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Autore: _Tiina05    05/11/2023    0 recensioni
[ Introspettivo | Missing moments | Angst | Horror (?) | Triste | Sentimentale - het (Miranda x Marie) ]
 “Una patetica carrellata di fallimenti e rimpianti. […]
 Miranda non trova le parole per ribattere. È completamente persa in quelle immagini che si ripetono e si alternano all’infinito. Sfortuna, danni, lacrime, solitudine, sbagli, malcontento. Delusione.
 Il pianto esplode in tutto il suo peso, incurvandola su se stessa, facendola cadere in ginocchio.
 - Io... Io sono davvero questo. -“
[ Un viaggio negli incubi di Miranda, fra ricordi, overthinking, illusioni. E la speranza di sentirsi abbastanza. ]
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Miranda Lotto, Noise Marie, Road Kamelot
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: I personaggi presenti in questa storia non mi appartengono, ma sono di proprietà di Katsura Hoshino &CO; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per divertimento o autolesionismo, dipende dal caso.


 

Miranda's nightmares




 Questa giornata non può che essere delle migliori.
 Il tenue calore mattutino è a tratti interrotto da brevi sbuffi di vento freddo, delicato promemoria che l’autunno è ormai alle porte, ma il cielo di un blu lucente, chiazzato da piccole e candide nubi, invoglia la gente a scendere in strada. Non ce ne saranno ancora molte di mattine così, fra poche settimane gli abitanti di questa mite cittadina tedesca rincontreranno prima le piogge e poi la neve dei mesi più freddi. È decisamente il caso di approfittarne.
 E così fa Miranda. Raccolti i capelli scuri e indossata la mantella, esce dal suo modesto appartamento al terzo piano di un comune palazzo, diretta in centro per comprare del pane appena sfornato, come da consuetudine. Fin dal risveglio, ogni suo gesto è stato accompagnato dal canticchiare a bassa voce un motivetto, una melodia simpatica di cui non ricorda l’origine, e ora prosegue serena lungo il marciapiede, seguendo il corso di una manciata di sorridenti pedoni, con quella canzonetta nella mente. Le case a più piani, che limitano la via percorsa da sporadiche carrozze, sono rischiarate dai raggi del pallido sole e, attraverso le imposte aperte, le finestre fungono da specchi, con la luce che vi si riflette e ravviva anche i marciapiedi in penombra. Le vetrine dei negozi sono calde e colorate, le insegne tirate a lucido, e le locande dai grandi portoni spalancati lasciano scappare gli allegri chiacchiericci degli avventori al loro interno.
 Nel parco accanto alla piazza i bambini scherzano, si rincorrono, alcuni si lanciano una palla, un gruppetto saltella nel girotondo, mentre delle bambine raccolgono foglie e steli d’erba per intrecciarli in bracciali e collanine, si bisbigliano segreti fra loro riunite sotto le siepi sempreverdi, e fanno loro da corona una decina di giovani alberi il cui fogliame si sta vestendo delle tinte del giallo e dell’arancione.
 Alcuni di quei fanciulli giocano a saltare la corda seguendo il tempo di una filastrocca orecchiabile e allegra. È quasi simile alla sua, pensa Miranda, fermandosi a guardarli. La canzoncina narra di una giovane donna sfortunata, senza spasimante perché ritenuta brutta e iettatrice, che proprio a causa di questa sua sventura non riesce a trovare lavoro, poiché fallisce in ogni mestiere...
 Improvvisamente, Miranda ricorda. Non capisce di preciso cosa, sono frammenti di memoria confusi, o forse sogni sparsi fatti nel corso di più notti tormentate. Quelle immagini apparse nella mente non possono appartenere a lei, alla sua realtà tanto monotona, tanto normale.
 Si pietrifica sul margine del ciottolato, chiudendo gli occhi, pensierosa. Scuote leggermente la testa, dicendosi che si sta sbagliando, che conosce anche lei questa filastrocca perché gliel’avevano insegnata a scuola, quando aveva la stessa età di quei bimbi.
 Ma quando solleva le palpebre non rivede la strada, il parco, i palazzi. È subito silenzio.
 Niente risate, passi, vento. Si trova rinchiusa in una stanza quadrata dalle pareti scure, senza finestre né porte. Una figura minuta è seduta al centro di un grande tappeto, illuminato da una luce a cono dall’origine ignota. La piccola protagonista singhiozza e grosse lacrime scendono sul suo visino di porcellana, andando a bagnare le mani e l’orsacchiotto di peluche che stringe.
 Miranda ha un sussulto.
 - N-on...non è giusto... - balbetta la bimba, fra un gemito e l’altro. Le sue manine tremanti rammendano uno strappo sulla zampa dell’orsetto, ma con gli occhi umidi di lacrime e la vista appannata fatica ad eseguire un ricucio perfetto. Tira su col naso e, proprio mentre sta per far uscire nuovamente l’ago dalla stoffa, un singulto più forte degli altri la coglie impreparata. Si punge un dito e una goccia di sangue cade a macchiare il petto candido dell’orsacchiotto.
 - ...perché? - mormora piano, scoppiando a piangere più forte di prima.
 Tutt’attorno tanti altri peluche – un coniglio, un leoncino, un cane, un panda, un gatto – aspettano nella penombra, sul limitare del tappeto, di essere abbracciati. Eppure sono così distanti, come se in qualche modo provino timore di lei.

