
Capitolo 8
Il nitrito del cavallo e il suo successivo scarto di lato portarono lo sceriffo ad aggrapparsi al collo dell’animale con le braccia per non cadere. Ahiga sgroppava e cercava di disarcionarlo, ma riuscì a tornare composto sulla sella e, con la coda dell’occhio, vide un serpente attorcigliarsi sul sentiero e scuotere il sonaglio nella coda.
Piantò gli speroni nel fianco della giumenta e la spronò a correre. Aveva già vissuto scene di quel genere e aveva imparato a gestirle, a restare calmo. L’animale iniziò a correre. Le zampe si slanciavano in avanti e Cole si issò sulla sella per spronarla ad aumentare la velocità.
Quel galoppo lo stava avvicinando alla fattoria del signor Isaac, o almeno questa era l’indicazione che una delle donne del paese gli aveva dato con diffidenza.
C’era una staccionata che lo divideva dalla proprietà e un sorriso si definì sul suo viso. Fece scivolare le redini tra le dita, avvicinando le dita al collo del cavallo. Ahiga alzò il capo e rallentò senza che Cole glielo chiedesse. Le due zampe davanti batterono il terreno e il corpo del cavallo si staccò dal terreno in un arco che li portò ad atterrare con eleganza al di là del legno.
Da quanto tempo non si concedeva una cavalcata in solitaria? Galoppare lo aveva sempre rilassato e la rabbia che aveva provato per via delle parole di Sam e del vecchio contadino era scemata fino a scomparire.
Tirò le redini per passare dal trotto a un passo composto, il respiro pesante della cavalla lo portò a batterle una mano sul suo collo.
«Brava, ragazza, bella corsa.»
Erano saltati in un recinto dove alcune mucche brucavano ad alcuni metri da loro. Gli animali camminarono pacate verso di loro per nulla spaventate dalla loro presenza.
Restando in groppa, aprì il cancello e poi lo richiuse. La fattoria era ancora lontana, poteva intravedere due donne che lavoravano sedute sulla veranda, non sapeva dire cosa stessero facendo di preciso, così come non riusciva a capire se fossero giovani o anziane.
Una figura corse verso di lui con un urlo per richiamare la sua attenzione.
«Ehi! Tu! Come ti permetti di entrare nella proprietà!»
Teneva un fucile tra le mani puntato verso di lui. Cole si portò le mani vicino alle spalle e con un dito indicò la stella che aveva sul petto; strinse le ginocchia contro la sella per chiedere alla cavalla di stare ferma e tranquilla.
«Sono lo sceriffo Wilson, ragazzo, abbassa quell’arma per favore.»
Quando il giovane puntò le canne verso il basso, Cole mosse il capo in segno affermativo e spostò la sua attenzione verso colui che gli aveva parlato. Doveva essere uno dei braccianti, aveva la pelle scura, i vestiti logori e un’età indefinita tra l’adolescenza e la maggiore età.
«Le chiedo perdono sceriffo, io-io non l’avevo riconosciuta. Mi scusi.»
«Non preoccuparti, stai solo facendo il tuo lavoro. Come ti chiamo ragazzo?»
«Tim, signore.»
Tim aveva abbassato il capo nel momento stesso in cui aveva capito con chi stava parlando. I suoi occhi non si erano scollati dagli zoccoli di Ahiga e la sua voce si era trasformata in un sussurro rispettoso e timoroso.
«Questa è la fattoria di Isaac?»
Tim mosse la testa in un cenno affermativo e poi restò immobile, paralizzato dalla sua presenza.
«Il tuo capo è venuto in città per dirci che qualcuno aveva ucciso delle mucche… ti risulta qualcosa di simile?»
Altro cenno affermativo.
«Le avete già sotterrate?»
«No, signore, il capo non è ancora tornato dalla città. Ci ha detto che sarebbe stato al mercato e che al suo ritorno in serata le avremmo sotterrate.»
Ahiga si mosse di lato e Cole la lasciò fare, distogliendo lo sguardo dalla figura che aveva di fronte.
«Allora non gli dispiacerà se ci do un’occhiata mentre non c’è. Che ne dici, mi accompagneresti per favore?»
Tim alzò gli occhi su di lui e sul suo volto c’era un’espressione di meraviglia, come se non si aspettasse una domanda del genere. Cole lo fissò sbattere le lunghe ciglia più volte prima di annuire e muoversi sul tragitto da cui era arrivato.
