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Autore: Mai Valentine    20/11/2023    0 recensioni
Alister Tempest dopo quindici anni di lontananza dal regno di Nimai riceve una lettera: il futuro re Ivan Tempest è morto. Ad Alister non importa, la sua vita è nel regno di Shankara con Diamante, la donna che ama ma gli eventi precipitano in fretta e sei mesi dopo approda sulle coste di Corak, capitale del regno di Nimai. Ultimo Tempest maschio in vita accetta per obbligo il matrimonio con Eva Tempest. Tuttavia, Ivan ha avuto un figlio da una nobile decaduta e Alister è intenzionato a trovarlo. Anche nella foresta, regno delle creature magiche che circonda Nimai è giunta voce del ritorno di Alister, figlio di Haster Tempest, nemico di tutto il regno magico. Alena fata della notte e regina di tutte le creature magiche, oltre a temere il ritorno del giovane cavaliere come erede al trono, ha paura dell'antica profezia che incombe sull'amore proibito tra sua figlia Menf Shimai e il figlio degli uomini venuto dall'Oriente.
Cinque anni dopo il suo ritorno a Corak, Alister si troverà a combattere tra il dovere e l'amore e a proteggere il regno di Nimai da un'oscura minaccia.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo III

Corak

La città in quell’ora del giorno era in totale in subbuglio. La processione presso la cattedrale del sole era appena iniziata. Dame e cavalieri entravano dalla porta principale. I poveri da una entrata posteriore. La folla accalcatasi non permetteva il passaggio. La guardia cittadina faticava a mantenere l’ordine. La galoppata di Ciel fu subito interrotta e a niente valsero le grida di Alister. Dalla parte alta della città non si poteva più uscire. Il capitano smontò dal destriero bianco, accompagnata da Cosmo, sgomitando tra la folla. Riuscí solo dopo un lungo quarto d’ora a sbucare in una delle strade secondarie e a proseguire verso la parte bassa del borgo. Montò nuovamente a cavallo e fu costretto a percorrere tutta la cinta muraria a guardia della porta d’ingresso vi erano due uomini uno alto ma dal ventre prominente e l’altro più basso e più snello dai capelli rossi. Nessuno passava da quella parte della città, quasi del tutto abbandonata. Osservarono il cavaliere che si avvicinava, pensarono subito che cavalcasse un bel stallone, portasse in vita una bella spada e una sacca piena di soldi. Erano guardie della città ma degli stranieri che si perdevano non avevano interesse. Fermarono il capitano bloccandogli il passaggio con le lance. Ciel nitrì ritirandosi. Alister aggrottò le sopracciglia ma con un sorriso domandò «C’è qualcosa che non vi piace di me o qualcosa che vi piace troppo?». I due uomini si scambiarono una fugace occhiata, ignorando l’allusione, si fece avanti il più anziano. «Sì – sputò in terra – la tua faccia, straniero». Alister quasi scoppiò a ridere ma si trattenne. Il colore della pelle ambrata, i capelli lunghi e raccolti in una crocchia, la barba folta e i pantaloni larghi e ampi potevano trarre in inganno ma al petto brillava la spilla d‘oro della Volpe Rossa Incoronata, simbolo dell’Ordine. Cosmo ringhiò alle guardie mostrando i denti bianchi e aguzzi. Alister avrebbe voluto continuare a giocare con loro ma non aveva più tempo da perdere o sarebbe arrivato al Castello solo nel tardo pomeriggio, dal punto in cui si trovava ci volevano diverse ore. «Vi sbagliate, non sono uno straniero. Sono Alister Tempest, capitano dei cavalieri dell’Ordine» disse avanzando. I due uomini risero. Alister Tempest in una zona sperduta della città, lontano dal castello o dai bordelli. Risero più forte. Il capitano gridò contro Cosmo. Il cane afferrò la gamba della guardia più giovane che lanciò un urlo di dolore. L’uomo più alto colpì con un calcio la pancia del cane. Alister reagì. Scoppiò una rissa. Il capitano aveva battuto altri uomini in passato in un numero maggiore del suo. Le due guardie si avventarono sguainando le spade, Alister schivò entrambi e colpì con l’elsa della spada la schiena di uno e con un pugno lo stomaco dell’altro. Gli uomini si rimisero subito in piedi. Un cazzotto in pieno volto spinse il capitano contro un albero il più grosso si avventò su di lui ma con un calcio lo spinse in terra. Il più magro si lanciò ncora prima di essere aggredito da Cosmo una seconda volta. Le due guardie ferite si sollevarono da terra barcollando e affannando non avevamo mai conosciuto uno così resistente e forte. Alister richiamò a sé il cane. Sangue gli colava dalla tempia fino al colletto della camicia bianca. Il capitano ritenne chiusa la questione. Sentì solo un colpo. La testa girare. Cosmo guaì. Il nulla.
 ***  

