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Autore: PerseoeAndromeda    17/09/2009    4 recensioni
Fic a quattro mani, così Aphro' ed io diamo il nostro contibuto alla ormai notissima Big Damn Table^^ Il nostro protagonista è Shun e così noi abbiamo interpretato il primo tema: inizio. L'inizio è l'avvento di un nuovo saint, l'inizio sono le speranze di Albion quando lo incontra per la prima volta, l'inizio di un legame e la risposta ai voleri del fato
Genere: Generale, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Shun, Cepheus Daidalos
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-INIZIO-

Dalla collaborazione con Aphrodite Gold Saint (mi raccomando quindi, non è solo mia la fanfic^^) è nata la prima storia scritta per la Big Damn Table^^

Il nostro personaggio è Shun e questo è il modo in cui abbiamo interpretato il primo tema: inizio.

Insieme a Shun, di scena, Albion di Cepheus e un anonimo marinaio^^

 

 

* INIZIO *

 

- PASSAGGIO DI TESTIMONE -

 

Le nuvole stendevano un velo di fiocchi candidi, una coperta di sfilacciati batuffoli di cotone su quel mare increspato tagliato dalla prua della nave lenta.

Dopo giorni di tedio e interminabile monotonia, l’attracco in un porto selvaggio era ormai prossimo e qualcuno, rannicchiato da solo in una minuscola, squallida cuccetta, l’ennesimo vassoio di cibo intoccato, ancora non risvegliava i sensi dal torpore che, durante tutto il viaggio, l’aveva tenuto prigioniero nell’incubo…

L’incubo della separazione dall’unico punto fermo della sua esistenza, l’incubo di un bambino gettato in un universo incomprensibile e sconosciuto, l’incubo di chi mai, al di là di quel fratello ora lontano, era stato con lui rassicurante, o tenero; un bambino di sette anni, orfano, conosceva per la prima volta la solitudine e il rischio effettivo della vita.

Quanta paura può avere un bambino?

Tutta quella che il piccolo dagli occhi verdi provava in quel momento era sicuramente indescrivibile, ma la paura della morte, del dolore, non era nulla rispetto alla nostalgia, alla consapevolezza che, in un punto del mondo tanto distante, qualcuno che amava era in pericolo, ancor più in pericolo di lui.

Raccolse le ginocchia sul petto e, tremando, le strinse forte e nascose in esse il volto che, se non fosse stato per il rossore causato dalle lacrime inesauribili, sarebbe apparso ancor più pallido e smunto che mai, in seguito alla fatica, alla disperazione, agli stenti.

“Oh… Ikki-Niisan… come posso fare?”

La domanda era rivolta al dondolare della barca, mentre quel senso di sconforto continuava ad attanagliare il cuore del giovane, troppo preso dalla paura del futuro suo e di chi amava, abbandonato in un altro angolo di mondo sconosciuto ai più.
"Ciò che mi fa più male..." confidò il cucciolo ai barili ammassati nella stiva "... è che nessuno potrà darmi notizie di lui... per sei lunghi anni..."

Chinò il capo, i capelli castani scivolarono intorno al viso delicato, tenero di bimbo.

Un tramestio arrivò dall'esterno; il marinaio che aveva visto occuparsi di lui per tutta la durata del viaggio, quello che i suoi compagni avevano reputato come il meno rude di tutti e quindi capace di occuparsi di un bambino, scese nella stiva, per scambiare uno sguardo e poche parole con il piccolo, trasportato quasi come merce di scambio per un accordo incomprensibile tra il capo della nave ed un uomo molto potente.

"Tra poco saremo arrivati... preparati..."

Non era riuscito a pronunciare altro.

Si sentiva a disagio con quel bambino, perché provava una forte pena per lui. Sin da quando era salito a bordo, il marinaio lo aveva considerato come un ospite importante, quasi sapesse, in cuor suo, che quel fanciullo dagli occhi verdi e dai tratti orientali fosse destinato a qualcosa di grande.