«Mi segua, le faccio strada.»
Era umile, ma sembrava intimorito dalla sua presenza. Un leggero schiocco della lingua portò Ahiga a incamminarsi pacata, seguendo la direzione datale dalle redini.
Intorno a loro c’erano solo capi di bestiame e campi coltivati e recintati, steppa e quelle quattro baracche che formavano il ranch.
Tim ogni tanto gli lanciava un’occhiata di sottecchi e Cole, dopo la terza volta che lo notava, si accese una sigaretta.
«Perché avete tutti questo timore nell’avere a che fare con me? Non sei il primo e, sai, inizio a sentirmi un po’ un fenomeno da baraccone senza sapere il perché.»
Charlie gli aveva fatto capire che genere di uomo fosse il vecchio sceriffo, ma Cole non voleva credere che incutesse tutto quel timore. Era solo un uomo con una stella sul petto.
«Noi braccianti non potevamo parlare allo sceriffo…»
La voce di Tim era flebile, ma Cole non poteva credere a quelle parole.
«Come scusa?»
Vietare a qualcuno di parlare gli pareva eccessivo e offensivo secondo il suo modo di pensare.
«Ho visto con i miei occhi un bracciante essere picchiato da quell’uomo solo per averlo salutato. Quelli come me non li ha mai potuti vedere.»
Cole si sporse dalla sella dal lato opposto a dove si trovava il giovane e sputò un grumo di saliva che aveva un sapore amaro.
«Pace all’anima sua, ma che sia dannato per ciò che ha combinato con i suoi comportamenti.» si sistemò sulla sella e schiacciò meglio il cappello sulla testa. «C’è del marcio in questo posto, Tim, ma con me potrete sempre parlare.»
Lo sguardo del giovane si fece limpido e annuì con un sorriso sul volto.
«Questa notte le mucche erano in questo appezzamento di terra, ora le ho spostate di là.»
Man mano che parlava il ragazzo gli indicava i vari posti e, già da dove si trovavano, Cole notò le due carcasse nascoste tra alcuni arbusti.
Smontò e lasciò le redini appoggiate alla sella; estrasse il Lancester dalla sacca apposita, pronto a ogni evenienza. Tim si voltò e gli fece segno con la mano di seguirlo.
«Ci sono sempre stati furti di bestiame, o meglio da dove provengo io sì, cosa vi fa pensare che ci sia qualcosa di diverso?»
Cole evitò alcuni escrementi di mucca e notò una volpe correre via con un pezzo di carne tra le fauci, doveva appartenere alle carcasse. Tim si fermò e indicò le due bestie morte.
«A una delle due hanno sparato, ma l’altra, signore, qualcuno la stava scuoiando e io conosco i miei animali, era ferita e zoppicava.»
Chi mai avrebbe cercato di rubare un animale ferito? E perché ucciderla e cercare di scuoiarla? Aggrottò le sopracciglia e si schiarì la voce.
«Ne sei sicuro che fosse ferita?»
Tim mosse il capo in un movimento affermativo.
«È caduta una settimana fa da un masso mentre le spostavo, zoppicava e aveva una zampa ingrossata. Speravo che si riprendesse da sola, ma non ha avuto il tempo.»
Quella vacca sarebbe stata abbattuta comunque, ma qualcuno ne aveva anticipato la fine. Perché?
Una delle due carcasse era sdraiata sul fianco, la gola tagliata e il ventre aperto. Il sangue era fuoriuscito dalle ferite in una pozza ormai secca. Cole fece scorrere lo sguardo nella zona limitrofa e notò un’impronta. Era un dettaglio che notò solo per via del colore, era una macchia unica e d’istinto si guardò intorno girando su se stesso con sguardo confuso.
Quella non era un’impronta di uno stivale.
Aveva già visto qualcosa di simile, conosceva chi portava calzature di quel genere, ma lì non ne aveva ancora visti.
«Tutto bene, sceriffo?»
La sua attenzione venne catturata da una piuma di aquila, i suoi occhi si focalizzarono verso il cielo, ma non vi trovò nulla. Piegò le ginocchia e con l’indice e il pollice afferrò quel piumaggio, ritrovandosi tra le mani una collana con il cordino in cuoio strappato.
«Noi dormiamo in quella stalla e nella notte ho visto una lanterna…»
Tim aveva continuato a parlare e Cole se ne accorse solo in quel momento.
«Aspetta, non ti ho ascoltato, ripeti ciò che hai detto, per favore.»
