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Autore: Bluemoon_03    01/09/2023    3 recensioni
[...] quello che preoccupava merlino per tutti quegli anni era la paura di non essere accettato, di essere rigettato, non aveva paura di morire quanto essere odiato da Artù [...]
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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One shot – Merthur
    From 5×13
        “the diamond of the day” part 2
  
 
 
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      “Come due facce della stessa medaglia”
 
Merlino uscì dalla caverna di cristallo sotto forma di Emrys, il potente stregone tanto temuto da Morgana, s'incamminò verso la battaglia, doveva correre, doveva arrivare in tempo!
'posso farcela, posso ancora scongiurare la profezia', pensava il mago mentre spingeva il suo cavallo a correre più veloce e ancora di più verso Camlann, verso Artù.
 
Il re di Camelot aveva dato inizio alla battaglia, per amore di Camelot, per amore del suo popolo doveva vincere quella battaglia e porre finalmente fine a quella guerra che da troppo tempo stava occupando quei territori, Artù doveva porre fine a quella crudeltà e quell'odio, doveva battere Morgana, portare alla pace.
Per Albione, per Camelot, per se stesso.
 
I sassoni erano troppi, i soldati di Camelot stavano combattendo con coraggio, ma questo non sembrava bastare, i cavalieri si stavano stancando, Artù sentiva i suoi uomini cedere, urlare, venivano massacrati, ma questo non lo fermò, doveva continuare finché non avrebbe esaurito le forze.
Le urla degli uomini che cadevano, il suono delle lame che si scontravano cessarono per un momento, quando un drago bianco si avvicinò a loro. Il giovane re strinse i denti, mentre si abbassava a terra per evitare le fiamme. Morgana aveva la magia e aveva un drago, non avevano possibilità.
 
Artù sentiva che stavano perdendo, gli uomini di sua sorella stavano avanzando e li stavano accerchiando, non c'era scampo, non c'era salvezza. 'dannazione!' si ritrovò a pensare il re quando fu circondato da sassoni, il cuore batteva per lo sforzo, aveva la fronte sudata, guardò i suoi avversari, sarebbe morto.
Eppure qualcosa gli fece cambiare idea, un fulmine colpi i tre uomini a destra, un altro colpi quelli a sinistra, alzò la testa e sul precipizio vide la sagoma di un uomo anziano, uno stregone, aveva un lungo bastone tra le mani e fu sorpreso da quella mossa.
 
Altri sassoni si avvicinarono, ma ancor prima che potesse muoversi, lo stregone lì uccise con i suoi fulmini. Perché faceva quello? si domandò il re, perché li stava aiutando? Poi l'urlo frustrato di Morgana squarciò la notte, era furiosa, lo stregone colpi anche lei, Artù torno a guardarlo, senti la fiducia ritornare in sé mentre lo vedeva colpire altri nemici. Strinse con forza l'elsa della sua spada. "PER AMORE DI CAMELOT!", dichiarò e affiancato dai suoi uomini riprese a combattere con ancora più decisione con ancora più sicurezza perché sapeva di essere protetto.
 
Il mago usò il suo potere sul drago, ordinandole di allontanarsi dalla battaglia e di non toccare più nessun uomo di Camelot. Ormai la vittoria era vicina, la sentiva e prese un respiro fermandosi. Il re vide un suo cavaliere a terra chiedere aiuto, si avvicinò, si abbasso al suo fianco per soccorrerlo era nella natura di Artù aiutare i suoi soldati.
Mentre era chinato accanto all'amico morente, avverti una strana sensazione, come se tutto ad un tratto il suo stomaco fosse schiacciato da un masso. Avvertì il rumore dei passi alle sue spalle e si voltò difendendosi, ma si bloccò non appena riconobbe il volto del suo avversario.
 
Mordred.
 
Il suo cavaliere, uno dei suoi protetti, lo era finché non aveva deciso di tradirlo, guardò i suoi occhi e non vide nient'altro che dolore, odio, disprezzo.
Artù non desiderava quella fine, in un breve istante pensò di risparmiarlo, di trovare un punto d'accordo con lui, erano amici, erano...
Mentre Artù pensava questo con rabbia, con decisione, il suo ex cavaliere gli infilò la spada nel fianco.
 
Il fiato si blocco mentre la lama trapassava la sua armatura e la sua pelle.
Cadde in ginocchio, davanti al ragazzo che aveva accolto a braccia aperte, che aveva messo tra la cerchia dei suoi cavalieri più fidati, ma che lui stesso aveva ferito. Una rabbia improvvisa lo travolse, Artù si alzò e con la stessa decisione affondò la spada nel corpo di Mordred.
Lo senti sussultare a malapena, si assicurò di affondare per bene la lama dentro di lui guardandolo in faccia, il ragazzo gli rivolse un sorriso beffardo mentre moriva.
 
Artù lo lascio cadere poi si voltò, doveva andare a farsi medicare, senti un dolore atroce al fianco si porto una mano alla ferita e crollò a terra tenendo la spada stretta nella sua mano.
 
Emrys camminava tra i corpi privi di vita, erano troppi, innumerevoli, non aveva mai visto così tanti morti, sperava solo con tutto il suo cuore di non trovare li anche lui. Guardava attentamente ogni soldato di Camelot, ma non vedeva nessuna testa bionda, nessuna che appartenesse a quella testa di fagiolo del suo re. Pensava di aver raggiunto il suo obiettivo quando i suoi occhi blu finirono sulla figura a terra del giovane Pendragon.
 
Aumentò il passo e a malapena vide Mordred morto a terra, si abbassò accanto al re e controllò il suo battito "Artù...", fu un sussurro di sollievo, era vivo, era solo svenuto, vide la sua ferita. Non poteva lasciarlo lì, doveva portarlo al sicuro, doveva curarlo.
Si guardò intorno e poi con un enorme sforzo lo prese e lo portò via, trovò un posto tra i boschi, lo fece stendere e accede un fuoco, poi prese la forma di sempre.
 
Era passato abbastanza tempo quando sentì Artù muoversi si voltò e si guardarono negli occhi. "M-merlino, dove sei stato?", domandò il re cercando di alzarsi, ma il servo gli mise una spalla per farlo sdraiare.
"Io...mi...mi dispiace, Artù", rispose aveva un groppo in gola che non riusciva a mandare giù, faceva male, il modo in cui si erano salutati prima della guerra aveva fatto male ad entrambi.
 
Ad Artù non importava, certo era stato deluso della sua decisione, ma a lui importava che in quel momento fosse lì al suo fianco, di nuovo come sempre.
"Non importa adesso...il mio fianco-", emise un piccolo gemito di dolore quando provò a muoversi. "siete ferito".
"Pensavo peggio, ho creduto di morire"
Ci fu qualche attimo di silenzio, Merlino sentiva la sua gola andare a fuoco, lo stomaco faceva male, aveva paura e si sentiva di aver deluso se stesso per aver permesso a Mordred di ferire Artù.
 
"C'è una cosa che devo dirvi", aveva deciso, ci stava pensando da tempo ormai.
il suo legame con Artù si era fortificato negli ultimi tempi, si sentiva così legato a lui in un modo inspiegabile, e allo stesso tempo sentiva che il re anche si fidava.
Erano amici, vero?
Poteva fidarsi di Artù, lui meritava di sapere la verità così lo guardò, il suo re era in attesa che parlasse, notò i suoi occhi azzurri diventare specchi d'acqua.
"Ho combattuto i sassoni", disse.
 
"No, non sei stato tu, Merlino. È stato lo stregone sulla collina, l'ho visto con i miei occhi", rispose Artù, credeva che merlino fosse impazzito, quello che diceva non aveva alcun senso.
Aveva bevuto? "Ero io"
 
"Sono un mago, io possiedo la magia", aggiunse ormai le lacrime e i singhiozzi avevano preso il sopravvento, il re non capiva, non l'aveva mai visto così.
"e la uso per voi, Artù, solo per voi", sussurrò il giovane servo tenendo lo sguardo basso, artu teneva una mano sulla sua spalla e gli tirò due pacche mentre merlino teneva il suo polso come se fosse la sua ancora di salvezza. "tutto questo è ridicolo merlino, tu non sei uno stregone, me ne sarei accorto!", esclamò cercando di farlo ragionare.
 
Poi Merlino prese un respiro e si asciugò le lacrime. "G-guardate, io posso provarlo", si voltò verso la fiamma del fuoco, sollevò una mano e sussurrò qualcosa che Artù non comprese, gli occhi del servo divennero oro e nella fiamma si formò magicamente la figura di un drago.
La consapevolezza fece più male di un qualunque ferita fisica, gli aveva mentito, Merlino.
 
L'uomo di cui più si fidava, l'uomo a cui avrebbe affidato la sua vita era uno stregone era tutto quello che suo padre gli aveva insegnato ad odiare, Merlino "l'idiota", lo aveva preso in giro per tutti quegli anni.
Non aveva mai notato nulla di strano, mai nulla, eppure per anni aveva avuto accanto a sé uno stregone.
"Lasciami", il tono freddo con cui lo disse feri dritto al cuore il giovane mago. "Artù..", voleva rimangiarsi tutto, voleva non averlo mai fatto.
 