 - Miranda! Miranda! Iettatrice Miranda! - gridano in coro delle voci alle spalle della donna.
 Sentendosi chiamare, questa si volta. Il nuovo cambio di scena la sconvolge, non ha logica. Vede dei ragazzini all’angolo di una strada ridere della piccola, la quale è caduta in una pozza d’acqua, arruffandosi i capelli scuri e bagnandosi il grazioso vestitino marrone che ha indosso. Il peluche che teneva in una mano è ora impigliato nello spigolo sporgente di una cassa di legno accanto a lei.
 - Ma guardatela! Si porta ancora dietro il suo orsacchiotto! - la deride una bambina.
 - Per cortesia, smettetela... - implora Miranda avvicinandosi al gruppetto, ma nessuno le presta ascolto. Quei fanciulli non la sentono né la vedono, e nemmeno possono toccarsi: si rende conto di avere la consistenza eterea di un fantasma quando si accuccia a sfiorare la spalla della bimba omonima, volendo aiutarla a rialzarsi. È spaventata, non capisce.
 Un ragazzetto si avvicina tosto alla piccola, ancora tremante. Ha capelli rossicci e i suoi occhi verdi sono così profondi da mettere in soggezione con quello sguardo, decisamente superbo e affilato per la sua età. Ruba il peluche ed estende il braccio, per tenerlo in alto. La bimba allora scatta in piedi e prova a saltellare per riprendere l’amato giocattolo. Uno, due, tre, quattro salti, ma niente, il ragazzino imbroglia agitando il braccio e ballonzola per evitare le mani di lei.
 - ...ri-ridammelo - supplica, il volto arrossato e gli occhi rossi di pianto.
 - Cosa fai Lavi?! - strilla una bimbetta al ragazzino rosso. - Allontanati o ti attaccherà la iella! -
 Questa, dalla prima fila del gruppo di bambini, posa i grandi occhi viola a mandorla su quella bimba e le due codine di capelli color pece ondeggiano quando fa un gesto stizzito con le mani.
 Il bulletto si ferma, sembra darle ascolto.
 - Hai ragione, Lena - le risponde, ripensandoci. - Meglio andare via. -
 Getta a terra l’orsacchiotto della piccola Miranda e fa per muovere alcuni passi indietro, riavvicinandosi ai compagni. Ma, sotto lo stupore di tutti i presenti, inaspettatamente inciampa con il tallone su una pietra irregolare del ciottolato, finendo anche lui in una pozzanghera.
 I ragazzini irrompono all’unisono in grida di terrore.
 - Ti ha attaccato la iella! - sbraitano alcuni, additandolo, mentre altri già se la danno a gambe levate.
 Il tipetto dai capelli rossi si unisce terrificato al coro, gli occhi resi grandi dallo sgomento, e scappa incespicando dietro agli altri.
 L’eco delle loro voci si spegne presto per le vie del paese, lascando sole l’invisibile Miranda e la piccola omonima. A testa china, la bimba scivola di nuovo a terra, stanca. Non le importa più di bagnarsi ancora; il suo vestito è ormai sporco e il suo viso è rigato da lacrime di tristezza. Si allunga a raccogliere il suo amato orsacchiotto ferito e lo stringe fra le braccia.
 - ...non è giusto - sussurra tremolante Miranda, ripetendo le parole pronunciate in precedenza dalla bimba. Avvicinandosi di nuovo per aiutarla e consolarla, prova a stendere le mani verso di lei, in un vano tentativo di accarezzarle le spalle, ma si accorge di quanto sia contorto lo spazio che la circonda e che, per quanto ci provi, la distanza non diminuisce.