 Ma quanto avrebbe dovuto lottare, soffrire, prima di raggiungere una meta imperscrutabile? Se lo chiese con il cuore stretto mentre il piccolo sollevava il viso verso di lui, gli occhi così singolari ora accesi di un lucore malsano per il troppo dolore che scuoteva il corpo tremante. Lo aveva realmente udito, stava guardando lui o qualcosa che solo i vividi, strazianti smeraldi potevano vedere?

Tese la mano; non l’aveva mai fatto prima, sapendo di non poterlo aiutare in alcun modo, sapendo che non avrebbe in alcun modo dovuto legarlo a sé, incapace comunque, seppur più morbido dei compagni che condividevano con lui quell’esistenza di cieli sconfinati e acque impregnate di sale, di lasciarsi andare a gesti teneri, a calde effusioni. Eppure, in quell’istante, sentiva di doverglielo.

Vide il volto congestionato da tutta l’angoscia che poteva essere racchiusa in un cuore di sette anni, vibrare per un moto di stupore e qualcosa dentro di lui si incrinò: nonostante tutto, quel piccolino gracile e dall’apparenza indifesa, sapeva ancora provare gratitudine per un gesto di gentilezza, sapeva persino sorridere a chi gli dedicava un solo briciolo di considerazione, mentre chinava lievemente il capo, com’era usanza nel paese del Sol Levante, in segno di ringraziamento nell’accettare l’invito e faceva scomparire la sua minuscola mano in quella immensa del marinaio.

“Non dimenticare la borsa” borbottò l’uomo imbarazzato e il piccolo allungò il braccio libero, afferrò l’insignificante bagaglio con i suoi pochi averi, quindi uscirono insieme, lasciandosi alle spalle lo stanzino opprimente che per giorni aveva scandito le ore e i terribili sogni di un bambino gettato da solo a difendersi contro un universo ostile.

 

 

***

 

Erano ore che attendeva l’arrivo della nave sulla quale, Albion lo sapeva, giungeva a lui il suo nuovo allievo, probabilmente l’ultimo, insieme all’ultima speranza di trovare colui che avrebbe esaudito il suo sogno segreto.

Sono sicuro che, se Andromeda arriverà, io saprò riconoscerla.

Le aspettative che riversava su quella nave prossima all’attracco erano immense e non sapeva spiegarsi quel fremito interiore nel momento in cui le manovre di approdo furono concluse; aveva tanti allievi, forse la Scuola Segreta dell’Isola di Andromeda era una di quelle che vantavano un maggior numero di aspiranti eppure, nonostante l’affetto con il quale a ciascuno di loro si sentiva avvinto, non era nulla di paragonabile al sussulto del suo animo nel momento in cui vide il bimbo, aggrappato alla mano di un rude marinaio, sbucare sul pontile e mettere poi i piedi a terra.

Ad Albion apparve un fanciullo minuscolo, delicato, quasi fragile nella sua profonda tenerezza, ma al Saint di Cepheus era permesso guardare oltre, la sua forza interiore apriva porte che altri esseri umani non potevano percepire.

Per questo motivo, laddove la maggior parte degli uomini avrebbero visto solo un minuscolo bambino di sette anni, egli notò altro. Su quel viso dal sorriso triste, dall'educazione impeccabile, dallo sguardo perso nella lontananza dei mondi, Albion riuscì a scorgere un'aura sottile, delicata, che si dipanava da quella vita di cucciolo e che si intrecciava tutto intorno a loro, mentre l'universo stesso sembrava accogliere quella piccola anima su quella terra, dove un Cloth era nascosto, dove una forza infinita doveva essere liberata, dove quel pulcino ancora incapace di volare sarebbe stato destinato a smuovere, veramente, le acque.

