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Autore: J85    25/12/2023    0 recensioni
Quinto ed ultimo capitolo del pentagono di racconti con protagonista Sara Silvestri.
Nello specifico, si tratta di una mia personale rivisitazione del manga "Cyborg 009", in cui la storia è stata decisamente modificata.
Inoltre, questa storia a capitoli servirà ad esplorare il mio personale universo narrativo, sviluppato durante tutti questi anni di passione per tutti questi anni di scrittura e immaginazione.
Per uno strano scherzo del destino, nove persone, di varie nazionalità e professione, si ritrovano con la propria vita totalmente stravolta dall'essere stati trasformati in mutanti, ognuno con un suo potere specifico.
Ad aiutarli, arriverà proprio la nostra Sara che li addestrerà per affrontare al meglio l'organizzazione criminale nota come Spettro Bianco, in tutta una serie di avventure, compresi what if e crossover.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 25

Le nuvole si muovono”




Il salone di villa Humana era, incredibilmente, deserto e silenzioso. Finché non si iniziò a udire rumore di passi che, tramite le eleganti scale lignee, procedevano dal piano superiore a quello inferiore dell’abitazione.

Con già indosso l’uniforme da battaglia rossa, con l’immancabile H gialla sul petto, Igor Wansa notò un qualcosa di rettangolare sull’ampio tavolo rotondo in salotto.

Incuriosito, si avvicinò ad esso e afferrò quella misteriosa scatola nera con i i suoi guanti giallognoli.

Il contenitore era in legno scuro e, su quasi tutta la sua superficie, presentava svariate volute finemente scolpite.

“Questo chi ce l’ha messo?” si domandò, mentre lo riposava sul piano.

Fu solo allora che la sua attenzione venne catturata da un biglietto di carta recante la dicitura “X JACK”.

“Sarà qualche altra stramberia che ha comprato in giro per il mondo quel matto inglese…” concluse un russo ancora ben dubbioso “Forse faccio meglio a contattarlo subi…”.

Non fece in tempo a concludere il suo monologo che una delle eleganti finestre si spalancò di colpo. Allo stesso tempo, lo stesso coperchio della scatola si impennò. Come uno stormo di uccelli, dei piccoli rettangoli cartacei presero il volo verso l’esterno dell’edificio, in una perfetta fila indiana aerea.

“Sembrano tarocchi!” gridò il ragazzino, mentre tentava inutilmente di afferrarne qualcuno.

Temendo la possibile punizione che poteva toccargli per tale incidente, sebbene non fosse egli stesso con certezza il colpevole, il Soggetto N. 1 partì al disperato inseguimento saltando oltre la stessa apertura utilizzata dalle carte.


Un rombo di motori era, via via che ci sia avvicinava, sempre più udibile. Sebbene non al livello di decibel di ciò a cui era abituato Johnny Wayne in Formula 1, anche questo kartodromo sapeva come attirare l’attenzione dei molti appassionati.

In una fase di prove, uno dei veicoli, appena imboccata una curva in pieno drift, stava sfrecciando a tutto gas in un dirizzone. Improvvisamente, la peggior visione che possa comparire di fronte ad un pilota: un uomo fermo in mezzo alla pista.

“Ma che cazzo!?” imprecò lo sportivo che, con un’ottima padronanza del mezzo, sterzò di lato e fini oltre i cordoli del tracciato.

A motore spento, il kartista cercava di riprendere fiato, sebbene avesse la testa ancora dentro al casco e nella mente gli occhi di quella persona. Due sfere rotonde in cui poter rabbrividire osservando una pura follia.

Toltosi con le mani tremanti la protezione al capo, il giovane pilota giapponese osservava, come smarrito, l’ambiente attorno a lui.

“Dov’è finito quel pazzo?”.

“Hai ragione ragazzo, era proprio il pazzo”.

Voltatosi di scatto verso quella voce femminile, vicino a lui scoprì una donna affascinante, con un telo rosso che, dai capelli scuri, le ricadeva lieve oltre le spalle nude, mentre il resto del corpo sinuoso era velato da una tunica del medesimo colore.

“C-Cosa? E tu chi sei?”.

“Io sono la Sacerdotessa, ma alcuni mi chiamano pure la Papessa. Con chi ho il piacere di parlare, di grazia?”

M-Mi chiamo Masaomi Akamine” l’altro proseguiva con l’osservarla sotto i suoi capelli schiacciati da dopo gara “Che cosa intendevi prima?”

“Mi dispiace essere portatrice di pessime notizie ma vedi, Masaomi, il destino ti ha messo davanti ad un grave compito…”.

“Quale grave compito?”.

“A te viene affidata la custodia di oggetti magici così semplici ma, allo stesso tempo, così potenti. Voi umani li chiamate tarocchi!”.

“Tarocchi?! Ma che significa?”.

“All’apparenza semplici carte, come anche la mia e questo tarocco del Serafino” dicendo ciò, ne fece comparire magicamente una di esse nella sua mano sinistra “ma in grado di dar vita ad esseri straordinari”.

