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Autore: Shainareth    25/08/2023    1 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Quel pensiero la incupì ulteriormente: Athrun era un mago nel colpevolizzarsi per errori che magari neanche aveva commesso. Era riuscita a salvarlo per il rotto della cuffia quando aveva deciso di farsi saltare in aria con il Justice nel tentativo di distruggere il Genesis voluto da suo padre; e si era ritrovato coinvolto in buona fede nelle meschine manipolazioni di Gilbert Dullindal sempre per via di quel dannato senso di responsabilità che si era cucito addosso.
Le venne da ridere, rendendosi conto di quanto lei stessa fosse ipocrita: non si trovava forse lì, a capo degli Emiri, perché stava facendo le veci dell’uomo che l’aveva cresciuta? Nel bene e nel male, le eredità paterne di entrambi pesavano come macigni.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE: Il primo capitolo di questa storia riprende le ultime tre shot (riviste) da me scritte e pubblicate online. Se le avete già lette, passate direttamente al secondo capitolo, altrimenti potete proseguire qui sotto (foss'anche solo per rinfrescarvi la memoria).








CAPITOLO PRIMO
 


«È così giovane, ma è davvero in gamba», stava dicendo la prima, entrando nella stanza e credendo fosse ormai vuota a quell’ora del giorno. Con il sole al tramonto, il palazzo semideserto e le tende in parte chiuse, l’errore era più che giustificabile. «Gira voce che nel periodo fra le due guerre si fosse già rifugiato qui in anonimo.»
   «L’ho sentito dire anche io!» esclamò l’altra, chiudendosi la porta alle spalle. Erano entrambe troppo distratte dai loro pettegolezzi per guardarsi attorno. «Sarah, la ragazza che sta giù all’accettazione, giura di averlo visto in una foto risalente a quel periodo.»
   «Davvero? Chissà che ci faceva, qui…» sospirò la prima, aprendo uno degli archivi in cui le avevano detto di riporre ordinatamente i vari fascicoli che lei e la sua collega più giovane reggevano fra le braccia.
   L’altra si strinse nelle spalle. «Beh, pensaci: era un disertore di ZAFT e aveva voltato persino le spalle al suo stesso padre. Forse sui PLANT non lo vedevano di buon occhio e Orb deve avergli dato rifugio sotto falso nome.»
   «Può darsi… Però, perché mai poi è tornato ad arruolarsi in ZAFT?»
   «Questo lo ignoro», ammise pensierosa, prima di lasciarsi sfuggire un sorrisetto malizioso. «Tutto ciò che so è che è un gran fico.»
   «Quindi non sono l’unica a pensarlo!» si lasciò scappare la prima, voltandosi a guardarla con aria tremendamente divertita.
   «Ma va’», fece l’altra. «Praticamente quasi tutte le più giovani sono innamorate di lui. Ha un fisico da urlo e dei modi da vero gentleman.»
   «Ed è anche molto intelligente!»
   Questo era opinabile, pensò Cagalli. Si era rintanata in quell’ufficio più di mezz’ora prima, sperando di rendersi irreperibile e di poter esaminare con calma un dossier che le avevano passato gli altri Emiri quella mattina. Le due ragazze, delle quali lei ignorava i nomi, non si erano accorte della sua presenza e lei non aveva fatto molto per palesarsi. Anzi, non appena si era resa conto che stavano parlando di una sua vecchia conoscenza, aveva persino messo il dossier da parte e aveva ricominciato a sorseggiare il tè ormai freddo che aveva portato con sé, decisa a godersi quel teatrino. In fin dei conti, era da un po’ che non si concedeva una pausa.
   «Credi sia vero che voglia mettersi in politica?» si stavano chiedendo intanto le due.
   «Può darsi. Anche se, da quel che ho capito, sposa in pieno le idee del Delegato Athha.»
   Un sospiro affettato ruppe il silenzio che era calato fra loro e le due si scambiarono uno sguardo divertito. «Secondo te è impegnato?»
   «Mah. Sarah dice che non si presenta mai in compagnia. E sì che lei vede entrare e uscire tutti, da qui. Ha anche sbirciato il suo dossier.»
   «Sul serio?»
   «Non so come le sia capitato fra le mani, ma credo che si sia lavorata qualcuno ai piani alti.»
   Cagalli prese un appunto mentale riguardo la nuova ragazza dell’accettazione: avrebbe indagato e preso i dovuti provvedimenti.
