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Autore: quenya    28/11/2023    3 recensioni
Una bufera di neve fuori stagione sta per abbattersi su Nerima quando Ukyo trova, nel suo cortile, un maialino nero letteralmente piovuto dal cielo. Sarà l’inizio di una bizzarra convivenza tra due anime solitarie che piano piano usciranno dal torpore della rassegnazione in cui erano cadute…per scoprire, in modo inaspettato, di non essere più sole.
Una storia interamente dedicata alla coppia Ryoga e Ukyo, che ho amato per tutta la vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ryoga Hibiki, Ukyo Kuonji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5

 

 

 

Dopo quasi un’ora, mentre fuori la neve continuava a turbinare per le strade deserte, Ryoga e Ukyo erano ancora intenti a chiacchierare e a mangiare cioccolata.

Erano arrivati allo strato inferiore di cioccolatini, ma quando la ragazza ne scartò uno, avvolto in una cartina di un rosso acceso, a momenti si strozzò dalla sorpresa.

“Che c’è?”, chiese Ryoga, alzando un sopracciglio. “Non è buono?”.

“P… p… pizzica!”, rispose lei, dopo che i suoi sensi si furono ripresi da quell’attacco a sorpresa.

L’altro alzò un sopracciglio, stupito.

“Cioccolata piccante? Ma non è possibile!”, commentò scegliendone uno e assaggiandolo. “Uhm… però. Strano, ma niente male”. Ne prese un altro e fissò pensosamente il soffitto mentre lo assaporava. “Anzi, sai che ti dico? Mi piace anche più degli altri”, disse prendendone una manciata.

“Dici?”, chiese Ukyo, scartandone altri per pura curiosità. “Beh sì, in effetti hanno un sapore particolare, anche se quella al latte rimane la mia preferita”.

“Oh andiamo, è solo perché è terribilmente dolce. Invece questo leggero gusto piccantino gli dà…”.

Leggero? Vuoi dire che finora non ti hanno ustionato la lingua?”.

“Vuoi scherzare? Se questi li trovi così forti, allora non hai mai provato la cucina indiana. O quella messicana”.

“Sei arrivato fino in MESSICO?”, boccheggiò lei, ad occhi sgranati.

Ryoga ebbe la decenza di assumere un’aria imbarazzata.

“Probabilmente no, ma non ne sono sicuro”, rispose, grattandosi la testa.

“Ma come… oh, lasciamo perdere. Vuoi un po’ di tè? Ho bisogno di qualcosa che mi spenga l’incendio che ho in bocca”.

“Sì, grazie”.

Ukyo si alzò dallo sgabello e con un gesto fluido si tolse la maglia di pile che indossava, restando solo con il top, visto che, tra il riscaldamento a pieno regime e il calore del peperoncino, adesso sentiva quasi caldo. Poi, con tutta calma, si voltò verso la cucina per prendere due tazze e riempire il bollitore. Dietro di lei ci fu uno strano rumore strozzato, ma fu coperto dall’acqua che scorreva, così non si accorse di nulla.

Un metro scarso più in là, Ryoga Hibiki aveva appena ricevuto lo shock della sua esistenza.

O meglio, uno dei tanti che aveva avuto da quando aveva messo piede in quel ristorante, soltanto un giorno prima.

Era già stato abbastanza surreale il fatto di aver passato tutto quel tempo a conversare con Ukyo come se fosse stata la cosa più normale al mondo, quando in realtà quella era probabilmente la conversazione più lunga che lui avesse mai fatto con una ragazza in tutta la sua vita, Akari compresa. Poi si era svolta tutta la scena della cioccolata che, esattamente come aveva sperato che accadesse con Akane, si era rivelata quasi… intima, il che lo aveva confuso parecchio.

E adesso quello.

