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Autore: Jeremymarsh    31/10/2023    2 recensioni
Il lavoro freelance ha costretto Inuyasha a lasciare sola Kagome più di quanto volesse, anche se ci hanno entrambi fatto l’abitudine. E quando arriva un’offerta di lavoro ben retribuita che potrebbe finalmente permettere loro di sposarsi e ottenere la cosa dei loro sogni non può permettersi di rifiutare, sebbene significhi andare dall’altra parte del paese per un lungo periodo.
A questo punto, anche gelosia e insicurezze giocheranno la loro parte?
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Miroku, Sango | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa alla To Be Writing Challenge indetta sul forum Ferisce la Penna e all'Inu-spiration, un evento organizzato dal fandom angloamericano su Tumblr, in pratica una collaborazione artista-autore dove a volte l'artista disegna su quanto scritto dall'autore e altre volte è l'autore a scrivere su quanto disegnato dall'artista. Potete trovare quindi la versione inglese di questa storia qui, insieme alla fanart che la ragazza con cui ero stata accoppiata ha realizzato e dalla quale ho preso ispirazione. E già che ci siete, se volete, lasciatemi un kudos 😘. 
Infine, prima di passare alla storia vera e propria, per evitare di fare altre note alla fine, vi comunico che finalmente a breve ritornerò con il prossimo capitolo di "Quel che resta delle leggende". 
Detto ciò, vi auguro buona lettura 💕.

 


 

Let me kiss your ramen-flavoured lips

 

 

 

“Starai bene senza di me?” le chiese mentre con una mano manteneva la piccola valigia e con l’altra le carezzava la guancia con riverenza, le sue dita che premevano leggermente sulla sua pelle soffice come per memorizzare quella sensazione e portarsela con sé fuori dalla porta da cui stava per uscire.

Non importava se conosceva già ogni centimetro di lei o se aveva mappato più volte il suo corpo con i baci, ogni volta era sempre la stessa cosa, ogni volta cercava di portare pezzi di lei con sé, di rendere la partenza meno dolorosa.

Lei sorrise coprendo la mano di lui con la sua – inconsciamente per tenerla lì più a lungo. “Starò bene,” ripeté per l’ennesima volta quel mattino, “come sono stata bene le altre volte e come quando me lo chiederai tra due mesi.”

Inuyasha lasciò andare la borsa e si tirò la coda di cavallo, frustrato. “Lo so, è che… non mi diverto mica a lasciarti per così tanto,” sbuffò.

“Non ho mai detto che tu lo faccia,” controbatté Kagome, “ma è necessario. Paga le bollette, no? Ed è quello che ami fare.”

“Amo più te,” ringhiò, il suo cipiglio in contrasto con le parole sdolcinate che aveva appena emesso.

“Lo so,” lo rincuorò con lo stesso sorriso calmo sulle labbra prima di alzarsi in punta di piedi e rubargli un bacio. “Eppure io non amo solo te, Inuyasha, amo l’entusiasmo che hai per il tuo lavoro. Lo so che non hai studiato così duramente per accettare ingaggi a piccoli matrimoni o compleanni, e non sarebbe giusto nei tuoi confronti se ti chiedessi ti rifiutare per stare con me. È la tua grande opportunità. Non si tratta solo dei soldi ma di ciò che significa per la tua carriera! Dai, presto tutti conosceranno il tuo nome e il cellulare non smetterà di squillare; non saprai nemmeno quale offerta di lavoro accettare per prima.”

Inuyasha spostò la mano sui suoi fianchi per avvicinarla a sé mentre le orecchie gli si rizzavano in capo nel sentire l’orgoglio che le sue parole trasudavano. “Penso tu stia esagerando ora, ma apprezzo lo sforzo. Sei sicura che non avrai problemi? È così lontano da casa – e per più tempo.”

“Nu-uh.” Kagome scosse la testa, baciandogli ancora le labbra, sorridendo. “Dico solo la verità.” Interruppe il bacio e lo spinse con dolcezza. “Quindi vai ora, ti sto ufficialmente cacciando dal mio appartamento. Non vorremmo mica che tu perdessi l’aereo, vero?”

“Ehi,” esclamò, fingendosi offeso e avendo a malapena il tempo di afferrare la valigia ai suoi piedi prima che lei lo cacciasse per davvero. “È anche il mio appartamento.”