   «Non è sposato.»
   «Sfido, io. Non ha ancora compiuto vent’anni. O sì? In ogni caso, è troppo giovane.»
   «E sarebbe carne sprecata per una sola donna», scherzarono, lasciandosi andare di nuovo a una risatina assai poco innocente.
   Il Delegato era consapevole che Athrun fosse oggetto degli sguardi delle altre donne. Era indubbiamente bello, aitante e dai modi gentili e virili a un tempo. L’uomo ideale. Peccato che si fermassero tutte all’apparenza e che nessuna di loro andasse oltre, desiderando conoscere davvero la persona dietro a quella utopica perfezione. Lei stessa era rimasta affascinata da lui, benché, a differenza delle altre, non era stato solo l’aspetto fisico a far capitolare il suo puro cuore di fanciulla.
   Come tutti gli altri esseri umani, Athrun era pieno di difetti. Oh, se ne aveva… Eppure lei amava anche quelli. Forse soprattutto quelli.
   Cagalli sorrise fra sé, provando una fitta di tenera nostalgia per gli anni passati insieme.
   «È sempre così serio… Una tipa, al secondo piano, ha provato ad avvicinarlo», continuavano imperterrite le due pettegole, mentre lei si portava di nuovo la tazza alle labbra. «Lui l’ha respinta con gentilezza. E dire che è molto bella.»
   «Mh», ponderò la maggiore. «Forse allora ha davvero qualcuno.»
   «Oppure non gli interessano le donne.»
   Dei violenti colpi di tosse interruppero quell’assurda ipotesi ed entrambe sobbalzarono, ammutolendo e voltandosi di scatto verso il punto in cui Cagalli temeva di dover sputare un polmone da un momento all’altro. Riprese fiato e guardò le due ragazze, pallide come cenci, attraverso gli occhi velati di lacrime. «Scusate…» riuscì a biascicare.
   «D-Delegato!» annasparono loro, adoperandosi immediatamente in un impacciato saluto di stampo militare.
   Recuperato il respiro a pieni polmoni, l’altra fece loro dono di un sorriso. «Non fate caso a me, non vi darò fastidio», le rassicurò. Nessuna delle due, però, fiatò più, mortificate com’erano dall’essere state sorprese a spettegolare in quel modo su uno dei più validi assistenti del Capo dello Stato. Cagalli scosse le spalle. «Davvero. Mi interessa sapere cos’altro avete da dire su di lui», le provocò, tornando a sorseggiare il tè, questa volta con maggior attenzione. Le vide scambiarsi un’occhiata incerta, quindi le incoraggiò. «Sarò anche un politico, ma gli occhi li ho anch’io.»
   «Anche lei lo trova affascinante?» osò domandare la più giovane, che sembrava essere, oltre che la più informata, anche la più sprovveduta.
   Lei sorrise, affabile. «Bello e impossibile, a quanto sembra.» Non potendo immaginare la presa in giro, loro le credettero e annuirono al contempo.
   In quel mentre, il display del suo cellulare si illuminò e l’occhio le cadde sul messaggio appena ricevuto. Parli del diavolo… Toccò lo schermo e si ritrovò davanti un piccolo granchio in stile cartoonesco. Sorrise fra sé: quindi se n’era ricordato…
   Ormai del tutto dimentica delle due oche presenti nella stanza, rimaste immobili accanto all’archivio ancora aperto, sprofondò di più nella poltrona e digitò una semplice domanda: Ti va di vederci, stasera?
   Mezzo minuto dopo la porta si aprì di nuovo, rivelando l’oggetto dei desideri di buona parte dello staff femminile del Parlamento di Orb. Cagalli si raddrizzò all’istante, guardandolo stralunata. «Come cavolo facevi a sapere che ero qui?»
   «Conosco ogni tuo movimento», le fece sapere il giovane, avanzando con sicurezza nella stanza e fermandosi però a una rispettabile distanza.
   Lei fece una smorfia. «Lo sai che questo è stalking?»
   L’altro scrollò le spalle con disinteresse. «Semplici misure di sicurezza per la tua incolumità.» Lo sguardo scettico che ricevette in risposta lo indusse a rilassare i tratti del viso. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò quando uno squittio gli sfiorò le orecchie. Si volse e solo in quel momento si rese conto che non erano soli. «Buonasera», salutò le due ragazze, accennando un cortese inchino e mostrando così una prontezza di spirito invidiabile.
