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Autore: Lily Liddell    20/08/2023    0 recensioni
Un essere umano e Loki collaborano da anni, finché qualcosa non disturba la loro pacifica relazione di fedele-venerato.
Per poter continuare ad avere il dominio del caos, Loki dovrà affidarsi ai suoi seguaci e ad altre divinità, altrimenti potrebbe essere la fine dei giochi per il dio degli inganni.
Si prospetta una lunga avventura.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Bondage, Contenuti forti, Violenza
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Il bar si chiamava La Giumenta e la strana coppia si incontrava lì una volta a settimana, il sabato, alle nove in punto del mattino.

 

Agli occhi di chi li guardava, lei era soltanto una donna di bassa statura – o che comunque di fianco al suo accompagnatore sembrava decisamente minuscola – con lunghi capelli e occhi castani e qualche chilo di troppo.

 

Lui, invece, era un uomo alto più di due metri, con gli occhi di un verde così brillante da fare luce e i capelli così rossi da sembrare fatti di fiamme vive.

 

Quello che gli altri non sapevano era che lei non era affatto una donna e lui non era affatto un uomo.

 

D'accordo, sì, lei usava anche pronomi femminili, ma per comodità. Non si identificava in nessun genere binario, e potendo, evitava di usare il maschile o il femminile facendo voli pindarici con le parole.

 

Lui... lui era Loki.

 

Loki il Grande, Loki il Magnifico. Che modificava il suo genere a piacimento, che non sapeva nemmeno cosa fosse un "genere"... a dire il vero, lui e Maggie – così si chiamava l'umana – ne avevano parlato e Loki si era dilungato in un monologo su quanto fossero inutili e insulsi i pronomi per una creatura nobile come lui. E che li avrebbe usati tutti, perché limitarsi a uno solo era ridicolo, in base a come si fosse sentito in quel momento.

 

E in quel momento, di fronte a Maggie c'era un tipo con un lungo pizzetto intrecciato, dello stesso rosso dei capelli.

 

«Che cosa vuoi?» chiese Maggie, sembrava che avesse già esaurito la sua pazienza.

 

Loki si guardò intorno. «Un caffè freddo, senza zucchero».

 

Maggie inspirò attraverso le narici. Ballavano sempre la stessa danza. Prima o poi l'avrebbe strozzato – o ci avrebbe provato e sarebbe finita a testa in giù con un serpente che le faceva gocciolare veleno in faccia per l'eternità.

 

«Per te. Cosa vuoi che faccia per te questa settimana?» ripeté nello stesso tono che si userebbe con un bambino. Un bambino un po' tonto.

 

«Vorrei che mi offrissi un caffè. Un caffè freddo, senza zucchero» ripeté Loki, senza batter ciglio. Davvero, non batteva le palpebre, mai.

 

«Tanto pago sempre io! Dai, smettila di perdere tempo... vuoi dirmi che devo fare questa sett... oh... vuoi che ti offra un caffè freddo? Davvero?» Maggie aggrottò le sopracciglia. Lavorare con Loki, per Loki, era strano. Molto strano... di tanto in tanto era ai limiti dell'allucinante. Alcune sue richieste erano folli, questa non era del tutto folle... era solo... singolare.

 

«Senza zucchero» confermò. Poi, si alzò e in un battito di ciglia – di Maggie – se ne era andato. Nessuno sembrava essersi accorto che adesso al tavolo c'era solo una persona.

 

Un cameriere si avvicinò al tavolo, pronto a prendere le ordinazioni, sorridente. «Cosa ti porto?»

 

Maggie sembrava una statua di sale ma quando il cameriere le rivolse la parola, tornò a essere un essere umano. «Una cioccolata calda, grazie... e un caffè freddo da portar via... senza zucchero».

 

Gustò la sua consumazione lentamente, pagò e indossò il suo lungo cappotto di finta pelle nera che però la teneva bene al caldo. L'offerta di Loki era custodita in un bicchiere di carta dove qualcuno con un pennarello nero ci aveva scritto "Locke".

 

Fuori dal locale il vento di novembre era gelido. Un pallidissimo sole tentava di riscaldare le strade di Londra, affollate come al solito.

 

Con passo svelto Maggie raggiunse la fermata della metro di Camden Town; nel giro di mezz'ora era già alla fermata di Fulham Broadway e iniziò a incamminarsi verso casa.

