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Autore: Merry brandybuck    01/11/2023    0 recensioni
William Blakewell di lavoro fa il poliziotto e un giorno gli viene affidato un compito particolare: dovrà trovare informazioni e stanare una società che come uno morbo si è infiltrata in ogni angolo della città e lavora proteggendo i ladri dal braccio della giustizia, fingendosi lui stesso un fuorilegge. Durante il suo lavoro conoscerà molta gente interessante a tal punto che comincerà a farsi domande su chi sia veramente nel giusto e chi no...
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The thief and the mole

 

Preambolo

 

Il vento soffiava impetuoso, facendo cozzare le imposte fra loro, e la pioggia scrosciava fuori dalla finestra. William si avvicinò al vetro e scrutò la strada avvolta nell’oscurità: l’acciottolato era sgombro, tutte le carrozze erano tornate al deposito per via della scarsità di clienti quella notte e le candele nei lampioni si erano spente, rendendo inutili gli sforzi dei lampionai. “ La notte perfetta per compiere un misfatto” si disse, pensieroso. Stava per cadere di nuovo vittima delle sue elucubrazioni, quando qualcuno batté nervosamente dei colpi contro la porta della stanza; il ragazzo scosse la testa per riacquisire lucidità e, sistemandosi la camicia da notte, afferrò saldamente la maniglia: il volto giallognolo e infastidito, i capelli unticci biondo paglia e il forte puzzo di cipolla bruciata gli diedero una ben vivida immagine di Ethel Perkins, la sua affittacamere. “ Alla buonora, Blakewell” ingiunse con quella sua vocetta odiosa “Domattina esci ad un orario umano, di grazia” con calma, il giovane tirò un profondo sospiro “Ne abbiamo già discusso molte volte, signora Perkins: il turno alla centrale mi viene assegnato dai miei superiori ogni sei mesi e deve essere mantenuto fino all’assegnazione successiva; vede, ora siamo solo ad ottobre…” “So esattamente che data è oggi, maledetto giovinastro ! Ti chiedo di non uscire di qui prima delle otto domani, siamo intesi?” Ora aveva corrugato la fronte, assumendo un’aria accusatoria, e gli premeva sullo sterno con l’indice grassoccio; il bruno tese tutti i muscoli che aveva in corpo e si concentrò sulla punta dei propri baffi nel tentativo di mantenere un tono cortese: “Così arriverei molto in ritardo, cosa che vorrei evitare dato che il mio attuale impiego mi serve per pagarle l’affitto di questa modesta camera”. Sentendo parlare di soldi, la donna si tirò leggermente indietro e mise su un’espressione fintamente contrita, che non mascherava affatto il piacere che provava nel sentirgli ammettere che dipendeva da lei per il domicilio: “Lo so bene, lo so bene, ma non è accettabile che tu ogni mattina svegli il mio Aaron, povera anima in pena, con tutto il trambusto che fai” e detto ciò, fece per allontanarsi.

William Blakewell in vita sua non si era certo potuto definire un cuor di leone, ma quella sera fece una cosa che non si sarebbe mai aspettato da sé stesso; in mente aveva fissa l’immagine di Aaron Perkins, un uomo invecchiato male, lardoso, con la barba malfatta e i capelli crespi, che emanava un putrido olezzo a causa della sua pessima igiene e passava le sue intere giornate di nullafacente semisdraiato su un divanetto ad ascoltare dischi al grammofono e a scommettere sulle corse dei cavalli. Il ragazzo provava solo un leggero ribrezzo all’idea di quell’individuo, ma l’ipocrisia e la malevolenza dimostrate dalla signora che si dichiarava sua moglie glielo rendevano odioso: con voce più alta di quanto volesse, gli scappò un commento: “Se uscisse a cercare un lavoro al posto di stare tutto il sacrosanto giorno a ingurgitare cibo, non mi sentirebbe neanche”. L’ affittacamere si fermò a metà dello scalino e voltò lentamente il capo; il viso traspariva un certo livore: “Come, prego ?” iniziò a dirigersi nuovamente verso la porta della stanza. Il giovane riprese fiato un attimo e, tirando il petto in fuori,disse: “Mi ha sentito benissimo e vorrei aggiungere un’altra cosa: l’ingordigia di suo marito è paragonabile solo a quella del gigante Gargantua !” Il volto della donna virò verso il verdino; lo allontanò dallo stipite con un’energica spinta: “Questa è l’ultima goccia, Blakewell ! Ho sopportato il tuo trambusto per tre anni quasi e tu mi ripaghi insultandomi; questo è il tuo preavviso: hai una settimana per fare le valigie e lasciare questa casa !” strepitò e chiuse la porta con una forza tale da far vibrare tutto lo stabile.