“Non da questo momento, no,” rise lei, cominciando a chiudere la porta ma inclinando la testa così che potesse ancora vederlo.

Un altro piccolo cipiglio gli apparve sulla fronte. “Vedremo, ragazzina,” aggiunse con un ghigno così che lei non avesse l’ultima parola. “E non dimenticarti di chiamarmi per qualsiasi cosa,” le urlò proprio mentre lei gli lanciava un ultimo bacio e chiudeva la porta per davvero.

Poi scosse la testa, ridendo tra sé e sé, e si avviò verso l’uscita dove un taxi lo aspettava.

Kagome aveva ragione: era la sua grande opportunità.

Certo aveva viaggiato tanto da quando aveva cominciato a lavorare da freelancer, non soddisfatto dei piccoli ingaggi da fotografo di famiglia, ma questo era ciò che aveva sognato sin da quando aveva comprato la sua prima macchina fotografica, l’occasione che avrebbe potuto renderlo noto in tutto il mondo. Ok, forse non in tutto il mondo ma almeno abbastanza nel suo paese.

Eppure, tutto ciò, capire che con quanto avrebbe guadagnato avrebbero potuto finalmente organizzare il piccolo matrimonio che stavano rimandando da tempo e offrire la caparra per la casa che volevano comprare, non gli faceva dimenticare che sarebbe stato dalla parte del paese per più di un mese – il più a lungo da quando aveva conosciuto Kagome setti anni prima.

Quindi doveva fidarsi di lei, fidarsi del fatto che sarebbe stata bene anche da sola perché era una donna fiera e indipendente. Non sapeva, tuttavia, che ciò sarebbe stato più facile a dirsi che a farsi, che le sue insicurezze, il senso di colpa per averla lasciata sola e, non per ultimo, la sua gelosia, avrebbero giocato un ruolo importante nelle settimane che gli si paravano di fronte.

 

🍜

 

 

Era passato quasi un mese e sebbene Inuyasha stesse facendo ciò che amava in un ambiente che lo avrebbero certamente aiutato a farsi conoscere, cominciava a essere più indisponente ogni giorno che passava.

Le brevi conversazioni che aveva con la fidanzata, al telefono o quando riuscivano via Skype, non gli bastavano e spesso erano anche interrotte all’improvviso, non aiutando quindi il suo malumore che accresceva di conseguenza.

Le mancava sentire Kagome accanto a sé e temeva di dimenticare presto, quasi del tutto, cosa significasse baciarla o toccarla, non importa quante volte passasse a setaccio nella sua mente i loro momenti insieme o cercasse di ricordare il loro ultimo saluto o la sensazione della sua pelle calda sotto le sue dita. Non aiutava quindi che quando cercava di parlarle per più di cinque minuti da solo accadesse qualcosa che li costringesse a troncare la telefonata. Sembrava infatti che tutti fossero intenzionati a dar loro fastidio in qualche modo.

Ovviamente, sapeva che quella non era altro che una serie di coincidenze che non andava a loro favore o l’accumularsi dei loro rispettivi impegni, ma la parte meno razionale di lui avrebbe continuato comunque a considerarla una congiura nei loro confronti.

Sbuffando e gettando quel che restava del caffè ormai freddo, Inuyasha si alzò decidendo che tanto valeva concludere la pausa subito dato che non era riuscito a connettersi con Kagome – avrebbe recuperato quei minuti nel pomeriggio e magari sarebbe riuscito a parlarle un po’ di più – quando il telefono appena riposto nella tasca posteriore dei jeans cominciò a vibrare.

Le sue orecchie si agitarono sul capo mentre un sorriso si distese sulle sue labbra, pensando immediatamente alla fidanzata. Kagome doveva aver notato la sua chiamata persa e deciso di richiamarlo per sentire la sua voce anche solo per quei pochi minuti che restavano. Tuttavia, quando i suoi occhi lessero il nome sul display non riuscì a nascondere un moto di delusione.

“Cosa c’è, Miroku?” rispose, stizzito. Se l’amico gli avesse fatto perdere tempo non avrebbe avuto modo di prolungare la sua pausa nel pomeriggio.

“Ehi, ehi,” cercò di pacarlo Miroku dall’altro lato, “è così che si saluta un amico che non vedi da tanto?”

Inuyasha grugnì, ancora più infastidito. “Piantala e dimmi cosa vuoi. Lo sai che in questi giorni sono particolarmente impegnato.”