   Quelle risposero con educata civetteria, arrossendo da capo a piedi. Cagalli sospirò.
   «Delegato, voleva vedermi?» ricominciò Athrun, con grandissima faccia tosta, ricordandosi solo allora di rivolgersi a lei come si sarebbe convenuto a un suo superiore.
   «Vi dispiace lasciarci soli?» si sentirono domandare le impiegate, che subito scattarono sull’attenti e si dileguarono ridacchiando come due scolarette. «Sto diventando vecchia», mormorò Cagalli, fissando ancora la porta che si erano chiuse alle spalle. «Comincio a non sopportare più il comportamento di queste ragazzine.»
   «Credo siano più grandi di te», le fece notare l’Ammiraglio, senza scomporsi né toglierle gli occhi di dosso.
   Lei alzò un sopracciglio. «Quindi ti sei ricordato», mormorò quasi fra sé, accantonando la questione e ricevendo un sorriso in risposta. Anche l’espressione del suo viso si addolcì e lei si alzò finalmente in piedi, stiracchiando le membra anchilosate.
   «Deduco che lo abbia ricordato anche tu», rispose il giovane, sentendo il cuore gonfiarsi di speranza: a nessuno dei due, dunque, era sfuggito l’anniversario del loro primo tragicomico incontro.
   «Non dire sciocchezze», lo mise a tacere Cagalli, le mani sulle anche, fissandolo seccata. «Sono giorni che ci penso.» Athrun rise, sollevato da quella rivelazione. «Ne ho ancora per un’oretta, temo, ma se dopo non hai impegni, potremmo andare a cena insieme.»
   Preso del tutto in contropiede da quella proposta, gli venne spontaneo domandare: «Noi due soli? Fuori insieme? Sai che polverone potremmo sollevare, se ci riconoscesse qualcuno?»
   «Togli pure quel se», disse lei, asciutta. «Lo faranno di sicuro. Attiri stormi di oche come un faro nel buio.»
   «E sei disposta a correre il rischio?» domandò l’Ammiraglio, sorvolando su quella fantasiosa analogia.
   Cagalli annuì, avanzando nella sua direzione e puntandogli un dito contro il petto con fare accusatorio. «Ritieniti responsabile della cosa.» Davanti al suo sguardo confuso, aggiunse: «Devo difendere il tuo onore.»
   «Eh…?»
   «Metterò anche un bel vestito», gli fece sapere, allegra. Lasciandolo sempre più stranito, girò sui tacchi e tornò ad accomodarsi in poltrona, il dossier di nuovo fra le dita. «Ci vediamo a casa per le otto. Sii puntuale.»
 
Manco a dirlo, li avevano riconosciuti non appena avevano messo piede nel locale. Vagamente a disagio per le conseguenze che quell’uscita pubblica avrebbe potuto comportare, Athrun strinse le labbra in un’espressione preoccupata. Al suo fianco, Cagalli regalava invece sorrisi a chiunque le rivolgesse la parola. In realtà lei era stata riconosciuta solo in un secondo momento, tanto erano abituati i più a vederla con il completo da politico; quella sera, però, era stata di parola e aveva indossato un abito, non troppo appariscente, ma abbastanza elegante da renderla molto femminile. Si era persino acconciata i capelli. Quando l’aveva vista, Athrun era rimasto quasi senza parole. Non tanto per la bellezza della ragazza, dal momento che forse era il solo a conoscerne ogni sfumatura, quanto per la sorpresa: quanto tempo era passato, dall’ultima volta che l’aveva vista concedersi quel lusso? Il pensiero che lo avesse fatto per uscire con lui lo inorgogliva molto.
   Temendo troppi sguardi indiscreti, avevano prenotato un salottino privato e solo dopo che furono accomodati al tavolo si concessero un sospiro di sollievo. Era assurdo che non potessero godere di un minimo di riservatezza, ma Athrun comprese che probabilmente questo era un altro dei motivi per cui Cagalli evitava non soltanto uscite pubbliche in generale, quanto soprattutto quelle in compagnia.
   «Ci avranno comunque fotografati», commentò con una certa tensione nel tono della voce, guardandosi attorno e trovando quel posto piacevolmente intimo.
