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Autore: Sunnyfox    26/09/2023    2 recensioni
Miyagi. Mai avrebbe pensato di sentire così profondamente la sua, di mancanza. Sapeva di non avere alcun rimpianto a riguardo ma, il giorno della sua partenza, era rimasta ad osservare il cielo come si aspettasse di ritrovarlo al passaggio di qualsiasi aereo in volo sopra i cieli di Kanagawa.
Era successo alla fine di luglio. Ed era stata l'estate peggiore e migliore della sua vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ayako, Ryota Miyagi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Preludio d'estate.
 

Un refolo di vento dalla finestra a contrastare il torpore estivo delle lezioni pomeridiane.
La monotona voce del docente di inglese sullo sfondo, a fare l'effetto di un potente sonnifero.
Ayako aveva perso concentrazione da almeno mezz'ora, la sua vicina di banco aveva deciso di arrendersi all'agognato riposo, la testa reclinata sul banco, le labbra dischiuse.
Sorrise, distogliendo lo sguardo, cercando la frescura che, pigra, giungeva dalla finestra spalancata sul cortile.
Un vociare sommesso, giù al campo di calcio, ad avvisarla che le attività sportive dovevano essere cominciate da poco.
Il solo pensiero riuscì a ridestarle il buon umore.
Non era così scontato che si sarebbe proposta come nuova recluta e manager del club di basket universitario. Convinta che gli impegni dei corsi di quel nuovo percorso accademico avrebbero richiesto uno sforzo maggiore, rispetto al liceo, non era stata poi così certa che avrebbe potuto sacrificare preziose ore di studio per dedicarsi a ulteriori attività extrascolastiche.
Poi, aveva varcato la soglia della palestra: l'eco dei passi sul pavimento, i rumorosi rimbalzi della palla in gioco, il profumo della cera mischiato a sudore di corpi in movimento, avevano decretato la sua resa.
La passione, sopita durante le lunghe settimane di studio preparatorio per gli esami di ammissione, era tornata, più forte e potente che mai.
Quelle dannate farfalle nello stomaco.
Il pensiero era tornato ai gloriosi anni del liceo. Dei tornei scolastici, degli entusiasmi al cardiopalma, degli esagerati sconforti, della tenacia, gli incoraggiamenti, le rivalse e le sconfitte.
Consapevole che non sarebbero davvero mai più tornati. Non come erano allora, almeno.
Non così come li aveva vissuti e sentiti, profondamente, con tutto il trasporto adolescenziale.
Una palla ai suoi piedi, sul limitare dell'ingresso della palestra. Un incoraggiamento a rilanciarla.
«Sei qui per vedere gli allenamenti?» un ragazzo dall'altezza esagerata, un sorriso carico di calore. Una pettorina che portava il numero quindici.
Ayako aveva afferrato la palla, raccogliendo da terra quella sottospecie di guanto di sfida.
«In realtà vorrei entrare a far parte del club»

Così era cominciata.

Il basket era tornato prepotentemente nella sua vita così come se ne era andato. Così come si era portato via alcune delle persone a cui aveva tenuto di più, durante gli ultimi due anni di liceo.

Aveva rivisto Kogure, poco prima della fine dell'estate ed era stato un po' come tornare a casa. Avevano chiacchierato distrattamente della possibilità di riunire alcuni membri dell'ormai ex club di basket degli anni d'oro per una rimpatriata, si erano rispettivamente aggiornati sulla sorte dei ragazzi: dell'eccezionale ammissione di Mitsui in una rinomata università locale, grazie alle sue conquiste sportive, della carica di nuovo capitano dello Shohoku l'indomabile Kaede Rukawa e di come quel genio di Hanamichi non avesse affatto preso bene la notizia, ma della volontà di sovrastare qualsiasi titolo fin'ora raggiunto dalla squadra. Dei traguardi di Akagi e della notizia di come Ryota Miyagi avesse stracciato qualsiasi aspettativa, riuscendo a volare oltreoceano per studiare e giocare a quel tanto agognato basket professionista.
Miyagi. Mai avrebbe pensato di sentire così profondamente la sua, di mancanza. Sapeva di non avere alcun rimpianto a riguardo ma, il giorno della sua partenza, era rimasta ad osservare il cielo come si aspettasse di ritrovarlo al passaggio di qualsiasi aereo in volo sopra i cieli di Kanagawa.

Era successo alla fine di luglio. Ed era stata l'estate peggiore e migliore della sua vita.


 
Tre anni.


Ayako si era sempre considerata un maschiaccio.
Crescere, da figlia unica, con un branco di cugini caricati a sport e testosterone avevano contribuito a trasmetterle tutto ciò che sua madre detestava. O che quantomeno le faceva credere di detestare. Non si era mai preoccupata di imporle stili di vita diversi, confidando che, crescendo, avrebbe compreso da sola che ruolo attribuirsi.
Il ruolo era rimasto lo stesso per anni: determinata, energica e indipendente, non si era mai eccessivamente preoccupata di come gli altri potessero vederla. Non si era mai considerata nemmeno una ragazza particolarmente desiderabile e, a dirla tutta, quei salamelecchi romantici che avevano preso a fluttuare nell'aria durante i primi anni delle elementari non le erano mai interessati davvero. Li osservava con la stessa curiosità con cui assisteva alle lezioni di fisica. Del resto, tutte le attenzioni che aveva sempre attratto fra i suoi coetanei, riguardavano per lo più la sua condizione di figlia di genitori divorziati. Più un'eccezione che una regola, alla fine di quei frenetici anni ottanta. Un animale raro, un livello di curiosità a cui si era più abituata rispetto alle attenzioni sentimentali di cui non comprendeva il significato.
L'amore era un concetto relativo. Le relazioni, per esperienza diretta, non erano destinate a durare, per cui che a che pro preoccuparsi? Ne biasimava, in qualche modo, gli affanni.

Alle medie, però, il suo corpo era letteralmente esploso. I vestiti a cui era stata abituata si erano improvvisamente ristretti. Le forme erano cambiate e con suo enorme disappunto aveva dovuto cedere a biancheria intima scomoda e intricata. Non si era persa d'animo, aveva accettato con rassegnazione quei cambiamenti, ben consapevole che la sostanza di ciò che era, come individuo, non poteva essere mutata come tutto quel grasso che le si era depositato sui fianchi, sul petto.
Ma gli sguardi dei coetanei che le orbitavano attorno e l'attenzione nei suoi riguardi avevano assunto sfumature decisamente diverse. Ed era diventata improvvisamente consapevole del suo fascino e, in una certa misura, invece di accogliere queste attenzioni così come avevano deciso di fare alcune delle ragazzine della sua età, con civettuola eleganza, tendeva ad evitarli come la peste o a disincentivarli con reazioni tutt'altro che incoraggianti.
L'andazzo non era particolarmente mutato quando aveva iniziato il liceo. La differenza era che non ci faceva più davvero caso. Un semplice inconveniente dell'essere adolescente. Qualcosa che si sarebbe esaurito, prima o poi. A cui, ancora, non riusciva davvero attribuire un peso.
Gli impegni al club di basket occupavano, assieme gli studi, ogni sua energia.