“In questi giorni? È così da quando sei partito.”

“Dì, Miroku, stai cercando di farmi incazzare di proposito?”

L’altro scoppiò a ridere in risposta. “No, per carità. Ok, senti, ho sentito il telefono di Kagome squillare più di una volta e ho pensato di chiamarti per tranquillizzarti.”

Il mezzo demone si bloccò di colpo, digrignando i denti. “E come avresti fatto?”

“Sono da te al momento. Sango e Kagome hanno bevuto un po’ troppo ieri sera e sono rimasto con loro per-”

“Che significa hanno bevuto troppo?” abbaiò Inuyasha senza lasciarlo concludere, cominciando a camminare avanti e indietro. “Che è successo?”

Kagome non era mai stata avvezza a certe cose e anche quando ci si ritrovava in molti amici al bar aveva sempre preferito cocktail analcolici e fruttati che provocavano non poche risatine. Sentire quindi che la sua fidanzata aveva alzato un po’ troppo il gomito ebbe il risultato opposto a quello sperato da Miroku.

Inuyasha non osava immaginare l’effetto che i troppi alcolici potessero avere su una ragazza umana che non era per nulla abituata a bere.

“Ma no, niente, insomma,” cercò di rimediare Miroku, che stava cominciando a capire di aver sbagliato del tutto in quella telefonata.

“Piantala, Miroku,” sibilò l’hanyou in un tono che lasciava intendere che se non avesse sputato subito il rospo sarebbe stato capace di raggiungerlo attraverso il telefono e costringerlo a suo modo a farlo.

“Le solite cose da ragazze; lo sai come sono fatte, no? Anche Kagome sente la tua mancanza e-”

Inuyasha deglutì, ancora meno confortato. Kagome era arrivata a tanto a causa della sua assenza?

Cominciò a sentire un brivido freddo percorrergli la schiena e il rimorso che aveva tentato inutilmente di cacciare via stringergli il cuore in una morsa stretta – ancora più stretta del solito. Non importava sapere che essere via faceva solo parte del suo lavoro, che stava contribuendo alla famiglia che lui e Kagome avevano intenzione di costruire allo stesso modo in cui lo stava facendo lei al sicuro nel loro appartamento.

“Diamine, Miroku,” sbottò allora, sull’orlo del panico. “Perché non mi hai detto prima che eravamo arrivati a questo punto? E tutte le volte in cui ti ho chiesto come se la cavasse e mi hai risposto che fosse tutto ok allora mentivi? Che razza di amico sei?” Poi cominciò a raccogliere la sua attrezzatura in giro per la stanza e a controllare i prezzi dei prossimi voli diretti per Tokyo sul proprio laptop.

Avrebbe addotto come scusa un’emergenza improvvisa e sarebbe tornato a casa anche solo per un giorno.

“No!” urlò di rimando Miroku che aveva sentito bene il suono delle sue dita scivolare velocemente sulla tastiera. “Non saltare alle conclusioni sbagliate, amico. Finisci il tuo lavoro e tra due settimane sarai a casa. Tu e Kagome avrete tutto il tempo di riconnettere e fare quelle cose che fate ogni volta che vi rivedete.”

“Mi hai appena detto che la mia ragazza si è ubriacata solo per dimenticare quanto sente la mia mancanza – la mia normalmente troppo sobria ragazza, aggiungerei – e ti aspetti che io resti qui senza far nulla? È tutta colpa mia. Non avrei mai dovuto accettare questo lavoro.”

A quel punto, era Miroku quello ormai nel panico. “Cosa dici, Inuyasha? Hai dimenticato che razza di possibilità ti è capitata tra le mani? Vuoi davvero gettare tutto al vento solo perché Kagome ha bevuto qualche bicchiere di più e qualche ex ha cercato di approfittarne?”

Inuyasha si immobilizzò sentendo l’ultima parte nel momento stesso in cui Miroku si rese conto di quel che aveva detto – di nuovo, qualcosa di troppo.

“Che cosa?” ruggì Inuyasha, più teso che mai.

“No, senti, dimentica tutto quello che ho detto e-”

“Ci vediamo, Miroku, prima di quel che speri,” lo saluto il mezzo demone, troncando la chiamata e prenotando il primo volo disponibile.