Quando, in forma di P-chan, aveva rivisto Ukyo dopo mesi passati dall'ultima volta che l'aveva incontrata di persona, Ryoga si era vagamente reso conto che in lei c’era qualcosa di diverso rispetto al passato. Non aveva però saputo dire cosa fosse, a parte il fatto che era vestita diversamente e non indossava la sua consueta divisa violetta da chef. Nel momento in cui, però, si era spogliata per cambiarsi, tutto gli era finalmente apparso chiaro: la figura magra e un po’ scarna dell’adolescente che aveva incontrato per la prima volta tanti anni prima si era ormai definitivamente trasformata in quella di una donna adulta. Aveva cercato ovviamente di non guardarla, per rispetto della sua privacy, ma la ragazza lo aveva addirittura stretto al suo petto ed a quel punto non c’era stato modo di ignorare la questione.

Per sua fortuna, fino ad ora era riuscito a tenere a bada le proprie reazioni, dato che i vestiti invernali erano riusciti un po' a mascherare l'entità di quelle curve, ma adesso…

Adesso Ukyo stava indossando lo stesso top e pantaloni neri che aveva nel ‘Tunnel del Perduto Amore’, solo che ormai erano passati almeno quattro anni da quella gita e il risultato era che entrambi gli indumenti ora sembravano aderirle come una seconda pelle.

Nonostante avesse passato una notte intera a stretto contatto con quelle forme, Ryoga era stato molto attento a non guardarla troppo. Forse era un riflesso ormai condizionato dagli anni passati ad evitare di farsi scoprire da Akane, oppure un radicato istinto di sopravvivenza, ma in generale evitava sempre di indugiare in occhiate non appropriate. Solo che stavolta era stato colto di sorpresa dal gesto quasi noncurante con cui Ukyo si era spogliata e non era stato assolutamente preparato all’impatto che l’improvvisa vista di quella scollatura straripante e quel fondoschiena sensualmente fasciato dai pantaloni attillati avevano avuto sui suoi sensi.

La mano gli volò a stringere il naso.

Dannazione, ci mancava solo questa! Come se non bastasse aver avuto pensieri indecenti su di lei la notte scorsa… ma almeno era coperta da uno yukata pesante! Ora come faccio con tutto questo panorama sotto agli occhi?, si chiese, guardando il soffitto e contando mentalmente fino a cento per calmarsi. Non era certo una novità che si agitasse sempre quando una ragazza carina gli si avvicinava troppo, ma sentirsi svenire solo alla vista di certe rotondità rasentava il ridicolo. Niente pensieri strani, ricordi? Ukyo è sempre Ukyo. Quella manesca che ti chiama costantemente idiota e che poco fa ha minacciato di staccarti tutte le dita se solo ti azzardi a guardarla un po' più a lungo.

“Ryo-chan, tutto a posto? Hai la faccia tutta rossa”, chiese la giovane chef all’improvviso e quando si girò a guardarla se la ritrovò a pochi centimetri di distanza: piegata sul bancone, con la scollatura di quel dannato top che lasciava intravedere curve di cui fino a qualche giorno prima non aveva neanche mai sospettato l’esistenza e con degli occhi blu che lo osservavano curiosi.

Coltpito e affondato da quella visione, Ryoga si strozzò quasi con il suo stesso respiro e non dovette neanche faticare più di tanto a trovare una giustificazione per il suo volto in fiamme, perché subito dopo attaccò a tossire.

“M-mi è… andato… di traverso… un cioccolatino“, fu la prima scusa che riuscì ad articolare. Va bene, Ukyo È carina. Adesso calmati!, si disse cercando disperatamente di guardare da un’altra parte e di allontanarsi da lei.

“Oh, caspita, deve anche bruciare”, rispose Ukyo, posandogli davanti una tazza di tè e – con suo grande sollievo – ritirandosi verso la sua parte di bancone.

“Hum… già”, rispose distrattamente, facendo grossi respiri.

Ryo-chan? E questo da dove è uscito? Pensavo che i vezzeggiativi fossero riservati soltanto a Ranma… pensò nel frattempo, sempre più confuso.

“Ah, ora va molto meglio”, sospirò lei, dopo che ebbe bevuto un lungo sorso di tè. “Non capisco proprio come fai a dire che non sono piccanti”.

