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Autore: AndyFloyd94    09/09/2023    0 recensioni
[Senki zesshou symphogear]
[Sommario]
Dopo la fine di XV, Hibiki e Miku si ritrovano esattamente allo stesso punto di sempre… eppure, in qualche modo, tutto è cambiato.
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[Note]
Sta succedendo davvero? Ho davvero deciso di mettermi a tradurre fanfic di anime/serie TV/qualsiasi cosa mi piace? L'età che avanza fa brutti scherzi... O forse non ne potevo più di essere appassionato di qualcosa senza condividerlo con altri? Riflessioni filosofiche a parte, spero che apprezziate questo tributo alla serie che mi ha fatto riscoprire la meraviglia degli anime: è stata la prima in italiano di Symphogear su Archive of Our Own, ma mi sembrava giusto metterla anche su un portale nostrano! Fatemi sapere cosa ne pensate!
(alla fine della storia troverete altre note.)
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hibiki non riusciva a dormire.

Non avrebbe dovuto essere così. Hibiki era bravissima a dormire. Era la campionessa del sonno. Tutte le sue amiche scherzavano in continuazione che aveva sempre e comunque un dieci e lode assicurato nell’esame di pisolino, non importa quanto fossero brutti i voti presi nelle altre materie. Erano le due del mattino. Lei era rannicchiata sotto ai piumoni del suo letto a castello, cullata dal calore penetrante. In una notte normale sarebbe stata ormai addormentata e avrebbe russato, sorda a tutto finché Miku non l’avesse svegliata riscuotendola, dieci minuti dopo non aver sentito la sveglia.

Ma non questa notte.

Ok. Proviamo di nuovo a contare le pecore. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. SeisetteottonovedieciundiciSTOP.

Nada. Stanotte proprio no. Stanotte, il suo cervello era deciso a tenerle aperti gli occhi.

Da un certo punto di vista, era un problema stimolante da affrontare. Negli ultimi anni, il lavoro alla SONG aveva assorbito così tanto delle sue energie giornaliere che a volte riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Lavoro, scuola, piacere, lavoro, scuola, piacere… i suoi ritmi di vita avrebbero sfiancato chiunque, soprattutto chiunque non fosse energico e testardo per natura come lei. Ma ora, finalmente, quel ciclo si era rotto. Shem-Ha era stata sconfitta, le reliquie erano andate distrutte, e la minaccia dei Noise era cessata completamente. Per non parlare del fatto che lei e Miku si sarebbero diplomate all’Accademia Lydian di lì a pochi mesi. Per la prima volta da tanto tempo, la vita di Hibiki era tutta quanta in mano sua. Era emozionante.

E l’avrebbe travolta completamente se prima non fosse riuscita a dormire, cavolo.

Dai, cervello. Pensa a cose che fanno venir sonno.

Hibiki chiuse gli occhi e cominciò a pensare. Sonno. Sogni. Calore. Conforto. Casa. Miku. Miku. Miku Miku Miku Miku Miku–

“MmmmMMMUuuufg!”

Hibiki si coprì la bocca con la mano, sentendosi bruciare di rosso le guance. Oh mio dio, è il rumore più imbarazzante che ho mai fatto in vita mia. Anche il suo cervello stava arrossendo? Così sembrava.

Era proprio una causa persa, vero? Non importa quanto ci provasse, i suoi pensieri tornavano sempre a qualche ora prima, alla sera. In alto, verso un cielo senza nuvole, durante una pioggia di stelle cadenti. A un inverno freddo, nevoso, sfuggito nella stretta di una mano tiepida, affettuosa.

C’è una cosa che volevo dirti da tanto tempo.

Hibiki si rannicchiò, sentendo che il suo cuore incominciava ad accelerare. Non era leale, davvero. Quante volte aveva ripetuto questa conversazione nella sua testa? Cinquanta? Cento? Due? Ormai non avrebbe dovuto farla palpitare in modo tanto sconsiderato.

“Hibiki?”

La voce assonnata di Miku ruppe il silenzio. Hibiki si irrigidì; era sicura che ormai le sue guance si potessero scambiare per delle mele, tanto erano arrossite. Il suo raggio di Sole era steso al suo fianco, con la testa affondata nel cuscino. Erano vicinissime nel letto di sopra, proprio come lo erano state prima, per innumerevoli notti. Sdraiate in posizioni in cui si erano sdraiate fin da tempo immemore. Un posto accogliente in cui scivolare, con la facilità di un respiro.

Hibiki non si era mai sentita così nervosa in quel posto come stanotte.

“Scusa, Miku,” sussurrò. “Ti ho svegliata?”