"Non hai sentito? Ho detto lasciami", così si alzò e con gli occhi colmi di lacrime si andò a sedere accanto ai cavalli, non lo avrebbe mai lasciato davvero solo.
Doveva trovare un modo per curarlo e poi avrebbe fatto qualunque cosa gli avesse chiesto si sarebbe anche fatto uccidere se era quello che Artù avrebbe deciso.
Credeva che lo avrebbe accettato per quello che era ormai si conoscevano, pensava che avrebbe capito che non avrebbe mai usato la magia per il male. Il suo cuore era lacerato, non poteva pensare di perdere la sua fiducia.
 
Artù era confuso si sentì tradito per l'ennesima volta da una delle persone che non si sarebbe mai aspettato.
Merlino era il suo migliore amico, provava per lui un grande affetto anche se non lo dimostrava, non poteva sopportare il pensiero di quella bugia. Gli aveva mentito per così tanto tempo! Chi era l'uomo che conosceva? chi era davvero Merlino?
Fu una delle loro notti peggiori, così vicini, ma immensamente lontani, i loro cuori pesanti per ragioni differenti che causavano entrambe un dolore strano, inspiegabile.
 
 Merlino voleva solo essere capito e accettato.
 
Artù si sentiva tradito profondamente per la bugia.
 
La mattina seguente all'alba Gaius li raggiunse, decise di parlare con Artù, gli spiegò che Merlino era l'unico a poterlo salvare e che era il più potente stregone che avesse mai camminato sulla terra.
"Merlino?", il re era molto riluttante ad accettare quell'idea, insomma era così ridicolo, quell'idiota goffo, chiacchierone e talvolta saggio non poteva essere così potente, non aveva alcun senso. 
 
Gaius lo confermò più volte, convincendo il re, ma Artù non temeva per la sua vita, sapeva che merlino non gli avrebbe mai fatto del male neanche per sbaglio, e se avesse voluto aveva molte occasioni. In cuor suo non era ferito dal fatto che fosse uno stregone, ma che glielo avesse tenuto nascosto. "va bene", disse infine e poi il vecchio medico decise di andare da Merlino.
Gli spiegò che al re rimanevano al massimo due giorni, un frammento di spada di Mordred erano nel suo corpo e viaggiava verso il suo cuore, ma la sua magia no poteva salvarlo. Sarebbero dovuti andare ad Avalon, li gli scii avrebbero curato Artù.
 
Merlino si promise che non avrebbe fallito, avrebbe fatto di tutto per salvarlo. Cosi poco dopo si avvicinò a lui e he era ancora steso a terra. "Artù", disse il suo nome e immediatamente il nodo in gola riprese il suo posto, Merlino sentì gli occhi pizzicare notando che evitava il suo sguardo. "dobbiamo andare", sussurrò il suo tono non era deciso, ma quasi tremava per la vergogna.
 
"Sono io il re, sono io che decido", dichiarò con decisione e una freddezza che gli tolse il respiro, non riusciva a guardarlo negli occhi.
Non avrebbe dovuto dirglielo, aveva mantenuto il segreto per così tanto tempo, poteva aspettare ancora e invece aveva agito da stupido. "non posso guardarvi morire", disse con la voce tremolante per il pianto.
 
"Questo non cambia le cose", così deglutì e provò a dire altro, ma Gaius suggerì di lasciarlo riposare ancora e partire poco dopo.
Così nel frattempo il servo preparò i cavalli, quando fu ora lo aiuto a salire e poi salutarono Gaius, Merlino noto anche che Artù gli diede il sigillo reale da dare a Ginevra, si stava già arrendendo?
 
Si misero in cammino, Artù era piegato su se stresso la ferita era dolorante, ma non si lamento, né disse altro, anche Merlino era silenzioso, i loro viaggi insieme non erano mai così. Passavano sempre le ore a chiacchierare a punzecchiarsi a vicenda, ma tutto sembrava finito il loro rapporto si era ghiacciato ed  entrambi erano sorpresi che questa cosa li ferisse più del dovuto.
Quando arrivarono in una valle, in lontananza videro alcuni sassoni che si avvicinavano, Merlino scese dal suo cavallo e copri Artù con una coperta, il re lo senti così vicino mentre gli passava un braccio vicino al volto per coprirlo con il telo, lo guardo da vicino negli occhi e si sentì così triste.
"Lasciate fare a me, state in silenzio", era così insolito, Artù era quello che si occupava dei nemici, si sentì tremendamente debole e forse spaventato che qualcosa sarebbe andato storto.
 
"AIUTO! IL NOSTRO ACCAMPAMENTO È STATO ATTACCATO", urlò Merlino e per qualche secondo Artù avrebbe voluto tirarlo indietro e proteggerlo, era stata una mossa così stupida chiamarli. "chi è stato?", chiese uno di loro. “Erano due cavalieri”, mentì e Artù si ritrovò a fare un sorrisetto amaro. ‘sei così bravo a mentire’ pensò dentro di sé.
“Erano cavalieri di Camelot?”, domandò l’altro, il giovane servo sollevò le spalle facendo intendere che non ne aveva idea.
Il sassone poggiò una mano sul petto di merlino e lo spintonò, il ragazzo si vide costretto ad arretrare e Artù ebbe l’impulso di afferrare la spada, ma l’altro si avvicinò al suo cavallo e buttò giù la coperta che merlino aveva sistemato. I nemici sfoderarono le spade e provarono ad attaccare, ma il mago agí prontamente, sollevò le mani e i suoi occhi si tinsero d’oro. Gli uomini vennero balzati a metri di distanza e caddero con un tonfo perdendo i sensi.
 
Ci fu silenzio, era la seconda volta che merlino sbatteva in faccia ad Artù la verità facendo una magia davanti i suoi occhi e fece male, dannatamente male. “Mi hai mentito per tutto questo tempo”, Merlino riconobbe la delusione nella sua voce e non disse nulla, abbassò il capo prese le redini dei cavalli e ripresero a camminare fino a tarda sera.
 
I due si fermarono nel bosco, Artù era steso a terra con il fianco che faceva troppo male. Merlino, invece, cercava di fare il possibile per accedere il fuoco, ma non ne voleva proprio sapere, fece un paio di sbuffi. “Perché non usi la magia?”, domandò il re e il corvino dovette pensarci un po’ su era una domanda lecita. Perché non l'aveva fatto? Artù ormai sapeva la verità. “Abitudine immagino”, sussurrò e in quel momento il re si sentì in colpa per aver obbligato con le sue leggi qualcuno come merlino a rinnegare se stesso. Il servo guardò per qualche istante il suo padrone come se in un certo senso volesse il suo permesso e lui annuì.
 
Merlino guardò la legna e la fiamma prese a bruciare, era tutto così silenzioso tra di loro, erano ancora così lontani, ma Artù iniziava a sentire qualcosa di diverso. “è strano”, commentò il più esile fissando le fiamme, non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi aveva paura che potesse leggere odio e disprezzo. “già”, il tono di Artù però non sembrava più duro, freddo o distaccato sembrava solo triste, fissò il suo amico.
Cercava di trovare in lui qualcosa di diverso eppure i suoi capelli neri erano uguali, sempre in disordine, i suoi occhi erano quelli di sempre blu come la notte, le sue orecchie erano ancora così a sventola e ridicole e poi anche le sue labbra lo erano… Quelle maledette labbra che più volte Artù si era scoperto ad osservare senza un motivo valido. Merlino era un uomo, proprio come lui, non aveva alcun senso e poi amava Ginevra, perché mai avrebbe dovuto guardare le labbra del suo servo?
“Credevo di conoscerti”, Artù ruppe il ghiaccio di nuovo. “Sono sempre lo stesso, non sono cambiato”.
 
Merlino rispose sinceramente sperando con tutto il suo cuore che Artù gli credesse, voleva dimostrarglielo e così si avvicinò a lui e gli tolse gli stivali. “Che… che stai facendo?”, era confuso.
“Devono asciugarsi”, così li sistemò accanto al fuoco scoppiettante e rimasero in silenzio con i loro pensieri.
Quando il sole iniziò a sorgere, Merlino preparò la colazione al suo re si avvicinò e si inginocchiò accanto a lui, ancora non riusciva a guardarlo negli occhi si sentiva così in colpa, così sbagliato. “dovete mangiare Artù, vi aiuterà se dovete guarire”, dichiarò e avvicinò il cucchiaio alle sue labbra, ma lo vide tirarsi indietro, Merlino avverti una fitta allo stomaco.
 
Artù non si fidava più di lui? Davvero credeva che avrebbe potuto avvelenarlo? “Artù…”, fu un sussurro, interrotto dal re che lo guardo dritto negli occhi.
“Perché ti comporti così? Perché continui a comportarti come un servitore?”, erano le domande che per tutta la notte lo avevano afflitto. La sua mente e i suoi pensieri erano occupati solo ed esclusivamente dal suo servo e questa cosa era strana. Perché non poteva pensare ad altro? Stava per morire e l’unica cosa che era nella sua testa era quell’idiota fastidioso.
 