Per questo, il giorno in cui Ryota Miyagi era letteralmente piombato nella sua vita, si era trovata assolutamente impreparata alle conseguenze.

«Tu sei Ayako del club di basket, non è così?»
Miyagi l'aveva raggiunta nel cortile, l'apparenza di un vero e proprio inseguimento, al termine di una terrificante lezione di aritmetica.
Ayako si volse, un'espressione interrogativa dipinta in viso.
«Ci siamo conosciuti proprio ieri...» sottolineò con perplessità. Era idiota o cosa?
Il ragazzino sembrò esitare, frenato da un evidente conflitto interiore.
«Sì, lo so, perdonami. Pensavo non ti ricordassi di me»
Ayako si prese tutto il tempo per valutarlo. Era arrivato a scuola da poco, ad anno scolastico già iniziato. Veniva da Okinawa, aveva spiegato all'intera classe, il giorno del suo debutto. L'espressione stranita di chi non aveva la più pallida idea di cosa ci facesse lì. E poi aveva presentato la sua domanda d'ammissione al club. L'unica cosa certa era che sapeva davvero giocare a basket.
«Sarebbe piuttosto strano non mi ricordassi proprio della nuova recluta» commentò lei, riprendendo a camminare, come se qualsiasi fosse il motivo per cui l'aveva rincorsa, non avesse poi molta importanza.
Il ragazzo rimase fermo sul posto, indeciso se prendere quella risposta come sentenza definitiva o solo un invito sospeso per riprendere a seguirla. Propense per la seconda ipotesi.
«Facciamo la strada insieme? Stai andando in palestra, giusto?»
Non si era degnata nemmeno di rispondergli.

Per tutta la durata degli allenamenti successivi Miyagi aveva dimostrato di non essere allo stesso livello delle nuove matricole. Era riuscito a contrastare persino gli attacchi frontali di quell'energumeno di Akagi, suscitando un certo interesse persino nel coach Anzai.
Ayako non era rimasta indifferente alla sua tecnica, alla sua velocità. A discapito di una struttura fisica non proprio in linea con i principi del basket. Piuttosto basso a dire il vero, rispetto alla media dello Shohoku.
Ryota, di contro, non si era risparmiato di esibirsi, di mettersi evidentemente in mostra, ben conscio di essere sotto osservazione. Uno sbruffone in miniatura.
A seguito di intere settimane di silenziosa valutazione, e sguardi d'ammirazione che non erano del tutto sfuggiti ad Ayako, Miyagi prese di nuovo coraggio, una sera, all'uscita da scuola.
«Aya... chan?»
Questa sì che era una novità. Non erano in molti a prendersi certe libertà con lei.
«Ryota» lo appellò con perplesso distacco.
«Pensavo...» esordì, posando a terra il borsone degli allenamenti, titubante. Sembrava aver messo da parte quella sua aria strafottente, lo sguardo insolitamente basso, le spalle ricurve.
«Mi chiedevo...»
Tergiversava e ad Ayako sembrò un atteggiamento del tutto fuori contesto, in serio contrasto con quella che aveva imparato essere la natura impertinente di Miyagi.
«Insomma, volevo sapere se saresti disposta a uscire con me, un giorno di questi...»
La risposta sarcastica che le premeva sulle labbra ai suoi goffi farfugliamenti rimase inespressa, poiché la sorpresa di quella richiesta aveva incredibilmente avuto la meglio. Non era certa dell'espressione che le si era dipinta in viso; ringraziò la sua buona stella che Ryota sembrasse trovare molto più interessanti i lacci delle sue scarpe, in quel momento.
«Mi dispiace, Ryota...» le uscì prima che la sua mente potesse prendere in considerazione una risposta più ponderata o delicata, per quello che poteva valere «ma non sono interessata.»
Non interessata agli appuntamenti, alle uscite prive di senso. Ne aveva osservato i nervosi preparativi delle compagne di classe, delle amiche che avevano certo accumulato più esperienze di lei e aveva decretato, ancora una volta, che non rientravano nelle sue priorità.
Il ragazzo sembrò sussultare; Ayako era del tutto inconsapevole di quanta forza d'animo avesse dovuto accumulare lui per formulare una simile richiesta. E quanta ancora ne avrebbe dovuta dimostrare per incassare il colpo ricevuto.
«Oh, capisco...» gli sentì dire, una mano ad arruffarsi i capelli, ancora umidi dopo la doccia.
Non le era sembrato di essere scortese, solo pratica, cristallina. Onesta. Essere oneste non era una di quelle qualità che in genere la gente apprezzava? Ma per qualche motivo Miyagi non sembrava dello stesso parere e sotto vari strati di confusione e vago imbarazzo, Ayako provò forse, una prima fitta di vero rimorso.
«Bè, come non detto, allora», con un sorriso forzato Miyagi raccolse il borsone da terra e ostentando sicurezza, che evidentemente non possedeva, le fece un cenno di saluto, prima di ritirarsi, sconfitto.

