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Autore: lithnim222000    30/08/2023    0 recensioni
L'anno scolastico ricomincia al liceo di Rivendell, e con esso si profilano all'orizzonte vecchie e nuove sfide. Riuscirà Sam a conquistare Rosie Cotton, o Merry ad entrare nella squadra di atletica? E che cos'è quel fumo nero verso cui il professor Gandalf si dirige, sgommando sul suo fedele Ombromanto?
Una Modern-AU ispirata dagli ultimi capitoli del Ritorno del Re e dai rientri a scuola di settembre.
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aragorn, Eowyn, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
There and Back Again


Quel momento della mattina in cui non si è svegli ma nemmeno del tutto addormentati, in cui la sensazione di caldo e morbido sotto le coperte è tutto ciò che si riesce a percepire del mondo oltre ai rumori ovattati dietro le tende alla finestra e in cui i problemi della giornata imminente non sono ancora diventati più reali dei sogni appena svaniti...
...ecco, quello era il momento della giornata di Éowyn che suo fratello Éomer si divertiva di più a distruggere.
-Scricciolina, sveglia!- fu lo strillo che la buttò giù dal letto anche quella mattina, tanto figurativamente quanto letteralmente, visto che il malefico si era avvicinato in punta di piedi e aveva accompagnato il suo urlo belluino con un’energica tirata alle coperte, che si srotolarono dal corpo della ragazza proiettandola giù dal materasso ad una velocità che non avrebbe dovuto essere legalmente permessa prima delle dieci del mattino.
-Porca miseria!- un tonfo sordo ed Éowyn si ritrovò con schiena a terra sul pavimento gelido, a fissare il soffitto con gli occhi sgranati cercando di capire se sarebbe morta d’infarto o piuttosto per lo shock termico. Appurato che anche quel giorno nessuna delle due circostanze sembrava esserle risultata fatale, si tirò su a sedere massaggiandosi la fronte.
-Éomer! Éomer, Eru beato, ma dev’essere la stessa storia ogni santa volta che mi svegli?
Il fratello, che teneva l’angolo della coperta ancora in mano, le rivolse un sorriso a trentadue denti.
-È divertente.- si giustificò. Ma certo, era divertente. Éowyn l’avrebbe strozzato. Stava per alzarsi e mandarlo a quel paese –in maniera piuttosto concreta- ma per sua fortuna Éomer aggiunse la frase che gli salvava la vita dal giorno in cui la sorella era nata:
-Mi perdoni se ti dico che è pronta la colazione?
Ebbene sì, il cibo. Era sempre stato lui il punto debole di Éowyn ed Éomer lo sapeva abbastanza bene da sfoderare quella carta ogni volta che combinava qualcosa – era per questo che le diete della ragazza non facevano mai neanche in tempo a cominciare. Rabbonita, gli tese un braccio, facendosi tirare su di peso con un grugnito.
-Devono esserci come minimo i pancakes.
-Con cioccolato e fragole.
-Panna?
-Per chi mi hai preso? Certo che c’è la panna!
-Mi vesto e arrivo.
Raccattò una camicia e un paio di jeans dall’armadio e puntò verso il bagno. Prima di chiudersi la porta alle spalle, fece in tempo a sentire i passi di Éomer dirigersi verso la stanza di Théodred, e poi l’urlo acuto del cugino seguito dal rumore di un oggetto pesante che cade a terra. Quanto meno, Éomer era equo nel suo essere un rompipalle di prima categoria.
L’acqua del rubinetto che le sprizzò sulla faccia, gelida, la spinse a chiedersi per l’ennesima volta perché lei ed Éomer avessero scelto di vivere nella casa in campagna dello zio Théoden, che risaliva all’anteguerra e sembrava anche ritenere che fossero rimasti ancora tutti in quel periodo. La casa, non lo zio Théoden…anche se in effetti non è che su di lui Éowyn ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
Poi però si ricordò che l’alternativa sarebbe stata essere presi in custodia da Grima detto il Vermilinguo, un lontano parente con tanto di quell’unto addosso che Piton di Harry Potter non avrebbe potuto nemmeno lustrargli le scarpe (stavolta in senso figurato: in due probabilmente avrebbero messo insieme tanto di quell’olio da poter avviare un’industria di lubrificante). Non appena la cosa le tornò in mente, fu improvvisamente molto grata ad Éomer che, essendo neo-maggiorene quando erano morti i loro genitori, aveva preso anche per lei la saggia decisione di restare con lo zio.
Non che fosse così male, alla fattoria Edoras. Anzi. A dire il vero, a parte quando saltava la corrente – e dovevi alzarti dal divano nel bel mezzo di un film e uscire nel freddo di una notte d’inverno per riattivare il generatore nella stalla- non c’era nulla che desse ad Éowyn eccessivamente fastidio. Lì c’erano Théodred e lo zio, che di certo le volevano più bene di qualsiasi Vermilinguo, e poi i cavalli, il vento, il sole, e tutto lo spazio che una personalità esuberante come la sua potesse desiderare. Éowyn non era così stupida da disprezzare tutto quello…anche se non si sarebbe mai privata del sacrosanto diritto di inveire contro la caldaia.
La propria faccia allo specchio le fece quasi paura, per cui si affrettò a pettinarsi i capelli e legarseli dietro la nuca in una coda bassa, così da smettere almeno di sembrare uno spaventapasseri spiritato. I vestiti che aveva preso dall’armadio consistevano in un paio di jeans larghi e strappati, scarpe comode e una maglietta rosso scuro con la scritta “anyone can be killed” – che indossò con una punta di orgoglio al ricordo di quando Faramir gliel’aveva regalata, dopo il festival di Gondor in cui la ragazza aveva battuto il campione in carica, un certo re dei Nàzgul, alla corsa dei cavalli.
Aprì la porta del bagno e si trovò di fronte la massa di capelli scuri di un Théodred in boxer, maglietta stropicciata ed espressione sfinita da zombie appena risorto dalla tomba.
-Io l’ammazzo, tuo fratello. Giuro che prima o poi lo faccio.- biascicò, strofinandosi una mano sulla faccia. La ragazza ridacchiò e si spostò, per lasciarlo entrare e permettergli di completare il suo processo di resurrezione nel mondo dei vivi.
-Allora mettiti in fila, Théo, che c’è un bel po’ di coda.
Scese le scale di corsa, i gradini di legno che cigolavano sotto i suoi piedi nudi. Éomer era ai fornelli, e come la sentì entrare le depositò davanti un gigantesco piatto di pancakes che mandava un profumino delizioso.