 - N-non è giusto - ripete un’altra voce accanto alla donna, così carica di angoscia da far rabbrividire.
 Miranda si volta in quella direzione e vede che il lamento appartiene ad una giovane inserviente in grembiule, con il volto livido e scavato dalla stanchezza, gli occhi cerchiati di scuro dall’espressione abbattuta fissati sulle punte dei propri stivali macchiati. Frantumi di quello che dovrebbe essere stato un pregiato servizio da tè le stanno davanti. Sono stati malamente raggruppati in un mucchietto accanto ad uno straccio impregnato della bevanda che si era allargata sulle abbaglianti piastrelle di marmo.
 - È-è stato un incidente... n-nobile Conte, n-non potete licenziarmi davvero... - farfuglia a testa china, in leggera protesta, rivolgendosi ad un uomo distinto che troneggia su lei.
 Questi, chiaramente un nobile abituato a non sentir ragioni, gonfia il petto e fa un gesto di sdegno alzando il mento spigoloso.
 - Oh insomma, Miss Miranda! È già la seconda volta, questa settimana: ieri il lampadario in vetro lavorato di Murano e quattro giorni fa l’abito di seta indiana di mia moglie - ribatte gesticolando con fervore. Poi aggiunge: - Per non parlare delle rare orchidee del mio defunto nonno! Ah se le vedesse! Sia pace alla sua povera anima, ma ne morirebbe di crepacuore. -
 Miranda ha un sussulto sentendo il proprio nome. Io? Ma perché io...?
 La povera cameriera prova a piagnucolare ancora, e Miranda si sente così affine e in pena per lei, ma è evidente che ormai il Conte abbia perso la pazienza. La squadra dall’alto della sua statura con gli occhi stretti in due minacciose fessure dorate, puntandole un dito contro. La sua voce profonda riverbera nuovamente per l’ampio e lussuoso salone lucente.
 - Insomma, Signorina! Vi ripeto che una volta può anche essere ritenuto incidente, la seconda sfortuna, ma una terza proprio... -
 - Aleister! Aleister caro! - lo interrompe chiamandolo colei che ha tutta l’aria di essere la moglie.
 Il nobile svapora e tace, voltandosi docilmente in contemporanea della giovane, e dell’impercettibile Miranda. La consorte si è impadronita immediatamente della scena, una figura sensuale e altezzosa che si sporge con superbia dalla balaustra di ottone lucente del soppalco del piano superiore.
 Il conte si lascia sfuggire un sospiro di leggerezza nel vederla.
 - Per cortesia, vieni subito! Guarda cos’ha combinato quella! - pronuncia la donna con fare teatrale, il volto una maschera sofferente.
 - Certo, mia cara Eliade - gli risponde lui. Con una sola, gelida occhiata, intima alla cameriera di seguirlo e questa non osa opporsi.
 Miranda, incerta per un attimo, li segue con passo timoroso su per le scale, talmente concentrata sulla scena da non trovare motivo di andarsene.
 Mette da parte le domande, il perché quella ragazza porti il suo nome o perché si senta così affine a lei, come la bambina vista in precedenza; si lascia guidare dal momento, per istinto, come fosse lei stessa la protagonista di quelle sciagure.
Si riuniscono al piano superiore, nell’ampia stanza adibita a guardaroba esclusivo della nobildonna.
 Lo spazio è saturo di armadi, cassettiere e mobiletti da toilette dalle pregiate curve rococò, straripanti di vesti e gioielli lucenti al limite della claustrofobia.
 In quella stringente stanza cangiante, Miranda si sente piccola, insignificante, misera. Vedere poi delle perle rosse sparse su un candido tappeto di pelliccia, gocce di sangue che testimoniano quel crimine, la fanno sprofondare ancor di più perché già conscia del finale che spetta alla sua giovane omonima.
 La donna si accoccola al petto del marito, così teatralmente addolorata.
 - Guarda, amore... l’ha rotta lei, senza dubbio! - mugugna, con fare infantile, agitando una grossa perla fra le dita. - Era quella collana che mi avevi regalato, quella della tua adorata madre, e io ci tenevo così tanto... -
 La giovane cameriera non ha il coraggio di guardare la coppia di padroni in viso, perciò tiene gli occhi inchiodati al pavimento. Con fascino disturbante, le grosse perle riflettono la sua espressione disperata, terribilmente abbattuta, distorta e moltiplicata centinaia di volte come un caleidoscopio.
 - Raccolga le sue cose e se ne vada immediatamente da questa casa! - ringhia allora il Conte, puntando categorico il dito verso le scale dalle quali erano venuti.
 Anche Miranda si ritrova a chinare il capo e fissare le perle sanguinolente, angosciata come se l’errore della giovane fosse il proprio.
 La luce lentamente svanisce, tende ed imposte si chiudono, guidate da mani invisibili, in un abbraccio di tenebra.