«Non credo tu ti renda davvero conto di ciò che hai fatto, Ayako-chan.»
Izumi, compagna di banco sin dalle elementari, era stata la prima e l'unica persona a raccogliere le sue confessioni, il giorno successivo, durante la pausa fra una lezione e l'altra.
Per quanto Ayako volesse credere che la sua prima dichiarazione degli anni del liceo fosse stata solo un trascurabile inconveniente, non era riuscita a darsi pace per tutta la notte.
«Non mi sembra di essere stata poi così scortese... ho solo detto la verità» cercò di giustificarsi.
Era forse uno sguardo di biasimo quello che l'amica le stava rivolgendo?
«Ma prova a metterti nei suoi panni! Il povero Miyagi trova il coraggio di chiederti di uscire, dopo settimane che sembra ronzarti attorno e tu lo liquidi così, senza uno straccio di spiegazione.»
«Di che razza di spiegazione aveva bisogno?»
Stava cominciando ad innervosirsi, punta sul vivo.
Izumi ci pensò su per qualche istante, decisa a darle una vera risposta, invece di ignorarla implicitamente.
«Scusa Ryota, ma al momento gli appuntamenti non rientrano nelle mie priorità. Ma grazie per la considerazione? Una cosa del genere, per esempio.»
Ayako le rivolse uno sguardo perplesso.
«Una risposta degna di un colloquio di lavoro»
«Condensare il tutto con un: non mi interessi è più crudele, credimi. Crudele persino per una come te.»
«Non la fare tanto lunga...»
«Non gli hai lasciato speranze»
«Piantala»
«Gli hai sicuramente spezzato il cuore» riprese con esagerato trasporto da dramma ottocentesco.
«Non era quello l'intento...» rilasciò un sospiro greve.
Il sospetto che Ryota non l'avesse presa bene l'aveva già tormentata a sufficienza, senza che Izumi ci aggiungesse il carico da cento. E nonostante tutto era comunque sicura che presto o tardi un tipo come lui avrebbe di certo trovato qualcun'altra da importunare, perciò non desiderava caricarsi troppo di responsabilità non richieste.
«Bè, forse è stato meglio così» la sentì proclamare infine, mentre si lasciava scivolare giù dal banco sul quale si era seduta, «non sembra proprio un tipo raccomandabile. Ha l'aria da teppista...»
Ayako le rilanciò un'occhiata dubbiosa. La voce aveva preso a circolare da qualche tempo, ma sentirlo dire da Izumi le fece un effetto strano, diverso, sgradevole.
«Non è per questo che l'ho scaricato...» borbottò senza preventivare l'uso di quella dubbia espressione. Anche se di fatto era proprio ciò che era successo: Miyagi si era esposto con lei e lei lo aveva scaricato.
«Ah no?» Izumi le diede un buffetto sulla testa, prima di allontanarsi, stufa dell'argomento, cianciando di dolcetti di riso.
Ayako si chiese se sarebbe stato meglio usare davvero la frase da annuncio pubblicitario. Non era forse vero che gli appuntamenti non rientravano nei suoi interessi? Non ne aveva il tempo, né le forze mentali per pensarci. Forse dirglielo, spiegargli con garbo le sue motivazioni, gli avrebbe attutito la caduta...

Ryota riuscì però a sorprenderla di nuovo.
Si era attesa un incontro imbarazzante, colmo di silenzi e sguardi furtivi, ma quello stesso pomeriggio, quando Ayako si era presentata in palestra, allenamenti già cominciati, Miyagi le corse incontro, dimostrando solo sincera preoccupazione per il suo ritardo.
«Credevo ti fossi dimenticata di noi, Aya-chan», le rivolse un sorriso smagliante che non riuscì a decifrare.
Forse il suo rifiuto non aveva avuto l'impatto disastroso che Izumi aveva drammaticamente predetto. Forse, come ipotizzato, Ryota Miyagi avrebbe presto trovato un'altra ragazza alla quale rivolgere le sue spavalde attenzioni.  
Se provò un vago disagio al pensiero, lo accantonò, pronta a lasciarselo alle spalle.
Ryota Miyagi era solo un ragazzino immaturo. Che però sapeva giocare bene a pallacanestro. Di questo avrebbe solo dovuto preoccuparsi d'ora in poi.

Le settimane si susseguirono e passarono, ma le attenzioni di Miyagi nei suoi riguardi, sembravano non venir meno. Così come gli allenamenti ostinati dei ragazzi non avevano assicurato allo Shohoku un posto in prima fila per il campionato nazionale, allo stesso modo gli sforzi di Ryota di farsi notare dalla giovane manager della squadra erano stati del tutto insufficienti.
L'incrollabile fede che Ayako riservava ai ragazzi e alla possibilità che presto o tardi avrebbero ottenuto il meritato successo, andava di pari passo con l'assoluta indifferenza con cui accoglieva gli attacchi più o meno mirati della spavalderia del giovane playmaker.
Eppure era certa di aver sentito dire, in giro, che Miyagi non era di certo rimasto con le mani in mano, dopo il suo rifiuto. Voci di corridoio lo avevano dato per spacciato con almeno altre cinque ragazze del primo anno.
Si risolse a pensare di aver avuto ragione, per tutto il tempo. Di essere stata solo la prova generale di un adolescente inesperto. E allora perché Miyagi non faceva altro che continuare ad orbitarle silenziosamente, ostinatamente attorno? Gli sembrava un modo divertente di prenderla in giro?

«Perché è ancora innamorato perso di te, Ayako», quella Izumi avrebbe fatto meglio a chiudere il becco.
«Piantala di dire stupidaggini. Fa solo il cretino.»
«Sakura del secondo anno mi ha detto che fa il cretino con le altre solo perché con la ragazza del suo cuore non ha alcuna speranza.»
«E chi dovrebbe essere la ragazza del suo cuore?»
Izumi si limitò a scoccarle uno sguardo eloquente.

Gli studenti del primo anno del liceo Shohoku erano scivolati, senza particolari scossoni nel pigro inizio del loro secondo anno. La dura vita da matricole finalmente terminata.
Gli allenamenti del club di basket erano ripresi con lo stesso entusiasmo, benché privo di grandi aspettative.
Il trasporto di Miyagi nei suoi confronti non era mutato di una virgola, atteggiamenti che Ayako si era rassegnata ad accogliere con placida indifferenza.
Aveva preso a seguire un corso di calligrafia, ben conscia che forse sarebbe stata costretta a gettare la spugna se lo Shohoku avesse in qualche modo incrementato le sue chances a fine anno.