Avrebbe rivisto la sua Kagome prima di quanto immaginato, eppure, quel pensiero non lo faceva sentire tanto bene quanto avrebbe desiderato in circostanze normali.

Nel frattempo, a Tokyo, il tono alterato di Miroku aveva svegliato le due ragazze reduci da una sbornia.

“Che diamine urli, Miroku?” lo castigò Sango, una mano contro la fronte e gli occhi ridotti a fessure. “Ti pare il caso?”

Dietro di lei, Kagome la seguiva come uno zombie mentre provava per la prima volta sensazioni tutt’altro che stellari.

Miroku la guardò apprensivo, consapevole di averle rovinato la giornata prima ancora che iniziasse. “Potrei avrei commesso un piccolo guaio,” rivelò loro con un sorriso tirato.


 

🍜

 

 

“Cosa diamine ti è saltato per la testa?” gli stava urlando contro Sango, qualche ora dopo, quando lei e Kagome avevano avuto modo di riprendersi almeno un minimo.

In particolar modo, quest’ultima aveva tentato più volte di contattare il fidanzato, ma ogni volta a risponderle era la segreteria telefonica.

“Stavo cercando di aiutare. Sapevo quanto nervoso fosse e non volevo farlo preoccupare maggiormente,” si difese l’uomo.

“Bel modo di farlo,” sbuffò ancora Sango, gettando le mani in aria. “Ora vedi di risolvere questo casino così come lo hai creato. Anzi-”

“Credo sia meglio che la cosa resti tra me e Inuyasha,” si intromise Kagome con voce neutra. “Vi ringrazio per la compagnia, ma preferirei rimanere da sola ora.”

Sango lanciò un’ultima occhiataccia al proprio ragazzo come a dire ‘vedi? Fai solo guai’, prima di abbracciare forte l’amica e poi trascinarlo fuori dall’appartamento.

Kagome sospirò, passandosi una mano tra i capelli, continuando a fissare il display del cellulare.

Non seppe dire se fosse stato quello o una semplice coincidenza, ma qualche secondo dopo si illuminò con il nome di Inuyasha e il simbolo della chiamata in arrivo. La ragazza si morse il labbro un paio di volte prima di rispondere.

“Inuyasha,” bisbigliò, apprensiva.

“Ehi,” le arrivò in risposta insieme a qualche urla, all’inconfondibile suono del traffico e qualcos’altro che Kagome non seppe decifrare sul momento. “Come stai?” le chiese un po’ burbero. “Mi spiace non esserti stato accanto durante la prima sbornia.”

“Ti direi di essere disposta a rifarlo non appena sarai di ritorno, ma non credo di voler riprovare l’esperienza tanto presto,” ridacchiò lei, nervosa, ignorando l’accusa sottintesa del fidanzato che sembrava proprio dire: “Ma non è colpa mia se hai deciso di ubriacarti proprio in mia assenza”.

“Mal di testa?” le chiese ancora mentre trafficava con qualcosa.

“Quando mi sono svegliata sì, ora non tanto. Ma… dove ti trovi? Sento più rumori del solito in sottofondo,” indagò.

“Ho dovuto fare un po’ di giri per lavoro oggi e-”

“Senti, Inuyasha,” lo interruppe, non riuscendo più a ignorare il vero motivo per cui si erano chiamati, “lo so che Miroku ti ha messo al corrente di quel che è successo ieri.”

“Puoi scommetterci che me l’ha detto. Mi ha detto che hai sentito il bisogno di ubriacarti nonostante mi avessi ripetuto solo qualche ora prima quanto stessi bene e che qualcun altro ha deciso di consolarti al posto mio!” abbaiò lasciando andare ciò che aveva tra le mani.

“Santo cielo, Inuyasha, non puoi avercela con me per una bevuta o per ciò che qualcun altro ha fatto. Credi che sia stato semplice per me sentirti dire ogni volta quando ti dispiacesse essere lontano e fare quello che hai sempre sognato di fare? Parliamo di settimane, non mesi o anni, non di una posizione stabile dall’altra parte del paese!”

“Quindi ora saresti arrabbiata con me perché ho espresso più volte quanto mi pesi stare lontano da te?” ribatté lui.

“No, no! È vero, sentirti ripetere quanto non avresti voluto essere lì – pur sapendo che stavi amando il lavoro – mi ha infastidito; Sango mi ha proposto di andare al bar e ho alzato il gomito, ma questo non vuol dire che sono arrabbiata. Ti conosco, so che nonostante le tue contraddizioni questi ultimi giorni sarebbero passati e tutto sarebbe tornato alla normalità.”

