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Autore: Ghostclimber    12/11/2023    1 recensioni
Dopo la partita contro lo Shoyo, e l'espulsione dopo il suo spettacolare Slam Dunk, Hanamichi non riesce a smettere di tremare e avere il batticuore.
Ma è solo adrenalina?
Pairing: RuHana
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Anche ore dopo la fine della partita contro lo Shoyo, Hanamichi non riusciva ad arrestare il tremito incontrollabile delle proprie mani.

Appena riusciva a far rallentare un po' il battito cardiaco, un colpo al cuore e riprendeva come prima, come se l'adrenalina di quell'ultimo Slam Dunk che gli era valso sia le lodi del pubblico sia un'espulsione si rifiutasse di scendere a livelli normali.

Nemmeno dopo il pisolino di gruppo non programmato, quando il sonno aveva colto l'intera squadra subito dopo la partita, si era sentito meglio.

Mangiò qualcosa, giusto per non far preoccupare sua madre, poi annunciò che usciva a fare una corsetta; doveva essere stato convincente, perché invece di cazziarlo per mezz’ora lei si complimentò per la sua apparentemente infinita scorta di energie.

Uscì di casa, corricchiò per un isolato o due poi prese un ritmo di camminata rapida; la corsa l’avrebbe veramente sfiancato, ma era troppo nervoso per passeggiare lentamente.

Inconsapevolmente, i suoi passi lo portarono nelle vicinanze del campetto di basket dove Haruko gli aveva insegnato il tiro della plebe; si sedette al centro esatto del campo, chiedendosi come mai nemmeno il pensiero di Haruko gli desse sollievo.

Era come se un tarlo gli si fosse insediato nella testa a sua insaputa, e ora gli stesse rodendo il cervello di nascosto, cercando di arrivare a pensieri che Hanamichi non sospettava di avere: aveva la forte sensazione che sarebbe arrivato a un dunque, ma che quel dunque non gli sarebbe piaciuto neanche un po’.

“Che ci fai qui?” chiese una voce fin troppo conosciuta.

“Non lo so,” rispose Hanamichi con onestà, troppo stanco e troppo esasperato per mettersi a litigare, “Penso, credo, ma non mi sta riuscendo molto bene.”

“Ancora in palla per l’espulsione?” chiese Rukawa, sedendosi di fronte a lui. Doveva essere stanco morto a sua volta, per non aver risposto con una battutaccia.

“Sì. No,” rispose Hanamichi, passandosi una mano tra i capelli, che non aveva acconciato dopo la doccia e che gli cadevano informi sulla fronte.

Rukawa rimase in silenzio per un bel po’, seduto a gambe incrociate di fronte ad Hanamichi, le ginocchia quasi a sfiorare le sue. Hanamichi era ormai certo che non avrebbe più parlato, quando Rukawa aprì bocca: “Non era un fallo chiaro,” disse, con un tono di voce paziente e gentile che quasi lo rendeva irriconoscibile, “Non è difficile che sotto canestro ci siano dei contrasti, anzi. E non sempre viene considerato fallo se l’avversario cade. Il tuo caso sarebbe stato da moviola, ma ovviamente il campionato del liceo non è così tecnologico.”

“Non ho capito…” ammise Hanamichi, alzando gli occhi. Rukawa stava guardando verso il basso, giocherellando con un filo tirato dei propri pantaloni.

“Sto dicendo che non è stata colpa tua. Hai fatto tutto giusto, è l’arbitro che ha deciso di essere severo.” Hanamichi rimase in silenzio ad ascoltare il battito impazzito del proprio cuore. Sembrava essere accelerato ulteriormente, e cominciava a sentire una lieve patina di panico che lo avvolgeva, come se quella imprevista e assolutamente inimmaginabile conversazione civile con Rukawa Kaede lo stesse avvicinando al famoso dunque che non era tanto sicuro di voler trovare.

“Era un bel dunk,” disse Rukawa, ad un volume di voce pressoché inudibile. Il cuore di Hanamichi sembrò tuffarsi da una quindicina di metri; ebbe la netta sensazione di sentirlo in caduta libera verso le budella, dove si fermò con un tonfo che gli scosse tutto il corpo.

“Da… davvero?” chiese. Rukawa si limitò ad annuire.

Sakuragi se ne stette lì impalato a sentirsi la lingua gonfia in una bocca che pareva improvvisamente prosciugata, poi ricordò le buone maniere: “Grazie,” disse.

Rukawa fece spallucce: “È la verità.”

 

Sentirlo parlare civilmente, starsene seduto con lui in un campetto mezzo buio e deserto, sentirgli addirittura enunciare delle lodi nei suoi confronti… tutto ciò dava ad Hanamichi una stranissima sensazione.

Rievocò il momento in cui, dopo l’intervallo tra il primo e il secondo tempo, Haruko e gli amici l’avevano raggiunto per coprirlo di complimenti, per dirgli addirittura che aveva salvato la partita, e si rese conto della differenza tra le due situazioni.

Di fronte ad Haruko si era sentito imbarazzato, quasi troppo elogiato, se una cosa del genere fosse possibile. E un’altra cosa, per quanto assurda: si era sentito felice che i suoi amici fossero lì insieme a loro, perché non avrebbe voluto restare solo con Haruko. Sentirla parlare per dieci minuti di quanto Hanamichi fosse stato bravo, come aveva fatto, ed essere soli mentre lo faceva, avrebbe scardinato la sanità mentale di Hanamichi, e non in senso buono.