Un mercoledì mattina la sirena di un'ambulanza riempì i silenzi di una seconda ora di Storia.
Lo sguardo di Ayako si era posato su quel banco vuoto, un paio di file di fronte a lei. Quello occupato solitamente da Miyagi. Non si era presentato nemmeno alla prima lezione e sebbene non fosse esattamente una novità che, di tanto in tanto, decidesse di prendersi delle ore libere, quella sirena attivò tutti i suoi campanelli d'allarme.
A niente erano serviti gli ammonimenti del professor Abe, gli studenti si erano precipitati alle finestre, per assistere alla curiosa novità della giornata.
Solo qualche ora dopo, durante uno degli intervalli era venuta a galla la scomoda verità.
«C'è stata una rissa. Hanno portato via uno studente del terzo anno e uno del secondo.»
«Non erano soli, mi hanno detto che il preside ne ha sospesi almeno altri tre.»
«Hanno dovuto portarli via in barella, uno spettacolo indecente!»
Ayako aveva seguito con apprensione ogni pettegolezzo, prima di incrociare Akagi e Kogure sui cancelli della scuola.
Le espressioni tese di entrambi non promettevano proprio nulla di buono.
«Ayako... hai sentito anche tu?» esordì Kogure, togliendosi gli occhiali da vista per dargli una ripulita veloce.
«Della rissa? Non fanno che parlarne tutti» confermò la ragazza, cercando implicite risposte.
«Quell'idiota...» bofonchiò Akagi seguendo con lo sguardo un gruppo di ragazzini del primo anno che sciamavano fuori dall'istituto.
«Ryota non si è presentato alle lezioni, questa mattina...» un'informazione che non chiedeva altro che una conferma... o un'insperata smentita.
«E credo che non si presenterà nemmeno alle prossime, di lezioni», ammise Kogure, afflitto, «battersi con un intero gruppo del terzo anno, ma che diamine gli è venuto in mente?»
«Lo sapevamo che era un soggetto complicato» Akagi sembrava ora più rassegnato che infastidito.
«Immagino che dovremo aspettare che rimetta insieme i pezzi...»
Ad Ayako non servì altro per capire che Miyagi era uno dei due ragazzi che si erano guadagnati un viaggio al pronto soccorso per direttissima.
«Sapete come sta?» non riuscì a esimersi dal chiedere.
«Non ancora, abbiamo chiesto al preside di tenerci aggiornati, per il momento.»
Ayako annuì sovrappensiero. L'idea che le voci che giravano riguardo al ragazzo fossero state finalmente confermate non le diede alcun piacere.

Fu in quello strano periodo di transizione che Ayako si rese conto di sentire la mancanza di Miyagi. O forse solo delle sue costanti attenzioni che per troppo tempo aveva dato per scontato.
Si chiese se non avesse alimentato, nonostante le sue ritrosie, il suo lato frivolo. Non seppe dire se provasse più fastidio o curiosità per la piega che avevano preso le cose.
Di certo non poté ignorare la preoccupazione nei suoi riguardi. Di come si interessasse frequentemente di ricevere aggiornamenti, facendoli figurare come cruccio per gli esiti dei successi della squadra di basket.

Poi Miyagi era comparso, così come era sparito e con il suo ritorno tutto era improvvisamente cambiato.
Non in meglio, non in peggio, ma l'essenza stessa dello Shohoku era mutata. Complice anche l'arrivo di Sakuragi, del ritorno di Mitsui. Gli equilibri stessi della squadra si erano evoluti e con essi anche l'approccio dello stesso Miyagi.
Le era mancato, sì. E non seppe dire, da principio, se fosse solo per pietà o chissà quali voli pindarici se ora si preoccupava maggiormente per lui. Quando era tornato a ricoprire a tempo pieno il suo ruolo nella squadra di basket si aspettava sempre di non vederlo comparire agli allenamenti e quando invece varcava la soglia della palestra, sentiva la tensione svanire e lasciar spazio a uno strano sfarfallio allo stomaco. Che inizialmente aveva solo etichettato come semplice sollievo. Un altro giorno senza guai per Miyagi, signore e signori. E invece...
Il vero motivo per cui si sentiva a quel modo non era ancora in grado di analizzarlo, né tantomeno di valutarlo. Non finché qualcuno non glielo avesse sbattuto in faccia.

«Ti sono mancato Aya-chan?» il solito sfacciato.
«Così come sei mancato all'intera squadra»
«Come l'aria, quindi»
«Adesso non esagerare, Ryota...»
Le rivolse un sorriso grandioso. Uno di quelli a cui non era più abituata e di nuovo percepì quello sfarfallio allo stomaco. Lo stesso che sentiva ogni volta che compariva sulla soglia di quella stupida palestra. E solo allora si rese conto che non poteva trattarsi di sollievo. Solo allora si rese conto che di certo doveva essersi presa uno strano virus. Magari ne aveva contratto uno letale Miyagi durante il periodo passato in ospedale ed ora glielo aveva trasmesso per via aerea.

«Non dire stronzate, Ayako-chan, dillo che anche lui ti piace, e facciamola finita...» sempre Izumi, sempre sfacciata.
«Certo che mi piace. Come mi piacciono tutti i ragazzi del club di basket»
«Sgualdrina...» le rispose con aria provocatoria, azzannando violentemente il suo onigiri.
«Non in quel senso»
«Di certo è maturato parecchio da quando è tornato. Mi hanno detto che non ci ha provato più con nessuna ragazza della scuola...»
«Solo perché troppo preso con gli allenamenti. Si stanno impegnando parecchio tutti quanti. C'è poco spazio per le cazzate, Izu-chan.»
Izumi le rivolse uno sguardo meditabondo.
«Quindi... significa che è vero. È maturato.»
Ayako non l'aveva mai analizzata in questo modo. Ma ebbe l'immediata rivelazione che potesse essere vero, in fondo.

Improvvisamente lo vedeva con occhi diversi. Era davvero cambiato? O stava semplicemente cambiando lei stessa? Quegli ultimi mesi li avevano messi a dura prova, sotto diversi punti di vista. E aveva visto tutti i ragazzi cambiare, evolversi in modi che nessuno avrebbe mai davvero creduto possibile. Che quindi... fosse successo anche a lei?
Con i successi dello Shohoku, con la squadra che si faceva più compatta e sicura, anche lei stessa si sentiva più aperta, più fiduciosa, meno ostile, meno rigida. I suoi schemi si erano ribaltati, aveva cominciato a guardare il mondo da diverse prospettive a sentirsi parte di qualcosa di più grande di lei.
Forse avrebbe solo dovuto seguire l'onda, smetterla di seguire uno schema, credere nell'impossibile. Così come ci credeva Sakuragi, così come forse, ancora ci credeva Ryota.

Aveva cominciato a pensare a lui più spesso. Non solo prima dell'inizio degli allenamenti, ma persino prima dell'inizio delle lezioni. In cortile, durante l'intervallo si ritrovava a cercarlo con lo sguardo. E all'uscita a finirgli incontro per sbaglio per un fugace saluto.
Aveva cominciato a pensare a lui la sera, prima di addormentarsi. A trattenere il fiato al pensiero delle piccole, stupide, brevi interazioni che avevano avuto durante la giornata. A riviverle nei suoi ricordi, chiedendosi cosa sarebbe successo se avesse scelto parole e mosse differenti.
E poi aveva cominciato a vederlo davvero. A seguirlo sul campo da basket non solo come giocatore generoso e vivace, non a valutare la maturazione delle sue tecniche nel corso delle settimane, ma a rendersi conto che era cambiato, era cresciuto ed era diventato... praticamente un uomo.

