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Autore: La Fra    07/11/2023    0 recensioni
E se Eva non avesse combattuto per cinquant'anni per Snake, un uomo che non l'ha mai amata? Se nella sua vita avesse incontrato qualcuno di così importante da farle intraprendere una strada senza ritorno?
"Saremo io e te, Adam ed Eva, soli contro il mondo interno." Nascita e disgregazione dei Patriots dal punto di vista di EVA.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Naked Snake/Big Boss, Revolver Ocelot, The Boss
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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luglio 1968, Vietnam

 

L'incarico per quella missione era arrivato nel momento e nel posto giusto. Un miracolo. Quando aveva trovato una lettera infilata sotto alla porta della stanza del motel, si era gettata in ginocchio per leggerla con mani tremanti. Aveva preparato la valigia tenendo in considerazione ogni evenienza: insetti fastidiosi, uomini ancor più molesti, pessimo cibo... aveva pensato a tutto, tranne che nella piovosa e umida Hanoi avrebbe potuto soffrire la sete.

Ora però, non faceva che sognare l'acqua. Acqua che cadeva dal cielo, che scorreva oltre le sottili pareti di fango di quella catapecchia. Le sarebbe bastata qualche goccia, giusto per poter tornare a deglutire.

Hanoi non era un bel posto, non lo era stato affatto nell'ultimo decennio. La città veniva distrutta in continuazione dalle bombe e per le strade giravano solo uomini stranieri armati.

Sapeva fin dall'inizio che non stava andando a farsi una bella vacanza sul Fiume Rosso, il mandante non le avrebbe fatto trovare nessuna suite e non l'avrebbe certo mandata a qualche serata di gala; era una missione che avrebbe potuto portare a termine qualsiasi spia da quattro soldi, una sgualdrina capace di mettere un po' in mostra la mercanzia. Ma non era forse quello che era lei, ormai? Quello e niente di più.

L'obiettivo si trovava nei meandri più profondi dei resti di quello che, qualche anno prima, era stato il più importante ospedale del paese. Ora era un rudere, covo della peggior feccia di Hanoi e medici radiati che non sapevano cosa fosse l'etica.

Non era tipo da farsi troppe domande sulla missione, avrebbe solo seguito le indicazioni riportate nell'incarico. Bastava pagassero.

Avrebbe dovuto essere un lavoro veloce e senza intoppi: per avvicinare quel tale della foto, il dottor Thu Huong, si era messa un vestito scollato color porpora, come il rossetto, e i tacchi a spillo. Lo avrebbe abbindolato un po' e, quando meno se lo sarebbe aspettato, gli avrebbe sottratto i documenti richiesti dal mandante.

Anche i piani più semplici però potevano rivelarsi fatali.

Qualcuno doveva aver fatto una soffiata, perché quando era arrivata in quell'ospedale smantellato aveva trovato tre uomini ad aspettarla. L'avevano colta alla sprovvista ed erano riusciti a immobilizzarla e legarla. L'avevano portata in quella catapecchia poco distante dall'ospedale e legata a un palo, al centro della stanza. Non l'avevano toccata nemmeno con un dito. Non le avevano portato nulla da mangiare. Nulla da bere.

Erano passati giorni.

Di tanto in tanto, sentiva voci provenire dai resti dell'edificio che oscurava precocemente il sole, rimbombare attraverso i muri e penetrarle nelle ossa.

Le corde di canapa, contro la carne viva dei polsi, sembravano fili di acciaio rovente. Aveva urlato a squarciagola, fino a quando non era rimasta senza voce. Poi, si era arresa all'evidenza che quel luogo squallido sarebbe stata la sua tomba.

 

La svegliò l'ennesima esplosione nella notte. Gli occhi le saettarono subito su quella dannata pozzanghera nell'angolo più lontano della stanza.

Impiegò qualche istante per rendersi conto di non essere sola. C'era una luce di una torcia danzante sulla soglia della porta aperta. Si muoveva in modo ipnotico: su e giù, qua e là a zig zag.

Quando il fascio di luce raggiunse il suo viso, le pupille le si dilatarono e avrebbe pianto per il dolore, se le fosse rimasto abbastanza liquido in corpo.

