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Autore: White Gundam    16/09/2009    4 recensioni
A Midgar è arrivato un oculista davvero speciale, in grado di fornire ai suoi acquirenti occhiali che cambiano la visuale del mondo e Cloud, distrutto dal suo passato, decide di comprare da lui diverse lenti particolari. Sulle note di Fabrizio De Andrè il ragazzo compirà un viaggio allucinogeno in territori della psiche che non aveva mai conosciuto.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Cloud Strife
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti e benvenuti alla fanfiction con l’idea più malata che mi sia mai passata per la testa XD E’ la prima song-fic che scrivo e non so se vadano scritte in questo modo… Però volevo scriverla :P

Questa idea mi è venuta in viaggio mentre riascoltavo per la decimillesima volta uno dei miei dischi preferiti di Fabrizio De Andrè, ovvero “Non al denaro, non all’amore né al cielo” tratto dall’”Antologia di Spoon River”... E questo è quello che ne è venuto fuori, spero vivamente che possa piacervi e ringrazio anticipatamente chiunque abbia la voglia e il tempo di lasciarmi un commentino, dato che ne ho molto bisogno in quanto questa sarà solo la prima di una serie di song-fic che ho intenzione di scrivere e mi serve l’aiuto di voi lettori per migliorarmi.

Ah, un’ultima cosa: mi sono permessa di cambiare il titolo della fanfiction da “Un ottico” a “Lo spacciatore di lenti” per il semplice motivo che mi pareva adattarsi di più alla storia, fatemi sapere se vi pare una buona idea o se dovrei modificarne il titolo in quello originale della canzone ^.^

Dopo la lunga premessa, che spero non vi abbia annoiati, vi lascio alla fanfic^^

 

Un ottico

 

 

Daltonici, presbiti, mendicanti di vista
il mercante di luce, il vostro oculista,
ora vuole soltanto clienti speciali
che non sanno che farne di occhi normali.

 

Non aveva mai avuto problemi di vista. Non lui, anzi ci vedeva benissimo, eppure si trovava lì, dinnanzi a quel mercante nomade di occhiali.

Ve ne erano di tutti i tipi sulla bancarella: tondi, allungati, con la montatura in plastica o in acciaio; ma la cosa più strana erano le loro lenti, di colori strani e particolari, certe avevano all’interno disegni simili a quelli che si vedono nei caleidoscopi.

Cloud si trovava lì per quelle. Aveva sentito che gli occhiali venduti da quel nomade non erano affatto normali e che potevano cambiare la visuale del mondo che aveva intorno e lui desiderava cambiarla. La sua visuale si era spenta due volte e quando riapriva gli occhi si accorgeva che il mondo che vedeva stava diventando sempre più opaco, ottenebrato da morti che aveva visto e cui non voleva pensare; da battaglie lunghe ed estenuanti che non sarebbero mai finite. Si avvicinò al mercante prendendo tra le dita alcuni occhiali e vide che egli sorrideva contento e compiaciuto.

 

Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti,
perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.
Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall'orbita e non voler ritornare.

 

“Li vuole prendere?”
Chiese pacato l’ottico. La sua voce era lontana, come provenisse da un mondo ben diverso da quello in cui abitava il giovane dai capelli biondi. Indossava anche lui un paio di occhiali, essi avevano la montatura in plastica nera e le lenti erano azzurre con alcune onde blu che si infrangevano e si ritiravano sul vetro degli occhiali.

Cloud tentennò.

“Cosa fanno?”
Chiese, la sua voce era spenta. L’ottico sorrise di nuovo:
“Cosa fanno?”
Chiese anche lui, poi rise con una risata cristallina.

“Ragazzo mio, inventano sogni.”

Rispose quindi. Cloud non riusciva a capire, eppure sentiva di aver bisogno di qualcosa che i sogni li creasse invece di infrangerli.

“Potrei provarli?”
Chiese quindi, sfiorando gli occhiali che aveva in mano.

“Ma certamente.”
Rispose l’uomo, con un sorriso.

“Ne può provare quattro paia a sua scelta, poi mi faccia sapere se le piacciono.”

 

Vedo che salgo a rubare il sole
per non aver più notti,
perché non cada in reti di tramonto,
l'ho chiuso nei miei occhi,
e chi avrà freddo
lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.

 

Cloud guardò gli occhiali. Poteva provarne quattro. Così gli era stato detto. Si tolse i semplici occhiali neri che usava sulla motocicletta e guardò quelle lenti magiche.

Ve ne erano un paio che lo attrassero subito. Le lenti erano gialle e sembravano emanare raggi caldi e lucenti.