Con un lieve bagliore, dalla superficie in carta del tarocco emerse un piccolo angelo, caratterizzato però da ben tre paia di ali.

“Scusami, è tutta colpa mia” sopraggiunse trafelato il telepate.

Masaomi balzò via sorpreso da quel nuovo personaggio “E tu chi sei?”.

“Proprio te aspettavo, Igor” gli sorrise la donna “Ora devo raggiungere il tuo collega Jack per spiegargli cosa è accaduto ai suoi artefatti mistici…”.

Appena pronunciata tale intenzione, la Sacerdotessa scomparve dall’esistenza. Stessa sorte capitò anche al Serafino.

Quella strana coppia non ebbe modo nemmeno di conoscersi che, sempre di fronte all’ora, comparve un altro strano tizio.

Quest’ultimo indossava un abito dai grandi sbuffi e un capello a tesa larga, entrambi cuciti con rettangoli di svariati colori.

“Eccomi a voi, messeri! Io sono il Bagatto, anche detto il Mago!”.

Il giapponese si mise in posa di combattimento “E io vengo dall’Istituto Shiroiwa e da grande sarò un ninja!”.




“Quindi è stata tutta colpa di quel nano sovietico!?” sbraitò Jack Lincon mentre planava nell’aria.

“Tu proprio non vuoi comprendere, Jack!” iniziava a spazientirsi la mistica, anche lei perfetta a suo agio a galleggiare senza gravità “Questo incantesimo si sarebbe attivato con un qualsiasi Soggetto, dall’uno al nove!”.

“Comunque il mio interesse ora è riversato verso ben altro, e altrettanto misterioso!”.

“Cosa sarebbe, di grazia?” chiese sorpresa lei.

“Guarda giù e capirai” replicò lui.


Nella più classica delle risaie nipponiche, qualsiasi di assurdo era ben visibilmente a tutti, ma soltanto in pieno volo.

Due cerchi perfettamente concentrici e, all’interno di quello più piccolo, la classica rappresentazione grafica di una stella a cinque punte.

Questo singolare cerchio nel grano aveva però attirato l’attenzione non solo delle due persone scarlatte e volanti. Un ragazzo, le cui vesti erano l’uniforme ufficiale dell’Istituto Shiroiwa,

“Che mi venga un colpo…” esclamò, mentre si grattava la chioma scura, già solcata da strisce rasate che ricordavano le cuciture di una palla da baseball.

Al fianco del giovane, si fece avanti una nuova donna. Ella aveva i capelli castani con boccoli che ricadevano su un’altra tunica, questa in puro stile antico romano, i cuoi colori erano esattamente suddivisi tra il bianco e il marrone.

“Tu, plebeo, dove mi trovo? Rispondi!” gridò additando il giapponese.

“E tu chi cazzo sei?! E come ti permetti di darmi del plebeo? Io sono “Wild Seven” Baki Shiba, asso del club di baseball dell’Istituto Shiroiwa!”.

“Pensi seriamente che per me abbia importanza tutte queste inutili informazioni!” controbatté lei “Tu sei al cospetto dell’Imperatrice!”

“Imperatrice?” la squadrò beffardo Baki “L’unico imperatore che conosco è il nostro leggendario Eikichi Ozu!”.




“Ecciù!”.

“Salute, Eikichi.” replicò Frédérique Arone cortese “Non è che, con tutti questi concerti, ti starai mica ammalando?”.

“Figurati!” sdrammatizzò il giovane “Noi imperatori non possiamo ammalarci!”.

“Cosa ne può sapere un misero plebeo come te di cosa vuol dire essere un imperatore!”.

La coppia, che fino ad allora era diligentemente seduta dentro un bar di Tokyo, si voltò sorpresa da cotanta superbia.

D’innanzi a loro vi era un uomo alto, con i capelli e la barba nera, un cerchio di allora attorno al capo e abiti identici, seppur chiaramente declinati al maschile, dell’esponenti dei tarocchi di poco prima.

Il giovane cantante si grattava perplesso il ciuffo alla Pompadour “Certo che ce n’è di gente strana al mondo… oltre a voi Humana…”.

“E non sai la cosa più assurda…” intervenne Soggetto N. 3, mentre scansionava il nemico con la sua personale vista a raggi X “Quest’uomo sembra composto totalmente di semplice carta!”.

Per tutta risposta, l’idol si mise in posa da karateka a canticchiare una sua canzone: “Chihuhua the mini dog”.


La cosa più assurda non era la coppia umana presente in quel momento, ossia un altro adolescente giapponese e un bambino italiano.

La cosa più assurda era l'inquietante omino grigio, alto poco più di un metro, che avevano di fronte. Quest’ultimo li osservava in silenzio con i suoi enormi occhi scuri.

“N-Non so cosa sia peggio in questo momento” balbettò a bassa voce il nuovo studente dell’Istituto Shiroiwa “La città infestata dalla criminalità, l'epoca di demoni e confusione in cui viviamo, oppure questo alieno che ci è capitato davanti!”.