Ci fu una pausa. Poi: “No.”

Hibiki sbatté le palpebre. “Non riuscivi a dormire?”

“Tu sì?”

“No.” Hibiki sorrise. “Credo che alla fine non passerò un esame di pisolino.”

Dalla faccia sepolta di Miku giunse una risatina soffocata. “Oh, Hibiki. Cosa devo fare con te?”

“Aiutarmi a studiare per le altre materie durante il pranzo, così non vengo bocciata prima del diploma? Per favore per favore?”

“Devo proprio?”

“Miku.”

“Devi cominciare a prenderti cura di te, dico sul serio.”

“Mikuuuuuuuuu.”

Dal cuscino fuoriuscì un gemito agitato. “No-no. Non attacca.”

Hibiki ridacchiò. Dio, non c’era da aspettarselo? Bastava il suono della voce morbida e accogliente di Miku, e già la tensione stava svanendo dalle sue estremità nervose. “Che ne dici di… un giro al Flower domani? Tutto l’okonomiyaki che riusciamo a mangiare, offro io.”

“Sembra più un regalo per te.”

“Per favoreeee?”

Miku lasciò andare un lungo sospiro di resa. “Ok, hai vinto tu. Ma farai meglio a passare tutti gli esami finali, o non ti perdonerò mai.”

“Andata!” Hibiki sorrise e si rannicchiò più vicino a lei. “Grazie, Miku. Cosa farei senza di te?”

Rimpianse quelle parole nel momento in cui le pronunciava. Le molle del letto si mossero in modo impercettibile; Miku si era lievemente irrigidita. Idiota. Idiota, idiota, idiota. Miku si era appena ripresa dopo essere stata posseduta da un dio infuriato e allontanata brutalmente da lei. Perché quella battuta sull’essere separate un’altra volta? “Mi-mi dispiace! Non volevo dire– Non stavo–”

“È ok.”

“Ma–”

“Hibiki.”

Ci fu un altro movimento nelle molle. Miku aveva finalmente sollevato la testa dal cuscino e si girò a guardarla. I suoi occhi turchesi sembravano scintillare nell’oscurità. “Lo so che non volevi dire quello.”

Hibiki trattenne il respiro. Dio, quanto sei bella. “O-ok,” riuscì ad articolare. Poi, dopo averci pensato, continuò: “Comunque, mi dispiace di averti spaventato così tanto.”

Miku sorrise. “D’accordo,” sussurrò. Si allungò e le afferrò la mano. “Grazie.”

La sua mano era così calda. Era così incredibilmente, meravigliosamente calda. Calda come un raggio di Sole, calda come i girasoli, calda come un milione di giornate estive che non sembrano finire mai. Come d’istinto, Hibiki distolse lo sguardo. Una sensazione: se avesse passato ancora un attimo a bere da quegli occhi turchesi, avrebbe preso fuoco lì sul posto.

Era una notte come ogni altra. Era un letto che lei e Miku avevano sempre condiviso. Erano mani che avevano spesso intrecciato, mentre erano sdraiate insieme in quell’esatta posizione. La loro conversazione sulle scarse doti di studio di Hibiki sarebbe potuta avvenire cinque anni prima, e sarebbe potuta avvenire cinque anni dopo esattamente allo stesso modo. Ogni cosa era esattamente come sempre.

Nulla sarebbe stato più come prima.

I secondi passarono in silenzio. Hibiki ascoltava il proprio respiro, ascoltava il proprio cuore battere ansioso contro il petto, ascoltava tremando il battito di Miku, come a volersi sincronizzare con lei. I suoi pensieri corsero via, di nuovo, a quel momento sotto le stelle cadenti. Per caso Miku ci aveva pensato e ripensato così a lungo come aveva fatto lei? Certo che sì, ovvio. Ovvio che entrambe non riuscissero a dormire. Ovvio che il pensiero delle parole condivise tra di loro le avrebbe tenute sveglie tutta la notte.

Spero che quello che voglio dirti sia la stessa cosa che vuoi dire tu a me.

Hibiki inumidì le labbra. Il peso del silenzio iniziava a opprimerla. Voleva parlare, riprendere da dove si erano fermate qualche ora prima, ma aveva paura. Aveva paura di parlare con Miku. Era una delle sensazioni più sgradevoli che avesse mai provato. Nemmeno farsi strappare il braccio con un morso era stato così doloroso.

Le risuonarono nelle orecchie le parole di Tsubasa. Anche quando non sono destinati a incontrarsi mai, il mondo e la sua gente si uniscono comunque.