 - Tutti i santi giorni mi succedono soltanto cose brutte! -
 Abbandonata sul pavimento in legno accanto ad un vecchio orologio a pendolo, la stessa donna di prima, solo con qualche anno in più sulle spalle, naviga nello sconforto. Sta fissando un punto vuoto davanti a sé, casualmente l’esatto punto in cui si trova Miranda, ma non sembra rivolgersi a lei, quanto più sta parlando da sola. Allunga una mano e cerca a tentoni una bottiglia piena fra quelle vuote che la circondano. Miracolosamente riesce a trovarne una piena a metà e se la porta traballante alle labbra, mandando poi giù un lungo sorso scuro di vino.
 - E con questo di oggi, sono cento lavori persi! -
 Alza il braccio in un gesto di vittoria e beve un’altra sorsata per brindare. La fiammella della lampada ad olio vicino a lei freme nello stesso momento, come ad accompagnarla.
 - ...ottimismo? Cosa sarebbe? - esclama fra un singulto e una risatina amara. - Ah! Qualsiasi cosa io faccia, non ci riesco. E io che continuo a provarci! Sono proprio una stupida... -
 Molla la bottiglia ormai vuota, che cade a terra con un tonfo. Rotola rumorosamente per un po’, fermandosi contro il piede di una Miranda ora sbigottita. Dalla bocca di vetro gocciolano lacrime rossicce.
 Miranda è decisamente confusa. Di nuovo, si sente così inspiegabilmente vicina a quella donna, per le parole che pronuncia, le tristi e sfortunate vicissitudini che l’accompagnano, come se a viverle fosse stata lei in prima persona. Serpeggia in lei un sinistro senso di déià- vu.
 - Ormai non mi interessa più vivere... - prorompe la sua omonima, bisbigliando tristemente.