-Ecco qua, scricciolo.- sogghignò, con l’espressione di uno che sa benissimo di essere troppo intelligente e manipolatore per morire. Èowyn lo guardò torvo, ma, siccome per progettare il suo omicidio in un prossimo futuro le ci sarebbero volute tutte le sue forze, si limitò depositare sulla pila di frittelle un quantitativo di panna spray che ne raddoppiò l’altezza, concludendo con un’ultima spruzzata direttamente dentro la propria bocca.
-Allora, pronta per il primo giorno di scuola?
-Neffuno è mai faffevo pronfo pef la gueffa, Em.
-Che visione drastica!
-Non è drastica, è realista!– Éowyn ingoiò e si pulì la bocca con il dorso della mano -Bisogna alzarsi all’alba, prepararsi contro le intemperie e stare attenti al nemico su tutti i fronti. Tu come me la chiami, una roba così?
-Quale nemico?
-I fratelli che ti buttano giù dal letto, per esempio. Ma anche i professori, che hanno ritemprato le forze in estate per ricominciare a torturarci, e i bidelli, e poi...
-E poi la grande calamità del nostro secolo, eh?
Lo sguardo di Éowyn si assottigliò, scandagliando la torre di pancakes in cerca del punto migliore in cui affondare le armi. La forza con cui conficcò la forchetta il secondo successivo non aveva assolutamente a che fare con l’argomento tirato in ballo da Éomer.
-Ora chi è che è drastico, fratellone?- rimbeccò –Per tua informazione, non era assolutamente quello che volevo dire. Arwen non è poi così male. Ho accettato che si sia messa con Strider tempo fa. Sono...una bella coppia.
-Non sei credibile se lo dici con quell’aria assassina.
-Vattene a quel paese, Ems.
L’uomo sogghignò mentre la ragazza iniziava ad abbuffarsi. Si spostò sul piano cucina e accese la radio, facendo partire a tutto volume Thunderstruck degli AC/DC.
-Yesss!- esclamò, sollevando sopra la testa la spatola sporca di pastella e scuotendo selvaggiamente i capelli biondi, in quella che doveva probabilmente essere un’imitazione di danza – o forse di una crisi epilettica. Èowyn per poco non si strozzò nel tentativo di non sputare pancakes ovunque, in preda ad un attacco di risate che cercò invano di soffocare. Sia mai che poi il fratello si montasse la testa e credesse di essere divertente.
-Ma piantala, cretino!
-Non posso! Théo è la volta buona che mi uccide se quando scende non c’è della musica in grado di svegliarlo!
-Puoi dirlo forte, cugino!- Théodred saltò di netto gli ultimi tre gradini della scala. Entrò in cucina a passo di danza, mimando accordi su una chitarra invisibile e scuotendo il bacino dentro i pantaloni neri – ben più aderenti di quelli di Éowyn. L’odore del gel fra i suoi capelli era chiaramente percepibile anche con il profumo di uova e pancakes abbrustoliti a riempire la cucina. Quell’anno era nella sua fase punk-rock e fra lui, la mancata autoconservazione che Éomer abbinava ad un’originalità alquanto estrosa e le tendenze sociopatiche dello zio Théoden, a volte Éowyn pensava sul serio di essere l’unica a possedere una parvenza di normalità, in quella famiglia. Il che era tutto dire.
-Quindi mi salvo anche stavolta, cugino?
-Solo se hai il coraggio di cantare, cugino!
In men che non si dica erano entrambi appiccicati alla spatola, dimenandosi come idioti ed emettendo miagolii striduli degni di un branco di gatti in amore. Éowyn si batté una mano sulla fronte e rettificò: era certa di essere l’unica normale fra i McEorl. Ma d’altra parte, al pari dei suoi improbabili parenti, era altrettanto certa che la normalità fosse sopravvalutata.
-You’ve been...thunderstruck! – strillò, alzandosi in piedi sulla sedia. Balzò giù in mezzo agli altri due e si impadronì del microfono improvvisato, aggiungendo al coretto i suoi acuti stonati.
Fu proprio quello il momento che zio Théoden scelse per rientrare dalle stalle, con un secchio vuoto in mano e gli stivali di gomma pieni di fango. I tre lo videro immobilizzarsi sulla soglia, gli occhi che saettavano verso l’esterno, probabilmente chiedendosi se non fosse troppo vecchio, ormai, per trasferirsi a vivere con i cavalli. Era uno sguardo a cui Éowyn era abbastanza abituata ma ogni volta l’esito della scelta era drammaticamente incerto, perciò si fermò con la bocca ancora spalancata e il fiato sospeso, assistendo al conflitto interiore dello zio con gli occhi sgranati. Alla fine, lui grugnì qualcosa di incomprensibile e scosse la testa rassegnato, proseguendo lungo il corridoio. Éowyn e Théodred si scambiarono un ghigno, mentre Éomer riprendeva a sgolarsi come se nulla fosse successo.
Fuori, oltre il campo coperto di brina, il cavallo Brego alzò la testa dal fieno della mangiatoia e fletté le orecchie un paio di volte. Poi sbuffò forte dalle narici e riabbassò il muso, riprendendo a ruminare con rassegnata energia. Ecco, fantastico: era ricominciata.
 
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-Leith! Hele! Brutte stronze fedifraghe, lo volete fermare quell’autobus?- Thalanìra strillava con il cellulare in mano, correndo a perdifiato giù dalla discesa di casa sua. Lo zaino pieno di libri e lo skateboard le rimbalzavano dolorosamente sulla schiena –non era escluso che le avessero incrinato qualche costola- le scarpe slacciate minacciavano un capitombolo ad ogni passo, la colazione che non aveva fatto stava facendo pesare la sua assenza con una serie di brontolii a dir poco sfacciati e le sue migliori amiche erano delle cazzo di traditrici.
-Nìra, non puoi fare questa scena tutte le mattine, l’autista non ci crede più alle nostre scuse!- sbottò la voce di Helevorn, amplificata dal vivavoce.
-Bugiarda, è che siete entrambe troppo impegnate a risucchiare a ventosa la faccia di Dan e Ro! Diamine, sta’ a vedere se dovevate fidanzarvi entrambe durante l’estate...
-Qui nessuno sta facendo la ventosa sulla faccia di nessuno! – questa invece era una Leithiar piuttosto piccata –Se vuoi saperlo, Dan e Ro in questo momento stanno placcando l’autista per te, ritardataria ingrata!
Leith, dille di sbrigarsi, si è liberato!
