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Autore: Mary_C06    26/12/2023    0 recensioni
INTRODUZIONE
~I'll be watching you~
Quando trovi la tua anima gemella, senti dentro di te una sensazione di pace e di serenità talmente intensa,da avere la sensazione di essere arrivati finalmente a casa. Ti sembra di conoscere quella persona da sempre e ti rendi conto che prima di lei non esisteva niente, solo l'attesa di trovarla. Io incontrai colui che colmò le mie sofferenze in sorrisi grazie alla sua promessa -ti dono il mio per sempre-
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Daichi Ozora, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: AU, Missing Moments, Soulmate!AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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    ~We are rock you~

                           Fujisawa 

                      20/marzo/1985

Vincere.

Vincere.

Ancora vincere.

Tutto quello che rappresentava me stesso erano le urla del pubblico euforico, che gridava a squarciagola il mio nome.

I coriandoli che cadevano sul mio viso, i miei genitori orgogliosi…già orgogliosi del mio talento. Ero un diavolo volante dagli occhi verdi e acuti, veloci e istintivi.

Ogni giocatore che oso’ sfidarmi finì umiliato. 

Io sono Benjiamin Price, il portiere che verrà scelto per i prossimi mondiali. Io avevo un sogno, diventare il migliore di tutti. 

Io ero il migliore, non mi servivano altre coccarde. 

Unica cosa che la mia mente voleva era vedere le espressioni deluse e dolenti degli animi afflitti dalla perdita.

Illusi.

Sconsolati.

Persi in loro stessi, per avermi sfidato.

Ma questa non era come altre una partita qualunque. No…per nulla. 

Paura di quei perdenti della Newppy, ma figuriamoci, non avevano nemmeno la forza di alzarsi in piedi e camminare. 

Con la mia squadra li avevamo battuti per chissà quante volte. 

Ma non si arrendevano…Che spreco di tempo. 

Come dicevo non erano loro il problema, ma il loro nuovo membro.

Di conoscerlo lo conoscevo.

Di vista l’avevo visto.

Di sentire l’avevo sentito.

Ma non avrei mai pensato che una persona del suo calibro si fosse messa dalla parte dei secchioni.

Di chi sto parlando?

Di Oliver Hutton. 

Il ragazzo più strano e inquietante che avevo mai visto in vita mia.

Quando ero piccolo lo vedevo ai ricevimenti solo, abbandonato a se stesso. Sorrideva, ma in modo falso e stolto.

I rammolliti dei giornalisti se ne fottevano, d’altronde chi se ne frega di noi e come stiamo, loro mangiano con la nostra sfortuna.

Ma noi ci moriamo con la loro bocca.

Un contro senso?…si chiama solo ciclo della vita.

Io difficilmente difendo le altre persone, perché amo stare sotto le telecamere, eppure quel ragazzino mi aveva sempre fatto pena.

Pallido, con delle occhiaie enormi, che neppure le mie ex ragazze mestruate avevano.

La cosa più sorprendente fu vederlo dopo tre anni davanti a me.

E di quel che ne rimaneva di quella sua figura nei miei ricordi riaccese tutto l’egoismo e la brama di potere che possedevo.

Perché?

Mi sfido’.

Oso’ umiliarmi.

Caddi davanti ai miei compagni di squadra,  e quello sguardo dall’alto al basso fu la goccia.

L’odiavo.

Lui e la sua persona.

Mi rese debole e inutile di fronte alla Newppy.

La  Newppy.

In particolare quegli occhi neri e follemente inferociti, oltre che logorarmi il punto debole del mio io, rabbrividirono la mia schiena.

Dissi che non lo vidi per tre anni.

Ma qualcosa di spaventoso suscitarono in me.

*flashback*

Kyoto

24/12/1982

Camminavo tranquillamente nei corridoi della casa lussuosa del signor Ross. Era davvero bella, grande e spaziosa per ogni bambino, o giovane uomo come me. Aveva un immenso giardino che avrei voluto usare per creare un immenso campo da calcio. 