Raddrizzò la schiena e fischiò in modo da richiamare la cavalla. La giumenta trottò fino a loro e lui ravanò per trovare l’agenda e infilarci la collana in modo che la piuma non si rovinasse.
«Dicevo che questa notte abbiamo sentito lo sparo, ma noi braccianti dormiamo in quel maniero là tutti insieme,» Tim indicò lo stabile più isolato. «ci siamo affacciati e abbiamo intravisto tre figure a cavallo con una lanterna e un’altra figura più avanti sempre a cavallo.»
Cole puntò gli occhi verso la costruzione e si rese conto che da quella distanza non avrebbero potuto vedere altro, era troppo lontano per descrivere dei dettagli.
La seconda mucca era crollata a terra in modo scomposto per il colpo in testa e così ancora giaceva. La prima aveva la pelle incisa intorno alle zampe e al collo, parte del costato era stata staccata; chiunque fosse voleva portarsi a casa anche la pelle oltre che alla carne. Una delle zampe posteriori era ingrossata e coincideva con ciò che Tim gli aveva detto.
Cole rimise il fucile nella fodera e, aiutandosi con i denti, si tolse i guanti per infilarli nella sacca. Arrotolò le maniche della camicia e spalancò il ventre inciso, una folata di odore pungente gli fece contorcere il volto in un’espressione infastidita; la carcassa era sotto al sole da quella mattina, non poteva pretendere. Le interiora erano state tolte e lasciate in pasto a volpi e avvoltoi, ma Cole voleva una prova del pensiero che gli frullava in mente. Infilò una mano nello squarcio della carcassa, accarezzò ogni osso e membrana tra una costola e l’altra con calma. Gli occhi fissi sul panorama senza vederlo davvero.
Una ferita.
Dieci centimetri di taglio tra una costola e l’altra. Chiunque era stato, aveva puntato al cuore per non far soffrire l’animale e solo dopo le aveva aperto la gola.
Appoggiò la mano pulita sulla pelle fino a trovare il taglio corrispondente.
Cole guardò Tim e si limitò ad annuire senza un vero e proprio motivo. Si alzò e appoggiò le mani sui fianchi, incurante della sfumatura rossastra che gli colorava il braccio e le dita.
Qualcuno aveva scelto di uccidere quella mucca ferita, non l’aveva fatta soffrire e la stava scuoiando. L’avevano interrotto e nel fuggire per recuperare il proprio cavallo doveva aver perso la collana. C’era solo un popolo che aveva tutte quelle attenzioni verso gli animali: gli indiani.
«Farò il possibile per trovare il colpevole, grazie.»
Cercò nella bisaccia e ne estrasse una bandana nera slavata. Tim si incamminò lungo il campo in direzione della mandria.
«Tim, scusa, un’ultima cosa!»
L’uomo si voltò e tornò a fare qualche passo nella sua direzione, incuriosito.
«Qui in zona, che tu sappia, ci sono delle riserve o dei villaggi indiani?»
Cole era convinto di non averne mai sentito parlare in quella zona, ma quell’impronta sul terreno, la collana, l’aver scelto una bestia ferita e non averla fatta soffrire più del dovuto, tutto portava lo sceriffo a pensare a quel popolo.
«No, non ne so nulla, mi dispiace. Se vuole lavarsi da quella parte c’è un piccolo torrente dove le vacche si abbeverano!»
Cole ringraziò l’uomo per quell’informazione e, afferrando il pomolo, si issò sulla sella.
Schioccò la lingua contro il palato e Ahiga si incamminò. Aveva bisogno di lavarsi e di pensare.
Il cavallo aveva il muso nella corrente del piccolo fiume, beveva e Cole ne seguiva il manto maculato. Strofinava la propria pelle con la bandana per eliminare ogni traccia di sangue. Lasciò che il proprio volto si deformasse in un sogghigno, perché ogni volta che doveva ragionare si perdeva sul manto maculato di Ahiga.
In quella città aveva pochi alleati e non sapeva a chi avrebbe potuto domandare. Si avvicinò all’animale e sganciò la borraccia dalla sella per riempirla dove il flusso dell’acqua era maggiore. Si portò il foro alla bocca e lasciò che il liquido chiaro gli bagnasse la gola secca, alcune gocce scivolarono lungo il mento e se le asciugò con la manica della camicia.