La voce di Elrohir, lontana e affannata, fu l’ultima cosa che Thalanìra sentì prima di svoltare l’angolo della via e vedere l’autobus allontanarsi sulla strada con un derisorio sbuffo di gas di scarico nella sua direzione. Appiccicati al finestrino posteriore, Helevorn, Leithiar e i due figli del Consigliere Elrond - Elladan ed Elrohir - la fissavano con aria desolata.
Thalanìra imprecò e si lasciò cadere seduta sul bordo del marciapiede, prendendosi la testa fra le mani. In ritardo il primo giorno di scuola, di nuovo. Quest’anno la scusa che avrebbe rifilato alla preside Galadriel avrebbe dovuto essere davvero, davvero a prova di bomba.
E dire che ci aveva provato. Ma il telefono le si era scaricato e ancora in casa sua non avevano riallacciato l’elettricità dopo l’ultima bolletta mancata. Aveva dovuto affidarsi ai tre fratelli maggiori, e non era colpa sua se Haldir, Orophin e Rùmil si erano dimenticati di svegliarla! Non era colpa sua nemmeno se la loro auto era rimasta senza benzina – be no, tecnicamente quello era colpa sua, visto che era stata lei a dar fondo al serbatoio per tornare dalla festa della sera prima. Ma di certo non lo era il fatto che Elladan ed Elrohir, con quei fisici da schianto che si ritrovavano, non fossero riusciti nemmeno a trattenere un grasso Uruk-ai come l’autista dell’autobus, o che…
Arrenditi, Nìra. Cacciarti nei guai è la tua natura borbottò una vocina all’interno della sua testa, pericolosamente simile a quella della mamma. Thalanìra strinse i denti e artigliò ancora di più le dita fra le ciocche di capelli rossi, scombinando la lunga treccia. No, non poteva iniziare a pensare alla mamma proprio adesso.
-Ehi, rossa! Sei rimasta a piedi di nuovo?
La voce che la distrasse dalle sue cupe riflessioni le fece sollevare la testa di scatto e serrare i pugni d’istinto. Quando poi il suo sguardo si posò sul proprietario di detta voce, la ragazza comprese che, per quanto potesse aver deriso Leithiar quando l’amica le aveva spiegato la sua teoria riguardo la sfiga, c’era indubbiamente del vero nelle sue parole: se una giornata inizia di merda, stai pur sicuro che continuerà peggio.
-Valar celesti, ora sì che siamo a posto! Solo tu ci mancavi, oggi!
Legolas, in jeans scuri e felpa bianca, che faceva risaltare i suoi capelli ramati, si appoggiò con i gomiti al manubrio della moto e le mostrò un sorriso sornione.
-Non c’è bisogno di disturbare i Valar per me, rossa. Tu ottieni la mia attenzione anche senza pregare.
Thalanìra si alzò e si tirò su il cappuccio della felpa con un gesto secco, raccattando da terra lo zaino.
-Levati di mezzo, Verdefoglia, non è davvero giornata.
-Mirkwood è anche il mio quartiere, non puoi cacciarmi.
Thalanìra poggiò lo skate a terra e gli scoccò un’occhiata malevola.
-Fai pure lo spiritoso, adesso?
-Io sono spiritoso. E anche affascinante e intelligente, non vergognarti di aggiungere aggettivi.
-Sei tu che ti vergognerai, se comincio. Ma per tua fortuna ho fretta, c’è Galadriel a scuola che aspetta di espellermi. Quindi ci si vede, biondo.
-Una volta mi sono tinto i capelli! Una volta sola!
Thalanìra non gli diede retta. Poggiò un piede sulla tavola e fece per darsi la spinta ma Legolas la fermò, richiamandola.
-Ehi, ehi, dai, aspetta. Ti do un passaggio in città, se vuoi.
La ragazza si bloccò. Lo scrutò con le sopracciglia corrugate, scandagliandolo in attesa che scoppiasse a sghignazzare, ma la faccia del ragazzo sembrava sincera. Come a dimostrare le proprie parole, aprì il sellino e tirò fuori due caschi neri, tendendogliene uno.
-Dai, non ti mordo.
-Perché dovresti accompagnarmi?- sbottò Thalanìra, sospettosa –Noi ci detestiamo. Andiamo avanti a tormentarci dalle medie.
-Già, quando tu mi hai messo un chewing-gum sotto le chiappe.- Legolas storse il naso, ma Thalanìra sentì un sorriso fiero salirle alle labbra. Giorni gloriosi che sarebbero rimasti per sempre nel suo cuore.
-Sì, beh. Tu poi hai fatto cadere una mentos nella mia Coca Cola mentre non guardavo.
Legolas tossicchiò –Non ho detto di non averci messo del mio. Ma siamo cresciuti entrambi. Penso che dovremmo sotterrare l’ascia di guerra, e sono disposto a fare il primo passo. Tra le mie molte qualità, in effetti, c’è anche la capacità di perdonare.- le mostrò il suo sorriso abbagliante e Thalanìra fu quasi, quasi sul punto di farsi convincere…sennonché poi il Luminoso aggiunse, con una scrollata di spalle -E un’innata generosità verso i meno fortunati.
Ecco, l’aveva detto. La ragazza ripiombò in sé alla velocità della luce. Emise un basso ringhio e gli diede le spalle, facendo partire lo skate con una spinta dei piedi.
-Grazie, ma penso che sceglierò l’espulsione!
-Ehi! Ehi, rossa, ma dove vai? Che ho detto?- Legolas le corse dietro, il tono allarmato. Lei non si voltò nemmeno.
-Ficcatela nel culo la tua generosità, Las!- gridò verso il cielo mentre sfrecciava via, le ruote che raschiavano sull’asfalto e un artiglio nero di rabbia che, anche quel giorno, le affondava le sue radici all’altezza dello stomaco.
 
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-Come sto? Sono a posto i capelli? E la camicia? Forse dovrei infilarla nei pantaloni...
La testa di Merry crollò contro il sedile davanti dell’autobus, colpendo la plastica appiccicaticcia di vecchi chewing-gum con un tonfo sordo. Gli mancava perfino la forza per attutire l’impatto con le braccia, che se ne rimasero a penzolare inerti dalle spalle pesanti. Aveva un disperato bisogno di dormire o sarebbe arrivato a scuola con la vitalità di uno zombie morto, e questo non sarebbe andato bene. Primo, perché lui era Meriadoc Brandibuck, e da aspirante atleta della squadra di atletica della scuola non poteva mostrarsi meno che ricettivo e scattante ogni singolo istante e secondo, perché quello con cui stava parlando era Samvise Gamgee, il grosso, timido, goffo Samvise Gamgee, il quale al momento stava dimostrando un’energia ben maggiore della sua nel frenetico sforzo di sistemarsi l’improbabile camicia bianca da prima comunione che, per ragioni all’universo sconosciute, indossava abbinata ad una cravatta blu notte in un’eleganza che su di lui risultava stonata al limite del patetico. Se Aragorn Elessar, capitano della squadra, li avesse visti insieme in quelle condizioni, Merry avrebbe potuto scordarsi l’ammissione come scattista da qui al college.