“Le mie contraddizioni? Cosa vorrebbe dire? E perché non parliamo delle tue? Dici che stai bene, ma poi vai ad ubriacarti per sopportare la cosa e infine mi accusi di esprimere troppe volte i miei sentimenti. Dovrei essere contento di sentirti dire quanto ti scoccia questa cosa?”

“Oh,” Kagome chiuse gli occhi e inspirò cercando nuova pazienza. “Stai travisando e lo sai. Non ho mai detto che-”

“Sì, lo hai appena fatto quando mi hai rivelato che sentirmi dire ogni giorno quanto mi mancavi ti infastidiva. Evidentemente lo stesso non si può dire di te, evidentemente stavi davvero così bene da non sentire la mia assenza e dare corda a Koga!”

Lei tirò il fiato. “Inuyasha,” sibilò, “sai che non è andata così. La tua immaginazione sta correndo troppo e finirai per dire altre cose di cui potresti pentirti.”

“Beh, non posso saperlo visto che non ero lì, no? Però posso chiamare Koga e chiederglielo. Anzi, perché non lo fai tu? Sono certo che ne sarebbe più entusiasta,” insistette, il tono di voce sempre più alto, ignaro di coloro che si erano fermati a guardarlo con disapprovazione.

“Non mi interessa parlare con Koga e sai bene anche questo. Mi interessa che tu smetta di dire cazzate e veda le cose così come stanno. Non è successo nulla, nulla. Non posso andare a bere con la mia amica per dimenticare una giornata stancante o il fatto che a casa non ti troverò o il sapere che tu stai anche peggio di me? Dovevo chiederti il permesso per caso?”

“Il problema è questo, Kagome,” ricominciò chiudendo per un attimo gli occhi, “dici che non è successo nulla, ma è tutto il contrario. Quel lupastro non dovrebbe andare dietro alle ragazze degli altri, dietro la mia ragazza, né considererei nulla il fatto che tu mi abbia mentito dicendomi che stavi bene!”

Kagome sentì gli occhi inumidirsi, ma non seppe dire se fosse dovuto alla tristezza, al nervoso o alla rabbia, forse un misto. “Inuyasha, per favore, stai ingigantendo una situazione da nulla. Non credi di star lasciando parlare un po’ troppo la tua gelosia al momento?”

“Non sono geloso,” sputò quasi con rabbia, “e…”

Si interruppe all’improvviso e Kagome sentì una voce parlare da un microfono senza riuscire a capire però le parole.

Inuyasha si guardò intorno e capì che era arrivato il momento di andare, e forse era meglio così, forse era meglio concludere questa conversazione che non li stava portando da nessuna parte.

“Devo andare, ci sentiamo più tardi. Ti richiamo io.”

“No, Inuyasha, aspetta. Non puoi lasciarmi così-” ma il fidanzato attaccò prima che Kagome potesse concludere la frase e lei ebbe quasi l’istinto di lanciare il cellulare contro il muro.

“Stupido, testardo di un mezzo demone. Stupido, stupido, stupido,” urlò prima di accasciarsi sul divano, stanca più che mai.

 

🍜

 

“Come la risolvo questa volta, Sango?” la implorò Kagome, qualche ora dopo, davanti a una tazza di tè.

L’amica sospirò. “Non è la prima volta che vi trovate in situazioni simili, la vostra comune testardaggine vi assicura sempre dei giorni molto movimentati.”

“Ma che dici? Io ti chiedo un consiglio e mi rispondi così?” sbuffò spazientita l’altra.

“Dico la verità,” rise Sango, scrollando le spalle e allungandosi per darle una carezza sulla mano. “Vedrai che si risolverà non appena vi risentirete. Inuyasha non è in grado di metterti il broncio per molto; ti ama troppo. Al massimo, l’unica cosa di cui devi preoccuparti è che vada a dare una lezione a Koga non appena torna. Per quanto riguarda Miroku, invece, me ne sono già occupata io.”

Kagome sbuffò di nuovo. “Quel deficiente di un Koga. Non capisco come abbia fatto mai a uscirci.”