Il bimbo, decisamente meno preoccupato dell’altro, si voltò e guardò in alto verso di lui “Forse lui vuole solo comunicare con noi, Sunao”.

“E-E come vorresti comunicare con lui, Carlo?”.

L’italiano gli rispose andando a battere, tramite delle bacchette con una piccola sfera ad una delle estremità, sui rettangoli colorati di un Glockenspiel.

Il regista nipponico alzò appena la visiera del capellino da baseball che portava sul capo, subito sopra un paio di occhiali “Ma certo, tu sei del Gruppo Diapason quindi…”.

La dolce melodia venne inaspettatamente interrotta dalla comparsa di una quarta persona. Quest’uomo, sebbene dal volto sconosciuto, indossava degli abiti che ben difficilmente si sarebbero visti addosso ad altre persone.

“Tu, figliolo!” il nuovo giunto indicò in maniera plateale colui che aveva interrotto “Hai parlato di demoni poc’anzi? Ebbene, io sono il tarocco che vi salverà dal peccato: io sono il Papa!”.

Gli altri tre rimasero sbigottiti da una tale presentazione.

“Io l’ho visto in tv il papa, ma tu non gli somigli affatto!” replicò infine Carlo Giuffrida.

“Come osi tu, miscredente!” s’infuriò l’esponente dei tarocchi.

“Più che altro, non è certo di un religioso che abbiamo bisogno in questo momento!” Sunao Soma s’interpose tra i due “Ma piuttosto di almeno di cinque xenolinguisti!”.

“Io sono qui perché un nuovo cataclisma magico sta per compiersi”.

Le prime parole dell’extraterrestre stupirono i presenti.

“Come ti chiami?” gli domandò il più giovane del quartetto.

“Alien Boy, faccio parte dei Global Defenders e devo trovare l'arma definitiva”.

Fu allora che la mente dell’artista di Tokyo iniziò a fantasticare su una macchina alquanto particolare: avvolta totalmente dalle fiamme, di un rosso per l’appunto fiammante e, magari, guidata da 77 del Face Team. Il suo nome sarebbe stato Firecar.



“State fermi lì e alzate le mani al cielo!”.

Il Soggetto N. 4 aveva già pronta la sua mano destra mutata, puntandola verso la strana coppia che era comparsa magicamente davanti a lui.

Un uomo e una donna, le cui vesti riportavano direttamente ad un’epoca vicina al tardo medioevo.

Il maschio con una giacca dalle strisce verticali rosso e verdi, una cintura bianca alla vita, e una calzamaglia verdognola che gli copriva le gambe fino a due stivali in pelle.

La femmina indossava un lungo abito scarlatto, con rifiniture in oro, che terminava in un’ampia gonna e un soprabito di color azzurro mare.

“No, fermati!” gridò quest’ultima, spaventata.

“Non siamo qui per farti del male!” aggiunse il suo compagno.

Il mutaforma li fissò con sospetto ancora per qualche secondo. Finché non scostò di poco il suo braccio armato e sparò un colpo.

La parte di muro colpita si disintegrò all’istante, lasciando al suo posto un cratere buio.

“Vi conviene iniziare a parlare o la mia pistola distruttrice farà il resto…”.

“Noi siamo delle carte…” esordì lui.

“Cosa?”.

“Sì è così!” insistette lei.

“Che intendi con “carte”?”

l’uomo deglutì e riprovò “Noi rappresentiamo il tarocco degli Amanti”.

“Proveniamo da un mazzo che appartiene ad un tuo conoscente di nome Jack Lincon” concluse la donna.

La mano destra di Andrea Alberti restrinse le proprie dimensioni e prese le sembianze di una banalissima pistola ad acqua. Il proprietario se la portò con tranquillità alla bocca e fece muovere il grilletto. Dalla sua canna partì un getto forte di coca cola dritto nel palato.

Appena deglutito il liquido, l’italiano pareva più seccato che altro “Se c’è di mezzo quello scemo di Jack, allora le cose saranno ben più complicate per gli Humana…”.


“Ora calmati e dimmi con precisione cosa ti è successo”.

Il membro indiano degli originali Global Defenders, Psychic Girl, stava tentando di tranquillizzare il più possibile la sua connazionale shockata.

“I-I-I-Io… I-I-I-Io… ” tentò appena l’altra.

“Come ti chiami?”.

“I-Il mio n-nome è… Dola Debnath”.

“Bene, Dola” la telepate proseguiva con accarezzarle un braccio, in modo materno “ora rilassati e spiegami cosa ti è successo per farti stare così male”.

“Degli esseri malvagi mi hanno rapita e portato sulla loro nave volante…”.

“Hai detto una nave volante?”.

“S-Sì… come quella!”.

La giovane guardava dritto in cielo. Un cielo notturno rischiarato da una luminescenza incredibile che fluttuava a mezz’aria. Una volta abituatisi a tale luminosità, si poteva ben identificare la forma di una biga romana, con alla sua guida qualcuno di comunque indefinito.