-Sam, quella camicia non può essere più a posto di così, e non può per il semplice fatto che è di almeno due taglie più piccola e tu stai cercando di farla apparire ancora più stretta strozzandoti con una cravatta che avrai messo, quante volte? Diciamo mai nella tua vita.- borbottò stancamente, puntellandosi su un gomito per tenersi su la testa –Ciò che invece dovrebbe e potrebbe effettivamente andare a posto è la tua bocca, e con dovrebbe intendo ora e con potrebbe intendo chiudersi e lasciarmi dormire per la mezz’ora che ci resta prima di arrivare a scuola e dovermi bombare di caffeina per evitare di crollare davanti ai piedi di Strider a peso morto ed essere radiato per sempre dall’albo dell’atletica. È chiaro?
Dopo quello sfogo, Sam lo osservò in silenzio per una manciata di secondi, sul volto un’aria interdetta. Poi alzò un braccio per osservarsi la schiena.
-Quindi secondo te è stretta?
La fronte di Merry colpì di nuovo il sedile, accompagnata da un gemito esasperato del ragazzo.
-Eru, Sam, chiudi il becco!
Non bastava il casino che i gemelli Perendhel, Elrohir ed Elladan, avevano scatenato nemmeno dieci minuti prima, tentando, per chissà quale raptus di pazzia da primo giorno di scuola, di bloccare l’autista lontano dalla sua postazione di guida. Doveva mettercisi anche Sam, con la sua assurda fissazione di fare colpo su Rosie Cotton, ad impedirgli di portare avanti la sua brillante carriera sportiva!
L’amico si sistemò meglio sul sedile, contorcendosi un altro paio di volte per non spiegazzare l’orripilante camicia, e lo osservò con aria critica.
-Com’è che sei così stanco, comunque?
-Io e Pipino siamo rimasti fino alle tre di notte a giocare a Battle of Five Armies.- Merry  sbadigliò –Aveva detto solo una partita...scemo io che ci ho creduto.
-Siete amici da secoli, come fai a cascarci ancora così?
-Lasciamo perdere, eh Sammy? Non rigirare il coltello nella piaga.
-Sam, che ci fai con una cravatta?- la voce squillante all’altro capo dell’autobus fece voltare la metà dei passeggeri nella loro direzione. Merry desiderò quasi che la terra si aprisse per inghiottirlo quando notò le occhiate divertite delle ragazzine ai primi posti e le loro insopportabili risatine. Preso in giro anche dalle primine, adesso?
-Ed eccolo qui, il coltello.- commentò Sam, senza accorgersi di nulla. Pipino avanzò saltellando, i capelli ricci che gli rimbalzavano ritmicamente sulla fronte lentigginosa.
-Un coltello?- ripeté, prendendo posto dietro Merry e affacciandosi immediatamente sopra il suo sedile -Naa, io sono più un cucchiaio. Ha una forma più carina e puoi mangiarci il gelato e la Nutella dal barattolo. Ma perché poi dovrei essere un cucchiaio?
-Lunga storia, Pip.- Merry rinunciò a dormire e si sedette di traverso per poter vedere entrambi gli amici –Ed è più interessante quella di Sam, comunque.
-Ma la conosco già, quella di Sam.- Pipino alzò un dito al cielo –È Rosie Cotton, ed è la stessa dal primo anno. Inizio, svolgimento e conclusione, anche.
-Quest’anno sarà diverso.- Sam sollevò risolutamente il mento –Con Frodo che fa l’anno all’estero e tutto, ho deciso di dare un taglio drastico al vecchio Sam e iniziare un nuovo capitolo. E la prima pagina sarà la mia vita con Rosie Cotton!
-Frodo è partito già da due settimane, Sam.- gli fece notare stancamente Merry.
-E tu hai passato la prima a chiamarlo ogni tre minuti e la seconda a deprimerti mangiando patatine.- aggiunse caustico Pipino –Che è un passatempo di tutto rispetto, non fraintendermi, ma hai quasi lasciato appassire il tuo orto e non è normale da parte tua, Sammy bello.
-Beh, e ora inizia la terza settimana. Che è quella della rinascita, ve lo dico io.
-Dell’orto?
-Di Sam Gamgee! Diventerò uno hobbit nuovo! Un tipo figo! Un...
-Tipo figo, datti una calmata.- Merry gli indicò fuori dal finestrino. L’autobus stava rallentando, avvicinandosi ad uno dei capannini dal tetto giallo che proteggevano le fermate –Siamo alla fermata di Rosie.
La faccia di Sam sbiancò immediatamente. Il ragazzo balbettò qualcosa, annaspò un paio di volte senza scopo apparente e poi ricominciò a tentare di soffocarsi con la cravatta, mentre Pipino spiaccicava il volto al vetro del finestrino per guardare fuori.
-Eccola, la vedo! Carina, ha una gonna rosa e...e quella chi accidenti è?
Insieme a Rosie stava infatti salendo sull’autobus un’altra ragazza, con cui la Cotton parlottava fitto, ridacchiando. Anche Merry si sporse per vedere e capì perché la sconosciuta potesse aver attirato l’attenzione di Pipino: era decisamente molto bella, con lunghi capelli neri, labbra rosso bacca e una pelle diafana, che metteva in risalto gli occhi svegli e scuri.
-Dev’essere nuova, non l’ho mai vista.- commentò. Poi non ebbe il tempo di dire più nulla, perché Rosie e la sua amica, alla ricerca di un posto a sedere, li avevano ormai quasi raggiunti.
-Ciao ragazzi! Che bello vedervi, com’è andata l’estate?- trillò Rosie, fermandosi davanti ai loro sedili. Poi aggrottò le sopracciglia –Sam, che ci fai con una cravatta?
Sam deglutì, facendosi rosso pomodoro.
-Cia-ciao Rosie! La cravatta, oh...sai...l-la cravatta...
-Deve andare alla comunione del nipote, dopo la scuola.- intervenne pietosamente Merry –Gli stavo insegnando come fare il nodo.
 -Oh! Carino da parte tua.- la ragazza sorrise –Comunque, volevo presentarvi la mia amica Diamante. Viene dagli Ered Lindon, si è trasferita qui quest’estate.