La luce restò lì, ferma. Era una strana tortura da rivolgere a qualcuno che era stato ignorato per gli ultimi giorni. Il sadismo umano riusciva sempre a sorprenderla.

La persona nella stanza non sembrava però gioire della sua vulnerabilità. Era immobile e silenziosa; non respirava nemmeno. A un certo punto, fece un verso di sorpresa, rivelando una voce maschile che rimbombò tra le pareti.

«Cosa diavolo...» Finalmente, la torcia si abbassò. «EVA?»

Come faceva a conoscere quel nome in codice? Lei non lo avrebbe mai potuto dimenticare, ma era passato così tanto tempo dall'ultima volta... Apparteneva a una vita passata, a troppi anni e chilometri di distanza; non c'entrava proprio nulla con il suo presente ed Hanoi.

«Cosa ci fai qui?» L'uomo si puntò la torcia in faccia: lineamenti duri, barba folta e una benda nera, quella che lei stessa gli aveva cucito tempo prima.

«Snake?» Eva non riuscì a trattenere un sorriso. «Sei davvero tu?»

La gioia venne inghiottita dall'espressione torva di lui. «Cosa ci fai qui?» le ripeté.

«Oh... immagino significhi che non sei qui per salvare la tua vecchia fiamma. Beh, già che ci sei, potresti darmi una mano invece di stare lì impalato.»

Snake le puntò di nuovo la torcia addosso. Prima in viso, poi giù lungo il corpo, esposto e vulnerabile in quella posizione. «Da quanto tempo sei qui?»

«Da abbastanza,» rispose Eva a denti stretti.

Snake si mise la torcia in bocca e si decise finalmente di tagliare le corde.

Non appena fu libera, Eva si accasciò sul pavimento. Istintivamente, gli occhi le andarono di nuovo nell'angolo della stanza dove c'era quella pozzanghera; così lontana, ma non più irraggiungibile. No, doveva trattenere l'istinto.

«Ci sono diversi uomini, mercenari,» disse respirando affannosamente. «Stanno con quel medico, nell'edificio a sud. Mi hanno teso un'imboscata. Fai attenzione, sono armati. Se ci sentissero...»

«Loro non sono più un problema,» rispose Snake, «ho liberato l'area.»

Eva piantò i palmi delle mani a terra e spinse per sollevarsi, ma non trovò le energie. «Dovevo aspettarmelo dal leggendario Big Boss.»

Snake non sembrò apprezzare l'appellativo. «Mi dovrai spiegare cosa ci fai qui,» la avvisò, «ma prima sarà meglio portarti al sicuro.» Non appena sganciò la borraccia dalla cintura, Eva gliela strappò dalle mani e bevve avidamente. «Ce la fai a camminare?» le chiese mentre estraeva la pistola.

Eva buttò la testa indietro per attingere alle ultime gocce d'acqua della borraccia. Non ce l'avrebbe fatta. I suoi piedi erano feriti e le gambe troppo deboli. «Ho un posto sicuro poco distante da qui, un appoggio. Ti faccio vedere.»

Snake mise una mappa sgualcita a terra e la puntò con la torcia.

Eva dovette sforzarsi per riconoscere l'intricata ragnatela di strade e fiumi, poi indicò il lago. «Qui.»

Snake restò a guardarla con l'unico occhio torvo, azzurro anche nella notte. Aveva lo stesso sguardo limpido di una volta, le sopracciglia aggrottate.

«Non ti fidi di me?»

«Dovrei?» Snake si alzò in piedi e guardò fuori dalla finestrella che dava sul quartiere. In lontananza, esplosioni e urla continuavano a disturbare la notte. «Chi ti ha mandato a pedinarmi?»

Beh, Eva si sentì davvero offesa dall’implicazione. «Se credi che la mia gita in Vietnam c'entri qualcosa con te, ti sbagli di grosso. Non sapevo nemmeno fossi qui.» Si levò i tacchi e provò il tutto e per tutto per alzarsi sulle gambe, ma non volevano proprio collaborare. «Per quanto ne so, potresti essere tu quello che mi viene dietro.»

