano implicate le cose fra di loro.
“Liam, Sei lí? Sto entrando?”
Giró la maniglia, aspettandosi di trovare la porta chiusa a chiave. Ma non fu così: la porta si aprí e Sherlock entró, chiudendosela poi dietro.
“Ecco...” borbottó. “Ti chiedo scusa... io... io volevo solo...”
“Non prendertela!” lo interruppe Liam. “È stata anche colpa mia. Sono stato io a correre. Credevo di essere pronto, ma ho preteso troppo da me stesso.”
Udendo quelle parole, il moro intuí che fosse giá pace fatta. Tuttavia, chiese il permesso di sederglisi accanto. Al solito, il biondo rispose con un cenno del capo, annuendo. Quindi Sherlock fece come aveva chiesto. Poggió gli avambracci sulle cosce divaricate, congiungendo i polpastrelli delle dita delle mani.
“Lo sai, vero? Desidero solo che tu guarisca. Io... io...”
Inconsciamente, Sherlock inizió a battere il piede in modo continuo. Lo faceva sempre, quando era nervoso. Col pollice e l’indice di una mano si afferró le tempie, cercando di mantenersi lucidi.
“Mi sento cosí inutile! Mi sembra che non sto facendo niente, e nel frattempo nulla cambia. Maledizione!”
“Sherly...”
“È proprio come hai detto l’altro ieri. Sono solamente un infante! Non sono per niente capace di prendermi le mie responsabilitá.”
“Sherly...”
“Che cosa ho fatto per tutta la vita? A che cosa mi servono, adesso, tutte le mie conoscenze, se non riesco neanche a...”
“Sherlock!” sbottó Liam, afferrando il braccio di Holmes e imponendogli di ascoltarlo.
“Non hai di che sentirti in colpa. Stai facendo piú di quello che credi. In quanto a quello che é successo prima, lo facevo giá da tempo. È da giorni che cerco di riuscire a mettere fuori il naso.”
Il detective sussultó, sorpreso.
“Questo é stato solo l’ennesimo tentativo. Quando mi hai invitato a salire sul terrazzo ho accettato perché credevo che se l’avessi fatto con te ci sarei riuscito.”
“Ma... allora...”
“Non é con te che mi sono arrabbiato, ma con me stesso. Mi sono arrabbiato per aver fallito di nuovo, e per aver fatto quella figura patetica davanti a te. Non volevo che mi vedessi in quella condizione.”
Dicendo questo, Liam si strattonó con le mani le ginocchia.
“Anch’io mi sento esattamente come te. Mi sento inutile. Il mondo vá avanti, mentre io sono ancora qui a commiserarmi e non so nemmeno cosa fare, o con quale ragione agire.”
Avvertendo una fitta al cuore, il moro riacquistó luciditá e si calmó. Si lasció cadere in avanti col busto e poggió la faccia sulle mani, reggendo le braccia sui propri ginocchi. Erano entrambi avviliti.
“Liam...” disse Sherlock, massaggiandosi il viso. “Dimmi almeno che cosa ti divora tanto, se questo puó servire a qualcosa.”
“È l’Inferno che ho dentro.” disse Liam.
“Dentro di me c’é un fuoco infernale che brucia da una vita. Brucia per la rabbia nei confronti del mondo, per le ingiustizie da cui ero sempre circondato... È sempre stato lí e non si é mai spento. Ti prego, non sentirtene responsabile, ma da quando mi sono aggrappato a te é diventato un dolore incontrollabile. L’unico modo che avevo per tenerlo a bada era essere il Signore del Crimine, compiendo la mia giustizia. Anche se, facendo così, mi rendevo conto che stavo solo gettando olio sul fuoco, facendolo divampare ancora di piú. Peró sono sempre andato avanti, anche per mio fratello. Lui era la prima causa per cui riuscivo a tenere a bada quell’Inferno che mi divorava.”
Liam sospiró.
“Peró...” riprese. “Anche avendo Lewis con me, era lo stesso tutto difficile. Ero responsabile del mio fratellino, ero una spalla su cui poteva reggersi. Peró io non avevo nessuno su cui fare affidamento, se non me stesso. Dovevo essere sempre autonomo e non potevo dimostrarmi mai debole di fronte a Lewis, altrimenti ero certo che si sarebbe sentito una zavorra inutile. Quando é arrivato il primogenito del Conte Moriarty, che ci ha adottato, le cose sono in qualche modo migliorate. Ma questo non colmava ancora quel senso di solitudine che avvertivo. Sono diventato il Signore del Crimine perché credevo che per me non potesse esistere alcuna realtà rosea e che la mia unica destinazione fossero le fiamme dell’Inferno. L’unico scopo a cui potevo aggrapparmi, per dare un senso alla mia esistenza, non era altro se non quello di diventare il Diavolo in terra e fare tutto il possibile per dare a mio fratello e a chiunque soffrisse come noi un mondo dove si potesse almeno respirare. Credevo di dover essere l’agnello sacrificale la cui morte avrebbe portato a una nuova era.”
“Ma perché?” scattó all’improvviso Sherlock. “Perché mai devi arrivare a tanto? Come puoi non amare neanche un po’ te stesso e decidere di porre fine alla tua vita cosí?”
Liam replicó, mantenendosi calmo. “Ma che speranza ho mai avuto io? Che speranza potrebbe mai avere un assassino? Nessuno vuole avere a che fare con un criminale?”
“Sei uno stolto!” disse il moro, alterandosi sempre di piú e balzando in piedi. “Nessuno vorrebbe avere a che fare con te, dici? E io, allora? Io non conto niente, alla fine della storia? E neanche tuo fratello e tutte le persone che sono state al tuo fianco, sostenendoti?”
“Sherly...” disse Liam con tono severo. “Anche se avessi ragione, non posso lasciarmi tutto alle spalle in un istante e prendere subito una decisione, se é a questo che vuoi arrivare.”
“Dannazione!” disse Sherlock, agitando le braccia coi palmi delle mani rivolti verso l’alto.
“È proprio questo che ti sto chiedendo: che cosa devo fare per aiutarti?” continuó, risedendosi poi sul letto e inclinandosi verso il biondo, cercando di farsi ascoltare.
“Deve pur esserci qualcosa che si puó fare, no? Ci sará anche la piú piccola ragione per indurti a...”
“Basta adesso!”
Ad un tratto, Liam disse queste parole con un tono che sapeva di dolce e amaro, poggiando delicatamente le dita della mano sulla bocca dell’investigatore, e facendolo zittire. E dopo ripose la mano sulle gambe. Si lasció andare con il busto, accasciandosi alla spalla di Holmes.
“Acquietati! Non so ancora che cosa fare, ma non cercheró ancora una volta di morire.”
Il biondo affondó la testa tra la spalla e il collo del moro.
“Troveró un modo per uscirne, fidati. Mi basta solo che tu continui a restarmi vicino.”
Udendo queste ultime parole, Sherlock avvertí un sussulto al cuore e, senza che se ne accorgesse, gli salí il rossore al viso. Le sue mani si rilassarono, schiudendo i pugni. Si sentí di nuovo impacciato, incerto di cosa bisognerebbe fare in un momento simile. La prima cosa che gli venne in mente fu di cingere a Liam le spalle. Lentamente, e in maniera insicura, spinse il braccio indietro, lo sollevó lungo la schiena del compagno di stanza, ed infine strinse quest’ultimo a sé, scontrando il proprio capo con il suo.
“Te l’ho detto: non esiste nulla d’imperdonabile in questo mondo. Adesso non sei piú solo. Quindi non temere, Liam! L’Inferno non ti avrá mai, te lo prometto.”