Fu così che le due donne hindi fecero la conoscenza del tarocco del Carro. Mentre, in seguito, la vittima di un caso di abduction extraterrestre, diventerà egli stessa un’eroina dal nome Alien Girl.




Nel silenzio della sua adorata valle, il Soggetto N. 5 attendeva. Solo il suo legame mistico sapeva cosa il guerriero stava attendendo.

Dall’orizzonte infinito della radura, una figura muscolosa si faceva via via sempre più nitida. Sulle sue possenti spalle faceva bella mostra di sé una pelle di leone. Con sguardo altrettanto feroce, ma ben più vivo, il colosso si fermò di fronte all’altro colosso.

“Sono il tarocco della Forza” esordì il nuovo arrivato.

“Sono Geran Giunan” replicò l’indiano.

“Spero tu sappia il motivo per cui ci siamo incontrati…”.

“Sì, lo conosco perfettamente”.

Con un rombo di tuono, i due sfidanti si bloccarono entrambe le mani, palmo contro palmo, in una presa così potente da essere degna dei titani.

Per quasi un’ora i due lottatori rimasero bloccati in questa situazione di stallo. Finché, all’unisono, mollarono la morsa.

“Mi sorprende trovare un uomo la cui forza è pari alla mia!” si stupì l’essere di carta.

“In questo mondo, troverai tanta gente altrettanto forte e valorosa” lo informò fiero il mutante in rosso e giallo.


Questa volta l’ambientazione era proprio il famigerato Istituto Shiroiwa. Nel giardino esterno della scuola, due studenti erano alle prese con un altro essere magico.

Makoto Ooba, anch’egli membro del club di baseball, capelli neri a caschetto e occhi scuri.

Nene Onizuka, appassionata di chimica, capelli molto corti castani e occhi del medesimo colore.
“Come te lo spieghi questo personaggio?” domandò lui.

“Io? Non me lo spiego!” rispose lei.

Di fronte ai due giovani, vi era un anziano, dalla chierica sul capo e la folta barba bianca che ricadeva su un vestito alquanto logoro, fabbricato con cotone di color marrone scuro e legato, all’altezza della vita, da una corda consunta utilizzata come cintura.

“Figlioli, non fatevi abbindolare dai bene materiali!” gridava come un ossesso, mentre si esibiva in incredibili salti mortali sul posto.

“Ma si può sapere chi sei?” gli chiese lo studente.

Lui placò le sue acrobazie e, da una qualche tasca nascosta nella tunica, tirò fuori un barattolo in plastica. Ne svitò il tappo e si mise a trangugiare una manciata di piccole multicolori, che faceva scivolare giù dal contenitore.

“E quelle pasticche cosa sono?!” si allarmò la studentessa.

Biascicando rumorosamente, il vecchio replicò “Io sono l’Eremita acrobatico e morale che dipende dai farmaci!”.

I due ragazzi ripresero a fissarsi a vicenda, totalmente spiazzati da quello strambo figuro.

“Dici che è bene intervenire?” propose lui.

“Assolutamente sì!” decise lei.

Pronto alla battaglia, i lineamenti di Makoto iniziarono a cambiare. Due canini appuntiti spuntarono da sotto il labbro superiore e i suoi occhi si colorarono di rosso sangue.

“Così potrò dimostrare a Vampire Boy che i suoi allenamenti mi sono stati utili” proclamò lui nel suo nuovo stato vampiresco.

Per nulla spaventata dalla trasformazione del compagno di scuola, Nene chiuse gli occhi e spalancò le braccia. Nel giro di pochi secondi, tutto il suo corpo perse di consistenza, acquisendo un aspetto quasi trasparente.

“Se dobbiamo essere degli pseudomorti, tanto vale farlo per bene!” sorrise beffarda lei.

Questa volta a rimanere sbigottito fu l’anziano folle.

“Figlioli, voi avete decisamente più problemi di me…”.




Un gran vociare di clienti caratterizzava quel tipico ristorante cinese al centro di Pechino. D’improvviso, il telefono posto sul bancone d’ingresso iniziò a trillare.

La giovane cameriera Nikki Peng si affrettò, con passi brevi ma rapidi, ad alzare la cornetta dell’apparecchio telefonico.

“Ristorante dell’Onorevole Chang, buongiorno!”.

“Buongiorno signorina, le interesserebbe partecipare ad un quiz spettacolare?”.

“Come scusi? Ma guardi che questo è un ristorante…”.

Chang Yu, uscito trafelato dalla cucina, notò subito la sua dipendente palesemente in difficoltà con quella chiamata.

“Chi è al telefono, Nikki?”.

“Non so, Onorevole Chang. Dice che è per un gioco a premi….”.

mentre la moretta si discostava appena dal ricevitore, venne d’un tratto sbalzata via da una forza invisibile proveniente proprio da esso.

Al centro della hall, accompagnata da uno sfavillio di luci lampeggianti, s’ingrandì un’enorme struttura circolare.

“Sì signori! Voi siete niente meno che i nuovi concorrenti de la Ruota della Fortuna!” annunciò entusiasta una voce incorporea.