-Già, mio padre ha un nuovo lavoro al colorificio di Saruman. Piacere.- La ragazza bruna tese loro la mano. Merry stava per stringerla, ma Pipino si mise in mezzo come un fulmine, afferrandola al posto suo e scuotendola con vigore.
-Il piacere è tutto mio! Sono Peregrino Tuc, ma mi chiamano tutti Pipino. Anch’io vengo dalle montagne sai? Una pro-prozia di mio padre si dice fosse una fata!
-Forte.- gli occhi della ragazza guizzarono, interessati –Io sono tutta hobbit, invece, ma mi piacerebbe avere sangue misto.
-Davvero? Strano, avrei detto che fossi un po’ una fata anche tu...
-Ci sono dei posti làggiù, Didi.- Rosie afferrò l’amica per un braccio, interrompendo la conversazione giusto prima che lo facesse Merry – con una gomitata allo stomaco di Pipino. Le due ragazze li salutarono e si allontanarono, facendosi largo fra gli zaini verso il fondo dell’autobus. Erano appena sparite che Sam attaccò a iperventilare e piombò sul suo sedile, molto prossimo allo svenimento. Pipino invece si voltò verso Merry, gli occhi sgranati.
-Credo di essermi appena innamorato.- dichiarò, sognante –Come sto, Merry? Ho i capelli a posto?
Tud! Fece la testa di Merry, schiantandosi di nuovo contro la superficie di plastica e il chewing-gum vecchio di dieci anni.
 
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Aragorn si passò il braccio sulla fronte sudata, scrutando per l’ennesima volta il percorso a ostacoli che aveva davanti. Era dall’alba che ci si allenava sopra e a dirla tutta si sentiva ad un passo dallo sputare sulla terra rossa della pista qualche organo vitale indispensabile alla sopravvivenza – un polmone, con tutta probabilità. O magari la milza. Ma non era questo l’importante. Quello che contava davvero era che il cronometro non mentiva mai e che il tempo che continuava a sbattergli in faccia non era nemmeno lontanamente sufficiente a piazzarlo in una buona posizione nel campionato scolastico di quell’anno. Se poi ci si aggiungeva anche il calendario, che continuava a ricordargli che la prima gara era fra sole tre settimane…Strider si asciugò il sudore dalla faccia e si ritrovò a sperare che chiunque lo avesse trovato riverso e stecchito lì, in mezzo al campo sportivo della scuola, non fosse una persona troppo impressionabile. Gli sarebbe dispiaciuto che il proprio stacanovismo causasse gli incubi a qualche povero primino.
-Ehi, Estel!
La voce familiare gli fece alzare gli occhi per individuare una testolina scura avvicinarsi nella mia direzione. Da migliore fidanzata sulla faccia della terra, Arwen era venuta a raccattarlo, sventolando un sacchetto marrone della caffetteria. A quel punto anche il cuore di Aragorn e il suo stomaco si unirono ai polmoni e alla milza nel tentativo di autodistruggersi: lo stomaco, lanciandosi fuori verso il cibo portato dalla ragazza, e il cuore…no, a dire il vero la reazione del cuore era abbastanza nella norma. Si metteva a battere come un disperato ogni volta che Arwen era nei paraggi.
Ignara del suo dibattito interno, la ragazza lo raggiunse di corsa. Come al solito, era bellissima. Grazia e vitalità irradiavano da lei come raggi di luce dalla luna. I suoi capelli bruni erano spettinati e le guance diafane chiazzate di rosso per la fretta e il vento pungente; gli occhi grigi sfavillavano come stelle e il sorriso che gli rivolse gli fece venire voglia di baciarla. Non fosse che era certo di puzzare un po’ troppo di sudore e autocommiserazione, quindi si trattenne appena in tempo.
-Ero sicura di trovarti già qui, sei un caso perso.- lei lo squadrò da capo a piedi, rassegnata –È il primo giorno di scuola, non potevi ricominciare domani con la routine del campione?
-Beh...no, a meno che tu non voglia iniziare a chiamarla routine del secondo classificato.- non era del tutto vero – secondo era una previsione fin troppo ottimistica, strillò il cronometro – ma la battuta la fece ridere e Strider pensò che, sul serio, in certi casi la sincerità era sopravvalutata.
-Ma finiscila. Il giorno in cui arriverai secondo mi tingerò i capelli di viola.
-Allora avverti il parrucchiere, tesoro, perché...ah-ah, no, bel tentativo.- il ragazzo recuperò dalla gradinata il borsone che Arwen aveva tentato di mettersi in spalla –Lo porto io.
Lei inarcò un sopracciglio.
-Non sono mica fatta di vetro, tesoro. Sono perfettamente in grado di reggerti la borsa, se voglio.
Non è che Aragorn dubitasse delle sue parole. Aveva la ferma convinzione che Arwen, con la testa dura che si ritrovava, sarebbe riuscita a portare in braccio la borsa e pure lui, se avesse deciso di volerlo fare. Il fatto era che c’era quella cosa – Faramir la chiamava cavalleria, Legolas istinto da crocerossina – che gli impediva di lasciarle fare fatica, se poteva evitarglielo. Non era un istinto soggetto al suo controllo. Succedeva e basta.
-Penso che tu abbia già fatto abbastanza portandomi la colazione.- tergiversò -Sei la migliore, Undòmiel.
-Oh, questo puoi dirlo forte.- se c’era una cosa a cui Arwen era sensibile, come la maggior parte degli elfi, erano i complimenti. Assunse all’istante un’aria compiaciuta, mostrandogli il sacchetto di carta con dentro, a giudicare dalla forma, un bicchiere sigillato e una brioche –Cappuccino doppio cioccolato e due brioches ai lamponi. Almeno non te ne vai in classe a stomaco vuoto.- gli allungò un bacio su una guancia e storse il naso, indicandogli l’ingresso dello spogliatoio maschile –Uhm, però non li avrai finché non ti fai una doccia. Ti aspetto sulle scale dell’ingresso, okay?
-Ci vediamo lì.- lui annuì e si infilò nello spogliatoio, lasciando il borsone nell’armadietto e dirigendosi verso le docce. E d’accordo, pensò, mentre la sua bocca iniziava a fischiettare di sua spontanea volontà. Sarebbe arrivato ultimo al campionato e si sarebbe giocato la borsa di studio per il college a Gondor. Ma importava davvero così tanto? Lui aveva Arwen.