Merlino sospirò, posò il cucchiaio nella ciotola e lo osservò. “È il mio destino servirvi, lo è sempre stato sin da quando ci siamo incontrati per la prima volta”, Artù fece un sorriso e anche l’altro, ricordavano entrambi il loro incontro. A quel tempo il re di Camelot era ancora uno stupido principe viziato e Merlino era quello che si divertiva a sfidarlo.
“Ti ho quasi staccato la testa con un bastone”, disse Artù, i suoi occhi sembravano più luminosi a ricordare i tempi passanti e anche il giovane mago era felice. “E io vi ho fermato, con la magia”.
Il re lo guardò sorpreso. “Tu hai barato!”, esclamò, il servo fece una piccola risata mentre lo guardava.
“Volevate uccidermi”, poi lo sguardo di Artù s’incupì di nuovo e Merlino non riusciva a capire. “Avrei dovuto”, abbassò la testa e fece un sospiro, avrebbe davvero dovuto? “Ma non l’avete fatto”, ritornarono nel loro silenzio nei loro pensieri.
Cosa sarebbe successo se lo avesse ucciso, come sarebbe stata la sua esistenza senza la presenza del ragazzo? ‘Nulla, sarebbe stata nulla’, pensò. Prima che merlino arrivasse a Camelot, Artù non era altro che un principe arrogante e presuntuoso a cui tutti obbedivano senza commentare, nessuno gli diceva quello che pensava ed era così estremamente noioso, ma poi con Merlino la sua vita era cambiata aveva imparato molte cose e aveva trovato oltre che ad un servo un amico leale che non voleva perdere. O era quello che credeva.
 
“Il vostro destino è quello di essere il più grande re di Camelot e io vi starò accanto”, disse Merlino ad un tratto e Artù scosse la testa.
“Un tempo forse, ormai chiunque può essere re”, rispose con sicurezza, ma il suo servo scosse la testa. “Non c’è ne sarà un altro come voi”, a quelle parole Artù senti un calore all’altezza del cuore e una strana sensazione allo stomaco. Pensò che fosse dovuta alla ferita, ma non era la prima volta, succedeva sempre quando Merlino gli parlava con quello sguardo così profondo e serio.
Ricordava bene le sue parole la sera accanto al falò quando stavano fuggendo da Agravaine, Artù si sentiva sbagliato, tradito per l’ennesima volta, credeva di essere lui la causa, si sentiva di non meritare il trono di Camelot, si stava arrendendo, ma Merlino era al suo fianco e gli parlò facendolo sentire speciale quasi. Anche quella volta aveva sentito quel piacevole calore e non era ferito, ma non voleva rispondersi.
 
Poi il servo gli mise una mano dietro la testa e avvicinò di nuovo il cucchiaio alle labbra. “Faccio questo anche perché siete mio amico e non voglio perdervi”, disse e Artù riprese a mangiare, sentiva la sua delusione andar via man mano che Merlino gli parlava. Forse aveva detto la verità, non era cambiato era sempre lui.
Appena furono pronti salirono di nuovo sui cavalli e fecero molto cammino, Merlino si voltava sempre  dietro per assicurarsi che fosse svegliò e quando lo vedeva un sorrisetto gli illuminava il volto. Voleva salvarlo con tutto se stesso e ci sarebbe riuscito, non poteva neanche minimamente pensare di fallire, l’idea non poteva neanche essere presa in considerazione nella sua mente e così continuarono.
 
Poi si fermarono qualche minuto, Merlino aveva fatto sedere Artù sul tronco di un albero caduto e quando si voltò lo vide chiudere gli occhi immediatamente accorse.
“Artù!”, si sedette accanto a lui con il cuore che batteva veloce preoccupato erano vicini e poteva guardare bene i suoi occhi azzurri come il cielo. “Dovete resistere solo un  altro giorno…solo un altro giorno”, sussurrò
‘resistete artù...resistete, fatelo per voi stesso, per Camelot, per me’, pensò Merlino mentre dentro di sé era così preoccupato. Artù senti il suo tono, non voleva arrendersi, ma non ci riusciva, faceva male un male dannato.
 
“Perché non me l’hai mai detto?”, domandò Artù e un po’ Merlino fu sorpreso da quella domanda, davvero ancora Artù stava pensando alla sua magia? Lo guardò negli occhi e abbassò leggermente la testa “Non sapete quanto avrei voluto dirvelo, ma…”, interruppe. “Cosa?”, il re voleva sapere la verità, voleva sapere perché non gli aveva mai detto la verità, dopo tutti quegli anni…
“Mi avreste tagliato la testa”, rispose guardandolo, Artù doveva immaginarlo, aveva fatto una domanda così stupida. La magia era vietata a Camelot, le leggi erano chiare e dovevano essere applicate, aveva condannato Merlino a nascondersi. Che cos’avrebbe fatto se lo avesse scoperto prima? Sarebbe davvero riuscito a farlo giustiziare? La domanda si ripeteva nella sua testa, mentre il suo servo lo aiutava a bere, lo sentiva così vicino. “Non so cosa avrei fatto”, sussurrò guardandolo e poi i suoi occhi vagarono per un breve istante sulle sue labbra che erano così vicine. “Non volevo mettervi in quella posizione”, lo guardò negli occhi un po’ sorpreso. “Era questo che ti preoccupava?”.
 
Non solo, quello che preoccupava merlino per tutti quegli anni era la paura di non essere accettato, di essere rigettato, non aveva paura di morire quanto essere odiato da Artù. “Avevo paura che mi avreste allontanato”, ammise e si guardarono negli occhi così intensamente. Entrambi sentivano strane emozioni, si fissarono un bel po’ mentre rimanevano così vicini. “Ognuno di noi nasce per uno scopo, Artù, c’è chi nasce per essere un buon re, chi per essere un contadino…io sono nato per servirvi e ne vado fiero”.
La devozione di Merlino, non aveva fine era qualcosa di più che un rapporto tra servo e padrone era più che semplice amicizia, c’era altro e i loro occhi lo dicevano apertamente. Artù lo guardava i suoi occhi blu notte così sinceri, non c’erano bugie, era la verità. ‘non lo merito, non dopo come l’ho trattato’, pensò il re sentendo quelle parole e poi guardò di nuovo le sue labbra erano piegate in un sorriso.
 
“Mi dispiace”, ammise. Merlino corrugò le sopracciglia confuso, per cosa? “Avrei voluto…”, sussurrò, ma il servo non gli diede il tempo di parlare scosse la testa.
“Artù, fate silenzio…qualunque cosa avreste voluto fare, avrete il tempo di farlo…non è ancora finita”, forzò un sorriso e si rimisero in cammino sui cavalli, lo guardava in modo diverso, avrebbe voluto dirgli così tante cose.
 
Merlino sorrideva cercando di rassicurarlo, gli diceva con gli occhi che sarebbe andato tutto bene, che lo avrebbe salvato e Artù sentiva il suo fianco fare ogni minuto più male. Voleva stargli solo vicino, voleva averlo accanto in un modo inspiegabile. Poi dovettero fermarsi e Merlino scese da cavallo, videro alcuni sassoni e così li distrasse e copri le orme con la magia.
“Tutti questi anni, Merlino…e non hai mai preteso una ricompensa”, sussurrò. Com’era possibile? Uno stregone che faceva tutto quello senza mai chiedere nulla… “Non è per questo che lo faccio”.
‘e allora per cosa? Perché aiuti me, perché me che non ho fatto altro che uccidere quelli come te? Perché mi aiuti dopo essere stato costretto a fingere per tutta la vita?’, si chiese. “L’hai già fatto una volta vero?”, domandò alludendo all’incantesimo che aveva appena fatto e Merlino annuì.
 
“Merlino perché lo fai?”, domandò mentre si rimettevano in cammino, il servo sapeva già la risposta. La prima volta che aveva incontrato il grande drago gli aveva detto di usare i suoi poteri per il bene, per la creazione di Albione, ma andando avanti nel tempo il mago aveva dimenticato il suo vero obiettivo, per lui tutto era finalizzato ad una sola persona, Merlino non voleva nient’altro che Artù stesse bene, non gli importava di Albione era convinto che ormai non aveva più alcun senso. ‘Per voi, Artù. Solo per voi’, pensò.
“Per Camelot, per Albione”, sussurrò mentre il cuore batteva, quello che sentiva era sbagliato e lui lo sapeva bene. Artù non disse più nulla per molto tempo.
 
Pensava alle parole di merlino, aveva servito Camelot per tutto quel tempo aveva usato la magia solo per il bene, si sentì in colpa per tutte le volte che dinnanzi a lui aveva parlato della magia come malvagia, aveva detto cose orribili, aveva esplicitamente detto che TUTTA la magia era crudele e che non c’era bontà negli stregoni, Merlino non aveva mai detto NULLA. Aveva sopportato le sue parole e poteva solo immaginare il dolore che aveva provato in quei momenti, come si era sentito? Odiato, sbagliato, orribile. Nonostante ciò però non se ne era mai andato, era sempre rimasto a Camelot… ‘al mio fianco’, pensò.
Tutti lo avevano tradito a cominciare da suo padre, Morgana, suo zio e altri, ma Merlino c’era sempre stato.
 