Chiedere ad Adam avrebbe potuto sembrare sospetto. Charlie era più giovane del bracciante e non poteva saperlo. Poteva chiedere a Jessy, dopotutto era una donna che viveva lì da abbastanza tempo da poterlo sapere e, se tra gli indiani ci fosse stata qualche donna incinta, con molta probabilità l’avrebbero contattata.
Nella sua testa balenò la possibilità di chiedere a Sam, ma la eliminò subito nel ricordo delle menzogne che gli aveva rifilato.
«Okay, bella, andiamo.»
†
Quando raggiunse il ranch della donna, trovò Jessy fuori dalla stalla che cercava di spostare una pila di sterco.
Cole smontò e appoggiò un piede sul legno della staccionata. «Salve Jessy, posso propormi di aiutarti o devo temere per la mia vita?»
L’ultima volta che era stato lì la donna aveva dimostrato un carattere forte e Cole non aveva la minima voglia di mettere in discussione la sua autorità.
Jessy raddrizzò la schiena e si voltò, Cole si toccò la tesa del cappello in segno di educazione e notò lo sbuffo ilare della donna.
«Vieni qui e aiutami che sono vecchia!»
Cole si tolse il cappello e lo appoggiò alla staccionata, scavalcò il legno e afferrò il badile dalle mani rugose e affaticate. Conficcò il ferro nel cumulo e seguì le indicazioni di Jessy per andare a buttarlo al di fuori del recinto.
Jessy rientrò in casa e quando tornò Cole aveva finito, era sudato per via del sole cocente che picchiava senza sosta sulla sua pelle.
La levatrice gli allungò una bottiglia di acqua che lui afferrò con un breve ringraziamento prima di berne un generoso sorso. Jenny incrociò le braccia al petto e lo scrutò con curiosità.
«Che ci fai da queste parti?»
Cole si appoggiò alla parete della stalla, all’ombra e alla ricerca di ristoro. «Ho bisogno di un’informazione e sei l’unica che mi è venuta in mente.» tracannò un altro sorso di liquido.
Lei rimase in attesa che lui continuasse, limitandosi a sbuffare.
«No, sai cosa? Non è importante e…»
«Jenny!» Venne interrotto da una voce giovanile e i suoi occhi si spostarono su una ragazza ferma sulla veranda della casa, il colore della pelle, il naso largo e i capelli scuri gli ricordarono una nativa. Cole aggrottò le sopracciglia, incuriosito e stranito.
«Va’ in casa, Tala! Spero per te che tu abbia finito con quella dannata donna partoriente!»
Jenny fece segno all’altra di andarsene, ma la giovane puntò un dito sicura e la cosa fece sorridere Cole: sì, dovevano essere parenti per avere quello stesso carattere.
«Quella donna delira e il bambino non vuole nascere, ho bisogno del tuo aiuto nonna!»
Ci fu un attimo in cui le due donne rimasero in silenzio, immobili a guardarsi e Cole fece per parlare nel momento in cui l’anziana riprese a parlare.
«Arrivo! Quella dannata mi pagherà, prima mi dà della strega e poi osa stare male! Pazzesco!»
Si incamminò verso casa e Cole le corse dietro, mantenendo il suo stesso passo.
«Una sola domanda: ci sono riserve per gli indiani?»
Alla sua domanda la donna si bloccò senza guardarlo, le mani ferme sulla stoffa della gonna e gli occhi fissi sulla facciata della casa.
«C’era un villaggio, ma lo hanno raso al suolo, non conosco il motivo però. Non so molto altro e ora non ho tempo per raccontarti nulla.»
La donna salì i tre scalini e si fermò, richiamandolo.
«Anche io vengo dal Nord e, più ti guardo, più sono sicura che tu abbia dei tratti del volto che ho già visto.»
Su quel volto spuntò un sorriso prima che la donna sparisse dietro la porta di casa con un rumore di legno cigolante. Il significato di quelle parole… no, non era possibile.
Si appoggiò ancora alla stalla e si lasciò scivolare a terra, il respiro pesante per via della stanchezza e del calore. Quel posto era la cosa peggiore che potesse accadergli.

Salve a tutti!
Eccomi qui con l'ottavo capitolo!
Che dire, io vi invito come sempre a lasciarmi un segno del vostro passaggio, anche solo due parole bastano per farmi capire se la storia vi sta piacendo o meno. Ringrazio chiunque la sta leggendo e mi auguro che Cole vi piaccia ♥
Ciao ciao e al prossimo capitolo!