Tutti i presenti rimasero ammutoliti.

“Su signore, giri pure la ruota! Non abbia paura!”.

il cinese obbedì all’esortazione e diede una spinta poderosa.

“Ah, peccato! Perde tutto!” la voce lesse quanto indicato dalla freccia, una volta che il cerchio smise di ruotare.

Soggetto N. 6, che ben mascherava la sua insoddisfazione, trovò ben più sportivo esalare una delle sue fiammate potenti contro quell’ammasso di carta stregata.


“Io, come tarocco della Giustizia, ribadisco che tutto ciò è altamente illecito!” ribadì l’uomo sulla sessantina, con indosso una lunga tunica viola e, afferrata con la mano destra, una bilancia tenuta perfettamente in equilibrio.

Nel centro della sala, sdraiati su letti metallici, vi erano tre esseri umani esanimi.

Mitsuru Akita, membro del club di pugilato dell’Istituto Shiroiwa, sempre in eterna lotta con il suo collega Yutaka Doi, vero talento naturale della nobile arte.

Tetsuya Yanagisawa centravanti della squadra di calcio dell’Istituto Matsuda, anch’esso in Giappone.

Daniele Parisi, mutaforma di Modena facente parte dell’Animorph Squad con il nome di battaglia di Canarino, ossia l’animale in cui era in grado di tramutarsi.

“… In conclusione” riprese l’arringa questo giustiziere “abbiamo scelto di rimuovere le sonde dai visi di questi poveri sfortunati con l’ausilio del tarocco del Coltello”.

Estratta la suddetta carta , da essa si sprigionò una luce e, insieme a ciò, fece la sua comparsa un ragazzo vestito in completo rosso, con una R ed una S bianche cucite all’altezza del cuore, con occhi ambrati, canini sporgenti e armato con due pugnali minacciosi anche solo a guardarli.

Come rianimati dalla propria coscienza, il trio in questione balzò in piedi all’unisono.

Tetsuya, senza proferir parola, si mise a ballare una break dance eseguita ottimamente.

Canarino, Per tutta risposta, mutò il suo aspetto e si mise a svolazzare in circolo vicino al soffitto della stanza.

L’unico che decise di intervenire fu il pugile.

“Ehi! Io conosco quel figlio di puttana! È quel finocchio della mia scuola che gli piace travestirsi! Col cazzo che mi faccio operare da quel bastardo!”

mentre Mitsuru si posizionava nello stile di difesa tipico di un in-boxer come lui, con i guantoni ben vicini al proprio mento, tutto attorno a lui comparvero delle fiamme di provenienza infernale.




Nonostante nel mondo tutto questo attacco magico stesse sconvolgendo le vite di varie persone, Bernardo Borghi camminava bello tranquillo nella sua campagna messicana, pensando magari al prossimo incontro del suo luchador preferito, El Dios.

“Aiuto!”.

Sorpreso da quell’improvvisa richiesta di soccorso, il baffuto iniziò a guardarsi freneticamente attorno, non notando però alcuna forma di vita parlante.

“Sono quassù!”.

Seguendo l’indicazione della voce, Berny alzò il capo verso un albero dalla forma alquanto curiosa: una croce.

Ai suoi rami era legato alla caviglia un uomo. Quest’ultimo aveva i capelli biondi, una maglia leggera azzurra, i pantaloni rossi e le scarpe senza lacci gialle.

“Aiutami a scendere! Ti prego!”.

“Tu chi sei? Come hai fatto a finire lassù?” domandò incuriosito il mutante.

“Io sono il tarocco dell’Appeso, quindi puoi immaginare come ci sono finito in questa situazione…” lo informò il tizio a testa in giù.

“A dir la verità no. Ma fammi comunque provare a darti una mano…”.

Il Soggetto N. 7 sapeva che il suo superpotere poteva tornare utile in tale situazione.

Nell’ordine, il nostro eroe si tramutò rispettivamente in: torcia olimpica attaccandosi direttamente al tronco dell’albero ambiguo, una sardina pressoché inutile, una barbabietola della medesima utilità rispetto alla precedente, una capanna in legno che l’altro tentò inutilmente di raggiungere ed infine una scala a pioli.


In un nuovo cambio di scenario, troviamo un attore già presentato in questo spettacolo così surreale di eventi.

Alien Boy, lasciando la strana coppia formata da Sunao Soma e Carlo Giuffrida al proprio destino, era passato dal tarocco del Papa a uno ben più inquietante: il tarocco della Morte.

La presentazione avvenne direttamente tramite un dialogo telepatico gestito dall’alieno “Non pensavo che la morte possa avere questo aspetto così particolare”.

Questa persuasiva dea della morte assumeva la forma di una megera. Era molto alta e aveva una corporatura grassoccia. Lei era calva. I suoi grandi occhi erano grigio ferro. La sua pelle era ricoperta da una sostanza tossica. Addosso indossava un'uniforme artistica, che incorporava disegni ottagonali, e un cappello. Portava con sé un almanacco sinistro. Poteva uccidere chiunque con un semplice tocco.