Allora provaci.

“Quando l’hai capito?”

“Uh?”

Se possibile, Hibiki si sentì ancora più imbarazzata. “Quando l’hai… sai, capito?”

La mano di Miku tremò nella sua. Hibiki si scosse; ancora non osava guardarla negli occhi.

“Io…” la voce di Miku esitò. “Credo sia stato il concerto. Il primo.”

“Quando sono quasi…” Hibiki non tentò di finire la frase.

“Sì.”

Hibiki chiuse gli occhi. Anche adesso, le sensazioni le ritornavano in mente con tale facilità. Le urla, il panico, la cenere, il fumo che le soffocava i polmoni, il dolore lancinante mentre le schegge del Gungnir le trapassavano il petto, il lamento straziante di Tsubasa, il bagliore dei neon che illuminava il corpo senza vita di Kanade mentre si dissolveva. Negli anni gli incubi erano diventati molto più rari, ma il ricordo non era mai svanito del tutto. L’attimo che le aveva cambiato la vita, in meglio e in peggio.

“Da così tanto?”

“Voglio dire.” Miku si mosse al suo posto. “Avevo capito già allora. Anche prima, sapevo che eri importante per me. È stato solo quando io… quando tu…” Rabbrividì. “Allora ho capito cosa volessero dire quei sentimenti. Quando ho pensato di… perderti.” Strinse la presa alla mano di Hibiki. “Allora ho capito la parola. Quella che esprimeva come mi sentivo. Ma mi sentivo così da più tempo. Forse addirittura da quando ci siamo incontrate la prima volta.”

Quell’ultima frase fece sobbalzare il cuore in petto a Hibiki. Alzò d’istinto lo sguardo, incrociando finalmente quello di Miku, di nuovo. I suoi occhi erano spalancati, ma non dalla sorpresa. Una conferma, forse? Paura? Era lo stesso sguardo che lei aveva stampato in faccia proprio adesso? Come se qualcosa, che aveva sempre sperato fosse vero, si fosse rivelato esattamente così?

Hibiki tremò; voleva di nuovo distogliere lo sguardo. Ma questa volta, costrinse se stessa a fissarla. Basta distogliere lo sguardo. Non da questo.

Non da te.

“Anch’io,” ripeté, meravigliandosi di riuscire ancora a parlare. “Dal nostro primo incontro. Quando mi hai aiutato a studiare per passare quella stupida verifica di matematica, e cantavi mentre camminavamo insieme verso casa, sapevo…” Fece un respiro profondo prima di continuare. “Sapevo che eri un raggio di Sole. E volevo che brillassi per me. Per sempre.”

Gli occhi di Miku erano fissi su di lei, le trapanavano il cranio. Le parole iniziarono a fuoriuscire, sempre più veloci, come se avesse avuto paura di smettere di parlare, perché altrimenti non sarebbe mai stata in grado di ricominciare. “Hai fatto così tanto per me, Miku. Mi hai aiutato a credere in me stessa. Mi hai dato un posto da chiamare ‘casa’ quando la mia famiglia stava cadendo a pezzi. Ci sei sempre stata per me quando ne avevo bisogno, e sopporti tutte le cavolate che faccio, e per tutto questo tempo non ho mai capito cosa volesse dire sentirsi così con te, o che tu sentivi la stessa cosa, e io non ti ho lasciato restare vicino a me, e ti ho ferito così tanto, e io– e io–”

Basta così. Le parole l’avrebbero portata solo fino a questo punto. Già i suoi occhi erano pieni zeppi di lacrime e la voce le si strozzava in gola. Non riusciva più nemmeno a vedere l’espressione di Miku; sentiva solo che lei l’abbracciava, stringendola al petto con una tensione nelle braccia che Hibiki non aveva mai provato prima. Piangeva, con singhiozzi intensi, dolorosi, immersa nel calore della camicia da notte di Miku, ancora così calda nonostante l’umido delle sue lacrime. Piangeva, e piangeva, e piangeva, sentendo ogni nuovo brivido attraversarle il corpo come un rombo di tuono.

“È ok.” Il sussurro di Miku passò attraverso i suoi singhiozzi, tenero e tremante. “È ok.”

Hibiki deglutì pesantemente, tremando mentre l’ultimo dei suoi singhiozzi l’abbandonava. Poteva dirlo, anche Miku stava piangendo; il suo corpo rabbrividiva con palpiti silenziosi. Ma le sue lacrime erano silenziose. Silenziose e delicate e nascoste. Ora era la vergogna a bruciarle le guance, non l’imbarazzo. “Mi dispiace,” sussurrò, ancora e ancora. “Mi dispiace tanto.”