Si erano messi insieme a metà del precedente anno scolastico e la loro relazione era la più lunga che il ragazzo avesse mai avuto. Di solito tutte le ragazze che lo cercavano lo facevano più che altro per la popolarità – cosa che Aragorn detestava. Lui avrebbe fatto volentieri a meno degli improvvisi silenzi e delle lunghe occhiate che le persone si scambiavano ogni volta che qualcuno pronunciava il suo nome, tanto che preferiva essere chiamato Strider, o Grampasso, o Piedealato, o qualunque soprannome girasse di affibbiargli ai suoi compagni di squadra.
Ma Arwen era diversa dalle altre. Geniale, capace, bella, brava in tutto ciò che faceva, era il fiore all’occhiello della sua famiglia e non avrebbe certamente avuto bisogno di lui per brillare. E invece lo aveva scelto fra una marea di ammiratori, lui che a malapena aveva mai trovato il coraggio di rivolgerle un saluto. Aragorn non sapeva come avesse potuto essere così fortunato, ma dopo le prime settimane di sbalordimento aveva smesso di farsi domande e accettato il fatto così com’era, limitandosi a ricambiare l’affetto della ragazza. La loro storia durava ormai da dieci mesi, e nessuno dei due si era ancora pentito di averla iniziata.
-Strider? Ehi, Strider, sei qui dentro?
Era la voce di Faramir. Aragorn uscì dalla doccia con un asciugamano attorno ai fianchi e si trovò davanti l’amico: zaino in spalla, un libro sotto il braccio e i capelli biondo scuro che gli ricadevano a ciuffi sulla fronte, in una zazzera scombinata come al solito. Stringeva in mano il sacchetto profumato di cibo che fino a dieci minuti prima era stato in mano ad Arwen. Aragorn aggrottò la fronte.
-Che ci fai con quello? Dovevo...
-Sì, lo so.- Faramir ebbe almeno la buona grazia di assumere un’espressione rammaricata -Arwen è stata rapita dalla preside Galadriel per un non-so-cosa sul comitato di benvenuto. Passavo nei paraggi e sono stato promosso a cameriere e messaggero. Mi ha detto di dirti che se ti va è libera più tardi per pranzare con te.
-Galadriel, ancora?- Aragorn si infilò la maglietta con un verso scocciato –Sta diventando una persecuzione. Va bene che Arwen è sua nipote e la figlia di Elrond Perendhel, ma non vuol dire che lei può strumentalizzarla per qualsiasi cosa le venga in mente. Anche perché non pressa altrettanto Ro e Dan, a quando mi risulta...
-Diciamo che Ro e Dan sono più da tenere sotto controllo che da pressare.- Faramir ridacchiò –È meglio per la preside limitarsi ad Arwen, se vuole usare una figlia del Consigliere Elrond per fare bella figura.
-Comunque.- Aragorn finì di vestirsi e raccolse la propria roba, togliendo la colazione dalle mani di Faramir –A proposito di politici, come sta Boromir? Non lo vedo da giugno, con l’elezione ad Ambasciatore di Gondor e tutto il resto.
L’amico ridacchiò.
-Eh! Ha parecchio da fare, annega nelle scartoffie. Nemmeno io lo vedo più così spesso.
-Arwen mi ha detto che se la sta cavando bene. Suo padre è molto contento di come stanno collaborando.
-Sì, beh, conosci Boromir. Rappresentare Gondor qui a Rivendell è un compito importante e lui ci tiene a svolgerlo al meglio.- l’amico scrollò le spalle -Comunque non mi lamento. Rimane sempre il miglior fratello maggiore che si possa desiderare. Quest’estate siamo andati in campeggio nelle Terre Selvagge, sai?- gli occhi di Faramir si accesero di una scintilla di allegria, che però si spense subito –Solo che poi papà ci ha cazziati entrambi di brutto. Dice che Boromir non deve trascurare la carriera per star dietro al ragazzino. Che sarei io, per inciso, il suo altro figlio.
Aragorn annuì lentamente. Denethor, il padre di Faramir...quella sì, era una brutta storia. L’uomo aveva sempre avuto una predilezione per Boromir, il figlio maggiore, e trattato Faramir con una freddezza che rasentava l’abuso. Diede una pacca sulla spalla dell’amico, per tirargli su il morale.
-Dai, Fara, questo è l’ultimo anno. Pensa che poi ce ne andiamo al college e non dovrai più vederlo a meno che tu non lo voglia.
-Sì, è il mio pensiero fisso.- Faramir abbozzò un sorriso mentre uscivano dallo spogliatoio, immettendosi nel chiasso del corridoio affollato di studenti –Ma comunque...è l’ultimo anno anche per altre cose.
Aragorn fece un ghigno furbo.
-Ah...Éowyn, eh?
-Dai, Strider, mettici una buona parola per me!- Faramir gli rivolse uno sguardo supplichevole –Siete amici, a te dà retta!
-Perché, a te no?
-A malapena mi guarda. È ancora in fissa con te.- il ragazzo aggrottò la fronte –A pensarci bene, non so se voglio che tu ci metta una buona parola.
Aragorn scoppiò a ridere.
-La sottovaluti, amico. Éowyn non è tipo da crogiolarsi nel dolore. Un’estate intera è un tempo più che sufficiente per farle superare la delusione. Anche perché ci siamo visti molto poco, io sono stato impegnato con l’atletica e lei con la fattoria del padre di Théodred.
Faramir mugugnò poco convinto. Poi si illuminò.
-Forse è con Théodred che dovrei provare! Se ci faccio amicizia...
-Fai pure, se vuoi ritrovarti il naso deviato. Suo cugino è molto protettivo. Per poco non ha fatto a pugni con me quando ho detto ad Éowyn che ero innamorato di Arwen e non di lei. C’è voluta Éowyn stessa per fermarlo.
-Éowyn ha fermato una rissa tra voi due?
Aragorn piegò un angolo della bocca alla vista dell’espressione a dir poco adorante fiorita sulla faccia di Faramir.
-Te l’ho detto che la sottovaluti.
Raggiunsero l’aula di scienze proprio mentre il trillo della prima campana riempiva il corridoio. Aragorn si affrettò a scartare la prima brioche e prenderne un morso, sedendosi su uno dei banchi in seconda fila. Faramir prese posto di fianco a lui, appoggiando il mento sulle mani con aria pensosa.
-Non capisco come tu abbia potuto dirle di no.- stabilì –Sia chiaro, non mi sto lamentando. Tu hai Arwen, sei innamorato perso, e blablabla. Ma Éowyn...è speciale.