   «Rilassati», disse lei, cominciando a dare uno sguardo al menù che avevano appena portato. «Se avessi sposato Lacus, ti saresti trovato lo stesso al centro dei riflettori.» Dapprima Athrun corrucciò la fronte a quel pensiero, poiché per l’ex idol in realtà non aveva mai provato nulla di più di una sincera simpatia; poi però gli venne spontaneo inarcare un sopracciglio, domandandosi in che termini dovesse interpretare l’osservazione della compagna.
   La loro relazione era a un punto fermo già da diversi mesi. Avevano rotto? Erano semplicemente in pausa? Cagalli non lo aveva specificato e Athrun non lo aveva chiesto. Si era limitato ad accettare quello stato dei fatti, consapevole che, in effetti, non si poteva fare diversamente. Orb aveva subito troppi danni, durante le due guerre. L’ultima, in particolare, aveva minato in modo pesante la sua reputazione di Stato neutrale. Athrun sapeva che Cagalli se ne riteneva responsabile e pertanto aveva quasi annullato se stessa per ripristinare l’ordine delle cose, cercando così di recuperare la linea di governo che aveva ereditato dal compianto Uzumi Nara Athha. Comunque stessero le cose, il giovane aveva deciso di rispettare quella sua decisione e di aspettarla. Dopotutto, non avrebbe potuto fare altrimenti: era stato il primo ad allontanarsi da lei, seppur credendo di fare del bene, e non c’era verso che ora lui le mettesse fretta. Né c’era pericolo che potesse essere distratto da qualcun’altra: non sapeva bene come fosse successo, ma quella ragazzina scatenata che aveva incontrato circa quattro anni prima l’aveva come incatenato a sé con chissà quale prodigioso incantesimo.
   In realtà Athrun sapeva perfettamente di quale malia era stata capace la giovane donna che aveva di fronte: nel bel mezzo di una guerra, fra rabbia e disperazione, era stata l’unica in grado di farlo ridere. Inoltre, le doveva la vita. Letteralmente.
   Quando si accorse dello sguardo di lui, che sembrava essersi imbambolato ad osservarla con la stessa espressione innamorata di un tempo, Cagalli arrossì. «Che c’è?» domandò quasi seccata, cercando in quel modo di nascondere un imbarazzo che non sapeva spiegarsi. O forse sì.
   Non aveva allontanato Athrun da sé perché aveva smesso di amarlo, tutt’altro. Lo aveva fatto per paura che lui potesse tornare a sentirsi messo in secondo piano, come probabilmente era accaduto poco prima dell’inizio del secondo, recente conflitto. Orb aveva la priorità, Cagalli non poteva né voleva esimersi dalle proprie responsabilità di Emiro Delegato. Sapeva anche che lui lo aveva capito. Di più, rispetto al passato, le era venuto incontro e, anzi, si era persino deciso ad affiancarla in quella ricostruzione: la pace, la tolleranza, il rispetto per il prossimo erano sempre stati il sogno di entrambi, pertanto lavorare insieme affinché diventasse realtà era di fondamentale importanza.
   «Nulla», rispose il giovane, distogliendo infine lo sguardo e prendendo anche lui il menù. «Stavo solo ripensando al nostro primo incontro.»
   Cagalli sorrise. «A cosa, in particolare?»
   Lui si strinse nelle spalle. «A quanto eri dannatamente carina.»
   Quel disgraziato era un maestro nel farla arrossire, pensò la ragazza, ricordando a quanto imbarazzo aveva provato la prima volta che si erano conosciuti. Se lo avessero raccontato a terzi, probabilmente avrebbero finito per diventare lo zimbello di molti per il resto dei loro giorni.
   Fece per aprire bocca, ma il ritorno del maître la mise a tacere. L’uomo si avvicinò discretamente a loro, facendo sapere che c’era una giornalista che desiderava vedere il Delegato Athha. I due giovani si scambiarono un’occhiata esasperata e Athrun fu sul punto di rispondere che non intendevano essere disturbati in quella loro cena d’affari – così avevano preferito lasciar credere – per alcun motivo, quando da dietro la tenda che separava il salottino dal resto del ristorante si affacciò un viso conosciuto: Miriallia Haw.
   Un sorriso spontaneo nacque sulle labbra dei due e subito le accordarono il permesso di entrare. «Non vi ruberò molto tempo, ve lo prometto», cominciò lei, dopo averli salutati con il solito affetto. «Per tranquillizzarvi, vi dico anche che non sono qui in veste di giornalista, ma di amica. Vi ho visti entrare e volevo assolutamente rendere omaggio al nostro amato Delegato.»