Ogni giorno dal concerto che le era quasi costato la vita, Hibiki aveva ringraziato qualunque dio la stesse ascoltando che non ci fosse stata lì anche Miku. Era così sollevata che il suo raggio di Sole fosse scampato a quella carneficina. Ma non era stato affatto così. Da allora, Miku aveva portato con sé le proprie cicatrici, cicatrici profonde e crudeli proprio come lo squarcio nel petto di Hibiki, cicatrici nascoste per timore di rendere le cose peggiori di quanto non fossero già. Meglio nascondere il suo dolore e soffrire tutta sola che rischiare di ferire la ragazza che significava così tanto per lei.

Miku avrebbe dovuto affidarsi completamente a Hibiki, e non l’aveva fatto. E sarebbe passato molto tempo prima che Hibiki riuscisse finalmente a perdonare sé stessa per questo.

“Sei il mio raggio di Sole,” riuscì a dire soffocata. Finalmente le parole stavano tornando. “Sei il luogo dove sento più calore. Dove tornerò sempre. Mi dispiace tanto di non essere stata questo per te.”

“Ma lo sei.” La presa di Miku sulla sua mano si fece ancora più stretta. “Tu sei il mio raggio di Sole, ora e per sempre.”

“Ma non allora.” Hibiki le restituì l’abbraccio, stringendola con la stessa intensità. Sentiva il petto di Miku tremare delicatamente, i piccoli tremori attraversare tutto il suo corpo. In quel momento le sembrava così fragile, come un vaso di vetro che poteva rompersi se lasciato cadere.

Ma era sempre così calda. Era calda e tenera e accogliente e gentile e fiduciosa e premurosa e confortante e casa. Quel calore non si sarebbe mai fermato. Non si sarebbe mai infranto. Sarebbe rimasto proprio lì e avrebbe brillato ancora, splendente come era sempre stato, forse ancora più splendente.

“Grazie,” sussurrò Hibiki. “Grazie infinite.”

“Hibiki?”

Hibiki non rispose. La stringeva di più e basta. In quel momento non avrebbe mai voluto lasciarla.

“Hibiki.”

Miku le prese il viso tra le mani. Lei alzò lo sguardo; gli occhi di Miku erano ancora bagnati di lacrime, il viso rigato di rosso. Ma stava sorridendo, sorridendo con uno splendore che Hibiki non aveva mai visto nel suo sorriso. “Sei la persona più straordinaria che abbia mai incontrato. Lo sai questo?”

Hibiki espirò. “Uh.”

“Dico sul serio.” Le dita di Miku le stuzzicarono le punte dei capelli, tracciando disegni nelle sue ciocche. “Brilli così tanto da illuminare anche le mie notti più buie. Mi doni la speranza quando ne ho più bisogno. Mi rendi felice ogni singolo giorno, solo perché sei… te.”

Ormai Hibiki aveva rinunciato a provare a quantificare quanto era rossa. Aveva superato da tempo i confini della razionalità. “B-beh, faccio del mio meglio,” balbettò.

Miku rise di nuovo. “So che è così.” Le appoggiò la fronte contro la sua. “E non importa cosa succede, anche se sbagliamo, anche se a volte non riusciamo a capirci tra di noi… Io credo in te.” Le prese di nuovo la mano. “Credo in te e nel tuo pugno gentile.”

Hibiki sbatté le palpebre a raffica. Basta. Basta lacrime. “Miku…” sussurrò. Sentiva che il respiro cominciava ad alleggerirsi, il male al petto a svanire. “Sei stupenda.”

Tu sei stupenda.”

“Ehi, smettila. Adesso stiamo facendo i complimenti a te.

“E tu rimani esclusa? Neanche per sogno.”

Hibiki rise. Non una risatina, ma una risata con i fiocchi. Com’era possibile che il Sole brillasse così tanto in piena notte? Com’era possibile sentirsi così leggera, così felice, con poche semplici parole? Sentì che Miku iniziava a scuotersi al suo fianco, ridendo con la stessa intensità. D’istinto, la strinse di nuovo a sé, sentendola tremare contro di lei dall’allegria. La sensazione, se possibile, la faceva solo ridere ancora di più. Era irresistibile. Era eccezionale. Era qualcosa di troppo perfetto da descrivere soltanto a parole, eppure aveva perfettamente senso, nonostante tutto. Parlava senza dire neanche una parola, riempiendo il suo cuore con una gioia dai contorni mai visti prima.