“Gli occhiali del sole, un ottima scelta.”
Disse l’ottico, ridendo. Il giovane li prese fra le mani, era tanto tempo che non vedeva più il sole. Il Pianeta, dopo la disfatta di Sephiroth e della Shinra era diventato grigio e cupo. Cloud spostò il suo sguardo al cielo, pesanti nubi lo coprivano e lo soffocavano. Si appoggiò gli occhiali alle orecchie e se li fissò davanti ai propri occhi.

Un’enorme scala di luce si trovava ora davanti a lui e i suoi pioli erano raggi di sole brillanti e lucenti, ma guardarli non gli faceva male. Cloud provò a toccare la scala con una mano e si accorse che era tiepida e tangibile; non scottava e lo riscaldava fin nel profondo del suo cuore. Si arrampicò su quella scala che si allungava a dismisura pian piano che lui saliva e arrivò fino al cielo e più su, nello spazio magico e infinito, tempestato di stelle. E su fino a quella palla di fuoco incandescente. Si guardò intorno e spostò una mano fino al sole. Lo voleva per lui. Voleva che fosse suo. Lo afferrò con le mani e lo prese, esso si sdoppiò e si rimpicciolì e lui lo infilò dentro le sue iridi azzurre. Ora oltre all’azzurro del cielo i suoi occhi avevano anche il sole.

Scese i pioli della scala fino a toccare di nuovo terra. Mai più il sole per lui sarebbe tramontato, mai più le fredde ombre della notte gli avrebbero ricordato il suo triste passato.

Guardandosi intorno notò le persone rabbrividire, ma come finivano nella traiettoria in cui lui guardava esse parevano riscaldarsi, ritrovando quel sole che non vi era più nel cielo. Spostò il suo sguardo verso alcuni bambini, dando loro il calore della famiglia che avevano perso, lo passò poi sugli anziani donandogli l’energia della giovinezza.
Poi sentì delle mani sul suo volto e dopo il sole tornò nel cielo, ricoperto da nubi. Sparì la sicurezza e tornò lo sconforto.

“E questo era il primo viaggio.”
Sentenziò l’ottico, riappoggiando gli occhiali sulla bancarella.

 

Vedo i fiumi dentro le mie vene,
cercano il loro mare,
rompono gli argini,
trovano cieli da fotografare.
Sangue che scorre senza fantasia
porta tumori di malinconia.

 

L’uomo sorrise guardando la propria bancarella e il ragazzo che aveva d’innanzi.

“Posso consigliarle io il secondo paio di occhiali, giovanotto?”
Cloud annuì, ancora stregato dal viaggio precedente. Ancora non gli pareva possibile che semplici lenti potessero permettere sogni simili. Sentiva però di volerne provare uno nuovo, forse ancora meglio del precedente.

Guardò gli occhiali che l’ottico gli aveva passato. Nelle lenti di esse vi erano rivoli azzurri e rossi che si intersecavano, scorrevano paralleli o si univano gli uni con gli altri. Senza soffermarsi a pensare il giovane li indossò, lasciando che lo portassero a vedere un altro mondo, o meglio quello stesso mondo trasformato dalle immagini che gli sarebbero passate davanti.

Il suo corpo non era più color pelle, era ora diventato completamente trasparente ed egli poteva vederne l’interno. Nelle sue vene ciò che scorreva non era sangue, essi erano fiumi in piena che correvano, correvano, cercando il mare. Già, persino il mare si trovava all’interno del suo stesso corpo; un mare pulsante e vitale che donava la vita a tutto il suo essere. Un mare a cui pensava di avere ormai chiuso tutti i porti, il suo cuore.

E poi il sangue uscì dal suo corpo, senza fargli male. Ruppe le vene e quella pelle incolore e si riversò per terra per poi allungarsi in geyser verso il cielo e ricadere in pozzanghere che riflettevano il cielo, donandolo a coloro che non avevano più il coraggio di guardare in alto, coloro che erano come lui.

E proprio da quel cielo riflessero lui, i suoi occhi azzurri e i suoi capelli corvini, Zack, il suo migliore amico morto per salvarlo. Cloud ricordò il suo corpo, steso su una terra brulla e desolata, e il suo sangue che macchiava il terreno di una morte reale. Un conato di vomito gli attraversò la bocca e la malinconia di un tempo passato chiuse di nuovo i porti del suo mare.

Arrivò con le mani alla montatura degli occhiali e se li tolse sbrigativo, notando che il suo corpo era tornato del suo colore originale e immaginando che nelle sue vene scorresse di nuovo il cremisi colore della linfa vitale.

 

Vedo gendarmi pascolare
donne chine sulla rugiada,
rosse le lingue al polline dei fiori
ma dov'è l'ape regina?
Forse è volata ai nidi dell'aurora,
forse volata, forse più non vola.