   «Nessuna foto scandalistica da mandare alla stampa?» la prese in giro Athrun, invitandola a sedere con loro.
   «Ammiraglio», rimbeccò prontamente lei, «sono una fotoreporter seria, non una cacciatrice di gossip.» Ne risero insieme e poi aggiunse: «Volevo solo farvi un saluto e complimentarvi con voi per questa uscita pubblica: sono felice che abbiate superato i vostri dissapori.»
   Cagalli aggrottò la fronte. «Quali dissapori?»
   «Avevamo litigato?» volle sincerarsi Athrun, fissandola tra il serio e il faceto.
   «Mh. Non mi risulta», rispose il Delegato, rendendogli pan per focaccia. «Se così fosse stato, probabilmente ti saresti ritrovato menomato.»
   L’altro inarcò le sopracciglia scure, mentre Miriallia scoppiava a ridere. «Addirittura?»
   «Ricordati con chi hai a che fare.»
   «È vero», convenne la fotografa. «Mi ricordo di un terremoto di ragazzina che non stava mai ferma e che si buttava sempre nella mischia.»
   Athrun annuì. «Ne stavamo giustappunto parlando poco fa. Del nostro primo incontro, intendo.»
   «Sul serio? In effetti non mi avete mai raccontato com’è che vi siete conosciuti.»
   I due si scambiarono un altro sguardo, questa volta a metà fra il divertimento e l’imbarazzo. «Meglio non entrare nei dettagli», disse il giovane, accendendo la curiosità dell’amica.
   «Sono così scabrosi?» volle sapere lei, pregustando già un racconto pregno di grasse risate.
   Cagalli si grattò uno zigomo. «Ricordi quando mi persi su quell’isola dell’Oceano Indiano e passaste ore e ore a cercarmi a vuoto?» Miriallia annuì, poggiando i gomiti sul tavolo e sporgendosi nella sua direzione con morboso interesse. «Anche Athrun capitò lì.»
   «Non è che ci capitai», precisò lui, spiegando il tovagliolo con fare quasi stizzito. «Mi ci facesti precipitare tu
   Agitando una mano per aria come a voler dare scarsa importanza alla cosa, Cagalli continuò: «Beh, finii per diventare sua prigioniera.»
   Stupita da quella rivelazione, Miriallia sgranò gli occhi. «Mi avevi sparato contro», tornò a parlare Athrun, difendendo il proprio onore. «Eri un potenziale nemico, quindi pericolosa.»
   «Altroché, se lo ero», annuì il Delegato, tutta impettita. «Peccato che lui fosse più forte e addestrato di me», sospirò poi, con una smorfia.
   «E com’è che dopo la lasciasti libera?» incalzò la reporter, sempre più interessata alla cosa.
   Athrun prese fiato e lanciò un’occhiata alla sua compagna di naufragio. «Non azzardarti a raccontare la versione breve», lo minacciò lei, rossa in viso, temendo che tirasse in ballo granchietti impertinenti, magliette alzate oltre la soglia del pudore, biancheria intima e contatti fin troppo ravvicinati.
   L’Ammiraglio alzò le mani in segno di resa. «Sono un gentiluomo, quindi dirò solamente che mi resi subito conto che la mia prigioniera non era affatto pericolosa e che, anzi, era solo una gattina selvatica molto spaventata.»
   «Questo non è vero!» contestò Cagalli, quasi battendo una mano sul tavolo per lo sdegno.
   «Vuoi che entri nei dettagli?» la provocò l’altro. In risposta ricevette un insulto che fece ridere Miriallia.
   «Va bene, tenetevi pure i vostri segreti», commentò la loro amica, intenerita da quello scambio di battute. Per un attimo le sembrò di essere tornata ai vecchi tempi, giorni orribilmente bui, certo, ma pregni comunque di nostalgici ricordi che adesso, a distanza di anni, la facevano comunque sorridere. «Vi lascio soli a rivangare il passato», aggiunse poi, facendo per alzarsi in piedi. Athrun la precedette e le scostò la sedia per aiutarla. «Mi ha fatto davvero piacere rivedervi, ma vi avverto: è assai probabile che qualcuno possa avervi rubato delle foto e che domani troviate qualche articolo di quart’ordine sulle testate giornalistiche.»
