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Autore: Quella Della Pasta    23/09/2023    0 recensioni
Ci sono volte in cui Parker ripensa alla sua vecchia vita, alle case-famiglia girate come una trottola con scarso senso dell'orientamento, a quei finti genitori che l'avevano adottata solo per avere qualche spicciolo in più da parte del governo. E ride, perché ha fatto dannare come dei matti tutti quanti. Fino a farli esplodere. Anche letteralmente, in certi casi...
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Parker, l'elusiva Parker, la ladra dal cervello inafferrabile e senza senso delle vertigini, non ha mai avuto una vera famiglia.
Oppure sì?
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{ Prima classificata al concorso «Con orgoglio e lealtà siamo un'unica realtà» indetto da Rina sul forum Torre di Carta. }
Genere: Fluff, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Parker
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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(Le citazioni ad inizio dei capitoli sono tratte da La strada verso casa, di Lele Esposito.)
(prompt del capitolo: 5. Ci sono momenti nella vita in cui qualcuno ti manca così tanto che vorresti proprio tirarlo fuori dai tuoi sogni per abbracciarlo davvero. (Paulo Coelho))



 

Sai

Vorrei raccontarti che

Ho imparato a non cadere

A non farmi del male

 

Ci sono volte in cui Parker ripensa alla sua vecchia vita, alle case-famiglia girate come una trottola con scarso senso dell'orientamento, a quei finti genitori che l'avevano adottata solo per avere qualche spicciolo in più da parte del governo. E ride, perché ha fatto dannare come dei matti tutti quanti. Fino a farli esplodere. Anche letteralmente, in certi casi. Come i suoi finti genitori, quella finta madre che non faceva altro che ignorare persino se stessa e quel finto padre che non faceva altro che prendere a calci tutto quello che incontrava. Parker pensava pure di imitarlo, un giorno non troppo lontano. Poi ripensava a com'era stata brava a sottrargli il suo adorato peluche senza che quell'imbecille se ne accorgesse. E rideva, ripensando a quando gli era esplosa la casa sotto il culo.

Ci sono molte meno volte in cui Parker ripensa a suo fratello. Perché ha scoperto da poco quando sia naturale piangere, per una persona. E che non le piace. Neanche un pochetto. Anche se Sophie dice che è normale, anche se Nathan e Hardison e Elliot non la guardano come una pazza ogniquando le capita di nascondersi mentre si asciuga via una lacrima. Una sola. Come quando guardano Ocean's 8 e lei si commuove sul finale, o quando ancora si ritrovano a sistemare per le feste i gestori fraudolenti di case-famiglia ancora peggiori di quelle in cui è stata lei. E tutti quei bambini sorridono. Chi più, chi meno, certamente. Ma finiscono sempre in mani migliori di quelle in cui è capitata lei. E Parker non è ancora abituata a saper commuoversi.

Ci sono volte in cui, pure, ripensa ad Archie. Ai portafogli rubacchiati al luna park, ma anche ai pupazzi che le lasciava vincere al tirassegno. Ai gelati divorati insieme dopo un allenamento con le griglie laser, ma pure alle serate al cinema senza doversi necessariamente infiltrare per imparare come funziona il sistema di videosorveglianza. Parker ripensa solo distrattamente alla vera figlia che Archie ha da qualche parte, e alla sua vera nipotina. Perché non è importante. E non le mancano allo stesso modo in cui, ogni tanto, ma solo ogni tanto, Archie le manca.

Vorrebbe dirgli della Leverage, del suo lavoro (e sì che le fa ancora così strano dirlo, anche solo pensarlo), di come sta andando avanti così bene, così stranamente senza intoppi, e delle vacanze che può prendersi senza che nessun detective troppo zelante sia sulle sue tracce. Di come potrebbe andarlo a trovare, anche, che sia nella sua villa a Maiorca, nel covo segreto numero ventiquattro nascosto nei magazzini di Amsterdam, o anche a casa sua, negli insospettabili sobborghi del Maine.