 

“Questa volta scelgo di nuovo io.”
Sentenziò Cloud con il respiro ansante. L’ultimo viaggio non gli era piaciuto per niente e l’aveva riportato ad un passato che in quel momento non voleva ricordare. Si sentiva male e aveva assoluto bisogno di provare qualcosa che l’avrebbe fatto sentire meglio.
Prese i primi occhiali che gli capitarono a tiro, le cui lenti erano trasparenti e vibranti come ali leggerissime. Se li mise sugli occhi pronto alla nuova esperienza.

Davanti a lui la grigia strada di Midgar non c’era più, era stata sostituita da un’enorme distesa erbosa che si stendeva fino all’orizzonte a qualunque lato guardava, e sopra il manto erboso vi erano uomini con delle divise color blu scuro. Uomini della Shinra. Eppure erano stati sconfitti, non avrebbero dovuto esistere più. Essi tenevano greggi di donne, che erano chine sul prato mangiando quell’erba fresca e bevendo la rugiada che si era formata sugli steli verdi. Brucavano sotto la vigile guida dei cani della Shinra, chinate a terra bagnandosi le ampie gonne. Cloud avrebbe voluto intervenire, togliere a quegli uomini quel loro potere, ma non era la sua battaglia.

Rimase a guardarle col cuore che batteva all’impazzata, le loro lingue erano di un rosso innaturale, rubato al polline dei fiori. Erano donne bellissime, ma non belle quanto lei. Lei, la regina, l’ape regina di tutte quelle api, con la sua treccia color del legno legata con un fiocco rosa, non c’era. Forse volata via, lontano, verso la libertà senza confini. Lontana da quei gendarmi della Shinra, o forse aveva semplicemente smesso di volare; le sue ali erano state tarpate dalla morte che il destino le aveva ingiustamente ed impunemente imposto. Lontana ed irraggiungibile era quindi la sua amata  Aerith.

Cloud si tolse gli occhiali con un grido e ansimante li riappoggiò sulla bancarella, appena ricomparsa insieme alla strada.


Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l'allegria
all'alba un po' di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo.

 

“I sogni, a volte, fanno male.”

Era la voce dell’ottico. Cloud annuì, col respiro ancora ansante: lui era venuto lì per fuggire dal suo passato, ma più provava a farlo più si accorgeva che da esso non poteva scappare. Decise comunque di fare un ultimo tentativo, col quarto paio di occhiali che gli era dato provare.

“Scelga pure lei… Ma vorrei un sogno che non faccia male.”

Disse, con la voce roca ed impastata dal dolore. L’uomo sorrise:
“E allora provi questi, questi sono gli occhiali del sogno.”

Gli passò tra le mani quella merce con le lenti caleidoscopiche e Cloud se li posizionò sul viso. L’ultimo viaggio stava per cominciare.

Come li indossò le persone che vi erano sulla strada svanirono e ne comparvero altre, erano persone che il giovane conosceva bene. Cid, Vincent, Yuffie, Barret e Tifa. I suoi amici, i suoi compagni. Erano a braccia conserte e lo stavano aspettando, stavano aspettando che lui si lasciasse il passato alle spalle e li raggiungesse laggiù, nel futuro. Non avevano fretta, non lo incitavano a darsi una mossa, ma lo aspettavano, comprensivi e pazienti come solo dei veri amici potrebbero essere.

Il ragazzo si incamminò verso di loro, guardandoli a distanza, era notte e il sole era già tramontato, non più chiuso negli occhi di Cloud. Eppure loro non avevano sonno, non cadevano addormentati. Ridevano e scherzavano, aspettando con pazienza. E mentre il giovane risaliva quella lunga e ripida strada che lo avrebbe portato da loro si era già fatta l’alba e loro adesso dormivano quella notte che avevano passato a scherzare.

E mentre correva da loro, a Cloud quella strada non parve più irta e ripida, ma gli apparve come un’enorme montagna russa, e si sentiva trasportato da dei nastri come fosse su un giocattolo gigantesco costruito apposta per lui e per loro.

Delle mani fredde gli tolsero gli occhiali e riportarono il mondo ad essere un mondo e non un giocattolo uscito dal paese dei balocchi.

 

Faremo gli occhiali così!
Faremo gli occhiali così!

 

“Allora ne vuole comprare?”
Chiese l’ottico e a Cloud parve di sentire la sua voce lontana e distorta.

“Faremo gli occhiali così!”
Gridò l’uomo, o così almeno parve al giovane che se ne andò da quella bancarella camminando storto, come ubriaco. Si diresse a casa a piedi, sentiva che non aveva la forza di prendere la moto, e la raggiunse ancora barcollante. Bussò alla porta con le nocche delle mani mentre il suo cervello non riusciva più a distinguere la fantasia dalla realtà.

 

 

 

 

   
 
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