Non avrebbe mai dimenticato il giorno della morte di suo padre. Il giorno malvagio. “Non eri alla taverna”, sussurrò a voce alta, Merlino lo guardò confuso. “Ne dovevi fare pipi”, aggiunse.
Nella mente di merlino c’erano così tante domande, a cosa stava pensando Artù. “Quando mio padre è morto”. Il servitore abbassò la testa, quello fu uno dei suoi giorni peggiori, ricordarlo gli faceva sentire ancora l’amaro in bocca. “Mi dispiace Artù…volevo salvarlo, volevo farlo davvero io ho fallito…io…”, non lo guardava negli occhi. La voce del mago tremava temeva che avrebbe ripreso ad odiarlo a credere che l’aveva ucciso. “Ti credo”, disse e lo guardò gli occhi del mago erano già umidi, Artù aveva sempre ammirato la sensibilità di Merlino, non nascondeva mai cosa provava.
I suoi occhi blu erano sempre troppo espressivi, eppure ha sempre sentito dentro di sé che nascondeva un segreto e finalmente lo sapeva. “D-davvero?”, domandò incredulo, per giorni aveva dovuto fare i conti  con sé stesso dopo la morte di Uther, si era sentito così in colpa. Artù fece un cenno di assenso e forzò un sorriso “Ma non ti perdono per avermi trattato come un cavallo”, Merlino sorrise e tutta la foresta sembrò illuminarsi. “Be’ è stato divertente, no?”, scherzò. Il re scosse la testa contrariato, lo aveva costretto a portarlo sulle spalle.
“Io volevo solo che voi vi fidasse ancora della magia, volevo dimostrarti che esisteva anche il bene…ma ho fallito”, disse e abbassò di nuovo la testa. “Mi hai aspettato tutta la notte fuori la sala del trono sul pavimento…”, ricordava la sensazione i calore che aveva avvolto il suo cuore quando lo aveva visto lì a terra era come se per un momento la perdita di suo padre avesse smesso di far male.
“Mi sentivo in colpa, volevo rimediare volevo farvi sentire meno solo”, e si guardarono ancora, poi ripresero a camminare.
 
Merlino sentiva il suo cuore liberato da un peso, finalmente Artù sapeva la verità anche su quella notte. Entrambi erano più leggeri riguardo a quel giorno e si sentivano ancora più vicini, i loro cuori battevano in modo diverso.
Il re era felice di sapere che Merlino non lo avrebbe mai abbandonato in qualunque situazione.
Poi il servo si fermò per qualche secondo facendogli segno di stare fermo. “Sassoni, ma se ne sono andati da poco”, sussurrò.
“Come fai a saperlo?”, gli domandò. Merlino fece un sorriso. “Posso vedere il percorso che abbiamo avanti”.
“Così non sei un idiota, è solo un’altra bugia”.
Sorridendo il servo si voltò a guardare il suo re “No, è solo un altro lato del mio fascino”, e Artù si ritrovò a fare un piccolo sorriso e poi lo guardò mentre riprendeva a camminare.
Sentiva la fine vicina e per la prima volta Artù aveva così tanta paura della morte, la sentiva premere sul suo petto, ma non voleva andarsene. Voleva ancora altro tempo, voleva ancora conoscerlo, ridere e scherzare con lui, prenderlo in giro e fare tante altre cose. Artù era stato addestrato come un guerriero e sin da piccolo gli avevano insegnato che mostrare sentimenti era una debolezza e che non doveva temere la morte, e per lui era sempre stato così finché non aveva incontrato Merlino. Gli aveva detto tutto il contrario, lo aveva fatto uscire da quella corazza con cui lo avevano cresciuto, lo aveva fatto tornare umano. Artù aveva imparato a piangere e a mostrare pietà e compassione anche se a volte gli altri sembravano approfittatene, Merlino lo aveva fatto diventare una persona migliore con la sua sensibilità. ‘sarai felice ora, temo la morte per colpa tua’, si ritrovò a pensare.
 
Voleva più tempo, più tempo eppure lo sentiva sfuggire come granelli di sabbia. Merlino si voltò e vide che si stava addormentando, così scese da cavallo e lo svegliò. “Artù dovete svegliarvi, siamo vicini, solo un altro po’…”, disse, ma il re scosse la testa. “Io non c’è la faccio, Merlino, non ci riesco, fa troppo male”, così il servo sospirò.
“Va bene, faremo una pausa, ma tra un ora ripartiremo”, lo aiutò a scendere e lo sistemò su una coperta  terra, accese il fuoco, nel frattempo Artù lo fissò con attenzione il suo cuore era caldo, era al sicuro. “Merlino”, gli fece segno di avvicinarsi e gli sedette accanto, si guardavano attentamente. “Io non voglio che tu cambi”, disse con certezza. “Io voglio… voglio che tu sia sempre te stesso”, Merlino senti il suo cuore battere con più forza come se volesse uscire e i suoi occhi erano diventati così sereni e felici, Artù poteva giurare di non averlo mai visto così felice da quando lo conosceva e fu così fiero di esserne il motivo.
Quello che merlino aveva desiderato con tutto se stesso, quello che più aveva sognato, il suo volere più grande quello che con tutto il cuore aveva sperato era avverato. Artù conosceva la sua magia e l’accettava, voleva che lui fosse se stesso, voleva che lui fosse un mago. Per momenti indefiniti il ragazzo non disse nulla, ma i suoi occhi parlavano chiaramente, Artù sorrideva, voleva che quello sguardo gli rimanesse stampato per sempre nella sua memoria, quegli occhi erano così felici. “Hai fatto così tanto, per Camelot, per…me…”,  sussurrò.
“Questo significa che mi darete un pomeriggio libero?”, domandò scherzando.
‘Avrai tutta la vita libera, Merlino. Lo sappiamo entrambi che non tornerò mai a casa. Lo so io e lo sai anche tu che non ci sarà più nessun risveglio, nessun lavoro, nessuna armatura da lucidare, né maglie da pulire o spade da affilare o cavalli da strigliare, lo sappiamo, Merlino’, voleva dirglielo, ma la felicità del servo era così tanta che non voleva spezzarla, non voleva ferirlo. “Due”, rispose.
“Generoso…molto generoso”.
 
Merlino vedeva che Artù era pensieroso, lo notava, parlarono ancora, ma guardava i suoi occhi, quante volte li aveva visti, conosceva a memoria ogni sfumatura eppure non ne era mai stanco non lo sarebbe mai stato. “Ora dovete riposare tra poco ripartiremo”, sussurrò e fece per allontanarsi quando gli prese il braccio, guardo la sua mano sul suo polso e poi si guardarono. “Non voglio dormire, parlami di quando hai usato la magia”, Artù non voleva chiudere gli occhi temeva di riuscire più ad aprirli temeva di morire nel sonno e non riuscire a salutarlo, voleva sapere più cose possibili prima di abbandonare quel mondo. “Artù…”, provò a ribattere, ma non voleva sentire ragioni. “Sono io il re comunque quindi esegui i miei ordini”, il servo fece un sorriso. “Non vi ho mai ascoltato, non inizierò adesso, avete detto voi che non devo cambiare, lo avete già dimenticato? Siete proprio una testa  di fagiolo”, disse e Artù scoppiò a ridere anche se il fianco faceva male, adorava il lato sempre scherzoso di Merlino, le sue risposte senza alcun senso e il modo in cui lo chiamava. “Potrei farti impiccare un giorno, sono il re non puoi chiamarmi così”, disse guardandolo erano vicini, così vicini che i loro respiri potevano quasi mischiarsi, ma non si allontanò. “Perché? è quello che siete…una testa di fagiolo”, sorrise e poi sollevò a fatica per scompigliargli i capelli neri come la notte. “Sta zitto…stregone”, non lo usava in modo dispregiativo, ma era scherzoso.
Erano ancora vicini e i loro cuori battevano sincronizzati, erano troppo vicini, più di quanto avessero dovuto era come se una calamita impedisse loro di allontanarsi.
 
Tutto quello, gli sguardi, i sorrisi, i soprannomi, il modo in cui si proteggevano sempre a vicenda era molto più che amicizia e fu in quel momento che entrambi ne ebbero la certezza. Si guardarono a vicenda le labbra e non era qualcosa di normale, perché lo facevano? Artù amava Ginevra, perché desiderava baciare Merlino, perché il suo migliore amico, perché un altro ragazzo. ‘È la ferita, sto impazzendo’, ma non era la prima volta e poteva negarlo, ma in cuor suo lo ha sempre saputo. “Dovete dormire Artù…ci sarà tempo per le chiacchere”, ma non c’era tempo rafforzò la presa sul suo braccio e lasciò i suoi capelli. “Stenditi accanto a me…ho freddo”, ma era una bugia, una grande bugia, la verità era che lo voleva accanto con tutto se stesso, voleva sentire il suo calore, voleva essere sicuro che se fosse morto lo avrebbe avuto accanto. Così Merlino sospirò e si mise alla sua destra perché sapeva bene che Artù dormiva a sinistra e quando notò che il servo si ricordò di questo dettaglio sentì il cuore battere ancora più forte. ‘quanto mi conosci Merlino, quanto tempo abbiamo passato insieme?’ con questo pensiero chiuse gli occhi, ma poco dopo gli sembrò di sentire il ragazzo al suo fianco singhiozzare.
 