"Eh… uhm… questione di abitudine credo”, rispose Ryoga sempre un po’ nervosamente, guardando nella propria tazza per evitare di cadere nella tentazione di quella conturbante esposizione di pelle.

“Forse sarà stata anche la quantità… li abbiamo fatti fuori quasi tutti”, commentò Ukyo, osservando il mucchio di cartine vuote ammassate sul bancone. “Diavolo, spero proprio che questo festino a base di cioccolata non abbia troppe ripercussioni sulla mia linea. Sono già abbastanza rotonda così come sono”, bofonchiò, passandosi una mano sul tessuto aderente dei pantaloni.

“Questa è una cosa che non capirò mai delle donne. Perché vi piace lamentarvi di cose che non esistono? Oppure è solo un modo di estorcere complimenti?”.

“Estorcere che cosa?”, gli ripeté lei minacciosamente, scattando in piedi, pronta a difendere il suo punto di vista e tutta la categoria femminile. “Senti un po’, razza di idiota! Se pensi che io sia come quella stupida smorfiosetta cinese che pensa solo a strusciarsi a Ran… uhm… agli uomini, allora hai capito male!”, disse afferrando al volo la sua amata mega-paletta e assestandogli un deciso colpo sulla testa.

“Ehi, io non ho detto niente del genere!”, protestò sfregandosi il secondo bernoccolo della giornata. “Volevo solo dire che non hai niente da lamentarti”.

“…se dico che sono rotonda è perché… uh…”, continuò intanto la cuoca, fino a che realizzò che, in effetti, non le aveva propriamente rivolto un insulto. “Davvero?”, chiese, un po’ a disagio, forse non sapendo come interpretare quelle parole.

“Certo”, le rispose con aria perplessa, completamente spiazzato da quel cambiamento così radicale di umore.

Con un sospiro, Ukyo scosse la testa e mise via la spatola.

Dopotutto, anche se in maniera un po' contorta, Ryoga le aveva appena fatto un garbato apprezzamento alla sua figura così, cercando di non leggerci dietro più significati di quanto non ce ne fossero, provò a rilassarsi. Doveva ammettere che, alle volte, si faceva prendere dalla rabbia con un po' troppa facilità.

“Allora, come va? Funziona o no questo antidepressivo naturale?”, gli chiese, sorseggiando il tè per ammorbidire la gola ancora un po' irritata e cercando di cambiare argomento.

Ryoga sembrò pensarci un po’ su e poi le sorrise, mettendo pienamente in mostra quei suoi caratteristici canini aguzzi e sfoderando totalmente a sorpresa un sorriso che avrebbe sciolto un iceberg in un secondo.

“Credo proprio di sì”.

La ragazza per poco non infranse la sua tazza preferita, talmente fu violento l’impatto di quel sorriso su di lei. Le mani le presero improvvisamente a sudare, le pulsazioni si triplicarono, il respiro le si bloccò in gola e la temperatura della stanza sembrò improvvisamente acquistare almeno una decina di gradi in più.

Mai, in tutta la sua vita, aveva visto Ryoga sorridere in quel modo perché, di solito, era sempre troppo serio, arrabbiato o depresso per farlo. Per un attimo si ritrovò a pensare che fosse un vero peccato che non sorridesse più spesso, ma dopo circa un secondo cambiò idea. Se avesse continuato a sorridere in quel modo… con quel sorriso spontaneo, luminoso e sincero, avrebbe fatto una strage di cuori nel giro di due giorni.

E non era affatto sicura di poter escludere se stessa da quel numero.

Ma cos’accidenti mi succede? Di solito non mi accorgo neanche di lui… perché adesso riesce a farmi battere il cuore con un semplice sorriso? Ormai non mi capita più nemmeno con Ranma!