 

Gli stivali neri non facevano rumore sull'asfalto mentre passava davanti alle villette a schiera, tutte incredibilmente uguali; pensava a organizzare la giornata. Iniziava il turno di lavoro alle otto, quella sera. Aveva un bel po' di tempo per fare un sacco di cose... certo, anche riposare... visto che anche la sera prima aveva lavorato fino al mattino e non aveva praticamente dormito, visto che Loki aveva voluto un incontro alle 9:00 in punto.

 

Lesse il nome scritto male sul bicchiere di carta e sogghignò. Oh, lo avrebbe odiato.

 

Una volta raggiunto il suo marciapiede, alle sue orecchie cominciarono ad arrivare delle urla familiari. Sorrise.

 

Una sfilza di oscenità e profanità rivolte a un postino che in quel momento stava passando i cinque minuti peggiori della sua vita, per colpa un uomo di mezza età che gli starnazzava in faccia tutta la sua frustrazione. Probabilmente gli aveva consegnato la posta nel modo sbagliato...

 

«'Giorno Robert!» Maggie lo salutò cordialmente, ignorando completamente la scena, avvicinandosi al portone di casa sua. Robert e la sua inconfondibile voce vivevano al piano di sopra.

 

Il torto del postino era tale da averlo costretto a scendere in pigiama – una t-shirt degli AC-DC e dei boxer che a novembre avrebbero fatto congelare chiunque, ma evidentemente quell'uomo aveva un fuoco che gli ardeva dentro che lo riscaldava perpetuamente... era l'unica spiegazione. Quella o stava andando in andropausa...

 

Ci fu silenzio per una frazione di secondo, gli occhi azzurri del giovane postino (che non poteva avere più di vent'anni) e quelli nocciola di Robert si poggiarono entrambi su Maggie.

 

«Maggie...» la salutò lui, perplesso. Era sempre perplesso quando qualcuno lo salutava gentilmente e non lo mandava a quel paese. Non era facile averlo come vicino, ma una volta imparato a conoscerlo diventava piacevole. «Questo coglione mi ha lanciato un pacco di Amazon dal cancello!» spiegò, esasperato. Ci aveva preso in pieno...

 

Maggie lanciò un'occhiata difficile da leggere al postino, poteva significare: "hai commesso l'errore della tua vita, mi dispiace" oppure: "che razza di postino sei? Lanciare un pacco? Vergognati!" adesso stava al ragazzino scegliere.

 

«Io ho bussato! Due volte...» provò a giustificarsi lui.

 

Da lì ricominciò una pioggia di grida e insulti, Maggie entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle e togliendosi la giacca.

 

Sospirò.

 

Rimase qualche istante a osservare il bicchiere di carta con il nome scritto male, mentre le urla di Robert che insultava il postino arrivavano ovattate da dietro la porta.

 

«Non te lo meriteresti...» disse.

 

Poi, andò verso il suo altare.

 

Casa sua era accogliente; nell'ingresso c'era un tavolino accanto alla finestra e su di esso c'erano tutte le cose dedicate a Loki.

 

Una tovaglia arancione lo ricopriva, sopra vi erano poggiate varie cose tra cui una candela verde, qualche statuetta di cavalli e ragni, qualche piattino per le offerte e una bottiglia di idromele con un calice, per le occasioni speciali. 

 

Maggie sollevò il calice e andò a sciacquarlo in cucina, poi ci versò dentro il caffè freddo, lavò il bicchiere vuoto e lo buttò nella raccolta della carta, poi tornò all'ingresso e poggiò il calice sull'altare. Accese la candela verde e si sedette al tavolo, pensierosa.

 

«C'è qualcosa sotto, vero? Ti conosco...»

 

Stava per prendere le rune per chiedere risposta a loro quando il campanello della porta la fece trasalire.

 

Si affrettò a spegnere la candela, lasciò l'offerta sull'altare e poi andò alla porta.

 

Era Robert, che liberatosi del postino si era presentato alla sua porta con l'aspetto di un cane abbandonato che non sapeva dove andare a sbattere la testa.

 

«Volevo chiederti scusa... per il chiasso di prima» mise insieme quelle parole con qualche difficoltà, sembrava imbarazzato.

 

Maggie sbatté le palpebre qualche volta. Lavorando con Loki da tanto tempo, ormai, era diventata una specie di macchina della verità umana.

 

«Non mentirmi... era l'accordo, no? Dovevamo essere sinceri. Vuoi scopare?»