“Ma sappia, mia cara signora, che anch’io posso mutare le mie sembianze e poter così passare inosservato tra la folla dei terrestri.

L’extraterrestre, come preannunciato, si tramutò in Ayaka Utsumiya.

Quest’ultima era una giovane studentessa dell’Istituto Shiroiwa. Nonostante fin da piccola la sua più grande passione era sempre stata il cucito, una volta entrata nella scuola superiore l’unico club a cui era riuscita ad iscriversi, per tutta una serie di inconvenienze fortuite, fu niente meno che il club di rugby, nelle vesti di manager.

I lunghi capelli colorati con un biondo ossigenato, quasi bianco, facevano da cornice ad larga faccia con al centro due occhi scuri e penetranti. Come per magia, nella sua mano destro comparve una palla ovale tipica proprio del suo sport.

“Ora vedrai cosa mi hanno insegnato i ragazzi del mio club!”.

Con uno scatto fulmineo, la ragazza stava caricando a tutta forza, puntando dritta verso il suo obiettivo e tenendo ben salda la presa sul pallone.

L’avversaria proseguiva con il fissarla incuriosita. Quando ormai mancavano pochi metri ad impatto sicuro, Ella assunse una nuova forma: quella di una gigantesca cavalletta dal colore marrone scuro.

Con un portentoso balzo da fermo, l’animale evitò infine la spallata violenta.

Il suo almanacco, che altri non era che un Death Note da Shinigami, fu in seguito ritrovata da una sua compagna di scuola, Sanae Mochizuki, fidanzata storica di Ryusuke Yabuki, altro studente della medesima scuola.




Una distesa infinita di acqua blu scura tutta attorno. Il silenzio tranquillizzante che solo madre natura riesce a donare a chi sa ascoltare.

A Juna non occorreva altro per essere in pace con il mondo. Da quando poi era stato trasformato in un mutante, poteva passare giornate intere avvolto in quella soavità.

Uno sciabordio improvviso lo ridestò dalla sua meditazione e lo costrinse ad aprire gli occhi.

Fu allora che l’uomo in rosso e giallo si accorse i trovarsi d’innanzi ad una figura femminile dalle dimensioni gargantuesche.

“Che cosa sta succedendo?!” urlò spiazzato il Soggetto N. 8.

“Perdonami se ti ho svegliato dal tuo sonno rifocillante” si scusò la gigantessa, mentre travasava litri e litri di acqua marina da un vaso titanico ad un altro “Ma io sono il tarocco della Temperanza e questo devo fare”.


Uno scatto nella notte.

Una figura ricoperta da un’armatura futuristica stava evitando una raffica di palle di fuoco sparategli da ogni angolazione.

Una volta terminata questa sparatoria assurda, l’uomo si guardò attorno, mostrando un viso composto da squame verdastre, oltre ad un muso allungato.

“Tutto qui quello che sai fare, eh?” urlò il rettile antropomorfo.

Nessuno rispose.

“Ora capirai il motivo per cui sono conosciuto come Alien Hunter!”.

Una fiammata improvvisa, alta più di due metri, rischiò di bruciare l’alieno infuriato.

“Finalmente ti sei deciso a mostrarti, bastardo!”.

Spento quell’incendio così limitato, un altro essere inquartante si era presentato in quello spazio aperto. Il corpo era umano, ma il colore della pelle rossa, due corna poderose sulla fronte, ali da pipistrello che spuntavano dalla schiena e due zampe caprine al posto delle più tradizionali gambe, decisamente meno.

“Tu che vieni dalle stelle non puoi comprendere la potenza racchiusa nel tarocco del Diavolo!”.

“E sai una cosa? Anche noi rettiliani sappiamo cambiare forma! E anch’io faccio parte dei Global Defenders! Ora poi che siamo in 24.000!”.

L’extraterrestre, come preannunciato, si tramutò in Fumika Sendo.

Quest’ultima, studentessa dell’Istituto Shiroiwa, era a capo del club riguardante l’antica arte della cerimonia del tè. I suoi lunghi capelli scuri erano fermati alla nuca da un pettine prezioso e, ad avvolgerne il corpo, aveva un elegante kimono, caratterizzato dalla rappresentazione di fiori di loto rossi su un tessuto fine e bianco. Infine, nella mano destra teneva stretto un esemplare di hishaku, il prezioso mestolo di bambù utilizzato per prendere l’acqua.

Atterrando silenzioso dalle tenebre, un nuovo demone era comparso sulla scena. In comune con il precedente aveva quasi tutte le principiali caratteristiche suddette, compreso una ispida barba nera a fargli da pizzetto.

“Non ti conviene avere a che fare con questa gente. Io mi chiamo Zaras e, insieme alla mia controparte femminile, facciamo anche noi parte di questo gruppo”.

La ragazza si voltò con grazia verso Zaras.

“Purtroppo so che ne fa parte anche quella schifosa di Fuyumi Sumiyoshi”.