Le parole di Izumi divennero improvvisamente reali: Ryota le piaceva davvero. E non si trattava di lusingato affetto, ma di qualcosa che era improvvisamente in grado di farle ribollire il sangue nelle vene.
Era dunque questo ciò di cui non facevano che parlare i suoi compagni di scuola? Le stupide cotte adolescenziali. 
Di tutto poteva dubitare ma non del fatto che vedere Ryota la scombussolasse dentro. E che quel calore che le ribolliva nello stomaco, nel petto, nel bassoventre, poco aveva a che fare con quelle stupidaggini da romanzetti rosa.

E come per tutte le cose che destavano improvvisamente la sua curiosità, Ayako non poté fare a meno che analizzare la situazione e decidersi a smuovere delle acque che erano rimaste chete, per troppo tempo.

Era cominciato tutto con il ritiro della squadra per le partite finali di campionato. Aveva volontariamente cercato Miyagi, gli era rimasto accanto nei suoi momenti di fragilità. Aveva deciso di supportarlo, di non nascondergli più il posto speciale che gli riservava. Forse lo aveva fatto in modo goffo, ma che diavolo ne sapeva lei di questioni romantiche? Aveva deciso di seguire il flusso.
La partita contro il Sannoh aveva lanciato addosso alla squadra una scarica di adrenalina che avrebbe alimentato d'elettricità un intero palazzetto, e Ayako se ne sentiva sopraffatta.
Aveva incrociato solo Miyagi all'esterno del ryokan, la sera stessa dell'agognata vittoria. Stava litigando con un distributore automatico di bevande e lo aveva avvicinato senza nemmeno starci troppo a pensare.
«Quello non va. Sono appena andata giù al paese a recuperare qualcosa al combini...» lo interruppe, alzando la busta, a dimostrazione che non gli stesse mentendo.
«Mia salvatrice...» la apostrofò con aria svenevole.
«Chi ti dice che abbia preso qualcosa per te?»
Lo guardò sospirare, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Frugò brevemente nella busta mettendogli sotto al naso una lattina di coca cola.
«Solo perché te lo meriti. Oggi siete stati...» cercò le parole esatte, senza trovarle. Ma forse non c'erano parole esatte per descrivere il miracolo che avevano portato a termine.
«È stato anche merito tuo...» la frenò Ryota, afferrando la lattina e allo stesso tempo la sua mano che ancora la stringeva.
Ayako sentì una vampata di calore risalirle su per il collo, ma cercò di dissimulare, così come ormai era abituata a fare. Non sarebbe stato così difficile, complici anche le ombre serali.
«Non ho fatto un bel niente, idiota...» disse, ma non fu così certa di essere riuscita a metterci quella giusta dose di spavalderia.
«Invece lo sai che non è così» sul palmo della sua mano si potevano ancora leggere le parole che gli aveva scritto per aiutarlo a focalizzare, durante la partita contro il Sannoh: playmaker numero 1. Non le poteva vedere, ma era certa fossero lì. Era certa che si riferisse proprio a quelle.
«Hai intenzione di lasciarmi andare la mano o... ?»
«Finché non diventerà troppo strano?» rise lui.
«Con te è sempre strano», gli rispose, senza riuscire a nascondere un sorriso, stavolta.
Vide i suoi occhi addolcirsi appena, così vivi e pulsanti, nonostante l'oscurità.
«Ed è male?» lo sentì chiedere, allentando appena la presa. Ayako si ritrovò a pensare che non avrebbe voluto gliela lasciasse, quella mano.
«No...» esalò appena, senza preventivarlo, senza calcolarlo, senza analizzare i rischi.
Era riuscita a sorprenderlo perché Ryota non riuscì a dire un bel niente, dopo.
Ayako non faceva altro che pensare a cosa sarebbe successo se si fosse esposta più di così, se gli avesse detto che da qualche tempo a quella parte forse aveva del tutto rivalutato le sue attenzioni. Che le piacevano quelle attenzioni. Che era disperata di riceverne e che avrebbe voluto vederlo prendere di nuovo l'iniziativa.
Ma forse ora era pronta a prenderla lei, quella benedetta iniziativa.
«Un po' di tempo fa mi avevi chiesto di uscire... te lo ricordi?» disse e per poco non le sembrò nemmeno di essere stata lei stessa a pronunciare quelle parole.
Miyagi annuì con aria quasi assente, forse solo stranita.
Si decise a non analizzare troppo la situazione, non aveva alcuna intenzione di tornare sui suoi passi.
«Bè... all'epoca mi era sembrato strano», gli disse, «ma forse era solo troppo presto.»
Si morse il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo, per puntarlo verso il cielo. Si vedevano le stelle. Il cielo era sgombro ormai.
«Dovresti riprovarci finito il ritiro». Lo aveva detto davvero, era fatta. Nel bene e nel male. «E ora vuoi prendertela o no questa benedetta lattina?»
Quando lo sentì ridere, sapeva che il suo salto nel vuoto si era concluso senza danni.

Miyagi le aveva chiesto di uscire quella stessa estate, al rientro dal ritiro. Aveva mantenuto la sua promessa. Lo Shohoku non era riuscito a vincere il campionato, ma aveva portato a casa un ottimo risultato. Le basi per il nuovo anno erano state cementate. E non restava che godersi il resto dell'estate, prima dell'inizio delle lezioni e del loro ultimo anno di liceo.
L'aveva portata al mare. E al culmine di un pomeriggio senza scossoni le aveva chiesto il permesso di baciarla.
Ayako non aveva esitato al suo cospetto, sorprendendo persino se stessa. Non si era interrogata sul fatto che fosse una mossa troppo frettolosa. Conosceva Ryota da così tanto tempo che fu certa fosse solo la naturale evoluzione di un rapporto che ne aveva già affrontate tante.
«Non farne una questione di stato» lo ammonì, avvertendo il fremito nervoso della sua voce. Lo agevolò, andandogli incontro, cercando le sue labbra con le proprie.
Non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo, né sicuramente ne aveva Miyagi. Era strano e buffo e forse le piaceva. Forse cominciava a capire cosa significasse tutto quel brusio di fondo di cui tutti andavano blaterando.

L'anno nuovo era ricominciato. Miyagi era il nuovo capitano dello Shohoku. Si aspettava con una certa impazienza il rientro di Sakuragi dall'infortunio e Ayako era definitivamente capitolata al fatto di avere una relazione con un ragazzo.
Non era certa, però, di voler condividere certi tipi di successi con chicchessia.
Il loro rapporto, al di fuori dei momenti che si ritagliavano assieme, non era cambiato molto. Lui ancora faceva lo scemo, lei ancora lo rimbrottava bonariamente.
«Siete disgustosi...» fu l'unico commento divertito che le rivolse Mitsui, prima che si rendesse conto di aver perso tutta la sua capacità di fingere.
«E tu sei uno stronzo» gli rispose per le rime, lanciandogli dietro un pallone da basket.
Non si espresse più a riguardo.