Harald Tempest osservava il parco del castello dalla grande finestra della biblioteca. Era una calda giornata di metà Aprile e le sue amate volpi giravano nel giardino, in piena libertà. Lily, la sua preferita dormiva su un cuscino di velluto mentre il re seduto sulla grande poltrona leggeva e firmava documenti. Attendeva con ansia l’arrivo dei cavalieri. La missione che li attendeva era di fondamentale importanza. Ritirare i tributi dal mondo magico significa aprire ogni volta una profonda ferita nell’orgoglio della regina Alena. Sospirò nervosamente. La sabbia nella clessidra scivolava lentamente. Il dolore alla gamba, però, aumentava di giorno e in giorno. Ancora camminava ma quasi più non riusciva a salire le scale, spesso era confinato nella sua biblioteca, nella sala del trono o nella camera da letto. Iris amorevolmente si prendeva cura di lui, lei tanto più giovane e tanto più bella aveva sposato un uomo forte e ora si trovava con un vecchio, malato. Vide Eva giocare le volpi e pensò a lei, all’uomo che stava per sposare. Alister si univa in matrimonio con Eva solo per dovere. Aveva sperato che l’amore tra loro sbocciasse ma non era successo. L’uno per l’altra provavano indifferenza. Alister si divertiva con le donne e frequentava i bordelli, tutti difetti sopportabili per un futuro re. Eva sarebbe stata contenta di saperlo il più lontano possibile da lei. Tuttavia, era fiducioso di lasciare il regno in buone mani, forse avrebbero trovato un accordo su come regnare. Sull’amore invece. Sospirò. «Lily, mia cara sarebbe stato tutto più facile sé… Avanti!» disse. La porta della biblioteca si aprì. Il consigliere Omarki entrò accompagnato da un garzone che teneva tra le mani una coppa dal quale fuoriusciva un intenso fumo verde. Harald indicò di posare sulla scrivania colma di libri l’intruglio, poi congedò il ragazzo. Il consigliere mischiò la medicina e la porse al sovrano «Affinché serva a placare questo atroce dolore alla gamba». Odiava quella pozione, lo trascinava in un lungo e profondo sonno. «Ci vuole tempo mio signore, deve essere paziente» rispose il consigliere. Harald portò alla bocca l’intruglio, arricciando il naso per il forte odore che emanava. «Lo berrò dopo. Hai notizie dell’Ordine?» disse guardando la mappa del regno. Omarki abbozzò un sorriso. «Sì, ho saputo che sono partiti all’alba ma con loro non c’era il capitano». Harald corrugò la fronte ma non fece domande «sarà meglio riceverli nella sala del Trono» con sofferenza prese il bastone incamminandosi lentamente seguito da Omarki e da un servo che attendeva fuori la porta. ***  

