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Autore: FairLady    24/09/2023    0 recensioni
Dalla storia:
"Avrei potuto sentire le sue chiacchiere nervose durante i preparativi, le ansie per le scarpe che fanno male sulle caviglie e le mille domande su quale tonalità di rosso avrebbe dovuto usare sulle labbra. Sarei scoppiato a ridere, dicendo che per me uno valeva l’altro, e sarebbero partite le lezioni di estetica e cromia e le pappardelle su quanto io sia ignorante in materia. E tutto sarebbe stato bellissimo. Era tutto così perfetto, eppure l’ho mandato all’aria."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chen, Chen, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi guardo allo specchio e infilo la giacca blu del completo. Ripenso al giorno in cui ho comprato questo abito. Eravamo in quel negozio del centro dove lei aveva deciso avrebbe preso l’abito per il nostro matrimonio e ora, mentre mi guardo attraverso il riflesso, ho l’amaro in bocca.

Sono stato un coglione, me ne rendo conto. Ho rovinato tutto e oggi avrei potuto sentire le sue chiacchiere nervose durante i preparativi, le ansie per le scarpe che fanno male sulle caviglie e le mille domande su quale tonalità di rosso avrebbe dovuto usare sulle labbra. Sarei scoppiato a ridere, dicendo che per me uno valeva l’altro, e sarebbero partite le lezioni di estetica e cromia e le pappardelle su quanto io sia ignorante in materia. E tutto sarebbe stato bellissimo. Perché tra noi tutto era così. Una risata continua, giochi e amore… e ancora mi chiedo cosa mi abbia spinto quella sera a finire a letto con quella donna, di cui ora neanche ricordo il nome, sempre che glielo abbia mai chiesto. Era tutto così perfetto, eppure l’ho mandato all’aria.

Il telefono suona e guardo il display. Il mio passaggio è arrivato e io ancora mi sto guardando allo specchio aspettando di vederla sbucare dal bagno, bella come una dea. Non succederà, mi devo convincere di questo. Se apro i suoi armadi, li trovo vuoti. Se guardo i cassetti in bagno, la valanga di cosmetici è sparita. Non ci sono più le sue scarpe all’ingresso e il frigo non è più colmo delle sue bottiglie di succo di mirtillo. Ha portato via anche la lampada che abbiamo comprato insieme a Sucheon, quella che accendevamo sempre la sera mentre leggevamo sul divano.

È passato solo un mese, ma in questa casa è tutto così desolato che sembra trascorsa già una vita.

Il telefono squilla di nuovo e subito dopo anche il citofono. Schiaccio l’interfono e rispondo.

«Sì, sto scendendo, rompiballe!» Infilo le scarpe nere, mi do un’ultima controllata nello specchio dell’anticamera e vado.

La sala delle cerimonie dell’hotel è gremita. Aveva detto pochi intimi, ma accidenti, qui sembra un gala di premiazione. Molti volti noti e altri assolutamente sconosciuti che mi guardano e mi porgono un breve inchino che ricambio in automatico, senza nemmeno ricordare poi chi ho salutato. Non riesco a guardare i volti delle persone, perché l’unico che cerco e riconoscerei fra tutti è il suo e mi fa male non trovarlo. I miei occhi scorrono attraverso la folla alla ricerca dell’unica persona per cui ho deciso che sarei venuto. L’invito era rivolto a entrambi e anche sulla busta che stringo con la mano, dentro alla tasca, vicino al mio nome c’è anche il suo. Eppure, io sono qui da solo e non so neanche se lei verrà. «Ehi, Jongdae-ah.» Una mano sulla spalla e una voce che riconoscerei subito richiama la mia attenzione.

«Ehi, Hyung, tutto bene? Cosa ci fai qua? Non dovresti essere in Malaysia per il fanmeeting?» mi sorride e subito dopo spunta la sua donna. «Jin… » Le sorrido, mi inchino brevemente e li guardo per un istante. Insieme sono belli da fare davvero invidia. Pensavo che anche io e Jeong saremmo stati invidiati per sempre, invece…

Lui mi guarda, rattristandosi un po’. So cosa sta per fare, ma non posso, non voglio più parlarne, non qui, non ora.