Gli avrebbe montato ulteriormente la testa, e Hanamichi ad un livello razionale sapeva di avere certe tendenze: voleva sentirsi utile, voleva sentirsi amato, voleva che gli altri fossero felici di vederlo, ma in fondo non voleva che la gente gli propinasse cazzate assurde su come lui aveva salvato una partita. Aveva salvato il morale, questo sì, e aveva portato alla luce una piccola speranza di farcela, ma a voler essere sincero con se stesso non sarebbe servito a un cazzo se Rukawa non avesse segnato quella caterva di punti nel primo tempo.

Forse era quello, si disse, forse era quello essere parte di una squadra. E forse, forse era sempre così astioso nei confronti di Rukawa, perché col proprio individualismo gli stava impedendo di rapportarsi con lui, magari non ancora da pari a pari ma certo da compagno di squadra. Rukawa faceva muro, e più faceva muro più ad Hanamichi veniva voglia di spaccargli la faccia a cazzotti.

Ma ora Rukawa era qui, chissà quale scherzo del destino l’aveva portato a vagare fino al campetto dove Hanamichi era intento a meditare su se stesso, e stava aprendo uno spiraglio dal quale Hanamichi poteva aprire una breccia.

“Rukawa?” chiamò.

“Nh?”

“Quella frase che mi hai detto… cosa voleva dire?”

“Quale?”

“Quella che è un peccato per le mie capacità.” Rukawa rimase in silenzio a lungo, tanto che Hanamichi ebbe l’irrazionale tentazione di scusarsi, come se gli avesse posto la domanda più imbarazzante e scomoda del mondo.

“Hai talento, e segnatelo bene perché non me lo sentirai ripetere mai più,” disse infine Rukawa. Hanamichi, che aveva ricominciato a guardare verso il basso senza nemmeno accorgersene, alzò la testa così di scatto che si sentì scricchiolare le vertebre.

Rukawa lo fissò negli occhi, e il contatto visivo fece sentire Hanamichi in imbarazzo, quasi come se fosse nudo e Rukawa fosse entrato nella stanza, anche lui senza vestiti.

“Non giochi pulito, ma questo vale per molti giocatori, non solo a livello amatoriale. Il tuo gioco è esplosivo, cazzo giochi da tre mesi e riesci a dettare il ritmo della partita!” Rukawa sembrava infervorato, e si alzò di scatto per camminare nervosamente fino alla linea dei tre punti. Hanamichi, ipnotizzato, lo seguì.

Rukawa si voltò e sussultò nel trovarsi quasi petto contro petto con Hanamichi. La serata stava cominciando a diventare fredda, dopotutto era ancora maggio, e il corpo di Rukawa sembrava emanare un calore corroborante. Hanamichi pensò che gli sarebbe piaciuto accoccolarvisi dentro e scacciò il pensiero con una punta di ansia: sapeva che sarebbe tornato a tormentarlo.

“Non voglio che quel fallo ti faccia cambiare modo di giocare. Non voglio che tu sia condizionato da quel dannato fischio. Se ti metti a giocare pulito, giuro che è la volta buona che ti spacco davvero la faccia.” Hanamichi non rispose. Era troppo sconvolto per rispondere. Poteva far fatica a capire quella frase del cazzo che Rukawa gli aveva propinato dopo l’espulsione, ma qui il sottotesto era di una chiarezza abbacinante: Rukawa gli stava dicendo che il suo gioco era necessario alla squadra.

Grezzo, forse, a tratti brutale, ma era necessario alla squadra quanto i tiri da tre di Mitsui e la regia di Miyagi e la capacità di far punto di Rukawa stesso.

D’un tratto, Hanamichi si rese conto di quanto fossero vicini. Quasi a distanza di bacio, il respiro caldo e affannoso di Rukawa che sfiorava le labbra di Hanamichi; invece di scattare all’indietro disgustato, Hanamichi non si mosse. Temeva che, muovendo un solo muscolo, si sarebbe invece fiondato in avanti, su quelle labbra rosse e lucide da bambola di porcellana.

Il pensiero irrazionale che sarebbe dovuto essere messo fuorilegge per un ragazzo avere delle labbra tanto belle lo attraversò come un treno merci che non effettua fermate, ma quando fu passato si lasciò indietro una cruda consapevolezza: era quello, ciò di cui Hanamichi aveva paura. Il famoso dunque che gli faceva battere il cuore a mille e che lo stava facendo sentire instabile sulle gambe da quel pomeriggio.

“Farò del mio meglio,” riuscì a esalare; si sentì ridicolo, e si chiese se Rukawa avesse sentito il suo respiro fin troppo concitato. Se n’era reso conto solo mentre lo faceva, ma aveva respirato più forte del necessario nella speranza che Rukawa fosse travolto dalle stesse sensazioni che stavano travolgendo lui. E che fosse meno timido di lui.

Rukawa non diede l’impressione di essersene accorto. Annuì impercettibilmente, poi fece mezzo passo indietro e l’incantesimo si spezzò.





Una Ruhana a due giorni dalla pubblicazione dell'ultima? E pure l'ultimo capitolo di Quel Che Resta Dell'Adolescenza? Siamo seri?
Sì, siamo seri, non fateci l'abitudine che io ho smesso di fare programmi ahahaha
Anyway, spero abbiate apprezzato, ringraziate il mio amico Elliot che mi ha chiesto di fare la maratona di SD perché vuol capire di che cazzo sto parlando, lasciatemi un commentino se questa storia vi piace!
Mitsui dalla regia: "Tanto con quel titolo lo sappiamo dove vai a parare..."

XOXO

   
 
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