Aragorn pensò alla ragazza, alla sua criniera indomabile di capelli, ai suoi modi spontanei da maschiaccio che non riuscivano in nessun modo a sminuirne il fascino, alla sua risata forte e viva e all’indole testarda che la caratterizzava e che tante volte l’aveva cacciata nei guai. Erano amici dalle medie: Aragorn le voleva un bene dell’anima e non avrebbe cambiato di una virgola nessuna delle sue stranezze, perché Éowyn era una delle persone più fiere, schiette e leali che avesse mai conosciuto. Era speciale, sì. Ma, anche Arwen lo era, e in modo ben diverso. Arwen era...Aragorn sorrise inconsciamente al pensiero di tutto quello che lo aveva fatto innamorare di lei. La dolcezza, la saggezza da adulta racchiusa i quegli occhi così giovani, la capacità di andare oltre le apparenze a discapito di quello che dicevano le persone. Il fatto stesso che fosse lei, e che lo avesse scelto.
-Lo so, Fara, ma è come hai detto. Sono innamorato di Arwen. E tu di Éowyn.
Faramir studiò il suo sorriso con vago divertimento e piegò un braccio sul banco, lasciandovi ricadere sopra la testa.
-Siamo proprio fottuti, eh amico?
Aragorn prese un altro morso di brioche. Il bicchiere tiepido del cappuccino gli riscaldava piacevolmente le dita, almeno quanto la prospettiva di passare la pausa pranzo con la ragazza rilassava le sue spalle stanche.
-Mi sa che hai ragione, Fara. Siamo proprio fottuti.
 
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La mattinata di lezioni era stata una noia mortale. I professori sembravano aver voglia di ricominciare l’anno scolastico anche meno dei ragazzi, per cui le ore erano state portate avanti puramente dall’inerzia degli orologi, senza che nessuno facesse il minimo sforzo per rendere produttiva la giornata. E Gimli O’Glòin detestava perdere tempo.
Era solo per quel motivo che continuava ad accompagnarsi all’elfo, in realtà: perché tentare di toglierselo di torno si era rivelato uno spreco di energia. E poi la presenza di Legolas non era particolarmente fastidiosa, almeno quando avevi fatto l’abitudine al suo modo altezzoso di storcere il naso e di squadrarti dall’alto in basso. In realtà, molto in fondo, Gimli era quasi arrivato a pensare a lui come ad un amico: un amico pedante e schizzinoso, irritante, certo, e a tratti imbarazzante...ma alla fine sempre presente, quando avevi bisogno di lui. Gimli ne aveva avuto le prove, quando era contato.
-E capisci, Gimli? Se n’è andata! Così dal niente! Quella tipa è pazza, cavolo, te lo dico io...
Gimli sbuffò forte dal naso, ficcandosi in bocca una manciata di patatine senza preoccuparsi minimamente di quelle che non riuscirono ad entrarci, cadendo a terra e sul tavolo.
-Ugh.- grugnì, seccato –Ne hai ancora per molto, orecchie a punta?
Legolas lo fissò a metà fra l’indignato e il sorpreso.
-Ma mi ha piantato in asso!
-E tu l’hai insultata, come la mettiamo?
-Non l’ho insultata!
-Le hai dato della meno fortunata.
-Perché, non lo è? Mica l’ho chiamata pezzente. Meno fortunata era solo un modo eufemistico per accennare ad un dato di fatto che...
Gimli gli scoccò un’occhiataccia.
-Las, a parte che eufemistico non ho idea di cosa significhi e già mi sembra un insulto di suo, ma poi tu puoi dire quello che ti pare, che tanto la faccia da schiaffi non te la leva nessuno. È per quella che la gente s’incazza.
-Cos’ha la mia faccia che non va, adesso?
-Ha che ci sta scritto sopra principino pieno di spocchia a caratteri così grossi che li legge pure mia nonna. Che è analfabeta.
Legolas incrociò le gambe sulla panca e mise il broncio, rimestando svogliatamente nel suo piatto di spaghetti.
-Non è colpa mia se mio padre è ricco.
-Nessuno dice che sia una colpa, Las.
-Però è per questo che Nìra mi detesta. Perché la sua famiglia fa fatica a tirare avanti e noi invece ci chiamano i re di Mirkwood.
Gimli mollò un sospiro esasperato, ingurgitando un’altra manciata di patatine. Diamine, non avrebbe dovuto tirare fuori l’argomento Thranduil. È che Las, suscettibile com’era, sembrava prendersela a morte per qualunque critica gli si muovesse, perciò era difficile ricordarsi quali fossero quelle che veramente lo ferivano.
-Senti, te la pianti con l’autocommiserazione?- sbuffò alla fine, impacciato. Consolare era qualcosa con cui non si sarebbe mai sentito a suo agio, ma per Legolas poteva fare uno sforzo -Ricco o no, tu sei una bella persona, okay? Parola mia. Se non piaci ad una ragazza, per Durin, non casca mica il mondo.
-Lo dici solo perché smetta di romperti le palle.
-Beh, certo, anche.- Gimli scosse una mano per aria –Ma lo penso.
-Abbastanza da ripeterlo un’altra volta?
-Nemmeno per sogno.- tagliò corto il nano -Piuttosto, le cose serie. Vieni, sabato?
Legolas alzò svogliatamente la testa.
-Dove?
-Come, dove? A Moria, alla festa di Balin! Las, te lo ripeto da due settimane, te ne sei dimenticato?
Legolas si agitò a disagio sulla panca.
-Non lo so, Gimli. Quel posto non mi piace.
-Ma se c’è la birra migliore della Terra di mezzo!
-Preferisco il vino. E poi Strider ha piazzato un allenamento straordinario la domenica mattina e non mi va di arrivarci vomitando. Lo sai che ci tiene a battere gli Uruk-ai, quest’anno.
Gimli lo guardò storto.
-Quella cazzo di squadra di atletica. Che poi sei un elfo, per la miseria, e mi dici che non puoi saltare un allenamento di quell’umano pazzoide?
-Strider sarà pure umano, ma è un Ramingo, ed è poco impressionabile. Mi devo impegnare almeno un po’. Tu, piuttosto. Potresti fare le selezioni per entrare.- aggiunse, con un’occhiata alla corporatura poderosa dell’amico -Ci serve qualcuno che faccia lancio del peso.
Gimli sputò nel tovagliolo.
-Mi dovrai uccidere prima che mi infilo quei pantaloncini, Las.
-Sicuro? Non è che te la fai sotto?
-Puah. Guarda che noi nani siamo scattisti nati. Pericolosissimi sulle brevi distanze. No, guarda, è proprio che non voglio una divisa da cheerleader.
Legolas inarcò un sopracciglio nella sua direzione, ma non commentò. Gimli finì il suo pranzo in un altro paio di bocconi e si alzò.
-Facciamo così, Las. Vedi se Thalanìra ha voglia di venire a Moria anche lei.