La velocità che stava raggiungendo si avvicinava molto a quella della luce. Ma era l’unico modo per raggiungere il prima possibile quella nuova anomalia.

Il velocista si fermò di colpo. Una torre scura, la cui altezza pareva non concludersi mai, gli ostacolava il cammino.

“Immagino sia questo il nuovo problema da affrontare, a quanto mi ha detto Igor… ” esclamò tra sé e sé il Soggetto N. 9.

“Ben arrivato” lo accolse un nuovo studente dell’Istituto Shiroiwa “Io sono Susumu Kimura e sì, quella che hai davanti è il mastodontico tarocco della Torre”.

“Da quant’è che si trova qui?” domandò il mutante.

“Non saprei” affermò sconsolato lo scrittore esordiente “sono arrivato qui poco fa anch’io, dato che un mio compagno di scuola, Ryo Soda, mi ha raccontato che qualcosa di simile è capitata anche a lui”.

“E lui come l’ha affrontata?”.

“Ci è banalmente entrato dentro” indicandogli una posizione nelle loro vicinanze “però noi penso che possiamo usare quella”.

Un’armatura lucente, dal color rosso cremesi, listata in bianco e blu, era adagiata sul terreno adiacente l’edificio.

“La riconosco” rivelò Johnny Wayne, dandole appena un’occhiata “Si tratta di una delle armature dei Cavalieri di Siena”.

“Interessante…” si grattava il capo il cugino di Sunao Soma “Come mai si trova qui?”.

“È l’armatura del Cavaliere della Torre. Sono le armature che decidono dove comparire e a chi affidarsi, di anno in anno”.

“Ancora più interessante… e ora noi cosa facciamo”.

“Non so te, ma io farò l’unica cosa che sono in grado di fare…”.

Senza neanche concludere la frase, il pilota di Formula 1 si ritrovò, con i suoi stivali gialli folgoranti, ad scalare in verticale la struttura.

Una volta solo, la quiete fu subito spezzata dall’animarsi magico della corazza. Danzando con eleganza come le foglie in autunno, tutti i pezzi si andarono a ricomporre nella persona del membro del club scolastico di letteratura.




L'interno di quella prigione aveva un colore amaranto che dominava su tutto l’aspetto asettico. Imprigionata dietro a solide sbarre di ferro, vi era una giovane donna sdraiata di fianco sopra una branda sospesa e attaccata alla parete.

Con una lentezza che denotava della sonnolenza residua, Lola Barnes aprì infine le palpebre.

“Oddio… d-dove mi trovo?” si domandò, mentre spostava dal volto una ciocca dei suoi capelli di color ramato.

Una voce riecheggiò nella sua mente “Non aver paura”.

“Chi ha parlato?” balzò in piedi lei.

Solo allora notò il suo vestiario decisamente ambiguo. Due spalliere formata da cinque setole sovrapposte, un reggiseno con le due coppe unite esclusivamente dal laccio orizzontale e dei calzoncini con, suoi fianchi, due anelli ad unire il pezzo davanti con quello dietro e, da essi, due veli che scendevano di lato alle sue gambe. Quell’abbigliamento minimale era totalmente di color verde smeraldo.

“Perché sono vestita in questo modo così vergognoso? Chi è stato a farmi questo? Se è qualcuno dei miei studenti giuro che li bocciò fino a che non vado in pensione!”

“Calmati, Lola Barnes” proseguì la voce.

Prima che la prigioniera potesse replicare, quattro corpuscoli luminosi iniziarono a fluttuarle attorno.

“E questi che cosa sono?!” tentava di scacciarli con lo sventolio delle mani “Si può sapere dove mi trovo?!”.

“Questi sono semplicemente il tarocco delle Stelle. Tu sei qui, nella mia astronave, perché provieni da un limbo misterioso dove risiedono personaggi di pubblico dominio”.

La terrestre, rimasta in silenzio, notò un barattolo simile al cibo in scatola sul ripiano in cui riposava pochi istanti prima. Lo afferrò decisa.

“Tutto ciò è assurdo!”.

Alla fine, con un lancio furioso, colpì una delle stelline fluttuanti che esplose in mille scintille.

Quello scatto d’ira fu come la chiave per far scattare la serratura del limbo stesso. Un vortice scuro si aprì su di un muro metallico e, da esso, ne fuoriuscirono tre figure.

Un uomo dai pochi capelli canuti rimasti attorno alla nuca, bianchi come la barba che aveva sul volto e la camicia.

“Signorina, mia chiamo Eon Tempus e sono qui per salvarla” si presentò mentre, con un fucile di precisione, colpiva in pieno la seconda stella.

Un uomo coperto soltanto da spalliere rosse, mantello giallo, calzoncini azzurri con fibbia rossa e stivali rossi.

“Io sono Dr. Diamond e questo diamante, che mi è stato dato da un monaco tibetano, mi dona la forza di cinquanta uomini!” esplicò ai presenti, mentre sradicava il giaciglio e lo scaraventava contro la terza stella.