Vorrebbe dirgli quanto è arrivata a fidarsi di Sophie, di quanto sia stranamente rilassante poter avere una persona a cui chiedere consiglio sia sui primi appuntamenti, sia sul travestimento migliore per rubacchiare l'ultima partita di banconote in serie appena consegnata alla banca centrale di Portland; vorrebbe raccontargli di Nathan e di come si può fidare anche lui di quanto sia tornato in sé, nonostante le frasi ad effetto e quanto ancora si tiene dentro, ma d'altra parte nemmeno Parker ha rivelato la sede di tutti-tutti i suoi nascondigli neppure ad Hardison, e dunque va bene anche così; vorrebbe parlargli di Hardison, soprattutto, perché Parker va d'accordo così naturalmente con Elliot che raccontare ad Archie di quanto sia strano e confuso e...bello, anche, sì, perché no, stare con Hardison (ma che accidenti di modo di dire è, "stare con"? A quel punto, poteva anche "stare con" il suo vecchio peluche, no?), insomma, parlare di una cosa del genere sarebbe soltanto l'ennesima delle loro sfide. E a Parker mancano un po', quelle loro sfide.

Perché erano le loro. Loro, e di nessun altro. Nemmeno della sua vera figlia. Ed erano la cosa più vicina a un rapporto padre-figlia che Parker sente di aver mai avuto. (Certo, ha dovuto elaborare un bel po' con Sophie, e anche con Nathan, per arrivare a capirlo, ma in fondo sono cose che sapeva già, semplicemente le dava un po' per scontato. Come la resistenza all'attrito e alla forza di gravità, anche senza le sue imbracature.)

Ogni tanto, Parker lo sogna pure, anche se quello non glielo dirà mai. Ogni tanto sogna di essere una ragazza normale, come il suo alias, sogna di indossare i suoi vestitini frivoli e di vivere in quella casetta nei sobborghi del Maine. Dove Archie fa l'avvocato o il professore in pensione o il riccone che si finge alle aste d'arte dove va a rubare, che ne sa, è una parte del sogno che Parker non arriva mai ad esplorare. Ma sogna di essere quella ragazza, che va al college, che non si butterebbe mai da un tetto con (o senza) delle corde di tela, che si sente male alla sola idea di rubare e che ha un fidanzato fantastico e plurilaureato con cui esce ogni sera. E che rientra a casa con un sorriso che va da un orecchio all'altro e che racconta a suo padre di quanto sia stata normalissima la sua giornata. Splendidamente ordinaria. Senza neanche un capello fuori posto. O un Monet scomparso dal muro della sua ala di museo.

Ora, normalmente Parker si risveglia disgustata, da sogni del genere. Tanto da necessitare di una doppia razione dei suoi cereali preferiti non appena tocca il tavolo delle riunioni per far colazione. Una vita così scialba e senza adrenalina...no, non fa proprio per lei. (E dovrebbe proprio dire ad Hardison di piantarla di farle vedere le repliche di Lucy ed io, visto che le porta soltando ad avere quei sogni smielati in cui indossa dei gonnelloni orribili. E la permanente, orrore degli orrori!)

Però. Però, quando si sveglia, ed è giustamente disgustata da delle visioni così orribilmente normali, Parker sente pure che le manca qualcosa. Che le manca Archie. Ma non quello dei suoi sogni, che è sempre così inquietante col suo sorridere benevolo e il giornale del mattino davanti alla tazza di caffè tostato e quelle cravatte ancora più inquietanti della sua normalità.

Le manca, e basta. Perché sa che, finché non lo rivedrà per una qualche emergenza, Parker non potrà mai dirgli quanto sia diventata bella la sua vita, e quanto lo rivorrebbe a farne parte. E non basta il ripromettersi, ogni volta che si sveglia, di abbracciarlo fino a soffocarlo e non farlo più tornare in quella cavolo di casetta sperduta nell’arcicavolo di Maine, a farla sentire meglio.

   
 
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