In seguito al trascorrere di quella sera, nella cui Sherlock non smise di vegliare piú che poteva su William, le crisi si ridussero sempre di piú. Gli intervalli fra l’una e l’altra si allungarono fino a che esse non scomparvero del tutto. La depressione peró, non cessó per altri due anni, in cui Liam non riuscí in alcun modo a tornare a vivere normalmente, dipendendo dalle cure psicologiche e da Holmes, che, ogni volta che era presente, gli stava vicino. La stabilizzazione, anche se limitata, del compagno di stanza, permise peró all’investigatore di allentare le restrizioni che aveva richiesto nel suo lavoro, trascorrendo anche giorni interi lontano da Moriarty e, in taluni casi, anche da New York.
Passato questo lungo periodo, una mattina Sherlock trovó la stanza del centro ospedaliero vuota. Per la preoccupazione, cercó in lungo e in largo per il centro Liam, temendo che potesse essere sparito da qualche parte e, inaspettatamente, lo trovó sul terrazzo, seduto su una panchina. Fu un grande sollievo, non solo per averlo trovato, ma anche perché il biondo era riuscito a uscire all’aria aperta. Non poteva che essere un buon segno, nel suo percorso di guarigione.
Fu lí che William dimostró di aver superato la depressione. Nei dialoghi che si scambiarono, era chiaro che Liam aveva finalmente trovato una ragione per cui vivere. Le parole del biondo erano piene di calore e di un forte senso di rinascita. Ed infine, una lacrima gli scivoló dall’occhio cieco, la lacrima di un pianto liberatorio che lavó via le sue pene.
Da lí in avanti sarebbe iniziata una nuova strada per entrambi, un nuovo futuro li attendeva. Non sarebbe stato facile, ma lo avrebbero affrontato insieme, sostenendosi a vicenda.

 

   
 
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