“Ah… bene. Se non altro per oggi ho salvato il mio ristorante, allora”, riuscì a replicare, con un notevole sforzo di concentrazione. All’improvviso le mura sembrarono quasi restringersi su loro due e la vista del ragazzo le riempì tutta la visuale: Ryoga, con i suoi capelli scarmigliati, quegli occhi così intensi e profondi e quella maglietta nera sfilacciata che gli lasciava così dannatamente in evidenza i muscoli delle braccia… chissà che effetto doveva fare sentirle intorno a sé?

“Ukyo, ti senti bene? Hai un’aria strana...”.

Bruscamente strappata alle sue fantasie, lei tornò alla realtà con un sussulto e quando si passò le mani sulle guance, scoprì che scottavano. Cercò disperatamente di calmarsi e di guardare da un’altra parte.

“Eh… ah… non è nulla, è solo che il tè era… bollente".

Si, bollente come i miei pensieri, accidenti a me!, pensò, indispettita da quella mancanza di controllo sui propri ormoni.

Lo sguardo si posò su un foglietto che spuntava dal fondo della scatola di cioccolatini.

“E questo?”, mormorò, internamente grata per il diversivo. Spinta dalla curiosità lo aprì, ma con suo grande disappunto scoprì che era scritto soltanto in una strana lingua che non conosceva e in inglese. Cercò di tradurre quest’ultima parte, ma la sua limitata conoscenza scolastica non le permise di capirci molto. Alla fine lo tese verso Ryoga.

“Che cos’è?”, chiese perplesso, guardando alternativamente prima il biglietto e poi lei.

“È quello che vorrei sapere anche io. Potresti tradurlo?”.

“Ma certo”, rispose mettendo via la tazza di tè che stava bevendo e iniziando a leggere. Dopo poche righe, però, successe l’imprevedibile: Ryoga impallidì. Il che rese Ukyo molto, molto sospettosa.

“Che dice?”.

“Ah… uhm… niente di importante è solo… solo… una spiegazione dell’origine del cioccolato… hehe… già, proprio così”.

La ragazza sollevò gli occhi al cielo. Quel tipo non sapeva proprio mentire.

“Sì, come no. Avanti cosa c’è scritto veramente?”, chiese, e quando vide che lui non sembrava decidersi a risponderle, tirò fuori la sua fedele spatola gigante e gliela puntò contro. “E non provare a mentirmi di nuovo, se non vuoi ritrovarti con qualche arto o estremità in meno”.

Il bordo tagliente della spatola aveva un luccichio sinistro e Ryoga deglutì.

“Ehm… ok. La parte sull’origine del cioccolato è vera, ma dice anche che… la cioccolata al peperoncino ha… uh… come dire… degli effetti.... ecco… particolari”.

“Che tipo di effetti?”, insistè Ukyo avvicinando di più un angolo affilato alla sua gola.

Ryoga deglutì ancora e iniziò a sudare. Sapendo benissimo il pericolo a cui andava incontro, la sua mente prese a lavorare febbrilmente, nel disperato tentativo di trovare un’alternativa credibile alla verità. Peccato che, per sua immensa sfortuna, sapeva altrettanto bene di non essere capace di mentire, neanche per salvarsi la vita.

“...siaci”, mugugnò alla fine, talmente piano che Ukyo riuscì a capire solo una parte della parola.

“Cosa? Ti vuoi decidere a parlare, o devo ridurti ad un ammasso sanguinolento?”, lo minacciò con gli occhi ridotti a due fessure. Quando lui scosse la testa e alzò le mani in segno di resa, si rilassò un pochino. “E adesso sputa fuori questa maledetta parola, Hibiki. Forte e chiaro".

Ryoga fece mentalmente un sospiro di rassegnazione. Quello che non uccide, fortifica, pensò, prendendola con filosofia.

“Afrodisiaci”.

Un momento di assoluto silenzio regnò nel piccolo ristorante. E fu proprio in quel breve lasso temporale che tutti gli esperti di arti marziali del quartiere avvertirono, contemporaneamente, quel particolare brivido lungo la schiena che di solito indicava un grande pericolo. Tutti si tesero, in attesa di un evento di qualche tipo e un secondo dopo, con immancabile precisione, questo arrivò sotto forma di un grido di profondo oltraggio che, riverberando nell’aria come la scarica di fulmine, coprì il suono cupo del vento, provocò qualche slavina sui tetti e riecheggiò dolorosamente nelle orecchie di tutto il vicinato.