«Di un po’, c’è per caso qualcosa, che vuoi dirmi?» le chiese un giorno Izumi, mentre uscivano da scuola.
Ayako la guardò di sottecchi, stringendosi nelle spalle.
«Perché me lo chiedi?» l’interrogò, sapendo perfettamente a cosa si riferisse, ma affatto incline a darle corda, se non fosse stato necessario.
«Lo sai perché te lo chiedo…» le rivolse una smorfia, fingendo di sistemare un laccetto dello zaino.
Forse era stata un po’ crudele con lei, forse non era poi così necessario nascondere la sua relazione con Miyagi; era diventata praticamente chiara a tutti e Izumi la conosceva dalle elementari. Era un’amica. L’unica che avesse saputo inquadrarla sin da principio, a inquadrare persino i suoi sentimenti.
«Sto con Ryota», le disse, senza troppi fronzoli, senza esitazione.
Il silenzio che ne seguì non seppe interpretarlo immediatamente. Se Izumi l’avesse insultata avrebbe solo avuto ragione.
«E ci voleva tanto?» si sentì afferrare per le spalle e schioccare un bacio sulla testa. Nessuna rimostranza. Nessun ammonimento.
Scoppiarono entrambe a ridere stupidamente. Fu liberatorio.

Arrivò novembre e il campionato invernale. Lo Shohoku, sotto la supervisione del coach Anzai e Miyagi come capitano, aveva sbaragliato la concorrenza con capacità straordinarie. Il ritorno di Sakuragi, aveva di nuovo fatto la differenza. Gli straordinari progressi della squadra erano stati osservati molto da vicino.
E Miyagi si era confidato con lei, cercando approvazione, cercando incoraggiamento, due cose in cui era certa di eccellere. Non era sempre stato quello il suo ruolo? Quello di prendersi cura dei suoi ragazzi, di spronarli a fare sempre meglio.
«C’erano degli osservatori di un’università americana…» le disse. Ayako immaginò subito cosa sarebbe venuto dopo. «Mi hanno contattato, ma tutto dipende da come finirà il campionato, immagino»
La sentiva la tensione nella sua voce. Per l’aspettativa, certo, ma anche per altro.
«Se tutto andasse bene…»
Se ne sarebbe andato. Per uno, due anni, ad andar bene per sempre.
«… sarebbe un’opportunità stupenda» concluse per lui, impedendogli di dar voce alle sue preoccupazioni.
«Sì, ma-»
«Perché non ti godi l’idea?» lo interruppe di nuovo, «come ti fa sentire se pensi solo al fatto che ti abbiano scelto?»
Lo vide prendere la rincorsa con il pensiero.
«Come se mi esplodesse il cuore»
Ayako sorrise e si sporse per abbracciarlo un po’ per incoraggiarlo, un po’ per impedirgli di scorgere i suoi occhi lucidi.

L’inverno era passato e Miyagi l’aveva davvero ottenuta quella borsa di studio negli Stati Uniti. Ayako aveva continuato a sostenerlo e incoraggiarlo, rimandando il più possibile il giorno in cui avrebbero dovuto affrontare una certa questione.
Lei, di contro, si stava preparando agli esami di ammissione all’università ed era stata costretta a passare il testimone ad Haruko con il club di basket. Non c’era poi molto che potesse fare d’altronde. Le mancavano la palestra e i ragazzi e passava a trovarli nei ritagli di tempo. All’uscita dagli allenamenti passava a prendere Miyagi e lasciava che l’accompagnasse a casa. Aveva sistemato un vecchio motorino e si divertiva a portarla in giro, a volte dopo le lezioni, a volte nei fine settimana.
La primavera stava giungendo al termine e presto avrebbe lasciato spazio all’estate.
Si era domandata spesso che ne sarebbe stato di lei, una volta finito tutto quanto. Una volta abbandonato per sempre il liceo. Aveva rincorso una passione per tre anni, se ne era presa cura, aveva dato anima e corpo a uno sport che le aveva insegnato più di quanto potesse immaginare sulla dedizione, il sacrificio, la tenacia e l'amicizia. Si era resa conto che presto quel capitolo si sarebbe chiuso per sempre e a volte si sentiva persa.
C'era Miyagi che aveva inseguito un sogno ed era a un passo dal realizzarlo. E c'erano gli altri ragazzi che, come lui, si affannavano per arrivare a qualche traguardo.
Ma quale era il suo, di traguardo? Quale era il suo sogno? Se si fosse guardata attorno con più attenzione probabilmente si sarebbe resa conto che Miyagi e gli altri erano più l'eccezione che non la regola, che la maggior parte di loro, dei ragazzi che frequentavano l'ultimo anno delle superiori, non avevano davvero la minima idea di cosa volessero dalla vita. Ma l'entusiasmo di Miyagi per il futuro eccitante che gli si prospettava da lì a qualche mese l'aveva messa in una posizione scomoda, come si sentisse in difetto per non aver ancora davvero pensato a quale obiettivo dedicare la sua vita.
Ne aveva parlato con sua madre che si era stretta nelle spalle e le aveva risposto semplicemente: «Pensa a qualcosa che ti faccia sentire bene».
Aveva immediatamente pensato al basket, ovviamente, per poi rimproverarsi del pensiero. Non era una vera giocatrice. Sapeva destreggiarsi ma non le era mai passato nemmeno per l'anticamera del cervello di dedicarcisi se non da appassionata spettatrice.
Ma poi qualcosa le era scattato dentro. Cosa la faceva sentire bene? Prendersi cura degli altri. Quello la faceva sentire bene. In che modo avrebbe potuto renderlo un sogno da realizzare?
La risposta arrivò molto prima di quanto si aspettasse.