 - Ah, sì? - domanda spiritosa una vocina dall’angolo più buio della stanza.
 Con un sussulto, le due donne si voltano all’unisono in direzione di quella pessima ilarità. La luce della lampada non riesce a raggiungere interamente quella figura sottile; si intravedono delle gambe magre fasciate da calze striate, il voluminoso tulle candido della gonna e metà di un volto di bambina, proteso verso le due. Iridi dorate scintillano con furbizia e un sorriso si allarga su quel viso di perfidia.
 Una parola sfugge alla lebbra di Miranda, direttamente dalla sua coscienza sopita, il nome di un’antica e oscura famiglia.
 - Noah... - mormora in un soffio di paura. Non riesce a capirne appieno il significato, anche questa si va ad aggiungere agli avvenimenti e alle sensazioni anomale che sfuggono alla sua comprensione. Sa solo che il terrore accompagna sempre quel nome e ne viene invasa.
 La ragazzina ride sguaiatamente, percependo con gioia sinistra la paura della donna.
 - Perché non giochiamo ancora, Miranda? - le domanda.
 E a quelle parole, l’ambiente muta di nuovo. Illuminato da una tetra luce violacea, il pavimento si riveste dei rombi di una scacchiera nera e rossa e si allunga poi verso l’alto, trasformandosi nelle nuove pareti di una scatola chiusa. Miranda viene separata dalla sua omonima al capezzale dell’orologio a pendolo e, ad un ultimo sguardo, le pare quasi che quella disperata figura la stia fissando di rimando, per la prima e ultima volta.
 A circondare la donna e la sinistra bambina spuntano peluche dai lineamenti maligni, bambole con pozze vuote al posto degli occhi, pacchi regalo sgualciti e rammendati delle più disparate dimensioni e contenenti chissà quali mostruosità.
 La Noah è ora perfettamente visibile, seduta sulla pancia di un soffice coniglio rosa, con un buco mal ricucito al posto della cavità oculare destra. L’altro occhio, un bottone color smeraldo, rimanda allo sguardo pietrificato di Miranda il riflesso della propria immagine terrorizzata.
 - Non spaventarti così presto! Il gioco deve ancora iniziare, eh! - ghigna la ragazzina.
 Con uno schiocco di dita, fra lei e Miranda si frappone una piattaforma circolare. Diviso in quadranti e con due aste di diversa lunghezza che partono dal centro, ha l’aspetto ingigantito di un orologio. Se non fosse stato per le tredici suddivisioni, sarebbe stato del tutto identico a quello a pendolo visto in compagnia della sua omonima l’attimo prima.
 Miranda incespica all’indietro, rabbrividendo più confusa che mai. La tensione alle stelle, le scappa una risata isterica. - È soltanto un sogno. -
 Non troverebbe altre spiegazioni, altrimenti.
 Come se nemmeno l’avesse sentita, quell’inquietante ragazzina prosegue.
 - Ti piace la tua Innocence? L’ho riprodotta bene, eheh! -
 Miranda fatica capire a cosa si stia riferendo, se all’orologio o ad uno di quegli incubi fatti a peluche lì intorno. Però quella parola, Innocence, le accende un tepore alla bocca dello stomaco.
 Una lancetta ai suoi piedi scatta.
 - Hai paura del tempo che scorre, umana? - le chiede quel piccolo demonio.
 La lancetta prende a muoversi con velocità sempre maggiore, subito seguita dalla compagna. Si accavallano mescolandosi a ritroso, in un vortice che cattura lo sguardo e i cupi pensieri.
 - Se tornassi indietro, che faresti? -
 E corrono all’indietro, le lancette, compiendo un giro completo più e più volte, con l’intenzione di riavvolgere il tempo anziché lasciarlo proseguire.
 Miranda non risponde. In silenzio, si aspetta qualcosa ma la stanza non cambia. È stupido pensare che ciò possa accadere ancora, si dice, per quanto ormai conscia di star sognando. Ma fra un’insensatezza e l’altra, tanto valeva che accadesse di nuovo anche quello. Invece, al centro del quadrante, sospese sopra le lancette che turbinano impazzite, appaiono immagini sfuggevoli di quanto accaduto in precedenza. Le sue omonime si susseguono una dopo l’altra: l’ubriaca disperata, la giovane disastrosa al suo licenziamento, la bambina umiliata e la piccola che piange in solitudine.
 Una patetica carrellata di fallimenti e rimpianti.
 La Noah, al di là delle scene, non smette di sorridere.
 - Hai paura di ripetere questo tipo di situazioni fino alla fine dei tuoi giorni. Temi di rivivere il tuo misero passato, temi che si trasformi nel tuo futuro - commenta, riferendosi alle scene. - Non sei cambiata poi tanto, inutile umana. Resti ancora una delusione. -
 Miranda non trova le parole per ribattere. È completamente persa in quelle immagini che si ripetono e si alternano all’infinito. Sfortuna, danni, lacrime, solitudine, sbagli, malcontento. Delusione.
 Il pianto esplode in tutto il suo peso, incurvandola su se stessa, facendola cadere in ginocchio.
 - Io... Io sono davvero questo. -
 Si sente completamente priva di forze, svuotata dalla paura e ora solo piena di vergogna.
 - Ci credo che non ti interessi più vivere - dice la ragazzina.
 Il suo sorriso si spegne
 - Ti aiuto perché mi fai una gran pena. -
 Quell’ultima frase è proprio come una freccia dritta al cuore per Miranda. Pena. Sì, si sente decisamente penosa.
 La ragazzina Noah spicca un salto, librandosi a mezz’aria.
 - Sbarazzatevene - ordina. Scompare assorbita dal soffitto buio, silenziosa com’era arrivata. Assieme a lei si spengono i sofferti momenti delle omonime della povera donna e le lancette dell’orologio si arrestano alla tredicesima ora, indicando Miranda.
 Un attimo di stasi, un gelido silenzio la avvolge. Non avendo più davanti le scene, ora vede solo quel malandato coniglio rosa su cui era seduta la ragazzina.
 Sente un fruscio, uno strusciare di tessuti e nota uno scatto: è un orecchio del coniglio di pezza che si è mosso. Stenta a crederci ma quel peluche si anima. Con lentezza si erge, grosso e terrificante, e prende a zoppicare storto verso di lei.
 Il corpo di Miranda si pietrifica sul posto.
 Altri mostruosi animali di peluche imitano il primo. Sono un ammasso a dir poco disgustoso, ciascuno alto almeno due uomini. Sono corpi storti e macchiati di sangue, hanno arti mescolati e ricuciti nei posti sbagliati; i loro musi sono scomposti o rovesciati all’indietro, gli occhi assenti o penzolanti, le bocche squarciate da cui fuoriescono lamenti strazianti, e tagli che vomitano vere interiora al posto dell’ovatta.
 Miranda, terrificata, ha gli occhi sbarrati ma non sa dove guardare e vorrebbe non vedere. Prega che lo spazio cambi nuovamente, così, per magia, come successo fino a quel momento. O che, meglio ancora, si possa risvegliare in un morbido letto, com’è giusto che sia. Perché sì, desidera con tutta se stessa che quello sia solo un lungo e orribile sogno.
 - È-è solo un incubo - balbetta con un filo di voce.
 Vuole che quelle mostruosità scompaiano, non riesce a smettere di guardarle mentre aspetta che ciò avvenga. Ma quelle si avvicinano, ciondolanti e sinistre, soffocando lo spazio e rubando la poca luce rimasta.
 - Un incubo - ripete. - Solo un bruttissimo incubo. -
 Il mantra non sta funzionando. Quelle orribili visioni chiamano il suo nome e sono ormai a pochi passi da lei. Le lacrime scendono incontrollate sul suo viso, le mani sono sulla bocca a contenere le grida.
 Le si fanno così vicini che il puzzo di putrido diventa insopportabile. L’oscurità ormai predomina e lascia intravedere solo sagome deformi e luccicanti di sangue. Li sente strisciare e incespicare sui loro corpi martoriati.
 Chiamano il suo nome con lamenti dall’abisso e Miranda serra gli occhi. Lo stomaco le sobbalza nel petto, come in una profonda caduta nel vuoto.