“BRUTTO IDIOTA, CHE ACCIDENTI MI HAI FATTO MANGIARE?”, urlò Ukyo, accompagnando ogni parola con una palettata sempre più decisa alla testa di un malconcio Ryoga, che ora sfoggiava un assortimento da record di bernoccoli, un paio di occhi a spirale e un colorito sempre più violaceo.

“Io… veramente… non sapevo che...”, cercò di rantolare il ragazzo, tra una botta e l'altra.

“Arrrgghh, razza di maniaco! Era tutto calcolato, vero? Il tuo capitare davanti al ristorante per caso… la faccenda della cioccolata… era tutta una messinscena, un piano per approfittarti di me?”.

A quel punto, Ryoga riprese i sensi.

“Piano? Messinscena? Ma di che accidenti stai parlando?”, chiese con un tono basso e minaccioso, afferrando la paletta gigante con una mano per scostarla dalla sua gola e rialzandosi da terra.

Nonostante la furia, Ukyo ci rimase male quando vide Ryoga liquidare con tanta facilità la minaccia della sua adorata arma, come se al posto di un'enorme pala di affilato metallo lei lo stesse incalzando con niente di più che un foglio di carta, ma poi la rabbia la fece riprendere e tornò a puntargliela contro.

“Hai comprato appositamente quella cioccolata con l’intento di approfittare dei suoi effetti!”.

“Assolutamente no! Non avevo mai mangiato cioccolata fino a un’ora fa, come accidenti potevo sapere che esistesse una cosa del genere? Io volevo solo portare qualcosa di dolce ad Akane!”.

L'obiezione aveva senso e Ukyo si ritrovò improvvisamente senza alcuna rispostaccia convincente che le permettesse di ignorare il fatto che, nella foga della discussione, ora Ryoga stava letteralmente torreggiando su di lei. Da quando era diventato così alto? Da quando le sue spalle erano diventate così ampie e le sue braccia così grosse? E da quando le stava venendo una voglia così violenta di buttargli le braccia al collo e seguire con le labbra i contorni di quella mascella decisa e di quel mento squadrato?

“S-s… stupido!”.

Agì d'istinto. Cercando disperatamente di impedire alle proprie membra traditrici di muoversi contro la sua volontà, allungò una mano alla cieca verso il bancone dietro di lei, afferrò la prima cosa che trovò e gliela spaccò, poco diplomaticamente, in testa.

Fu solo quando ricevette uno schizzo d'acqua in pieno viso che si accorse di aver usato la tazza mezza piena di tè, ormai freddo, di Ryoga come arma impropria e imprecando si asciugò gli occhi. Quando li riaprì, però, c'era soltanto un mucchio di vestiti umidi sul pavimento e di lui nessuna traccia.

“Ryoga?”.

Si guardò in giro, ma tutto era piombato nel silenzio. Frammenti di ceramica a parte, ogni cosa era rimasta nello stesso posto dove era stata lasciata: nessuna porta aperta, nessuna impronta sul pavimento, nessun oggetto travolto che potesse indicare l'improvvisa fuga della persona più irruente che conoscesse.

Quando un lieve movimento riportò la sua attenzione sul cumulo di vestiti sul pavimento, la testa prese a girarle per la complessità delle rivelazioni che quella situazione comportava. Una mossa brusca, un liquido freddo, un’istantanea sparizione e dei vestiti abbandonati a terra… aveva visto troppe volte quella scena in vita sua per poter equivocare sul suo significato.

“Oh no. No”, mormorò, inginocchiandosi a terra ed allungando una mano esitante verso il tremolante cumulo di indumenti. Quando trovò finalmente il coraggio di spostarli e una bandana a quadretti spiccò sul nero di un manto suino, il respiro le si bloccò in gola.

“P-chan? Tu sei… Ryoga!”.

 

  
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