Snake si limitò a bofonchiare qualcosa. Si avvicinò a lei in modo rude, la prese di peso e se la issò sulle spalle. «Ci vorrà un'ora,» le disse, «il viaggio non sarà comodo.»

Eva però non si sarebbe lamentata. Si abbandonò nella presa e sentì le energie venirle a meno.

«Ti accompagno fin lì,» aggiunse Snake, «ma poi, le nostre strade si separeranno per sempre.»

«Per sempre,» gli promise, mentre i sensi la abbandonavano a poco a poco.

 

Si svegliò sdraiata a faccia in su, nella sua branda.

Snake fumava un sigaro appoggiato allo stipite della catapecchia. Il cielo era blu intenso e l'acqua scorreva placida poco distante. I palazzi in lontananza erano già illuminati dal sole rovente.

Perché non se ne era andato?

Eva si mise seduta e si portò una mano alla fronte. Quello non era un alloggio degno di una spia, non lo sarebbe stato nemmeno per una prostituta. La stretta dell'umidità sulla pelle nuda delle braccia. Chissà cos’aveva pensato Snake, vedendola ridotta così.

«Come ai vecchi tempi, eh?» disse, tirando fuori un kit medico da sotto il letto. «Solo io, te e una missione segreta.»

Snake restò sulla soglia a controllare che nessuno giungesse dalla boscaglia. Era naturale non si fidasse di lei dopo quello che era successo a Groznyj Grad.

Eva non poteva biasimarlo. «Allora,» continuò, fingendosi disinvolta, «cosa ci fai in Vietnam?»

«Te l'ho detto, una missione, niente di più.» Snake non la guardava nemmeno di sfuggita.

«Che coincidenza.» Eva si versò l'alcool sui polsi e legò le bende strette.

«Già.»

Si era quasi dimenticata quanto fosse difficile dialogare con lui.

«Come mai gli Stati Uniti mandano il loro fiore all'occhiello in un posto come questo?» Eva caricò la sua pistola e l’occhio di Snake fu subito su di lei. «Pensavo ti avrebbero messo sotto vetro dopo la proclamazione.»

«Non sono qui per conto loro.» Dunque, le voci che giravano erano vere. «Comunque, non sono affari che ti riguardano.» La luce dell’alba rivelava i lineamenti di Snake. Era sempre lo stesso, non sembrava invecchiato di un solo giorno.

«Piuttosto,» continuò Snake, «vuoi dirmi perché alla Cina interessa tanto quel medico?»

«Non sei il solo ad aver detto addio alla madre patria.» Eva ripose la scatola sotto alla branda e si alzò in piedi. «Anche se, nel mio caso, andarmene non è stata una scelta.»

Snake annuì. Per lui, il discorso si sarebbe potuto concludere così, ma, d'altra parte, non era mai stato un tipo di molte parole.

Sulla sua divisa non c'era nessuna bandiera, nessuno stemma che potesse raccontare qualcosa di più di lui e di ciò che aveva passato negli ultimi quattro anni. Eva avrebbe voluto fargli delle domande, certo, parlargli di alcune questioni in sospeso, ma era sicura di non ottenere nulla; né un cenno d'intesa, né una risposta soddisfacente.

Snake si avvicinò al tavolo e spostò alcuni fogli.

 Eva fu subito da lui e gli strappò le carte dalle mani. «È riservato.»

«Resterà fra noi.» Snake si mise seduto. «Chi ti ha contattato per questo incarico?»

«Non voglio condividere informazioni private con te»

«Credevo fossero riservate.» Già, ma raccontavano molto su come Eva se la stava passando ultimamente.

«Non so chi sia il mandante,» ammise Eva, «ma è così che funziona, per sicari e mercenari.»

«Lavori per chiunque, adesso?»

«Lavoro per chi mi paga,» sibilò lei.

«Vestita così?»

Eva si passò le mani sull'abito. «Per ottenere quello che vuole, una donna deve giocare tutte le sue carte,» disse.

«Qualcosa mi dice che non è andata molto bene.» Il vestito era sudicio, infangato e strappato in alcuni punti.

«Dovevo solo prendere alcuni documenti che quel dottore teneva nel cassetto della scrivania,» disse Eva, «ma qualcosa è andato storto e mi hanno beccata.»