 

Tutta la rabbia e la sicurezza che aveva mentre urlava in faccia al povero postino, sembrò sciogliersi come neve al sole mentre parlava con Maggie. Sembrava un'altra persona. Guardò a destra e sinistra, come se qualcuno potesse essere in ascolto.

 

Non sarebbe stata la prima volta, né l'ultima probabilmente. Maggie gli prese la mano e lo incitò a entrare, chiudendosi la porta alle spalle.

 

Fu solo più tardi, quando entrambi erano intrecciati nelle coperte del letto e fissavano il vuoto che Maggie si azzardò a dire: «Non tornerà più... David... è andato via, non tornerà. È un anno che se ne è andato, Robert, devi voltare pagina».

 

Maggie era stesa supina, Robert aveva la testa poggiata sulla sua spalla. Entrambi erano nudi e coperti dal caldo piumone del letto di Maggie. A sentire quelle parole, però, Robert si irrigidì.

 

«Non voglio più essere un ripiego segreto nel caso il tuo ex marito torni... cioè, non fraintendermi, se dovesse tornare a me non dispiacerebbe condividere, però... così sta diventando ridicolo».

 

«David non condividerebbe proprio un bel niente» di nuovo quel tono duro; lo sapeva che non potevano continuare così. Si girò di spalle. «Per te è facile... la tua vita è facile. Spensierata... La mia...»

 

Maggie gli poggiò un bacio sulla nuca. «La mia vita è caos. E pensi davvero che sia facile? Hai mai visto foto della mia famiglia in giro per casa? Questa spensieratezza, come l'hai chiamata tu, me la sono guadagnata. Ho abbandonato casa mia, ho conosciuto persone nuove che potessi considerare una famiglia... perché non vieni stasera al locale dove lavoro? Vedrai, è una seconda casa».

 

Non ottenne risposta, il che non era del tutto un male. Voleva dire che Robert ci stava pensando. Gli poggiò un altro bacio sulla nuca, gli accarezzò i capelli sale e pepe e poi si alzò dal letto, infilandosi una vestaglia. Si era quasi fatta ora di pranzo.

 

«Rimani a mangiare, hai bisogno di cibo che non provenga da scatolette».

 

Maggie cucinò costolette di capra, con contorno di patate e piselli. Fece tre porzioni, la prima la poggiò sull'altare e poi si mise a tavola con Robert.

 

Quando ebbero finito di mangiare, Robert si alzò per iniziare a sparecchiare, ma un rumore proveniente dall'ingresso lo fece trasalire.

 

«Cos'è stato?» si allarmò.

 

Maggie sembrava piuttosto calma. «Sarà il gatto».

 

«Hai un gatto?»

 

«Ogni tanto. È un randagio che entra dalla finestra del ripostiglio, quando la trova aperta. Sai, quello di cui il signor Darren si lamenta sempre perché ha messo incinta due volte la sua gattina di razza... l'ho chiamato Principessa» spiegò lei, finendo di bere l'ultimo sorso di vino.

 

«Hai chiamato quella pantera nera "Principessa?"» chiese, scettico. «Peserà otto chili e ha mezzo orecchio che gli manca».

 

«Che c'entra? Ha l'animo nobile...» fece lei, convinta.

 

«Sì, ma... "Principessa"...» insistette Robert, sollevando un sopracciglio. Certe volte ragionare con Maggie era impossibile.

 

«Principessa adora il suo nome, lascia stare, non capirest...» fu interrotta da un altro rumore, di posate e stoviglie che si spostano.

 

«Questo non è un gatto» ne convenne Robert, poggiando tutto sul tavolo e lasciando la cucina per dirigersi verso la fonte del rumore.

 

Maggie sbuffò e si alzò a sua volta; lo trovò all'ingresso che osservava a bocca aperta quello che stava succedendo.

 

«Ma che cazzo...?» Robert rimase immobile a fissare Loki che divorava in due bocconi le offerte di cibo e bevande che Maggie gli aveva fatto, poi si puliva la bocca con la manica del cappotto scuro che indossava.

 

Per essere una divinità nordica, il suo stile era parecchio moderno. Indossava un paio di jeans scuri e attillati, una giacca scura e lunga e un paio di scarponcini in camoscio. I capelli erano lunghi e rossi, al momento li teneva legati in una coda da cavallo. Il pizzetto era sporco di purea di patate.