Corak non era lontana dal castello ma quel giorno abbandonare la città era stato difficile. Ogni via principale era colma di mercanti accampati. Poveri, ricchi, nobil, venditori di ogni sorta si spingevano alla dogana per pagare l’obolo che gli avrebbe permesso di entrare e gli uomini dell’Ordine avevano dovuto scegliere strade secondarie e allungare il percorso ma ormai erano nelle vicinanze del castello. Dalla città in lontananza suonò la campana che segnava l’ora della metà giornata. In quel punto della strada la campagna di Corak era immensa e si estendeva per diversi chilometri. Ogni ettaro apparteneva ai Tempest. Contadini dalla pelle bruciata dal sole lavoravano la terra del re. Un mare di grano si estendeva al loro passaggio. Quel giorno il lavoro nei campi era sospeso per ringraziare il Dio. Gli uccelli cinguettavano rumorosamente al loro passaggio. Rea aveva lo sguardo fisso innanzi a sé, i suoi compagni la seguivano sventolando il vessillo reale. Dalle fattorie muggito delle mucche, il latrare dei cani e il belare delle pecore rimbombavano nell’aria silenziosa. Incrociarono solo un pastore che portava le pecore al pascolo. Il ragazzo da lontano ammirò i cavalieri sui loro splendidi destrieri mentre i cani vigilavano sugli ovini. Finalmente innanzi agli occhi dei cavalieri si intravedevano le alte torri del castello.
 ***  