Merlino era crollato, il suo cuore era così spaventato da tutto quello che aveva tenuto nascosto e che stava uscendo fuori proprio ora, aveva paura che fosse l’ultima volta che lo vedeva e ancora non gli aveva detto l’ultima cosa. Le lacrime bagnarono le guance del mago, si ripeteva che sarebbe riuscito a guarirlo in tempo, ma aveva troppa paura di fallire. “Vi prego Artù, non morite, vi supplico”, sussurrò tra le lacrime girandosi verso di lui che aveva gli occhi chiusi, ma che riusciva a sentirlo.
“Io devo dirvi ancora tantissime cose, devo…ho ancora un altro segreto…”, un segreto di cui si vergognava profondamente che da molto tempo teneva nascosto, un segreto che faceva molto più male, un segreto da cui dipendeva tutto a partire dal suo rapporto con Artù. “Non potrete mai capirmi, ma vi amo…vi amo così tanto”, il cuore del re ebbe un tuffo, aveva sentito bene? Merlino gli aveva appena confessato i suoi sentimenti, lo aveva davvero fatto.
“Quindi vi prego, dovete vivere”, lo supplicò con il cuore spaccato stendendosi accanto a lui e lo senti che si appoggiava alla sua spalla, senti il suo profumo e il suo calore e il suo maledetto cuore non smetteva di battere. ‘cosa mi stai facendo merlino? È un incantesimo?’, ma la risposta era ovvia e poteva capirla da solo, da quando erano diventati amici Artù si era legato al corvino sempre di più, considerava la sua opinione più di quella di qualunque altra forse anche più di quella di Ginevra.
E fu in quel momento che Artù realizzò, durante quei giorni non aveva fatto che pensare a lui, alla sua magia, alle sue labbra, non aveva rivolto neanche una volta un pensiero a sua moglie che lo aspettava a Camelot, non si era preoccupato e si sentì così egoista. Quello che stava sentendo per merlino, quello che aveva sempre sentito era un errore, erano due uomini, eppure questo al suo cuore non sembrava importare. ‘dannazione Merlino…’
 
Un’ora dopo il servo si alzò, cancellò dalle sue guance il segno delle lacrime, spense il fuoco e svegliò il suo padrone. “Dobbiamo andare”, ma non lo senti. “Artù!”, urlò spaventato, ma appena vide i suoi occhi aprirsi si sentì sollevato, si guardarono negli occhi e si dissero tutto solo con uno sguardo. “Andiamo, manca poco”, lo sollevò da terra e finì tra le sue braccia a quel contatto Artù decise di non resistere e così lo abbracciò e il servo ricambiò nascondendo la sua testa nell’incavo del suo collo. ‘non abbandonatemi, non anche voi…ho già perso troppo’, lo supplicò con la mente e tutto il suo cuore mentre rimanevano stretti in quell’abbracciò da cui Artù più del servo non voleva staccarsi, né aveva bisogno. Era sempre stato abituato a riceverne pochi e con merlino ce ne era stato solo uno così spontaneo, per il resto lo aveva sfiorato per proteggerlo e Merlino aveva imparato a sentire l’affetto attraverso quei fugaci tocchi, ma soprattutto con i suoi sguardi. “dobbiamo andare”.
 
Artù strinse la sua giacca senza volersi staccare. “Artù…”, così si rimisero sui cavalli, poi decisero di fermarsi per qualche momento quando i cavalli se ne andarono e Merlino tentò di richiamarli invano.
 
“Emrys”, non fece in tempo a proteggersi che Morgana lo balzò a metri distante, Artù senti il suo cuore perdere un battito.
‘Merlino’, sperò che fosse vivo, mentre la strega si avvicinava a lui e si abbassava accanto a sé, il re fece per prendere la spada, ma non c’è l’aveva. “Cosa vuoi Morgana?”, domandò stancamente.
“Nulla, voglio solo guardarti. Non sembri più tanto forte, fratello, guardati…morirai per mano di Mordred”, rispose con la voce colma di cattiveria e odio, cosa le aveva fatto? Perché aveva iniziato ad odiarlo? Perché era diventata così? Da una parte si sentiva in colpa, credeva di aver sbagliato qualcosa, come era cambiata così tanto? “Avrai vinto la battaglia, Artù, ma hai perso la guerra”, è vero aveva perso...sarebbe morto, ma si sentiva sereno sotto alcuni aspetti, perché sapeva che sarebbe morto con qualcuno accanto e che con un regno che lo aveva apprezzato, mentre lei no…Morgana non aveva più nessuno. “Ma non preoccuparti non ti lascerò da solo, ti guarderò mentre i corvi e i lupi mangeranno il tuo corpo”, fece una risatina. “Basta Morgana, gli spargimenti di sangue sono finiti”, la strega si alzò e fissò merlino che aveva in mano la spada.
“Sei diventata così per colpa mia, tutto questo deve finire”, sussurrò il corvino guardandola dritta negli occhi, aveva passato anni ad incolparsi per la cattiveria di Morgana, si pentiva profondamente per come erano andate le cose, potevano essere amici, ma il destino aveva predetto altro per loro. “Sono una sacerdotessa della antica religione, nessuna spada comune può uccidermi”, Merlino spinse la lama e Morgana sussultò sentendo un dolore mai provato prima lacerarle lo stomaco, si appoggiò a lui mentre lo guardava negli occhi, la sua paura si stava avverando, la profezia della Caellich si stava compiendo, Emrys era la sua distruzione. “Questa non è una spada comune, come la tua è stata forgiata da fuoco di un drago”, sussurrò e si guardarono, si erano fatti così tanto male a vicenda che si erano dimenticati di essere uguali, mentre moriva gli occhi di Morgana erano spenti, non c’era più odio o sete di vendetta. ‘Mi dispiace, potevo aiutarti, ma voi non mi hai lasciato scelta, avevi detto che la magia poteva essere buona, ma hai preso la via del male e io non posso permetterti di portare altro dolore…’, pensò merlino.
La strega senti la vita abbandonarsi e crollò a terra con qualche lamento, gli occhi sbarrati per il dolore, era finita.
“Addio Morgana”, poi senza perdere altro tempo Merlino raggiunse Artù che aveva visto tutta la scena ed era sollevato e allo stesso tempo forse triste.
 
“Hai portato la pace”, sussurrò soltanto, mentre Merlino si passava un suo braccio attorno alle spalle, si guardarono negli occhi e ripresero, con molte difficoltà, a camminare. Artù pensava a Morgana alla fine che aveva fatto, a cosa aveva portato tutto quell’odio? Cosa aveva concluso alla fine? Aveva portato a odio e distruzione…perché? “Pensate a Morgana?”, la voce di merlino riportò il giovane re alla realtà.
“Perché è diventata così? Perché mi odia tanto?”, era solo triste di come erano andate le cose tra loro, credeva di volerle bene, credeva che sarebbero cresciuti insieme a Camelot, era così diversa da come la ricordava, era diventata marcia dentro, la sua bontà il suo altruismo, il suo coraggio, la sua ironia tutto di lei sembrava essersi perso in un vortice di oscure emozioni. “È colpa mia”, disse Merlino “Io avrei dovuto aiutarla sin da quando ha scoperto di avere la magia, avrei dovuto…rassicurarla, ma non l’ho fatto, era sola e spaventata e Morgause è stata l’unica ad aiutarla e così è diventata quello che è”, rispose.
Il mago non guardava più il suo re negli occhi. “Mi dispiace Artù…mi dispiace è stata tutta colpa mia, non sono stato abbastanza attento-”, ma venne interrotto.
“Non hai nulla di cui scusarti, Merlino, non è colpa tua…non è compito tuo aiutare tutti. Morgana poteva scegliere e l’ha fatto, ha preferito il male”, avrebbe voluto ascoltare le sue parole, ma dentro di sé, Merlino si sarebbe sentito per sempre responsabile di tutto ciò che era successo, era un peso troppo grande, tutto quello che aveva passato, Artù si domando come aveva fatto a sopportarlo da solo. “Ora l’hai uccisa, Camelot è al sicuro e te ne sarò grato per sempre”, la voce del re era sincera e un po’ affaticata, la pelle del volto era pallida, aveva troppo dolore, guardarono dinnanzi a loro e videro il lago in lontananza.
“Dobbiamo muoverci. Avalon è vicina ci arriveremo”, disse fiducioso, aveva paura, ma doveva mostrarsi sicuro, lo doveva ad Artù. “Non ci arriveremo senza i cavalli”, ma Merlino era testardo e scosse la testa, non lo avrebbe lasciato morire, Morgana era morta, Camelot era al sicuro, Artù meritava di governare quel regno.
 