Il poliziotto si batté la mano in fronte e tornò verso il letto; poggiò il piattino della candela sul comodino scassato e si sedette sopra le coperte. Guardò il suo cappello nero infeltrito che aveva poggiato sulla sedia: tutti i poveri diavoli si ritrovano senza una casa solo per essersi fatti beffe del marito della padrona della suddetta ? Forse gli altri diavoli erano un po’ più svegli di lui. Non gli restava che il lavoro; si avviluppò alla bell'e meglio nelle lenzuola e fece appena in tempo ad udire le campane della chiesa in fondo alla strada prima di addormentarsi.

 

Nel frattempo, dall’altra parte della città una figura ammantata ascoltava i rintocchi delle campane riparandosi dalla pioggia sotto un porticato; il cimitero a quell’ora era deserto, solo la punta di un bastone da passeggio ticchettava contro il marmo a segnare la presenza degli strani visitatori che si aggiravano tranquillamente tra le statue e i mausolei. La proprietaria del bastone era una claudicante signora sulla trentina, vestita con un abito antracite di cotone liso e lungo pastrano di panno color tabacco; sotto il cappuccio si intravedeva una lunga treccia di capelli rossi e il pallido viso colorato solo da lentiggini e cicatrici: queste ultime ben accompagnavano l'espressione mite e pensierosa della dama mentre scorreva gli occhi verdi sulle lapidi. A pochi passi da lei camminava la seconda persona avvolta in un tabarro plumbeo da cui sbucavano solo le mani bianche e affusolate, caratterizzate solo da un anello di metallo sui medi; i capelli corvini avevano perso le loro onde definite a seguito dell’umidità e ora ricadevano morbidi sulle spalle, le labbra screpolate dal vento erano contratte in una smorfia sofferente, gli occhi sottili e taglienti guizzavano irrequieti da una piastrella della pavimentazione all’altra, perdendosi tra le fughe e i sassolini che i piedi dei vivi avevano trasportato dal ghiaietto fin lì. Soffiando, la brezza del nord passava nelle fessure e fischiava, creando una semplice melodia, quasi che i morti si stessero prendendo gioco del loro silenzio.

Lasciarono che il vento portasse alle loro spalle l’odore di terra smossa di fresco dei nuovi loculi che si trovavano vicino all’ingresso e si diressero lentamente verso l’ala vecchia del cimitero, l’imponente ala est. La loro destinazione era proprio dirimpetto alle grosse cancellate ornate che separavano le due zone della struttura, per cui non ci volle molto per raggiungerla: si fermarono sugli scalini del porticato davanti ad una stradina di ghiaia e rimasero fermi ad osservare la distesa di tombe mal illuminate da qualche raggio di luna che riusciva a trapassare le nubi. La donna poggiò il piede della gamba zoppa sul selciato e si rese conto con rammarico che non le sarebbe stato possibile proseguire: il pantano che la pioggia stava creando non consentiva di posizionare il bastone e i piedi in modo tale da non scivolare camminando con la sua andatura. L’essere ammantato le venne accanto e con un gesto molto garbato le offrì il braccio destro; lei lo afferrò saldamente e si incamminarono sotto l’acqua scrosciante.

Si fermarono davanti all’ultima tomba della fila: un loculo scabro con una croce di legno poggiata sopra, la torba ormai indurita. La signora piantò lo sguardo sul suolo e rimase immobile, reggendosi ai suoi sostegni; passarono pochi istanti prima che crollasse in ginocchio, tremante per il gelo ed il dolore. L’accompagnatore rimase fermo impalato, mentre lei singhiozzava; attese pazientemente prima di posarle delicatamente una mano sulla spalla: “Andiamo, a bhean uasal: inizia a farsi troppo buio, torniamo a casa”. Lei rispose con un singulto strozzato e con fatica si tirò in piedi; lemme lemme si avviò tenendosi al bastone, rifiutando cortesemente il braccetto offertole dall’accompagnatore: “Non occorre, stór: per anni ho camminato senza appendermi a nessuno, non vedo per quale motivo io debba iniziare ora”. Usciti dal cancello principale, l’allampanato giovanotto si riavvicinò alla dama e la prese per le spalle, guidandola con calma per le strade vuote.

 
   
 
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