   «Non me ne curo», rispose il giovane, indomito. «Mi preoccupo piuttosto della posizione di Cagalli.»
   «Dovresti pensare a te, invece», disse lei, mettendosi in piedi per salutare a dovere Miriallia. «Negli uffici del Parlamento girano strane voci al riguardo.»
   Colto alla sprovvista da quella notizia, Athrun domandò: «Che voci?» Cagalli glielo rivelò e Miriallia scoppiò di nuovo a ridere, mentre il giovane rimaneva attonito a fissare il vuoto. «Santo cielo…» mormorò, non sapendo bene che tipo di sentimento provare al riguardo. «È per questo che mi hai invitato a cena fuori?»
   Fu allora che Miriallia comprese e, da brava carogna, espresse la propria opinione. «In questo modo, non solo ha difeso la tua dignità di maschio, per di più ha anche marcato il territorio.»
   «Non ho fatto nulla di tutto questo!» sbottò Cagalli, tornando ad arrossire e ricevendo in cambio uno sguardo sornione da parte dell’amica.
   «Certo. Va bene», l’accontentò quella prendendola palesemente per i fondelli, mentre già si portava verso l’uscita.
   «Questo è oltraggio a pubblico ufficiale», rimbeccò l’altra, per pura vendetta.
   «Ricordati di dirlo a lui, quando stasera ti saluterà sotto casa», fu tutto ciò che ottenne in risposta, prima che la reporter scomparisse alla loro vista.
   Un’imprecazione colorita accompagnò la sua uscita e Athrun, pur rosso in viso quanto lei, non riuscì a trattenersi dal sorridere. Cagalli tornò a sedersi con malagrazia e si schiarì la voce, evitando accuratamente di guardarlo in volto e riprendendo in mano il menù. «Non darle retta.»
   «Giammai», la rassicurò il giovane, fissandola di nuovo con tenerezza.
   «Toh, guarda», esclamò subito dopo lei, quasi ridendo. Era destino, pensò fra sé, allungando la lista delle pietanze in direzione del suo accompagnatore. «C’è anche il granchio.»
   «Allora è d’obbligo ordinarlo», decise Athrun, prendendole la mano nella propria nella speranza che lei non si divincolasse. Non lo fece e, anzi, strinse le dita alle sue, tornando a incrociare i suoi occhi e a sorridergli, consapevoli di essersi finalmente ritrovati.
 
L’imprecazione di Cagalli la seguì anche oltre la tenda, facendola ridere di gusto. Quei due sapevano essere una macchietta e trovava fosse davvero un peccato che i rapporti fra loro avessero subito una brusca frenata d’arresto per colpa della guerra. Quest’ultima sembrava essere stata creata, fra le altre cose, anche per dividere le persone.
   E finché c’è vita, c’è sempre la possibilità di ritrovarsi.
   Fu questa considerazione che la indusse a sorridere amaramente. Miriallia sapeva che invece, per altri, non c’era alcuna speranza. Il destino le aveva strappato Tolle, il suo primo ragazzo; buono, altruista, gentile e allegro, di nobili intenti. Probabilmente, si era ritrovata a pensare a volte, vista la loro giovanissima età, non sarebbe stato l’uomo della sua vita – o forse sì, non lo avrebbe mai saputo.
   Alla mente le tornò Murrue Ramius, che con fare materno e piglio autoritario, pur con la morte nel cuore, era riuscita a guidare tutti loro nel buio di quell’ecatombe che era stata la prima, maledetta guerra del Bloody Valentine. Aveva già perso un innamorato, pianto per molto tempo, eppure aveva trovato la forza per amare ancora. Miriallia si domandò come fosse riuscita a sopravvivere anche alla presunta scomparsa del Maggiore La Fllaga e si riscoprì ad ammirarla una volta di più. Avrebbe voluto essere come lei e, in effetti, si sforzava di farlo, di voltare pagina e di andare avanti. Sapeva di potercela fare, solo che non era sicura che fosse arrivato il momento giusto.
   Se ne convinse di nuovo quando, tornando in sala, scorse il suo cavaliere seduto al tavolo: un collega di lavoro, più grande di lei di qualche anno, alto e dal viso simpatico, un po’ in carne e sempre gentile. Stava bene in sua compagnia, riusciva a svagarsi, eppure c’era un qualcosa, nell’inconscio, che le diceva che non era lui.