Erano entrambi esausti si trovavano in un ampia vallata quando Merlino inciampò e caddero a terra sull’erba fresca, Artù gemette ormai le gambe non riuscivano più a reggerlo, il servo cercava di rialzarlo, ma era proprio il re a impedirglielo. “È troppo tardi, è troppo tardi”, sussurrava cercando di fermare il corvino che testardamente cercava di contrastare l’altro.
“Fermo, fermo”, il respiro era affannato per lo sforzo. “Tutti quei poteri merlino, non sei riuscito a salvarmi”, il suo cuore si spezzò, lo stava deludendo. “No! Io posso!”, provò a divincolarsi, ma Artù gli prese le mani e le portò sul suo addome. “Solo…stringimi”, lo disse con sicurezza guardandolo era un solo desiderio e Merlino lo esaudì lo strinse tra le sue braccia e lo guardò negli occhi, non poteva essere già arrivato il momento, si rifiutava di accettarlo.
‘stringimi e non lasciarmi andare, tienimi non voglio nessun altro accanto a me ora’.
“Merlino…c’è una cosa che devo dirti”, la voce di Artù era colma di dolore, la ferita lo stava straziando, il ragazzo scosse la testa, aveva già iniziato a tremare e non voleva, lo strinse più forte. “Non vi lascerò dirmi addio”, il re scosse la testa e forzò un sorriso, era così strana quella sensazione, ma non voleva negarla, non ora che era fin di vita, per una volta voleva essere se stesso. Non il re di Camelot, non Artù Pendragon, non il re del passato e del futuro, voleva essere solo Artù un giovane uomo che aveva dovuto sopportare i poteri della corona e che più volte si era sbagliato della persona sbagliata. “Ascoltami”, anche questa sembrava una supplica. “Ho vissuto in una menzogna, Merlino, per anni ho commesso così…così tanti sbagli, non mi sono mai reso conto di quanto tu facessi per me. Ti ho trattato…molto male”, il servo scosse la testa tra le lacrime. “Si, invece, lo so adesso tutto quello che hai fatto per me, per Camelot per il regno che mi hai aiutato a costruire…”, sussurrò.
Merlino si rifiutava di ascoltarlo, voleva alzarsi portarlo al lago guarirlo “Lo avreste fatto anche senza di me”.
‘no, non ci sarei mai riuscito, o se l’avrei fatto sarebbe stato noioso e sarei stato un re pessimo, forse non sai quanto tu mi abbia migliorato’, le parole non uscivano facilmente così pe pensò sperando che potesse capire i suoi occhi “Può darsi, ma c’è altro merlino, io…ho sempre avuto la verità sotto il naso, ma non me ne sono mai accorto…sono stato così ottuso, forse hai ragione sono stato una testa di fagiolo”, rise tra le lacrime a quelle parole e questo fece sorridere anche Artù, lo guardava negli occhi e capi finalmente tutto.
Merlino lo guardava con amore, nei suoi occhi non era solo devozione e lealtà era amore ed era così reale, così puro, così sincero ed era quello che anche lui stesso provava. Qualcosa che andava ben oltre la semplice amicizia o fratellanza, era quello il motivo per cui gli guardava le labbra, era quello il motivo per cui voleva la sua compagnia.
 
Artù amava Merlino, lo aveva sempre amato, quando lo aveva visto ferito una volta aveva provato una paura inspiegabile, la paura di vederlo morire. ‘ho sempre amato un uomo, ma ho sposato Ginevra’.
Per lei era solo un grande affetto che aveva scambiato per qualcosa di più, Merlino notò l’espressione confusa sul volto di Artù. “Non ho mai capito nulla Merlino, perdonami”, il servo non capiva di cosa stava parlando era così scosso tremava, sembrava così fragile non voleva spezzarlo con la sua morte, ma doveva andarsene.
Era sempre stato Merlino, da sempre c’era sempre stato e il suo cuore gli apparteneva. Aveva passato la sua vita a credere in cose sbagliate, ma non poteva andarsene senza rimediare. “A-artù…che…che succede?”, il servo credeva che si stesse sentendo ancora più male, voleva alleviare il suo dolore, poi Artù mise una mano dietro la nuca di Merlino e fece un ultimo sforzo, si tirò a sedere e nonostante il dolore si avvicinò al suo viso, lo guardò prima negli occhi e poi prese un respiro e guardò le sue labbra.
Quelle che per tanto tempo aveva solo guardato sentiva di doversi sbrigare e così annullò ogni distanza, Merlino strinse Artù con tutte le sue forze mentre ricambiava il bacio. Le loro labbra si cercava come se avessero atteso secoli. Le lacrime di entrambi resero il bacio amaro, ma colmo di amore, i loro cuori battevano insieme.
“Ti amo”, lo disse appena crollò tra le sue braccia, Merlino tremava in maniera incontrollabile, non credeva alle sue orecchie, era in panico, Artù gli sorrise. “Non piangere”.
‘non voglio ferirti Merlino, non più di quanto abbia già fatto, ti prego non rendere questo momento così doloroso’.
 
“A-Artù…vi prego…”, continuava a tenere una mano tra i suoi capelli mentre gli continuava a sorridere calorosamente. “Shh…baciami”, la voce era fioca, non aveva la forza di baciarlo, ma voleva che lo facesse voleva ricordare le sue labbra.
Stava tradendo Ginevra, il loro matrimonio, con Merlino il suo servo, il suo migliore amico, ma non gli importava stava morendo dannazione, non voleva più seguire nessuna legger o morale, voleva fare quello che gli diceva il cuore e in quel momento desiderava baciarlo ancora.
Il ragazzo tremante si abbassò e titubante fece di nuovo combaciare le loro labbra, Artù non esitò, il suo stomaco si arricciò sentendo tutto l’amore e l’affetto che per anni aveva tenuto nascosti. ‘Non posso perdervi perché se perdo voi perdo anche me stesso, quindi vi supplico’, si baciarono con amore e restarono vicini i loro respiri si mischiarono, Artù sorrideva sembrava sereno.
“Merlino…mi…mi dispiace per non essermene accorto prima, scusami”, la voce era piena di dolore.
“Grazie”, disse infine mentre sentiva le sue forze che lo abbandonavano lentamente. ‘Grazie per avermi amato, ci rivedremo Merlino e in un’altra vita noi avremo la possibilità di stare insieme’, fu il suo ultimo pensiero poi i suoi occhi si chiusero e il mago non poté più guardare in quelle iridi così azzurre.
Il panico, la rabbia, il dolore lo devastarono. “NO!”, urlò e chiamò a gran voce Kilgharrah, poi appoggio la fronte su quella del suo re, del suo Artù. ‘Tornate da me, tornate da me vi prego…’, ma non c’era più vita. “Vi amo stupida testa di fagiolo, vi amo”, ma nulla lo avrebbe risvegliato, lo baciò ancora, ma le labbra erano diventate fredde ed erano ferme. Era davvero morto?
Il drago arrivò e salirono su di lui, quando arrivarono ad Avalon erano le prime luci, scesero e lo teneva ancora tra le sue braccia stretto come gli aveva detto. “Non c’è nulla che tu possa fare, giovane mago”, disse Kilgharrah. “Ho fallito?”, urlò con un nodo in gola che bruciava e gli faceva salire le lacrime agli occhi.
“No, giovane mago, quello che abbiamo sognato si è avverato, il tempo di Albione è finalmente giunto”, ma il ragazzo scosse la testa.
Non gli importava della magia, non gli importava più nulla del suo destino, voleva solo che Artù fosse vivo. “IO NON VOGLIO PERDERLO!”, gridò con la voce spezzata “È MIO AMICO!”, erano più che amici, ma che senso aveva dirlo.
 
“Nessun uomo per quanto grande può conoscere il proprio destino, Artù non è solo un re, Artù è re una volta e re un futuro, ciò significa che quando Albione ne avrà bisogno Artù risorgerà”, disse, ma questo non lo consolava, quanto avrebbe dovuto aspettarlo.
“È stato un onore per me conoscerti, giovane mago, la storia di cui noi abbiamo fatto parte vivrà a lungo nelle menti degli uomini”, detto ciò spiegò le ali e volò via, Merlino restò solo con il corpo senza vita della persona che più aveva amato in tutta la sua vita, il cuore era lacerato, spaccato in mille piccoli pezzettini.
Qualche ora dopo, Artù era in una barca la pelle bianca e fredda, gli occhi chiusi il respiro e il battito assente. “Artù…”, Merlino lo chiamò un ultima volta, aveva preparato la barca tra i singhiozzi e aveva gettato Excalibur nelle profondità del lago e doveva solo dire addio al re, no ad il suo re.
Ancora sentiva le sue labbra ancora gli sembrava di sentire le sue parole, lo ricambiava e quello che gli faceva male era che non avevano avuto tempo a sufficienza. ‘Perché ve ne siete andato? Mi dispiace avrei dovuto…non mi perdonerò mai la vostra morte’, poi piangendo fece allontanare la barca con una magia e la guardò andare via piangendo, non riuscì a mettere fuoco, restò immobile finché non divenne un puntino.
 