 Un grido sovrasta ogni altro rumore.
 Miranda scatta a sedere. È stesa su un letto. Le sue mani si avvinghiano tremanti alle coperte, mentre con lo sguardo si accerta della normalità della stanza da letto che la circonda. Tutto il suo corpo sussulta e a bocca spalancata annaspa in cerca dell’ossigeno che sembra non bastare. L’oscurità intorno è soffocante, materializza ancora sagome informi e sinistre composte da mobili e indumenti, gioca con il suo fragile cuore di cristallo.
 Una mano le sfiora un braccio, facendola sussultare.
 - Che succede, Miranda? - domanda preoccupata una voce maschile accanto a lei.
 E finalmente si accende una luce.
 Si materializza un volto, squadrato e gentile, collegato a due enormi spalle che da sole occupano gran parte del campo visivo. L’uomo la guarda con occhi ciechi, senza poterla vedere.
 - M-Marie? - balbetta lei, incredula.
 Poi, realizzando, tira a sé le coperte a nascondere il pigiama di flanella.
 - C-cosa ci fai qui? - esclama, colma di imbarazzo fino ad arrossire.
 Si dipinge un sorriso pacifico sul viso dell’uomo. Dà l’idea di essere abituato ad una situazione di quel tipo. L’aria dolce e paziente che assume placa il terrore rimastole dall’incubo e la donna allenta un po’ la tensione.
 - Era solamente un brutto sogno, Miranda - la rassicura lui. L’avvicina a sé, avvolgendola in un caldo e rincuorante abbraccio. - Non c’è da avere paura. Passerà, vedrai. -
 Ma lei si sente spaesata. Non trova motivo per opporsi, se non l’imbarazzo, eppure la realtà non le sembra quella che sta vivendo. Qualcosa non le torna. Non sa cosa, ma non è al suo posto.
 Sente le lacrime pungerle gli occhi, senza sapere il perché.
 - No, non piangere, non piangere - ripete Marie, accarezzandola docilmente. - È stato solo un altro brutto sogno. Finché siamo insieme non dovrai mai averne paura. -
 Un brivido la scuote.
 - ...i-insieme? -
 - Sì, insieme - ripete lui. Le lascia un bacio fra i capelli. - Ho promesso che ti sarei rimasto accanto fino alla morte e che ti avrei resa felice, con ogni mezzo. -
 Più che infondere calore al cuore provato di Miranda, la fa avvampare.
 Marie si stacca un poco. Allunga entrambe le mani e fa scivolare le dita sulle guance umide di lei, con un tocco delicato, per tentare di tracciare un’immagine sul foglio nero che ha dietro alle palpebre eternamente chiuse.
 - Vorrei poter vedere i tuoi occhi. Devono essere meravigliosi quando sono accompagnati dal tuo sorriso. Vorrei anche vederti ridere: la tua risata è così bella che anche il tuo sorriso deve per forza esserlo. E vorrei poterti vedere arrossire quando mi sei vicina, quando il tuo cuore batte così forte per me. Sapere di essere così importante per te mi rende l’uomo più felice del mondo, lo sai... -
 Una sola grossa lacrima sospende le sue parole. Quell’infame traditrice dei sentimenti di Miranda viene cacciata dal suo viso dal pollice della mano di Marie.
 - C’è una cosa che più di tutte le altre vorrei vedere. Vorrei poter scorgere le tue lacrime per asciugarle ancora prima che bagnino il tuo bellissimo viso - le confessa, chiudendo la frase con il suo tenero sorriso.
 Miranda ha smesso di respirare. Non sa che fare, che dire, come reagire. Crede nelle sue parole, sono meravigliose, nessuno le aveva mai detto simili cose. Confida nella sua sincerità, lo sente nel profondo, ma qualcosa ancora stona. Non le sembra di stare nel posto giusto.
 La penombra ancora li circonda, leggera e misteriosa cela in parte la realtà, deforma e confonde come la nebbia. La scena sa di sogno, di inganno.
 È ancora intrappolata in quel terribile incubo? Marie è solamente un miraggio, una fetta di dolcezza per illuderla di essere al sicuro?
 E Lavi, Lenalee, Aleister, incontrati prima di svegliarsi? Sono stati solo frammenti di sogno? Eppure sembrano reali, un po’ come dei ricordi, anche se lontani. Quei nomi li porta nel cuore, sembrano far tutti parte di una famiglia allargata.
 A tradimento, proprio mentre è persa in queste incertezze, Marie posa le labbra sulle sue. Un contatto delicato, gentile, puro, una dimostrazione di spontaneo sentimento. Per Miranda il tempo si ferma, in un caos di emozioni. Si sente leggera, quasi inconsistente.
 Socchiude gli occhi. Non può essere anche quello parte del suo incubo.