 

«Ti è rimasto un po' di roba qui...» lo avvisò Maggie, indicandosi il viso. Dal tono di voce chiaramente non era felice di trovarselo tra i piedi così, senza preavviso.

 

Loki si ripassò la manica della giacca sulla bocca, pulendosi per bene. «Tutto delizioso, come al solito. Apprezzo molto quello che fai per me... davvero» poi si voltò verso Robert e parve notarlo solo in quel momento, eppure lo conosceva già. In teoria.

 

«Robert, ti ricordi di Loki...»

 

«Sì...»

 

«Ovviamene si ricorda di me!»

 

Loki si era presentato a casa di Maggie mesi prima, senza avvisare, una sera che Robert era rimasto a guardare un film. Lei aveva cercato di farlo passare per suo padre, ci sarebbe anche riuscita perché l'età di Loki era assolutamente indecifrabile e Robert non ricordava quanti anni avesse Maggie (ricordava solo vagamente che fosse più verso i quaranta che i trenta) se non fosse stato per Loki il quale mentre si vantava della sua prole aveva iniziato a elencare cavalli a otto gambe, serpenti giganti e dèi a capo di regni infernali. A quel punto Robert l'aveva mandato a quel paese (con parole molto più colorite) e Loki di tutta risposta si era trasformato in una mosca davanti ai suoi occhi da non-credente per fargli rimangiare tutto.

 

Il risultato fu che Robert vomitò anche la cena del giorno prima e svenne per quasi venti minuti ma quando tornò in sé, dopo diverse ore di spiegazione da parte di Maggie, Loki era effettivamente riuscito ad aprirgli gli occhi, rendendolo un credente. Non un seguace, perché Loki non aveva fatto una così bella impressione, però.

 

«Che cazzo ci fa qui?» Robert si mise fra lui e Maggie, con fare protettivo.

 

Loki indicò l'altare, confuso. «Sono venuto a ritirare le mie offerte? Mags... credevo glielo avessi detto».

 

Maggie sospirò profondamente, mettendosi le mani tra i capelli. «L'ho fatto. Prima che tu ti trasformassi in una mosca. Ha battuto la testa quando è svenuto, forse si è dimenticato tutto...»

 

«No... no... io ricordo tutto, perfettamente! Volevo dire... adesso! Cosa cazzo ci fai qui adesso?» Robert suonava sempre più minaccioso e la cosa poteva diventare pericolosa. Se Loki iniziava a vederlo come un affronto, Robert si sarebbe cacciato in un bel guaio.

 

Maggie prese Robert per un braccio e lo tirò via, cercando di calmarlo. «Lavoro per lui, nel tempo libero. Mi dà delle cose da fare, te l'ho spiegato. Gli ho fatto delle offerte di cibo ed è venuto a ritirarle, è tutto normale. Può entrare e uscire da casa mia quando vuole... è una divinità, non ha bisogno delle chiavi o del permesso».

 

Lo sguardo di Robert era chiaro: la cosa non gli piaceva affatto. Solo perché credeva che una cosa esistesse non voleva dire che accettava tutto quello che comportava.

 

«Dobbiamo parlare» fece Loki in tono serio.

 

Oh, no. Quello non era per niente un buon segno.

 

«Robert, senti... è importante, possiamo vederci dopo? Vieni da me al club stasera, per favore» Maggie gli sorrise, sporgendosi sulle punte per poggiargli un bacio a fior di labbra.

 

Robert si rilassò per una frazione di secondo, prima di tornare vigile. La presenza del dio dell'inganno non lo metteva affatto a suo agio. Spostò il suo sguardo da Loki a Maggie, poi annuì, sconfitto.

 

«Se hai bisogno di aiuto chiama...»

 

 Loki sbuffò una risata. Era più alto di Robert di quasi due spanne, aveva dalla sua i poteri degli dèi di Asgard... quel piccolo mortale davvero non aveva idea dei guai in cui si sarebbe potuto cacciare, se solo non avesse avuto la protezione della sua prole a farle da scudo.

 

Quando la porta di casa di Maggie si chiuse dietro le spalle di Robert, Maggie si voltò verso Loki e rimase in silenzio per qualche attimo. Lo fissò con uno sguardo serio, in attesa.

 

Lui non sembrava voler sputare il rospo, quindi, alla fine, chiese: «Allora? Che succede?»

 

E Loki rispose, con lo stesso tono con cui si elencherebbe la lista della spesa: «Oh, niente di che. Odino è scomparso e c'è una guerra in arrivo».

   
 
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