 
 
 
Tornò a Camelot, diede la brutta notizia, non riuscì neanche a guardare negli occhi Ginevra dopo quello che era successo. Sentiva di aver deluso tutti, si rifugiò il prima possibile e pianse, singhiozzò e si addormentò così, con le lacrime che ancora continuavano a scendere e l’immagine di Artù che gli baciava le labbra.
“Ti amo”, aveva detto e il suo cuore aveva sanguinato, per quelle due parole significavano molto di più. “Ti amo e ho sempre creduto che era solo un grande affetto, ti amo, ma non abbiamo tempo, ti amo e mi dispiace, ti amo, ma devo andare, la vita mi sta abbandonando”.
Quando si svegliò aveva la testa che scoppiava, vide Gaius seduto accanto a sé che aveva tra le mani uno di quei strani intrugli di erbe che facevano rilassare tutto il corpo dopo le stancanti giornate. “Tieni…ti ho sentito agitato”, disse solamente. Si sistemò seduto e si passò le mani sulle guance, afferrò la tazza e iniziò a bere sperando dentro di sé che ci fosse qualche tipo di veleno.
“Merlino…”, il medico gli poggiò una mano sulle spalle lo aveva guardato negli occhi e aveva visto un dolore inimmaginabile, un dolore che aveva trattenuto davanti la regina. “È successo altro?”, scosse la testa, non voleva parlare, non voleva dire nulla quel momento lo avrebbe conservato per sempre.
Era un momento privato, così privato che non lo avrebbe detto a nessuno, era un momento Artù e Merlino, uno di quelli speciali. “Dovresti parlarne con Ginevra, merita di sapere come sono andate le cose, è sua moglie, non ha avuto neanche l’occasione di dirgli addio”, gli suggerì, ma l’altro non rispose neanche.
Cosa avrebbe dovuto dire? Che Artù gli aveva confessato di amarlo? In un momento Merlino si sentì arrabbiato con Ginevra gli aveva rubato tempo, ma poi si diede dello stupido, sia lui che Artù non si erano mai dati una vera possibilità.
“Puoi dirlo a me…Merlino tenerti tutto dentro ti ucciderà”, abbassò la testa sulla tazza fumante e fece un altro sorso lasciando che il calore sciogliesse il nodo in gola e allo stomaco.
Gaius non capiva, lo vedeva fissare il vuoto mentre il corpo tremava leggermente. “Merlino…”, cercò i suoi occhi, poi sospirò e si alzò.
“Preparati, ci sarà l’incoronazione della regina”, e si chiuse la porta alle spalle, Merlino restò da solo nella sua stanza con la tazza tra le mani che divenne fredda, si lavò togliendosi di dosso lo sporco di giorni, poi indosso i vestiti puliti e si rigettò sul letto.
Non si presentò nella sala del trono, non voleva vedere il trono di Artù vuoto, non voleva sentire la sua assenza ancora di più.
Era steso con la testa premuta nel duro cuscino, non voleva vedere il suo fantasma, non voleva sentire il vuoto e poi più di tutto sapeva che sarebbe scoppiato a piangere davanti a tutti e Merlino non piangeva.
Tutti ormai sapevano del suo segreto, non voleva guardare le loro facce schive e sconvolte non voleva sentire i mormorii. Già quando aveva camminato nella cittadella aveva sentito abbastanza chiacchere non voleva sentirne altre.
“Merlino, quel ragazzo tutto osso e pelle è uno stregone!?”
“Ha finto bene la sua lealtà al re sono sicuro che gli abbia fatto qualche incantesimo”
“Ha ucciso lui Artù, ha i poteri magici, ha ucciso anche Uther è dannato è crudele”
“Ha fallito, tutti quei poteri e non l’ha salvato”
 
Aveva voglia di urlare di dire quanto stava soffrendo di quanto si sentisse in colpa, voleva strapparsi i suoi poteri, voleva essere un ragazzo normale, non uno stregone, non Emrys, non l’assassino di Artù, voleva solo essere Merlino, solo l’idiota chiacchierone, solo il valletto del re, quello che si becca gli oggetti in testa di prima mattina quello che lucida le armature ed è un pessimo servitore.
Il ragazzo si riscoprì a piangere per l’ennesima volta, strinse il cuscino immaginando che si trattasse di Artù, singhiozzava e si piega a sul letto come in preda ad un forte dolore. “Voglio  che sia solo un incubo, ti prego tornate indietro e urlatemi contro che sono un idiota, mi mancate”.
 
‘Non piangere, Merlino…non voglio questo, ti prego…un giorno ci rincontreremo, ma fino a quel momento sarò io a proteggerti e starti accanto’, l’anima di Artù pensò guardandolo, era solo un fantasma, non poteva essere visto, ma non lo avrebbe lasciato solo.
‘Vorrei tornare, ma non posso, non posso’
 
Il corvino sfogò tutto il suo malessere in quella crisi di pianto e poi il suo corpo esausto per la seconda volta si addormentò. Nella sala del trono si stava svolgendo la cerimonia alla presenza di tutta la corte, a nessuno sfuggì il posto vuoto di Merlino accanto a Gaius, tutti nella sala non facevano che parlare di lui c’era chi pensava che fosse fuggito, ma erano solo dicerie.
“IL RE È MORTO!”, dichiarò con fermezza ser Leon in piedi accanto al trono attirando l’attenzione di tutti 8 presenti. “LUNGA VITA ALLA REGINA!”.
“Lunga vita alla regina!”, replicarono tutti mentre Ginevra manteneva uno sguardo composto, suo marito era morto e non aveva avuto neanche la possibilità di salutarlo come si deve. Aveva chiesto a Merlino di più, ma non riuscì ad avere nulla il servo sembra troppo scosso per parlare aveva detto solo alcune cose: “Mi dispiace” e “Morgana è morta”, poi era sparito e anche Gaius non aveva detto nulla.
La prima cosa che Ginevra annunciò fu la revoca della legge che vietava la magia e precisò che era una cosa che Artù aveva già intenzione di fare poi si ritirò senza partecipare ai festeggiamenti in suo onore.
 
Passò una settimana, Merlino era uscito un paio di volte dalla sua stanza solo per mangiare e fare alcune commissioni per Gaius.
Aveva evitato ogni contatto con altre persone, aveva notato il modo in cui lo guardavano, i cavalieri evitava o il suo sguardo nella città bassa scappava o dalla sua vista, si sentiva così fuori luogo in quella che da sempre aveva chiamato casa.
Un giorno prese coraggio e le sue gambe lo portarono nella camera di Artù, era vuota, pulita ordinata, non c’erano abiti sporchi né armature in giro, la scrivania era in ordine tutto era perfetto.
Lui non c’era però, non c’era neanche l’ombra, tutto sembrava diverso, faceva male essere in quella stanza, lo immaginava in ogni angolo, al tavolo, a letto, alla scrivania, vicino l’armadio o accanto alla finestra. Una parte di lui aveva paura di dimenticare la sua figura, la sua voce, le sue labbra.
Deglutì mentre passava una mano sulla superficie del tavolo, sulle tende rosse, poi crollò su una sedia accanto al tavolo. Sentiva di voler piangere di nuovo…avrebbe mai smesso di versare lacrime per lui? Poi la porta si aprì e Merlino balzò in piedi appena vide Ginevra anche lei fu sorpresa di vederlo era una settimana che era stato sfuggente. “Mia signora”, provò a fare un inchino impacciato, ma lei le mise le mani sulle spalle e lo guardò con un sorriso.
“Merlino, ti ho detto di non chiamarmi, mai così, io e te siamo amici”, la guardò a difficoltà e fece un cenno. “Mi cercavi?”, domandò e lui non rispose.
‘Cercavo lui, ho sempre cercato lui in questa stanza, volevo solo essere sicuro che non ci fosse’
“Eri qui per lui, non è così?”, Gwen era sempre stata una ragazza sveglia e intelligente lo aveva capito subito, non aveva bisogno di parole era chiaro, Merlino sentiva la mancanza del suo re.  “A volte succede anche a me, lo cerco nella sala, lo cerco nel letto, ma non lo trovo e so quanto fa male, credimi. Ti capisco”, era diverso e lo sapeva bene, lui lo aveva visto morire aveva visto i suoi bellissimi occhi chiudersi e quell’immagine lo avrebbe seguito ogni notte all’infinito era un sentimento diverso, lui si sentiva in colpa, si sentiva solo, spezzato. Artù era l’altra faccia della medaglia e non esiste nessuna metà senza l’altra parte, erano fatti per completarsi e ora che l’altro lato era morto Merlino si sentiva vuoto come se la sua esistenza si fosse bloccata, aveva perso metà parte era da solo.
“Vengo dal consiglio comunque, ho una notizia che ti piacerà, la magia è finalmente libera. Verrà giustiziato solo chi la userà per fini crudeli”, annuì, ma non ebbe alcuna reazione, non sentiva niente.
Che senso aveva poter usare la magia se Artù era morto? Chi doveva proteggere ora? Cosa doveva farci? La sua magia era inutile…
E poi a che prezzo? “Non sei felice?”, chiese Ginevra.
“si, lo sono…”, ma il suo tono era piatto e i suoi occhi erano vuoto, la regina incrociò le braccia al petto. “Merlino non è colpa tua, sono sicura che hai fatto il possibile, devi…dobbiamo andare avanti, Artù lo vorrebbe”, a udire il suo nome il nodo in gola prese il suo posto. “Quello che so è che A-Artù è morto…e…e io ne sarò per sempre colpevole, non l’ho salvato”, Ginevra scosse la testa e poi lo abbracciò e il ragazzo dovette morderti il labbro con forza per non piangere.
 