   Prese fiato e si fece avanti, tornando ad accomodarsi. «Perdona l’attesa», gli disse con espressione contrita. Se per averlo fatto aspettare tanto o se per la consapevolezza di non potergli dare speranze per un secondo appuntamento, non avrebbe saputo dirlo.
   Il giovane le rispose con una strizzatina d’occhio. «Non avevo idea che conoscessi il Delegato Athha.»
   Eccola là, la curiosità dei giornalisti. Miriallia si schernì, sperando di riuscire presto a cambiare argomento per non mettere in difficoltà Cagalli. «È una lunga storia. Ci siamo incontrate per forza di causa maggiore prima che… beh, che suo padre rendesse Orb inaccessibile ai nemici.»
   Theodore annuì, muovendosi per prendere il calice di vino che aveva ordinato mentre lei era via. «Spero tu possa raccontarmela, un giorno.» Lei non rispose, preferendo rivolgergli soltanto un sorriso educato. «Il tizio che era con lei…» ricominciò l’altro, mettendola in allarme. «L’ho già visto da qualche parte.»
   «Dici?» fece Miriallia, preferendo concentrarsi sulle portate che il cameriere stava servendo proprio in quel momento.
   «Non è uno dei suoi collaboratori più stretti?»
   In effetti uscire con un giornalista non era stata la mossa più intelligente che potesse fare, considerò a quel punto. Eppure, chi diavolo poteva immaginarsi che, dopo tanto tempo, dovesse capitare proprio nello stesso posto in cui anche Athrun e Cagalli avevano deciso di cenare insieme, in barba a tutte le precauzioni che avevano preso in passato nel tentativo di nascondere la loro relazione? Prima li aveva presi in giro, ma il loro poteva effettivamente essere un modo per iniziare a preparare l’opinione pubblica del Paese in vista di un annuncio ufficiale. Miriallia non se la sentì di escluderlo. In verità, non se la sentì neanche di rimproverarli: almeno loro, avevano la fortuna di essere ancora insieme e di avere la possibilità di superare gli ostacoli che minavano la loro stabilità emotiva.
   «Ti dispiace se lasciamo perdere il lavoro, almeno per stasera?» risolse allora di rispondere, cercando un modo gentile per evitare quelle domande.
   «Oh, ma certo», convenne lui, scusandosi per l’indelicatezza. A dirla tutta, si sentiva un po’ in ansia per quell’appuntamento. Miriallia era una delle sue colleghe più giovani e graziose, ciò nonostante lo aveva sempre incuriosito per quella sua aria molto più matura della sua età. Theodore sapeva che aveva vissuto la guerra in prima persona, trovandosi suo malgrado sul campo di battaglia, e avrebbe voluto scoprirne di più sul suo conto, semmai lei avesse deciso di concedergli tali confidenze.
   «Allora», ricominciò la reporter, agguantando la forchetta e inalberando un’espressione più allegra. «Posso chiederti se il tuo nome è qualcosa di studiato o una mera casualità?»
   «Merda», si lasciò sfuggire il giovane con una smorfia, prima di chiedere scusa per quella volgarità che, invece, l’aveva fatta finalmente sorridere di cuore.
   «Deduco che non si tratta di una casualità.»
   Stringendo le labbra, annuì. «Mio padre ha sempre avuto un umorismo tutto suo», confermò allora, arrossendo vistosamente e bevendo un altro sorso di vino per farsi coraggio. «Grazie al cielo, non tutti conoscono Theodore Seville, è roba vecchia e stravecchia di cui neanche i nostri bisnonni, probabilmente, avevano memoria.» Si strinse nelle spalle con fare impotente. «Come diavolo fai, tu, a conoscerlo?»
   «Sono una donna ricca di sorprese», si vantò Miriallia, portandosi il boccone alle labbra e facendolo ridere a sua volta. Fu in quel momento che realizzò che Theodore era davvero un bravo ragazzo e che, tutto sommato, le faceva tenerezza nonostante la sua mole imponente.
   «Lo vedo», disse lui, facendo cenno verso la tenda che conduceva al salottino privato.
   La reporter tornò rivolgergli un sorriso di scuse. «Non farmi altre domande al riguardo, per favore.» Se gli avesse parlato del periodo in cui aveva conosciuto Cagalli e Athrun, avrebbe dovuto ricordare ancora una volta il sorriso di Tolle ed essere assalita quella maledetta nostalgia capace di mozzarle il fiato: non soltanto per una questione affettiva, quanto per la dannata consapevolezza che lui sarebbe rimasto per sempre un ragazzino, mentre lei invece era ormai diventata donna.