Doug, figlio dei proprietari della La Dama D’Argento stava sistemando i sacchi di farina da carro al granaio quando udì provenire dall’ingresso principale un forte rumore. Si precipitò all’ingresso armato di pugnale che posò subito. Beatrice seduta in terra veniva strattonata da un bambino. Doug aiutò la camera ad alzarsi. «Cosa succede?» domandò con tono preoccupato. Il bambino continuava a tirare il grembiule della gonna di Beatrice bofonchiando dall’agitazione parole sconnesse. Beatrice sollevò lo sguardo su Doug. «Regan è scomparso. Devo andare. Perdonami» e Beatrice afferrò la mano del ragazzino e si incamminò a passo svelto tra i vicoli della città. Doug restò immobile confuso. I banconi dei mercanti erano presi d’assalto da nobili dame che si contendevano le stoffe più pregiate, in una via secondaria la folla acclamava una scimmietta che girava su una sfera colorata e dalle strade secondarie si respirava un profumo intenso di cibo e spezie che attirava i viaggiatori. Le guardie circondavano la città armati ma nulla turbava l’allegria tra la folla. Beatrice rossa in volto e con il cuore che le batteva in gola aumentò il passo. La Cattedrale del Dio Sole si ergeva su venti scalini coperti da un tappeto rosso. Le mura forgiate con il marmo più puro splendevano a ogni ora del giorno e della notte. I raggi del sole si riflettevano nel grande rosone illuminando l’interno. Due statue della Madre poste all’entrata scolpite nell’arga viola prostate in preghiera posavano lo sguardo sui fedeli. La porta d’ingresso era un imponente struttura in ferro e oro sulla quale erano incise l’immagine del re incoronato dal Dio. Su ogni lato delle mura le splendide vetrate raffiguravano scene di vita quotidiana dei Sanctus, uomini e donne che avevano servito il Dio. Beatrice prese fiato per la lunga corsa. «Scansati, pezzente» disse un uomo con indosso abiti di pregiata fattura, spingendola con un bastone. Beatrice tornò alla realtà. L’uomo ricco era accompagnato da un Pastore della Cattedrale, lo si distingueva dagli altri per la sua veste d’oro e i suoi anelli. «I poveri sono ovunque e non sa quanti ne cacciamo ogni giorno. Deturpano queste splendide mura». Le guance di Beatrice si tinsero di rosso, come i suoi capelli, per la rabbia e per la delusione. Corse ancora dando le spalle alla Cattedrale. Il bambino era sgusciato tra la folla e l’aveva perso di vista, per fortuna conosceva molto bene la via. Dopo aver attraversato la strada vi era una piazza secondaria con al centro una fontana e due possenti volpi di bronzo a guardia della porta. Bambini giocavano tra loro arrampicandosi sulla schiena delle bestie riempiendo di voci la via deserta. Di fronte alla fontana si estendeva un vicolo stretto tra due palazzi, il manto di strada era rotto. Entrando nella stretta via si espandeva l’odore acre del vino, mischiato all’urina e alle carcasse di animali in putrefazione. Un ratto di grosse dimensioni le passò sotto la gonna. Alla fine del vicolo si ergeva solitario un edificio di pietra grezza, dal tetto spiovente e in legno circondato da un giardino e un orto. Boris pastore dell’Orfanatrofio, aveva fatto costruire un piccolo laghetto e al suo interno nuotavano pesciolini rossi e rami di un salice piangente affondavano nell’acqua. Bambini di ogni età vivevano in quel grande edificio di pietra grezza, freddo d’inverno e troppo caldo d’estate. «Guardate c’è la donna dai capelli rossi!» gridò un bambino che stava inseguendo un cane. In un attimo fu circondata dai volti incuriositi delle bambine e dei bambini che fecero baccano svegliando il vecchio e grasso pastore. «Cosa succede, cosa succede!» gridò borbottando sollevando il suo corpo tondo dalla sedia a dondolo annaspando per la corsa. I bambini ridevano a ogni movimento del ventre del vecchio. «Uff, smettetela di ride. Uff chi è arrivato» disse inforcando gli occhiali sul naso e sul volto si dipinse un sorriso misto a preoccupazione quando riconobbe Beatrice. Il Pastore abbracciò la donna e la invitò a entrare nell’edificio. Il gradino dell’ingresso cigolò. L’ingresso era spoglio e sporco, una sola finestra illuminava la stanza. Nella sala maggiore cianfrusaglie erano abbandonate alla polvere, libri giacevano in disordine su un tavolo basso e i pochi giocattoli dei bambini era rovesciati in terra, un gatto nero dormiva placidamente su una poltrona rotta. Dalla cucina proveniva l’odore di una zuppa d’aglio e cipolla. Gualtiero la invitò a seguirlo nella biblioteca. Il Pastore chiuse la porta alla spalle con un tonfo e barcollando aprì una vetrinetta stappando una bottiglia di liquore riempendo due bicchieri, fece cenno a Beatrice di sedersi. La giovane donna si accomodò su una sedia sgangherata, le mani torturavano la stoffa della gonna. Il Pastore buttò giù d’un fiato il liquore. Le guance pallide si infiammarono e soddisfatto schioccò la lingua sul palato. La cameriera pallida in volto guardava il vecchio che faceva oscillare la poltrona avanti e indietro con nervosismo. Beatrice esasperata da borbotti sconnessi perse la pazienza sbattendo le mani sulla scrivania «dov’è Regan?» domandò decisa. Gualtiero rispose tossendo «Non lo sappiamo – disse asciugandosi la fronte con un fazzoletto– Pensavamo si fosse allontanato per partecipare alla festa e lo Abbiamo cercato per tutta la città senza risultati» disse con voce tetra. Beatrice portò alle labbra il bicchiere e bevve il liquore per calmare i nervi. Le mani le tremavano. Il Pastore balbettò «però… ecco noi abbiamo un sospetto». Beatrice alzò lo sguardo sull’uomo e il cuore prese a battere più velocemente. «Forse ha seguito Boris. Deve essersi nascosto da qualche parte ed è partito per il Castello. Boris è in missione con l’Ordine per raccogliere i tributi delle fate». Il cuore della donna sobbalzò. Suo figlio al castello con Boris, Alister e i cavalieri dell’Ordine in partenza per la Foresta; i pensieri più cupi le balzarono in mente. «Non preoccuparti figlia mia, se è lì come pensiamo il capitano si prenderà cura di lui e il re è un uomo buono». Beatrice abbassò il capo coprendosi il volto con le mani lasciandosi andare a un pianto liberatorio. Il Pastore batté una mano sulla spalla della donna sussurrando «Andrà tutto bene».



Angolo Autrice: 
Buonasera, ecco il nuovo capitolo. Piano, piano stiamo entrando nel vivo della storia. Spero che comunque fino a qui sia riuscita ad attirare la vostra attenzione.
Vi ringrazio, alla prossima. 
Un caro saluto. Mai Valentine/ladamacolcappello.
   
 
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