Era a casa. Casa era lì. Casa era Miku. Casa era questo letto, questo abbraccio, questo legame. Lo era sempre stato, e sarebbe stato per sempre. Lei e Miku erano insieme, come erano state in passato, per anni, e come sarebbero state per tutta la loro vita.

Nulla era cambiato, mai.

Alla fine, la risata si fermò. Gli spasmi furono sostituiti da respiri profondi, mentre entrambe recuperavano il fiato perso. Hibiki teneva stretta Miku, assorbendo il suo calore. Erano le due del mattino, fuori c’era ancora il mondo, ed eccola lì, accanto al suo raggio di Sole come sempre. Che meraviglia, che vita meravigliosa.

“Sono a casa, Miku.”

“Bentornata a casa, Hibiki.”

Dopo di che, rimasero a lungo in silenzio. Hibiki sentiva il respiro di Miku entrarle e uscirle dal petto, sentiva il proprio respiro alleggerirsi per pareggiare il suo ritmo. Per la prima volta in quella notte, si accorse di quanto fosse stanca. Le sue palpebre iniziarono a scendere, la sua vista a confondersi sempre di più. Era ora, pensava intontita. Era l’ultima volta che lasciava il suo cervello libero di tenerla sveglia sino a così tardi.

“Hibiki?”

Hibiki sbatté le palpebre per svegliarsi. “Miku?”

Ci fu una pausa. Poi: “Dillo di nuovo.”

“Di nuovo?”

“Quello che hai detto sotto le stelle cadenti. Dillo di nuovo.”

Hibiki sentì che il rossore tornava a insinuarsi. “E lo chiedi adesso?”

“Hibikiiiiii.”

Hibiki rabbrividì dall’imbarazzo. “Ho davvero questa voce quando faccio il broncio?”

“Hiiiiiibiiiiiikiiiiiiiii.”

“Aah, ok, ok! Fammi solo scaldare, prima!”

Miku la strinse per un istante. “Baka.”

Baka sarai tu.”

Tirò indietro la testa. Incontrò nuovamente lo sguardo di Miku. Questa volta, i suoi occhi non erano sopraffatti dall’emozione. Erano contenti, dolci, confortanti, come due pozze d’acqua cristallina. La invitavano a entrare, si offrivano di toglierle le scarpe e di immergerle i piedi nell’acqua bassa, creando increspature lungo la superficie immobile.

Hibiki respirò. Una volta. Un respiro lungo e controllato. Per riempirsi di quella vista. E poi, disse un’altra volta le tre parole che aveva detto a Miku mentre le stelle cadenti piovevano dall’alto. Tre parole che erano passate silenziose tra di loro in ogni tocco, ogni sguardo, ogni momento condiviso insieme. Tre parole che le avevano definite sin da quando si erano incontrate. Tre parole che aveva finalmente avuto il coraggio di dire ad alta voce, per rendere vero ciò che era sempre stato vero e sarebbe stato vero per sempre, finché il Sole avesse brillato ancora, lassù in cielo.

“Io ti amo.”

“Anch’io ti amo.”

E non ci fu più nulla da dire.


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[Note]
Congratulazioni, sei arrivato alla fine della storia! Se ti è piaciuta e vuoi saperne di più su questa bellissima coppia... allora va subito a guardare Symphogear. Non so perchè esista, ma merita di essere conosciuto da tutti. Ti avverto: è un treno da cui non vorrai più scendere.

Se invece lo conoscevi già... adesso hai qualcosa in più da leggere (anche) in italiano. Per adesso, ho intenzione di postare le traduzioni di altri one-shot di Symphogear, scelti tra i migliori su Archive o su altri portali. Non so se il tempo a disposizione mi permetterà di tradurre anche storie più lunghe, o quali altre serie sceglierò. Ma da qualche parte bisognava pure iniziare, no?

Per tutti, scrivetemi nei commenti se ci sono errori o se avete suggerimenti di qualsiasi tipo! Ho iniziato questa avventura guidato solo dalle mie passioni, quindi posso solo imparare e migliorare!

L'idea e la storia originale sono di Ardania22 su Archive of Our Own (https://archiveofourown.org/users/Ardania22/pseuds/Ardania22), a cui va ogni riconoscimento e che ringrazio per avermi dato il permesso di tradurla. Sul suo profilo ne trovate altre, quasi tutte a tema Symphogear, anche se per ora ha smesso di scriverle, per dedicarsi solamente al suo blog di anime su Tumblr. Mi raccomando, fategli sentire tutto il vostro affetto: è una brava persona, e senza di lui probabilmente non avrei mai fatto questo. Spero che questa catena dell'ispirazione continui! ;)
   
 
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