L’elfo per poco non si strozzò con l’aranciata. Fissò l’amico con gli occhi strabuzzati.
-Ma ti sei bevuto il cervello? Non accetterà mai! E poi perché dovrei volercela, scusa?
-Be’, mi pare chiaro che ti sei preso una sbandata per lei. A te no?
-Cos-no! Certo che no!
Gimli alzò le spalle.
-Se lo dici tu. Comunque sappi che hai il mio permesso di portarla, se questo ti convincerà a venire.- e con questo gli diede le spalle e uscì dalla mensa, uno stuzzicadenti all’angolo della bocca e la faccia incupita nella smorfia minacciosa che faceva scansare dalla sua strada perfino gli orchetti.
Legolas rimase a fissare il proprio piatto molliccio per un altro paio di minuti, la bocca corrugata e la testa che cercava di concentrarsi sui buoni motivi per non saltare l’allenamento di domenica mattina, ma finiva misteriosamente per rivolgersi alla possibilità di passare una serata a bere e ballare con Thalanìra. Maledetto Gimli e le sue uscite improbabili!
Con un sospiro seccato, l’elfo si alzò e gettò gli spaghetti ormai freddi nella pattumiera: soldi ne aveva –come al solito- e si sarebbe comprato qualcosa più tardi in caffetteria. Per il momento si limitò ad infilarsi le mani in tasca e uscire anche lui dalla mensa, con la mezza idea di cercare Elladan ed Elrohir per avere qualcuno di meno fastidioso del nano con cui parlare.
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Ed era arrivata anche l’assemblea d’inizio anno, a degna conclusione di quella monotona giornata, che segnava per tutti gli appartenenti al corpo scolastico il definitivo ritorno alla routine. Gandalf Grigiomanto, detto il Grigio, si dimenò sullo scomodo sedile di legno, cercando di trovare una posizione un po’ più comoda. La schiena gli doleva e aveva una gran voglia di fumare. Ma non poteva permetterselo, non lì nell’aula magna, nel pieno del discorsetto di inizio anno della preside Galadriel. La donna ci teneva che il corpo docenti si comportasse in modo da dare l’esempio – almeno durante la prima assemblea, se proprio non ce la facevano durante il resto dell’anno.
E naturalmente, proprio mentre lo pensava, avvertì un irrefrenabile prurito al sommo della chiappa sinistra.
Sei un professore dovette ripetersi con fermezza, per impedirsi di cedere alla tentazione di grattarsi. Ma non era per niente facile. Soprattutto visto che era seduto accanto a Radagast Brown, collega di scienze, che dall’inizio dell’ora ciancicava una presa di tabacco e si scaccolava come se non ci fosse un domani.
Sfortunatamente, l’occhiata obliqua che Gandalf gli stava rivolgendo durò un secondo di troppo. Radagast se ne accorse e sembrò interpretarla come un tentativo di iniziare una conversazione.
-Conigli di Rosgobel.- biascicò, raddrizzandosi appena in maniera da non sembrare più in procinto di schiantarsi in avanti –Galadriel non cambia mai mezza parola di questo dannato discorso.
Ah, beh. Quantomeno non era Gandalf l’unico ad essersene accorto. Avrebbe potuto citare parola per parola il discorso della preside Galadriel, che si ripeteva identico ogni primo giorno nel suo ribadire le regole d’istituto, incoraggiare alla collaborazione scolastica, ricordare a tutti gli studenti che era…
-…vietato correre per i corridoi, utilizzare senza permesso le aule didattiche o il materiale delle stesse – specialmente al fine di creare esplosivi.
Gandalf non poté evitare di sentirsi un po’ chiamato in causa quando la voce di Galadriel si impennò in quell’ultima precisazione. A dire il vero la preside non stava nemmeno guardando lui – i suoi occhi penetranti dardeggiavano piuttosto su due giovani hobbit in penultima fila, Brandibuck e quel simpatico piccolo idiota di Peregrino Tuc, un lontano pronipote del suo amico Bilbo. In effetti erano stati loro i principali autori di quello scherzetto con il drago di fuoco, al ballo scolastico dell’anno prima. Ma Gandalf ringraziava ogni giorno la sua buona stella per il fatto che nessuno dei due avesse rivelato a Galadriel da chi avevano comprato i fuochi d’artificio.
-In ogni caso, auguro a tutti voi che questo sia un buon anno e che possiate imparare ad impiegare con saggezza il tempo che vi è stato dato.
Oh, finalmente aveva finito. Radagast schizzò via dal suo posto non appena la preside ebbe posato il microfono – l’agilità che quell’uomo dimostrava, considerati i suoi anni, rifletté Gandalf, era davvero insospettabile…e dunque sospetta, soprattutto per chi era a conoscenza dei suoi trascorsi di gioventù con le bevande energetiche. Ma quello era un problema su cui si sarebbe soffermato un altro giorno. Per oggi aveva già il suo daffare.
Attese giusto una manciata di minuti, abbastanza perché gli studenti iniziassero a sciamare fuori e nessuno facesse più caso a lui. Poi si alzò dal sedile e scivolò fuori, sgattaiolando per i corridoi fino all’uscita d’emergenza sul retro del complesso scolastico. Parcheggiato in disparte sotto un tiglio lo aspettava Ombromanto – il cinquantino bianco con il motore modificato di contrabbando che era stato suo compagno in molte avventure. Gandalf lo inforcò sovrappensiero, con gesti resi efficienti dall’abitudine di una trentina d’anni. La sua mente era già distratta dal pensiero delle indagini che si era proposto di portare avanti, e le sue sopracciglia cespugliose, inconsciamente corrugate, formavano un ispido balcone che gli ombreggiava gli occhi scuri.
Il cinquantino si accese con un rombo e sgommò fuori dal parcheggio. Imboccò una via laterale, puntando verso la periferia di Rivendell, dove si trovavano il sobborgo di Brea e, più in là, la piccola frazione immersa nel verde che gli abitanti di Rivendell chiamavano ‘Shire’. Andava di fretta. Il rumore del motore si affievolì nel giro di pochi secondi e poi scomparve, lasciando solo il frinire delle ultime cicale nel silenzio delle tre del pomeriggio.
 
 
Note dell'autrice
Dunque! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Gli altri saranno probabilmente molto più brevi. Non penso di aggiornare regolarmente, ma ho abbastanza voglia di scrivere questa storia, quindi forse riuscirò a trovare un buon ritmo. Lasciatemi un commento se vi va, e buon inizio a quelli, tra il fandom, che tornano sui banchi! 
Alla prossima!
 
 
 
 
 
   
 
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