«Ehi, Hyung, lascia stare, rimandiamo il discorso a… mai più…», sorrido e gli do una pacca sulla spalla, cercando di fargli capire che l’ultima cosa di cui voglio sentir parlare è lei. Sono già abbastanza in ansia al pensiero di rivederla dopo un mese che non la sento e non la vedo…

«Oggi è il giorno dei nostri amici. Siamo qua per loro e dobbiamo festeggiare.» 

Non faccio in tempo a finire la frase che il mio amico perde il sorriso, mi spinge dalle spalle e cerca di guidarmi al buffet degli alcolici.

«Ehi, non è ancora iniziata la cerimonia e già vuoi farmi bere?» Anche la sua ragazza mi prende a braccetto e aiuta il compagno a trascinarmi via. Mi scosto cercando di liberarmi dalla loro presa. Li conosco troppo bene. «Cosa volete che non veda, eh?» Mi giro di scatto e dalla porta principale entra lei, Jeong. La donna che credevo mi sarebbe stata accanto per sempre. La mia migliore amica, la mia complice, la mia amante e quella che oggi avrebbe dovuto essere qui come mia moglie. Non indossa il vestito che abbiamo scelto insieme, ma è comunque così bella da sbriciolarmi il cuore.

Davvero sono stato così idiota da lasciarmela scappare?

È da sola ed è meravigliosa con quell’abito corallo che le lascia visibile la schiena. Saluta quelli che conosce, sembra un po’ a disagio. Poi una mano si aggiunge alla visuale, si appoggia alla sua spalla, un uomo fa la sua comparsa e se il mio amico non mi tenesse per il braccio sarei già da loro a dare di matto.

«Ci siamo lasciati da solo un mese e lei è già qui con un altro?»

Sono deluso, la cosa mi dà più fastidio di quanto dovrebbe. In fondo, sono stato io a rovinare tutto. Ma sapere che è venuta con un altro... Qui, poi, dove dovremmo festeggiare il matrimonio dei nostri migliori amici. Cosa le dice la testa? «Lasciami, Hyung.» Lo strattono appena. Jin mi dice qualcosa, ma ho il cervello chiuso.

«Lasciatemi andare, prometto che non darò spettacolo.» A passi spediti mi avvio verso di lei e appena la raggiungo le prendo un braccio, talmente all’improvviso che non ha tempo di ribellarsi.

«Vieni con me.» Fa appena un po’ di resistenza. «Ehi… cosa vuoi?», mi dice. Cosa voglio? Che coraggio. La trascino in una saletta e la rilascio senza delicatezza, tanto che barcolla.

«È così? Non hai fatto in tempo a uscire da casa che il rimpiazzo era già pronto? Da quanto tempo, eh? Già da prima immagino. Sarà stata una liberazione avere la scusa pronta per lasciarmi, farti passare anche per la vittima e finire con quell’idiota là fuori? Ci hai messo poco a riprenderti…» 

Lei mi guarda con gli occhi sbarrati. Quel suo sguardo che, improvvisamente, mi ricorda così tante cose meravigliose che quasi mi gira la testa. Quello sguardo che mi ha fatto innamorare sempre, ogni giorno di più, come se fosse la prima.

«Non guardarmi come se non capissi di cosa parlo, non guardarmi così, come se fossi scioccata. Volevi darmi il colpo di grazia? L’hai fatto apposta?» Lei mi fissa senza dire una parola. Ha gli occhi lucidi.

«Sei un cretino, Jongdae. Uno stupido cretino! Hai rovinato tutto, tu hai rovinato tutto e adesso mi vieni a fare la paternale? Mi vieni a dire che non sarei dovuta venire qui con un altro. Sarei dovuta venire da sola, farmi vedere per la patetica cornuta che sono e a pezzi per quello che mi hai fatto?» Mi allontano di un passo. «Ti ricordo che tu avevi una storia con un’altra… che tu sei stato a letto, nel nostro letto, con quella…! E io sono libera di presentarmi con chi voglio, di stare con chi voglio, di dimenticarti con chi voglio.» 

Si avvicina di più e io non so cosa fare, perché il suo profumo mi investe come una tempesta, perché la sua pelle così vicina, quel viso perfetto, quel tutto che è la mia Jeong ho finito con il rovinarlo. Non solo la nostra storia, ma una vita insieme spazzata via e non so come sia potuto succedere.