«La signorina Tanaka mi ha suggerito dei corsi extra da seguire per gli esami di ammissione...» aveva stampato il modulo e piazzato sotto al naso di Miyagi che stava cercando di decifrare un esercizio di inglese. Era andata a trovarlo per aiutarlo a impratichirsi con la lingua, dopo che per settimane l'aveva implorata di dedicargli almeno un pomeriggio a settimana. Non poteva partire per gli Stati Uniti senza conoscere almeno le basi della lingua con cui avrebbe dovuto interagire coi compagni di corso, e Dio solo sapeva quanto ne avesse bisogno.
Miyagi raccolse il foglio, osservando gli appunti cerchiati di rosso.
«C'è un sacco di roba qui sopra» alzò lo sguardo su di lei, fra l'ammirato e il terrorizzato dalla prospettiva.
«Sì bè...» si riprese il foglio, analizzandolo lei stessa, «la Tanaka mi ha detto che questo è niente, se ho davvero intenzione di intraprendere il suo stesso percorso di studi.»
Sentì su di sé lo sguardo di Miyagi ma esitò a guardarlo, aveva forse paura di trovare derisoria consapevolezza nei suoi occhi?
«La signorina Tanaka è un'insegnante...» lo sentì dire, titubante.
«Già... ?»
«Vuoi studiare per diventare insegnante?»
Ayako scrollò le spalle.
«Pensi sia stupido?» lo interrogò senza aspettarsi davvero una risposta.
«Penso che sarei geloso dei tuoi studenti»
«Non fare il cretino», sollevò finalmente su di lui uno sguardo severo.
«Penso sia grandioso» si corresse, sorridendole, «sei paziente e preparata. Capisci le persone e persino un testone come me riesce a fare questi stupidi esercizi, solo perché glieli hai spiegati con una chiarezza disarmante.»
Ayako si sentì avvampare.
«Non sei un testone. Sei solo pigro.»
«E tu sei solo troppo modesta» annuì. «Insegnante. Dovrò segare le gambe ai tuoi studenti.»
Gli diede una botta in testa.
«Finisci l’esercizio…»
«Mi rimangio che sei paziente…» protestò con voce lacrimosa.
Averne parlato con Miyagi aveva dato concretezza ai suoi propositi.

All’inizio di giugno Miyagi le aveva promesso che un giorno l’avrebbe portata a Okinawa. A farle conoscere il posto in cui era cresciuto.
Sebbene entrambi sapessero perfettamente che sarebbe stato un obiettivo irraggiungibile nell’immediato e che in meno di un mese sarebbe partito, Ayako aveva accettato con entusiasmo.
La sola idea di quella promessa aveva dato un tacito valore simbolico al loro rapporto: avrebbero cercato di tenerlo vivo, nonostante la lontananza.
«Ti abbronzi in fretta», gli disse un pigro venerdì sera. Seduti in camera di Ayako, la porta finestra del balcone aperta a far entrare refoli di aria profumata e i colori del tramonto. Aveva messo il braccio accanto al suo a sottolinearne la differenza.
«Sì, è sempre stato così. Di famiglia», le rispose afferrandole la mano «Mio fratello ed io facevamo a gara a chi si abbronzasse di più, in estate.»
Miyagi non parlava spesso di Sota ma, quando lo faceva, ultimamente aveva sempre aneddoti divertenti. Non le dispiaceva sentirlo così tranquillo a riguardo.
Gli strinse la mano, facendo scivolare le dita fra le sue. Le piaceva la consistenza delle sue mani. Mai avrebbe immaginato di pensare una cosa del genere, di qualcuno, di Ryota poi. Le piaceva sentirsele addosso, quelle mani, quelle poche volte che avevano tentato qualcosa di più, fermandosi sempre al limite, senza valicare mai il confine. Come a centellinare quel loro rapporto, per paura si consumasse troppo in fretta. Ma il tempo stava scadendo, Ayako se ne rendeva dolorosamente conto, ogni giorno di più.
Spostò il libro di esercizi di inglese dalle sue ginocchia, lo spinse appena contro lo schienale del letto e lo baciò.
«A che ora hai detto che rientra tua madre?» chiese lui, la voce un po’ nervosa, gli occhi lucidi.
«Non rientra stasera» gli rispose, guardandolo dritto negli occhi.
Il furin appeso alla finestra tintinnò solo un paio di volte.
E Ayako decise di prendersi tutto.

Infine arrivò luglio. Faceva già molto caldo e le lezioni giungevano al termine. Lo Shohoku era di nuovo entrato nelle fasi finali del campionato, e Ayako ebbe un piacevole déjà-vu. La differenza era che tutto era cambiato dall’anno prima. Lei era cambiata... e non era mai stata tanto vicina alla disperazione.
Avevano organizzato una piccola festa di commiato con gli amici e i compagni di squadra. Ayako non aveva mai visto Miyagi così emozionato e nemmeno gli altri, a dirla tutta.
Qualche regalo e un sacco di biglietti pieni di frasi stupide era certa lo avevano fatto sentire amato.
«Così domani ci lasci…» Sakuragi aveva messo in piedi uno dei suoi soliti teatrini, «niente in contrario se il posto vacante di capitano me lo prendo io, vero Ryo-chin?»
«Piantala Hanamichi, nemmeno hai ancora imparato ad allacciarti le scarpe!»
Ayako sapeva che le sarebbe mancato tutto quanto.

«Ti chiamerò tutte le volte che mi sarà possibile.»
Ayako annuì, il viso affondato nell’abbraccio di Miyagi. Se lo teneva così stretto come a imprimersi nella memoria ogni sua forma, ogni sensazione. A tenersele strette per poterle riportare alla memoria più avanti, quando non avrebbe più potuto farlo materialmente.
«Lavora sodo», gli disse, già sapendo che lo avrebbe fatto, con o senza il suo incoraggiamento.
«Anche tu» le rispose in un sussurro, a sancire che da quel momento in poi avrebbero dovuto prendere due strade separate e parallele.
«Mi mancherai tantissimo Aya-chan» la voce di Miyagi pericolosamente acquosa.
Per tutta risposta Ayako gli tirò un pizzicotto.

Era partito il sabato mattina successivo e lei non lo aveva accompagnato all'aeroporto. Voleva che le ultime persone che vedesse fossero sua madre e sua sorella, voleva concedere loro a e a loro soltanto quell'ultimo saluto, che sancisse un momento ben preciso nella loro travagliata storia familiare. Che riconoscessero a Ryota il ruolo che gli spettava. Che aveva portavo avanti il sogno di una vita in modo autonomo, finalmente libero dal fantasma del fratello.

Era andata al mare, steso un telo sulla spiaggia e osservato gli aerei passare per tutto il pomeriggio. Non sarebbe stato più lo stesso senza di lui. Ma sapeva anche che quel piccolo malessere alla base dello stomaco che risaliva fino in gola a stringerla in una morsa dolorosissima si sarebbe lentamente sciolto, e ogni giorno sarebbe stato un po' più facile.
Izumi l'aveva raggiunta prima che tramontasse il sole. Le aveva portato una granita e le aveva silenziosamente tenuto compagnia fino a che le ombre serali non ebbero inghiottito del tutto l'orizzonte.

 
Epilogo.
 