L’ultima persona si presentava con il classico abbigliamento da cowboy ma, al posto del classico capello, aveva invece un berretto da aviatore con annessi occhialoni.

“Fate largo a Triggers! Direttamente dalle pianure del Texas per sconfiggere i nazisti e salvare la bella Agent J-3!”.

Con un doppio sparo delle sue due pistole Smith & Wesson, fu distrutta anche la quarta ed ultima stella.


In un’altra stanza presente all'interno di quella enorme nave spaziale, Sara Silvestri osservava impassibile da due monitor la sorte della coppia di prigionieri.

“Dunque ipotizzi seriamente che, prendendo in ostaggio queste due persone, ti basti a comprendere la comparsa dei tarocchi in questo universo?”.

“Questo è ciò che scopriremo”.

Mentre la bionda scuoteva negativamente il capo, notò una sfera pallida e luminosa, grande quanto un pallone da basket, volarle vicino. Tanto da poter notare dei piccoli crateri sulla superficie biancastra.

“Fammi indovinare… questo è il tarocco della Luna”.

“Indovinato” confermò la voice over.


Una terza stanza presente in quella struttura aliena, identica a quella in cui era prigioniera Lola, ospitava un essere umano maschile, di nome Paul Reynolds.

L’uomo, dai capelli ed occhi scuri, aveva indosso un vestito viola, con un disegno sul petto che ricordava un falco ad ali spiegate, con delle bretelle gialle su cui erano affissi dei grandi bottoni all’altezza delle clavicole.

“Quindi vuoi dirmi che anch’io provengo da questo limbo?”.

“Confermo, Paul Reynolds”.

“Beh figlio di puttana, puoi star sicuro che troverò il modo per evadere da qui e farò sapere tutto quanto tramite un articolo sul mio giornale!” urlò pieno di rabbia il prigioniero.

Le risposte a cotanto furore furono doppie: la prima fu che una gigantesca palla di fuoco comparve vicino all’umano, facendolo sbalzare via per non rimanere bruciato. La seconda fu la comparsa, anche in questa cella, del vortice scuro.

Il reporter, sebbene ancora sdraiato prono sul pavimento freddo, si sollevò a fatica sui gomiti “Che cos’è questa nuova follia?”.

“Si tratta del tarocco del Sole”.

Mentre tentava di resistere a quel caldo infernale, una delle due persone uscite dal vortice lo aiutò ad alzarsi e ad allontanarsi.

“Si tenga a me, signore. Io sono Mickey Matthews e, non a caso, il grande Deacon mi ha scelto come suo sidekick!”

Solo allora il giornalista si accorse di essere accanto ad un semplice ragazzino biondo.

Alle loro spalle, un uomo in costume verde, con una X viola sul petto, ed un casco rosso, con una V gialla sulla fronte, afferrò con una facilità estrema il globo incandescente con entrambi i palmi delle mani.

“Questa è la potenza dello Sky Chief!” proclamò, mentre aumentava sempre di più la pressione sull’oggetto, finché non deflagrò.




“Come promesso, li ho portati tutti qua davanti a te!” dichiarò fiera di sé Sara “Ma se non sei tu la voce che avevo in testa, e sono sicura non era nemmeno il mio capo, allora tu chi sei?”.

“Scusa Jack per i tuoi tarocchi…” si scusò rattristato il Soggetto N. 1.

“Ora non ci pensare, Igor” tagliò corto il Soggetto N. 2.

“Infatti, nessuno dice che è colpa tua” lo consolò il Soggetto N. 3, accarezzandogli la chioma.

“Piuttosto, ora prepariamoci alla lotta!” affermò il Soggetto N. 4, mentre la sua mano destra mutava in una qualche arma da fuoco.

“Un nuovo avversario forte” pronunciò il Soggetto N. 5, fissando colui che avevano di fronte.

“E io che non ho nemmeno vinto nulla…” si lamentò il Soggetto N. 6.

“Come al solito!” lo sbeffeggiò il Soggetto N. 7, mentre egli stesso cambiava i propri connotati.

“Sono con voi, amici miei” si caricò il Soggetto N. 8.

“Ho percorso tutta la torre per giungere fino a qui!” disse il Soggetto N. 9.

l’uomo, con una folta barba bianca che ricadeva sopra una tunica color panna, siedeva sopra un altro scranno.

“Sono fiero di avervi tutti e dieci qui al mio cospetto. Ora restate in attesa davanti al tarocco più temuto, il Giudizio!”.


Nello spazio profondo, al di fuori del veicolo spaziale, una figura pallida, alta più di due metri nella sua corporatura filiforme, totalmente calva e con due occhi neri come pozzi senza fondo ammirava in contemplazione assoluta il pianeta Terra.

“Il popolo terrestre non è ancora pronto per tale rivelazione” sussurrava appena dalla bocca minuscola presente sul suo cranio allungato “Solo io, Alien Master dei Global Defenders B, sono a conoscenza dell’ultimo tarocco”.

Poi tornò il silenzio ad avvolgere il tarocco del Mondo.

  
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