Aveva bisogno di un abbraccio, aveva bisogno che qualcuno lo capisse, ma nessuno poteva. Nessuno sentiva quel peso sul petto, nessuno aveva visto quegli occhi così pieni di amore, ma così colmi di sofferenza, nessuno aveva sentito la sua voce.
“Lascerò Camelot, il mio lavoro qui è finito”, sussurrò staccandosi. “Andrò a Ealdor da mia madre…mi prenderò cura di lei, ho bisogno del suo affetto”, la regina capi e annuì.
“Grazie per tutto, Merlino…”.
 
Il giorno dopo parti per Ealdor, lasciò Camelot con un nodo in gola e le lacrime agli occhi, lasciava quelle orme castello, lasciava li tutto, lasciava li il suo cuore e la sua anima.
Guardò il castello da lontano, era stata una scelta difficile, lasciare Gaius solo, ma sentiva che non poteva vivere in quel posto senza Artù, faceva troppo male. “Addio”, poi diede le spalle a quel castello dove aveva pianto, riso, dove aveva imparato ad usare la magia, dove aveva commesso errori, dove aveva imparato a vivere con grandi segreti, dove aveva nascosto se stesso e dove si era innamorato.
Lasciò tutto alle sue spalle e andò verso Ealdor il piccolo villaggio da dove era venuto, dove tutti lo conoscevano ancora come Merlino e dove avrebbe solo una persona lo avrebbe capito, sua madre Hunith.
Quando arrivò fu accolto a braccia aperte e la sera le raccontò tutto, le disse dei baci e delle parole e si liberò dal peso, sua madre lo abbracciò e lo lasciò sfogare tutte le sue lacrime.
“Oh Merlino…”, sospirò accarezzando gli amorevolmente i capelli. “Non mi odi? Non ti vergogni di me, ho baciato Artù, ero…sono innamorato di un uomo…non mi odi?”, chiese singhiozzando.
“Ma per che razza di madre mi hai preso?! Sei mio figlio, non ti odierei mai, ho sempre saputo che eravate destinati, a lui sei sempre piaciuto, Merlino…si vedeva dagli occhi, gli occhi parlano…”, rispose con amore e un tono dolce.
“Voi siete destinati, Merlino...mi dispiace vederti soffrire così tanto, ma ora sei a casa, sei al sicuro e lo sai che io non ti odierò quindi puoi piangere e gridare…”, la abbracciò. “Grazie madre” e così dormirò o abbracciati, aveva bisogno di quella cura di quella protezione, troppo a lungo era stato forte, troppo a lungo aveva trattenuto le lacrime, sua madre gli accarezzava i capelli e la schiena è gli dava baci sulla fronte. “Riposa Merlino, ci sono io qui ora”.
‘Non devi più preoccuparti, figlio mio, non c’è nessuno che ti farà del male, io ti amerò sempre’, pensava tra se e se avrebbe voluto prendere tutto quel dolore quello che per anni si era tenuto dentro e farlo suo, ma non poteva e cercava di stargli accanto il più possibile. Così Merlino aveva trovato una persona per cui vivere, sua madre, la sua famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1000 anni dopo…
 
Un camion blu passò ad alta velocità sull’asfalto bagnato schizzando tutta l’acqua fangosa delle pozzanghere su un uomo anziano che camminava lungo la strada con un abbigliamento strano. ‘Maledizione! Che idiota, avevo appena comprato il cappotto nuovo!’, si ritrovò ad imprecare nella sua mente l’uomo che voltò l’angolo ancora indignato per la maleducazione di quell’autista.
 
C’era un lago davanti a sé, un lago le cui acque erano sorprendentemente calme, c’era una piccola isola al centro.
Avalon.
Ma gli umani di quel tempo lo chiamavano in un altro modo, un nome che il vecchio non riusciva neanche a pronunciare.
 
Il vecchio aveva una barba bianca e anche i capelli e aveva un paio di occhi blu come la notte. Il vecchio era solo un giovane mago che per quella vita aveva deciso di prendere quelle sembianze, il suo nome era Merlino, ma in quella vita lo chiamavano Colin.
“Buon compleanno, Artù”, sussurrò sedendosi su una panchina che avevano sistemato lì.
“Siamo nel 2023, lo sai? Questo è il tuo 1025esimo compleanno, auguri”, poi fece un sospiro. “Ho preso questo aspetto, non posso rischiare che credano che io sia immortale…così ho preso l’aspetto di Dragoon”.
“Questo te l’ho già detto Artù, ma in quest’epoca due maschi si possono baciare e possono stare insieme…ho vissuto mille vite e non ti decidi ancora a tornare per quanto ti dovrò aspettare eh testa di fagiolo?”, chiese con un piccolo sorrisetto.
 
Poi udì delle voci e si voltò e vide due ragazzi tenersi per mano timidamente, uno era moro e uno era biondo, erano giovani e innamorati si vedeva da lontano.
Li vide in piedi davanti al lago che si cambiarono un bacio leggero, Merlino sorrise sapeva che Artù era accanto a sé su quella panchina, sentiva la sua anima, o almeno così gli piaceva pensare quando avvertiva dei brividi.
 
‘quelli siamo noi, Merlino, siamo noi…perché noi viviamo in mille cuori e mille anime…’
 
Il mago fece un sospirò e guardò il lago ‘Ci vediamo il prossimo anno, Artù’ e così voltò le spalle e se ne andò proseguendo per la sua strada.
‘Ti aspetto...ti aspetto e lo farò per sempre…siamo destinati, siamo due facce della stessa medaglia, nel frattempo guarderò noi due negli altri…invidieranno il nostro amore è saremo l’impronta di film, libri, serie… perché noi siamo degni di una tragedia, amore’
 
Il vecchio si allontanò e i due ragazzi del lago lo osservarono, sembrava che gli avessero sentito dire qualcosa, era un vecchio strano, ogni anno lo stesso giorno si sedeva su quella panchina e fissava il lago.
Il biondo dei due lo sapeva perché viveva li e ogni anno lo aveva visto, no parlava con nessuno.
Artù che pensi?”, chiese il suo ragazzo risvegliandolo dai suoi pensieri, lo guardò negli occhi, quegli occhi che erano come calamite per lui. “A nulla, Merlino”, e poi sorrise. Era un nome così ridicolo, ma ogni volta gli diceva la stessa risposta sua madre lo aveva chiamato così perché era una professoressa di letteratura e amava il ciclo arturiano, in particolare il mago.
Ma poi alla fine anche Artù non era un nome così moderno, erano fatti apposta per stare insieme due persone con nomi ridicoli. “Dobbiamo andare…è tardi tua madre sarà preoccupata”, così si presero per mano e tornarono a casa, erano giovani, ma sentivano che il loro amore era profondo, sentivano di essere legati.
 
Come due facce della stessa medaglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                                                                   The end
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Salve a tutti!
Mi presento, il mio nome è helena, ho sedici anni, quasi diciassette, sono nuova su efp e ancora non so come si usi questa piattaforma, ma volevo farlo.
Da gran di Merlin quale sono da quando ho praticamente sei o sette sentivo il bisogno di scrivere una ff sulla mia ship preferita, la Merthur, che meritava almeno di essere realizzata, anche se non è così nella mia testa è Canon e così ho scritto come immagino i pensieri dei protagonisti durante gli ultimi giorni di Artù. Purtroppo è la prima ff che scrivo su di loro e non sono molto brava, in più non ho esperienza quindi ho cercato di fare il possibile, volevo trasmettere emozioni e spero con tutto il cuore di esserci riuscita.
 
Vorrei davvero ringraziare chiunque abbia letto questa lunghissima one-shot (11252 parole), ho scritto principalmente per me stessa e ho inserito i miei pensieri, quindi accetto idee differenti e anche critiche costruttive, come ho detto lo faccio solo per passatempo.
Non so neanche se qualcuno la leggerà però ci tenevo, la serie ha il mio cuore è avendo finito l’ennesimo rewatch tre giorni fa mi sembrava d’obbligo scrivere qualcosa su una ship che meritava di più.
 
Le battute del film non sono proprio identiche e ho voluto cambiarle anche appositamente, aggiungendo qualcosa di mio. Mi scuso per gli errori di battitura o ripetizione, ma per quanto l’abbia riletta sono circa diciassette pagine di Word e capirete che non è così semplice.
E nulla…spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta e vorrei tanto saperlo, o comunque mi piacerebbe leggere i vostri commenti.
 
Non so se scriverò altro, dipende tutto dalla mia ispirazione in ogni caso aspetto qualche commento, sperando che ci sia ancora qualche fan di Merlin come me in Italia.
 
Helena <33
   
 
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