“Tutti commettiamo degli errori da giovani, no? E poi direi che con Inuyasha hai più che rimediato,” ammiccò, “nonostante si preoccupi troppo a volte.”

A quel punto Kagome sorrise, gli occhi che si illuminavano nel pensare al fidanzato. “Hai ragione, Sango, non so che farei senza Inuyasha e i suoi difetti.”

Consolata, Kagome trascorse il resto di quel pomeriggio libero senza pensieri, insieme all’amica, e sulla via del ritorno pensò a quello che avrebbe potuto dire a Inuyasha non appena l’avrebbe richiamata – sperava di non dover aspettare troppo.

Tuttavia, di fronte alla porta dell’appartamento, quei pensieri sparirono sostituiti dalla paura.

Era sicura di aver chiuso a chiave quando era uscita e ne era così certa perché di solito controllava almeno tre volte – le capitava anche di tornare indietro a ricontrollare una quarta – eppure, nell’inserire le chiavi nella toppa trovò la porta aperta.

Deglutì, spaventata, e sfilò velocemente le chiavi così da poterle usare come arma, anche se sapeva che nel peggiore dei casi non potevano essere poi tanto di aiuto. Quindi entrò, più che cauta che mai, per poi tirare un enorme di sollievo quando dall’entrata riconobbe subito le spalle della persona seduta tranquillamente su uno sgabello in cucina.

“Inuyasha!” esclamò portando una mano al cuore che batteva furiosamente. “Mi hai quasi fatto venire un infarto!”

“Uh?” fu la risposta del mezzo demone che si voltò verso di lei con un noodle che gli cadeva dalle labbra semi-aperte e gli macchiava il mento di sugo. “Finalmente, Kagome, cominciavo a chiedermi quanto tempo ci avresti messo.”

“Ehi,” disse a sua volta, mani suoi fianchi, “non sono io quella che non ha informato l’altro del suo ritorno anticipato. Torno e trovo la porta aperta; hai idea di quanto fossi spaventata?”

Inuyasha si asciugò la bocca con la manica della camicia e le si avvicinò, un cipiglio sulla fronte. “E sei comunque entrata? Poteva essere chiunque. È stato del tutto irresponsabile da parte tua!”

Lo guardò a bocca aperta. “C-cosa?” boccheggiò. “Avevo le mie chiavi,” urlò di rimando, alzandole fiera. “E non provare a darmi la colpa, mister. Se me lo avessi detto avrei saputo di non dovermi preoccupare.”

“Vuoi davvero litigare ancora? Ho volato fino a qui, anche se tecnicamente non avrei dovuto, per fare pace ed è così che mi accogli?”

Sentì le guance andare a fuoco ma non seppe dire se fosse per l’imbarazzo o per la rabbia. “Ero felice, insomma, sono felice, ma poi cominci ad accusarmi di essere irresponsabile e io-”

“Oh, per favore,” buffò all’improvviso Inuyasha, aggiustando la loro distanza e baciandola senza dargli il tempo di comprendere prima che sentisse quel tocco che le era mancato tanto in quelle settimane e specialmente quel giorno.

Inuyasha la strinse ancora più a sé e si perse in quell’abbraccio, cancellando dalla mente ogni sentimento negativo che lo aveva afflitto nelle ultime ore.

Quando si separarono Kagome fu la prima a parlare, ma non fu nessuna di quelle cose sdolcinate che gli riservava di solito quando tornava da un viaggio.

“Sai di ramen,” rise.

“Cosa?” Sbatté le palpebre. Di certo non era quella la prima cosa che le veniva in mente dopo il bacio che le aveva dato. Si era sempre vantato di essere un ottimo baciatore e Kagome non si era mai lamentata. Infatti, di solito la lasciava senza fiato. E ora?

La sua risata lo riportò indietro.

“Oh, dai, non mi dire che ti ho offeso,” gli disse senza smettere.

“Pff, e anche se sapessi di ramen? Se lo chiedi, per me è un plus,” ribatté, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo come un bambino.

Kagome alzò gli occhi al cielo prima di afferrare suddette braccia e riportarsele in vita. Poi gli circondò il collo con le proprie. “E ora che lo abbiamo accertato, che ne dici di baciarmi ancora così da dimenticare tutto il resto?”

Inuyasha ghignò, fiero della luce nei suoi occhi e di quel sorriso che le aveva messo sulle labbra. “Dico diamine sì!”

 

 

 
   
 
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