 - ..anda! -
 Una voce, lontana, riecheggia. È vaga, le parole pronunciate giungono ripetute ma sconnesse alle orecchie di Miranda. È così confusa da non capire, oppure le sta solo immaginando.
 Marie non reagisce, evidentemente non le sente. Evidentemente non esistono.
 Anzi, Miranda si accorge che lui non c’è più. È svanito in un battito di ciglia, proprio mentre le stava davanti. Resta imbambolata, boccheggiando. E così poi la stanza, un pezzo per volta, torna ad essere fatta di oscurità liquida. Quei pochi mobili e vestiti appesi, le pareti, la fonte indistinta di luce, pure il letto, quel poco che era riuscita a scorgere si scioglie e torna ad essere parte del buio.
 Le sembra di fluttuare, non avendo più quell’appoggio che credeva reale.
 Le sembra di affondare. Una sensazione fin troppo familiare. La sensazione di inciampare, di cadere dopo uno sbaglio, di avere le gambe molli dopo una brutta figura.
 La sensazione di sprofondare, come nelle sabbie mobili. Più ci prova, più si agita e meno spazio guadagna, meno spazio di respiro le resta.
 Non sente nulla al tatto, non percepisce nulla all’udito. Solo un pesante, soffocante, sconfinato buio, dentro e fuori, senza più confine fra sé e ciò che potrebbe o dovrebbe esserci del mondo.
 Non ha idea dello scorrere del tempo. Le sembra di impazzire, di non poter uscire. Le sembra di essere sempre stata lì. Non c’è niente, non c’è nessuno; non può commettere errori lì.
 Ma all’improvviso, non capendo come o da dove, si sente strattonare. Una voce riecheggia, ancora. E viene strappata senza preamboli da quella pozza oscura, a più colpi.
 Gradualmente le arriva la sensazione della consistenza di un corpo. Per prima percepisce la testa, pesante come se avesse sbattuto, e il dolore delle tempie che pulsano. Sente degli arti pesanti, intorpiditi, pervasi da brevi e gelidi formicolii. Questi l’aiutano e la guidano a sentire il resto, a concretizzare l’intero corpo dolorante ma immobile, quasi fosse stato congelato.
 E poi sopraggiunge il panico, animalesco, un campanello d’allarme che esplode nella sua mente e le fa comprendere quanto sia opprimente questa morsa gelida che la soffoca.
 Non riesce a respirare. Le arriva così forte, così vitale, il bisogno di prendere aria, di riempire i polmoni fino al limite. È terrorizzata al pensiero di non riuscirci, quel corpo non le risponde, non reagisce. Non ha naso o bocca, non li sente; il viso è una maschera gelida indistinta.
 - Miranda! -
 Questa volta la sente chiaramente, quella voce. Ha pronunciato il suo nome. Forse ora la sente perché è finalmente vicina.
 Una fonte di calore si propaga dalla schiena quando si sente sollevare, fino poi alle spalle e al collo quando si sente sorreggere il capo.
 Ci sono altre voci a chiamarla, con toni e cadenze diverse, ma tutte ugualmente preoccupate.
 E finalmente giunge l’aria, ardente, spinta a forza nella sua gola da un respiro estraneo, quell’ossigeno contaminato dall’impronta dell’altra persona, dal suo forte desiderio di tenerla in vita. È un fuoco che risveglia del tutto la coscienza di Miranda.
 Sente il contatto con le labbra dell’altro, fortemente maschili. Labbra morbide e gentili, tremanti al pensiero di fallire, presuntuose nel voler sfidare il gelo della Morte che per poco non l’aveva stretta nel proprio abbraccio.
 Sente una goccia di saliva scendere nella sua bocca; anche questa aveva il sapore di lui, e la mente si ricollega rapida al sogno. Al bacio. A quelle dita grandi e calde sul suo viso, ora reali.
 Quelle labbra si separano dalle proprie e solo da questa divisione Miranda avverte quanto bene siano combaciate in quell’attimo di necessità.
 L’imbarazzo che prova scema assieme al panico, facendo spazio alla consapevolezza di avere lui accanto.
 - Miranda! Ti prego, fatti forza! - implora lui, ancora una volta.
 L’intero corpo di Miranda è scosso da tremiti. Si volta di lato e tossisce più volte, la fronte corrugata, ogni fibra del suo essere dolorante e pervasa dal gelo. Solleva le palpebre e la vista le conferma completamente di trovarsi fra le braccia di Marie.
 Lo vede.
 Vede quegli occhi vacui, ma così pieni di sentimento da far tremare il suo cuore.
 Vede quel sorriso, il suo inconfondibile sorriso. Per lei il sorriso che hanno gli angeli.
 E per quell’attimo mette un freno ai suoi incubi e si lascia illudere di essere abbastanza.