«Sono venuta con una persona che sa farmi ridere anche quando non sono dell’umore, con qualcuno che non è qui per portarmi a letto, ma che è qui per sostenermi in un momento in cui sicuramente sarei crollata. Il matrimonio del tuo migliore amico, tu presente… sono venuta per la sposa… altrimenti non mi avresti vista.»

Qualcosa va in frantumi dentro me. Il suo sguardo carico di dolore e frustrazione mi arriva dritto nello stomaco, come un gancio destro ben assestato. Devo lasciarla andare? Devo allontanarmi più di quanto non abbia già fatto? Devo perderla?

La cerimonia inizia, il matrimonio si celebra e per tutto il tempo non faccio altro che immaginare me e Jeong su quell’altare al posto loro. Oggi avremmo dovuto essere qui come i signori Kim, lei avrebbe dovuto essere accanto a me con il braccio stretto al mio a ridere e ballare e gioire, con la mia fede al dito. Invece guardo quell’altare da lontano e mi provoca così tanto dolore che mi viene da piangere.

Preso da un momento di frustrazione, mi sposto dal mio tavolo e la raggiungo da dietro, incrociando all’improvviso le dita della mano alle sue, trascinandola via. Qualcuno ci fissa, ma poco importa.

«Jongdaeah, cosa pensi di fare? Kim Jongdae!» Quando usa il mio nome per intero mi fa sempre sorridere, persino ora. Lo fa sempre quando è incazzata. La porto fuori dalla sala del ricevimento, la porto fuori dall’hotel. L’allontano da chiunque, fermando il primo taxi che passa. Lei si agita e continua a chiamare il mio nome, ma vedere i miei amici sposarsi, vedere quello che avremmo potuto essere noi, mi ha fatto così male che l’odio per me stesso è raddoppiato, e l’amore per lei cresciuto il triplo.

Una volta in auto, in cui l’ho infilata senza lasciarle scelta, do l’indirizzo al taxi. Quello di casa mia.

E lei a un certo punto si arrende, conoscendomi, sapendo di non poter vincere contro di me.

«Senti, picc-, Jeong, lo so che sono stato un idiota, un idiota integrale, e non merito il tuo perdono, non merito una seconda possibilità. Ma…  Ma…» Mi prendo la testa con le mani, frizionando i capelli. Sto impazzendo. «Ma ti amo da morire e mi odio e vorrei averti portata io in quella sala, avrei voluto io vederti vestita di bianco a sorridermi e… e no, non lo merito, ma ti prego, dammi un’altra possibilità, una sola, e te lo giuro, piccola, ti giuro che non manderò mai più tutto all’aria, che non farò più niente che ti ferisca che…» Una lacrima scende e sogno solo che questo ultimo mese sparisca, sogno di tornare al prima, a quando lei mi amava, a quando io non avevo ancora rovinato tutto. Le stringo le mani e lei mi lascia fare, abbassa la testa. Le prendo il viso tra le mani.

«Perdonami, io… io non vivo senza di te e mi dispiace, Dio…»

Lei mi guarda, e in fondo ai suoi occhi riesco a vedere una briciola di luce. Una lacrima scende indisturbata sulla sua guancia, cadendo sulla stoffa morbida e lucida del suo vestito blu.

«Perché?», mi chiede, con il tono incrinato di chi sta per scoppiare a piangere. «Perché sono un cretino, perché… potrei darti mille giustificazioni diverse, ma il fatto è che non ne ho. Non merito nemmeno di scusarmi. Voglio solo una, un’unica possibilità.» Intanto siamo arrivati a casa mia, a casa nostra. Abbasso il viso a guardare la tappezzeria consumata di questo taxi bianco. «Vado dentro… ti aspetto.» La guardo con il terrore dentro a divorarmi lo stomaco. So che è l’ultima occasione, so che se non mi raggiungerà sarà finita davvero e sono pronto ad accettarlo ma…

Il suono dei tasti della serratura, la porta si apre e lei entra. E io non riesco a fare altro che azzerare le distanze e prenderla tra le braccia, annegando subito nella sua bocca, mangiandola come un affamato. Le tolgo il fiato, lo tolgo a me, e questa volta non lascerò più la presa, questa volta sarà mia per sempre.

   
 
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