Ayako salutò con un cenno della mano un gruppo di compagni di corso. Aveva deciso di fare una toccata e fuga in palestra, non c’erano allenamenti ma sapeva che alcuni dei ragazzi della squadra di basket si sarebbero ritrovati ugualmente per fare il punto della situazione per le prossime competizioni. Il clima era piacevole e aveva indossato la prima gonna corta della stagione, le piaceva la sensazione del sole sulla pelle. Aveva preso la buona abitudine di correre sulla spiaggia, la mattina presto, prima dell’inizio delle lezioni. Era sua intenzione rimettersi in forma, di sgranchire le gambe e risvegliare i muscoli, in vista delle vacanze estive che sarebbero cominciate a breve. Perciò si era già leggermente abbronzata e l’idea le piaceva, nonostante la maggior parte delle sue amiche fuggissero il sole come fosse un nemico di cui diffidare sempre e comunque.
Le piaceva perché l’abbronzatura le ricordava Miyagi, la sua pelle, che d’estate diventava ambrata. Quando si sarebbero rivisti questa volta non si sarebbe fatta trovare impreparata e avrebbe potuto vantarsi con un certo orgoglio del suo colore.
Si chiese come sarebbe stato ritrovarselo di fronte, si chiese quanto fosse cambiato, in tutti quei mesi. Non era rientrato nemmeno per le vacanze invernali, perché si era fatto raggiungere dalla sua famiglia, fra le mille cose da fare oltreoceano era stata forse la decisione più saggia e sofferta. L’idea di rivederlo la rendeva un po’ nervosa. In realtà il terrore derivava dal fatto di non avere nulla da dirgli di interessante, o che le sue prospettive, la sua vita, fossero cambiate a tal punto dal renderla solo il ricordo dolceamaro di una storia d’amore lontana. 
Si sentivano spesso al telefono però. Si preoccupava sempre di ricordarle quanto gli mancasse, ma a volte non era sicura non fosse solo una frase di circostanza. La rendeva partecipe della sua vita, delle cose che faceva, delle partite, dei nuovi amici che si era fatto. Lo sentiva felice. E lei lo era per lui, sinceramente, teneramente. Ma poteva dire di conoscere davvero quella nuova versione del suo Miyagi? Poteva dire che le sarebbe piaciuto lo stesso? O avrebbe dovuto scoprire nuovi lati di lui che forse le sarebbero sembrati estranei, lontani?
E lei? Lei gli sarebbe piaciuta ancora? Era passato un solo anno, ma si sentiva già così diversa da quello precedente. Aveva preso con serietà il suo percorso di studio, anche lei si era fatta dei nuovi amici, aveva trovato tempo per nuovi hobby, un lavoro part time per pagare l’affitto di un appartamento che dava più spazio alla sua nuova vita. Magari Miyagi si aspettava di trovarla esattamente così, come l’aveva lasciata. Imperturbabile icona dell’adolescenza perduta. Forse l’avrebbe deluso. Tutto avrebbe potuto sopportare tranne quello.
La lontananza fa strani scherzi e crea nubi temporalesche dove non c’era che il sole.

Si affacciò sulla porta della palestra con il sorriso sulle labbra e si sorprese di trovare un gruppo di ragazzi che stavano facendo qualche tiro a canestro.
«Credevo che oggi non si allenassero…» disse, rivolgendosi alla manager più anziana in carico, che stava elaborando schemi su un taccuino. 
La ragazza alzò su di lei uno sguardo strano.
«Non dovevano, infatti, ma poi è arrivato quello…» e nel dirlo indicò un punto in fondo alla palestra, in prossimità del canestro, proprio al centro dell'azione in corso.
Ayako alzò gli occhi solo per rendersi conto di una cosa che non aveva registrato immediatamente. Era certa di poter riconoscere quelle spalle ovunque. Quella schiena. Il colore ambrato della sua pelle. Quel taglio di capelli, e infine il bagliore di un orecchino…
«Ryota…» le sfuggì dalle labbra in un sussurro.
Il ragazzo passò la palla con una rapidità sconcertante - ne riconobbe l’inconfondibile gesto – e lui, come se avesse semplicemente percepito la sua presenza, si volse appena in tempo per scorgerla e dimenticare la competizione, la palestra, i ragazzi.
«Aya-chan!» esclamò in una eco che rimbombò dappertutto e le procurò uno scossone non richiesto, nello stomaco, nel petto.
Cosa ci faceva lì? Non annunciato, non preventivato.
Lo vide correrle incontro con il più bel sorriso gli avesse mai visto - o forse era solo la percezione alterata della sua idealizzazione? - e senza preavviso finire fra le sue braccia. Si sentì sollevare da terra e se prima lo shock le aveva impedito di registrare davvero quello che stava accadendo, ora c’era la solidità e il calore del suo corpo a farle riprendere contatto con la realtà.
«Che cosa ci fai qui? Così presto?» esclamò, stringendolo forte; il profumo che gli riconobbe dal primo istante era lo stesso di quando lo aveva lasciato.
«Ti ho fatto una sorpresa» un sussurro fra i capelli in una mistura di trasporto e dolcezza. La mise a terra e si scostò per poterla guardare.
Ebbe tempo di scrutarlo da vicino, gli sembrò lo stesso eppure cambiato; era cresciuto, per caso? L’espressione arrossata, emozionata, ingenua e sincera: era sempre il suo Ryota, quello che si era definitivamente convinto a riprendere con il basket e a unirsi allo Shohoku anche per poterle parlare, quello che non aveva fatto altro che restarle fedele nonostante i rifiuti e il cuore spezzato, ne ebbe la certezza solo a guardarlo negli occhi.
Come aveva anche solo potuto pensare che i chilometri avrebbero eroso quello che avevano già superato?
La preoccupazione, le paranoie, fiorite e maturate in una manciata di mesi, erano improvvisamente svanite. Ryota le aveva dato l'ennesima conferma della sua tenacia, della sua perseveranza.

Solo il vociare concitato e le grida di incoraggiamento degli altri ragazzi, ebbero il potere di strapparla da quella riconciliazione, tutt’altro che calcolata.
«Finitela, voi!» li apostrofò con un filo di imbarazzo, prendendo la mano a Ryota.
«Nooo, non portarcelo via, è appena arrivato!»
La sua fama lo precedeva o, forse, senza nemmeno rendersene conto, in quei mesi Ayako aveva parlato di lui così tanto da farlo divenire una specie di celebrità.
«Mi spiace» li squadrò senza rimpianto alcuno «Ma da oggi è solo mio»
E dal modo in cui Ryota strinse la sua mano, capì che non c'era proprio niente altro da aggiungere.

Fine.


   
 
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