 

 

 

 

04.11.23

 Un quarto di questa os risale al 2015; i restanti tre sono frutto di scritture e riscritture terminate all’inizio di questo anno. Visto il periodo trascorso e il non aver lasciato appunti, non ricordo che cosa inizialmente avessi previsto nello sviluppo della trama o come messaggio finale.
 Quando l’ho ripresa, pensavo solo al volerle dare una conclusione e uno scopo e nel farlo ho cercato quanto più possibile di indagare la personalità di Miranda. Ero in un momento un po’ cupo, mi sono rivista nelle sue frustrazioni, nella sua iella, fino al punto da lasciarmi andare con lei. Un bel momento poi l’ho chiusa, ho messo il punto quando ho sentito di essermi spremuta a sufficienza e che ad insistere non avrei ottenuto altro, dal testo e da me. Ho mollato come lei, forse. Ed eccoci qui oggi.
 Il mio rimpianto? Non aver inserito Allen. Lo avrei visto bene nei panni del proprietario del negozio di antiquariato che vende a Miranda l’orologio, la sua manna dal cielo. Ma al contempo mi piace pensare che Miranda, malgrado il destino di contenitore di Neah, non avrebbe mai così tanto timore di Allen da farlo finire in uno dei suoi incubi, a prescindere dal ruolo.
 Anche Marie non gioca una parte del tutto negativa, ma nel mio immaginario, le pene d’amore di Miranda sono abbastanza importanti, quindi eccole lì a darle il tormento pure nel sonno.
 Ah e il risveglio di lei fra le braccia di lui è calcolato: tutta la vicenda narrata avviene come sogno durante l’incoscienza di Miranda quando viene temporaneamente catturata da Lulubel durante l’attacco alla vecchia Sede centrale.
 Il titolo ovviamente è tutt’altro che originale, ma non mi sono mai sentita un luminare nella scelta di titoli. Insieme a questa che avete appena letto, ho nella cartella delle fic degli abbozzi con i nomi Lenalee’s nightmares e Crowley’s nightmares, quindi se non ricordo male sarebbe dovuto diventare un gruppetto di racconti indagatori di personalità attraverso le paure. Vedremo che farne.
 Prima di concludere, vorrei ringraziare la mia cara Carm per essersi offerta di leggere e commentare questa os, e senza nemmeno conoscere il fandom. Il suo entusiasmo mi ha contagiata, e credo sia anche grazie a questo che ora pubblico, e che pubblicherò altro in futuro, perché di tanto in tanto ho scritto, o quantomeno continuo a desiderarlo quando non posso. Mi mancava la semplice sensazione di essere letta. E la fiamma ancora non si è spenta.
 Dunque, grazie di cuore per essere passatə! Alla prossima!

   
 
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