   Non solo. Avrebbe anche dovuto ricordare qualcun altro. Un giovane coordinator che le era stato accanto i quei tetri giorni, che aveva sopportato immeritatamente i suoi strepiti, la sua ira, la sua disperazione, ed era riuscito in qualche modo a farla sentire di nuovo viva. Si era chiesta e richiesta se quello che aveva provato per Dearka Elthman era stato un surrogato del sentimento per Tolle o solo un miraggio. Gli aveva detto di voler viaggiare per il mondo e studiare fotografia, forse per tenersi impegnata in qualche modo o forse solo perché aveva bisogno di una scusa per non sentirsi più incatenata a qualcuno. Nell’incertezza di quelle emozioni che le confondevano i pensieri, aveva deciso di troncare così ogni rapporto, quasi scaricando su di lui ogni responsabilità. Non si era comportata bene, affatto. Si domandò se Dearka ce l’avesse con lei o se avesse superato la cosa e si sentisse libero di vivere come meglio credeva.
   «Non era mia intenzione farlo.» La voce di Theodore la riportò al presente. Alzò di nuovo lo sguardo su di lui e si riscoprì incapace di continuare quella serata ancora a lungo. Ormai i ricordi avevano avuto la meglio e il suo buonumore ne era uscito sconfitto. «Ammetto però di essere piuttosto teso e di non sapere in che modo…»
   Il giovane non finì la frase, non ce ne fu bisogno perché Miriallia comprese appieno ciò che intendeva. Non era colpa di Theodore se quella serata stava andando in malora. Il vero problema era lei, la sua fragilità emotiva sul piano sentimentale, che spesso si scontrava con un muro impenetrabile – lo stesso che aveva improvvisamente innalzato contro Athrun quando lui, diverso tempo prima, aveva fatto il nome di Dearka davanti a lei.
   «Sono io che devo chiederti scusa», sospirò allora, mettendo giù le posate e abbassando gli occhi per fissare il vuoto. «Ci sono cose che non sono ancora riuscita a superare.»
   Pur non avendo la minima idea di cosa lei stesse parlando, Theodore intuì che l’animo di lei dovesse avere cicatrici profonde, che andavano così a spiegare la ragione di quella sua aria tanto matura per la sua età. «Preferisci che ti riaccompagni a casa?»
   Miriallia inspirò a fondo, convenendo con se stessa che un altro, al posto del giovane che le stava di fronte, non si sarebbe mai sognato di essere tanto disponibile e comprensivo. «No», disse infine, tornando a guardarlo in viso con riconoscenza. «No», ripeté, quasi a voler convincere se stessa. «Va bene così. Deponiamo le armi e gli scudi e cerchiamo di goderci almeno il resto della cena», propose, trovando stupido stare sempre sulla difensiva anche con chi non se lo meritava. «Parliamo di sciocchezze e ridiamo come bambini.»
   Vide Theodore annuire più volte con foga. «C’è una cosa che volevo chiederti da tempo», cominciò lui allora, facendosi più serio. Miriallia lo fissò in tralice, temendo che fosse costretta a rialzare il muro fra loro; almeno fino a che l’altro non si sporse nella sua direzione e domandò, con aria cospiratoria: «Secondo te, il non proprio compianto Yuna Roma Seiran, portava la parrucca?»
   Trovando quel dubbio legittimo, vista la calvizie del fu Unato Ema Seiran, la ragazza scoppiò in una fragorosa risata, facendo voltare verso di lei diverse persone dei tavoli vicini. Theodore si beò di quel momento: molto probabilmente Miriallia non avrebbe accettato un secondo invito a cena,
ma almeno era riuscito a rubarle una delle sue espressioni più belle.










Ebbene sì. Alla fine le idee si sono moltiplicate e ho deciso di rendere il tutto un'unica storia a capitoli. Sono alle prese con il quarto, ma mai mi sarei azzardata a postare qualcosa se non avessi le idee già abbastanza chiare sul futuro.
Vi chiedo scusa nel caso doveste trovare errori, sviste o quant'altro. Se vi va, avvertitermi pure, così potrò correggere tutto.
Non mi dilungo oltre, vi lascio subito alla lettura del secondo (inedito) capitolo.
Shainareth




 
  
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