Snake prese il suo zaino da terra, rovistò fra le sue cose e tirò fuori un fascicolo. «Questi documenti?»

Eva non poté credere ai suoi occhi: sulla cartelletta c'era il nome del dottor Thu Huong. «Eri qui anche tu per quetsi?»

«Non esattamente.» Snake mise la cartelletta sul tavolo e le fece cenno di prenderla. «Ero qui per il medico,» disse.

All'interno c'era una serie di pagine scritte a mano, tutte in vietnamita, e Snake probabilmente ne ignorava il contenuto. Eva lesse qua e là. Che diavoleria era mai quella? Sembra uscita da un film di fantascienza.

«A quanto pare, il dottor Huong stava conducendo studi controversi e si rifiutava di interromperli,» disse Snake.

«Dov'è adesso?»

«Non appena ha capito che lo avrei portato in America, si è ucciso. Un proiettile in testa, senza esitazione.»

«Cazzo.»

Snake riprese il fascicolo e se lo infilò nello zaino. Non c'era speranza che le consegnasse quei fogli, e con loro aveva perso anche la possibilità di ricevere la misera paga che le era stata promessa.

«Il mandante?» chiese Eva.

Prima di rispondere, Snake si levò il sigaro dalla bocca e lo appoggiò sul tavolo. «Anonimo,» disse.

Ma certo. «Beh, non siamo così diversi, in fondo. Onore e gloria non sfamano, giusto?» Eva rise. «Quindi i casi sono due: o il destino è così ironico da voler una bella rimpatriata tra noi, oppure qualcuno ha organizzato il nostro incontro per un motivo.» Si alzò. «Lascia che mi dia una sistemata e cercheremo di capire cos...» Fece per sfilarsi di dosso il vestito, ma Snake fu subito su di lei e la afferrò per un polso.

«Basta giochetti,» sibilò, «se stai tramando qualcosa e scopro che dietro a questo scherzo ci sei tu, ti giuro che...»

Eva si divincolò dalla presa. «Voglio solo vederci chiaro, poi riprenderemo le nostre strade e non ci vedremo mai più.»

«La mia strada l'ho già scelta tempo fa,» ribatté Snake, duro, «e non ho intenzione di condividerla con nessuno, tanto meno con te.»

Aveva tutte le ragioni del mondo per avercela con lei, ma quel tono... quel tono così apatico non gli si addiceva e non poteva c'entrare solo con una delusione d'amore.

«Cosa ti fa arrabbiare così tanto?» chiese Eva. «È per via di quello che accadde a The Boss, non è vero? Ci stai ancora pensando.»

Snake si voltò di scatto. No, non era lo stesso di Groznyj Grad; qualcosa in lui era cambiato nel profondo.

«Se ti vedo un'altra volta,» le disse, «ti uccido.» Uscì dalla baracca e se ne andò senza voltarsi.

Eva non provò a fermarlo e restò a guardarlo mentre spariva nell'erba alta.

«Cazzo...» Si mise seduta al tavolo, lo sguardo fisso sul fumo del sigaro che si alzava lentamente.

Era andato tutto storto, tutto quanto: da quando aveva perso il lavoro ed aveva dovuto lasciare la Cina, sembrava che la sfortuna non avesse voluto abbandonarla un attimo, rendendo ogni missione che svolgeva un vero e proprio incubo. Ogni volta che aveva cercato di rimettersi in sesto, qualcosa le aveva sempre messo i bastoni fra le ruote. L'incontro con Snake aveva solo peggiorato le cose. Sembrava che il destino avesse un pessimo senso dell'umorismo, o che non fosse riuscita a perdonarla per quello che aveva fatto nella sua breve e incasinata vita.

Nella scatola sotto alla branda, sul fondo del kit di pronto soccorso, c'era ancora la fotografia, ingrigita e stropicciata. Eva avrebbe dovuto consegnarla a Snake, ma non aveva trovato il momento giusto.

«La prossima volta,» sussurrò fra sé e sé, «la prossima volta che ci incontreremo, magari ti darò questa foto. Alla fine, lei voleva che l'avessi tu.»

 

Continua...

   
 
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