E per un secondo, mentre il leggero avanzare del fanciullo accompagnato dall'uomo si faceva più incalzante, Albion vide una figura, capelli biondi e danzanti, camminare dietro al piccolo, ma fu solo un'impressione fugace, che scomparve quando il bambino si fermò di fronte a lui, timido, tenendo una sacca misera sulle spalle.

"E' questo il segno che attendevo? Mi aspettavo questo? Sarà stato tutto vero?" tutte domande a cui trovare una risposta era impossibile, un groviglio interiore di dubbi che lo portava a trascurare i fondamentali doveri di accoglienza.

Siccome teneva gli occhi fissi sul bambino il quale, accorgendosi di quello studio insistente, abbassava il viso fin quasi a farlo scomparire tra le spalle, nell’evidente quanto vano tentativo di rendersi invisibile, il marinaio che lo accompagnava tossicchio appena, intenzionato a richiamare l’attenzione dovuta. Albion si riscosse e i suoi occhi incrociarono quelli dell’uomo burbero ma bonario che ancora non aveva lasciato la mano del piccolo.

“Chiedo perdono” ridacchiò un po’ teso il maestro dell’Isola di Andromeda “Come avrà capito non sono molto abituato a ricevere gente in questo posto noto solo agli Dei ma…” tornò serio e lo scrutò attentamente “La ringrazio molto per come si è preso cura di chi racchiude in sé la luce della speranza.”

Perché aveva detto quelle cose? Ancora non conosceva quel piccolo infelice che sembrava struggersi in un limbo di disperazione, come poteva, in lui, scorgere la speranza che il mondo attendeva?

Come posso aggrapparmi a lui, già, in tal modo, se ancora di lui non conosco nulla?

Riabbassò il capo e il cuore gli balzò in gola, perché adesso era il bambino a scrutarlo, e non con l’espressione di una creatura indifesa; in quegli occhi risplendevano le vastità sconfinate del cosmo.

“Il cosmo senza confini… il cosmo di Andromeda…” mormorò.

Le labbra del piccolo si strinsero in un broncio perplesso e curioso; la timidezza tornava sui suoi lineamenti, mista però alla domanda inespressa di chi, avendo subito un torto, mostrava cruccio e anche una vaga sfumatura di rabbia. Come dargli torto?

Sembrava chiedere, ora, quell’espressione: cosa devo aspettarmi? Mi posso fidare di te? Riuscirai a farmi illudere, ancora, che la vita non è così orribile?

Si sforzò di darsi un contegno, non poteva cedere al desiderio di prenderlo sotto la propria ala e condurlo lontano da ogni sofferenza, il loro destino era un altro: lui, Albion, suo maestro, di sofferenze avrebbe dovuto infliggergliene tante e ogni volta, come accadeva con tutti i suoi allievi, il suo cuore si sarebbe incrinato un poco di più.

Fu impassibile e falsamente severo quando la sua voce profonda di maestro adolescente si alzò, per porre la domanda che avrebbe sancito l’inizio del loro rapporto:

“Come ti chiami, ragazzo?”

“Shu… Shun…”

Una voce da uccellino, esitante ma musicale, non voce da futuro guerriero; ma le apparenze, spesso, ingannano e di questo Albion ne era consapevole. Annuì:

“Io sono Albion, silver saint di Cepheus e, da questo momento, sarò il tuo maestro.”

“S… sì… Sensei…”

Il marinaio lasciò la mano del piccolo; per qualche motivo, in quegli istanti si sentiva di troppo. Si allontanò con un frettoloso saluto e sorrise tra sé. Quel moscerino tutto bianco con gli occhi belli e spauriti gli sarebbe mancato, sapeva che non l’avrebbe più rivisto ma, nonostante tutto, il suo cuore era più leggero: l’aveva affidato in buone mani e il fato avrebbe intrapreso la direzione ottimale per quell’angioletto sceso dal cielo che aveva reso più luminosi i suoi monotoni giorni.

 

 

   
 
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