Con uno stadio, tanti centri per l’allenamento, una platea immensa e anche un carretto di zucchero filato viola.

Sarebbe stato il Price stadio, un nome elegante e sofisticato.

Ero felice di festeggiare il Natale qui, tante persone mi scattavano le foto e il giorno dopo avrei visto le lettere delle ammiratrici.

“Che meraviglia. Avere i soldi e’ fantastico.”

Pimpante e allegro camminavo per il corridoio, evitando le stanze troppo rumorose, dove probabilmente qualcuno si perdeva nella lussuria. Avere tredici anni e sapere queste cose mi faceva sentire più grande. In famiglia ero figlio unico, mi chiamavano viziato, forse lo ero ma d’altronde non me ne fregava, ho i soldi e  né approfitto.

Avvolsi la nuca nelle mani, sfacciatamente pensavo a quanto fossi fortunato e divertito a guardare i bambini dall’alto al basso. Finalmente ero alto, il più alto. Il mio successo da portiere parlava da solo. L’altro giorno mi arrivò un magazine calcistico, delle promesse per la selezione ai world young 1984. Chiamate su chiamate, fiori su fiori e bigliettini a forma di cuore. 

Per me vincere era facile, non avevo paura di niente.

Ad un tratto un rumore squarciò la tranquillità e avanzai verso la porta augusta. Lussuosa era, però sembrava strana. Incuriosito intravidi attraverso essa una distesa di vetri a terra di tutte le forme e colori. Temetti di trovare una donna adulta con un uomo, o qualcuno che litigava, invece vidi il figlio di Hutton. 

Si reggeva al lavello e la sua testa era grondante d’acqua, le dita bianche con le nocche rosse, le braccia tese con le maniche della camicia bianca fino al gomito. 

Ma raggelai quando vidi in quei pochi pezzi di vetro attaccati, degli occhi assatanati. Stavo per chiamare un’esorcista, ma ero troppo terrorizzato.

Per la prima volta sentii sulle braccia paura, ma di cosa, non lo so…ma quelle urla mi strinsero il petto.

Gridava di lasciarlo stare, ma chi doveva lasciarlo stare?

Si stringeva i capelli e ancora gridava, piangeva disperato.

Cadde solo a terra in mezzo a quei cocci di vetro e come se non li sentisse continuava a contorcersi e piangere.

Scappai via da quella visione, era orribile vedere un ragazzino in quelle condizioni.

Cosa fece più paura? 

Vederlo sorridere con gli occhi gonfi davanti una fotocamera.

Per la prima volta mi resi conto di come la nostra vita faceva schifo.

*fine flashback*

Ricordando, le sentivo tutte quelle onde sonore acute sulle braccia. Mi dispiaceva averli alzato le mani, adesso, ma poco importava, domani l’avrei ridotto uno straccio.

Dovevo vincere io, alla commiserazione e compassione per gli altri si ci pensava dopo due mesi.

Sempre se non lo avessi dimenticato.

“Ehy capitano a cosa pensi?”

Alzai lo sguardo e quei quattro idioti dei miei amici mi fissavano come degli psicopatici.

“Nulla nulla, perché vi siete fermati? Vi devo ricordare con chi dobbiamo giocare doman..”

“Con Oliver si lo sappiamo, tranquillo Benji sono più di due mesi che ci stiamo allenando. Abbiamo sconfitto quei cretini tante di quelle volte che un giocatore forte non cambierà nulla.”

“Voi non avete capito nulla! Lui non è come gli altri! Ha sconfitto una squadra intera da solo!”

“Ma erano le riserve Benji!”

“E’ sempre una squadra di dieci giocatori, più me. Non lo sottovalutate. Adesso alleniamoci.”

“Agli ordini!”

Dissero in coro i quattro e corsero in mezzo al campo stanchi. Mi dispiaceva per loro, ma da questa guerra dipendeva una reputazione. La mia e della mia famiglia.

I miei amici avrebbero compreso, ne ero certo. Siamo una squadra forte ma tra i tanti giocatori il quartetto del San Francis si distingue senza esitazione.

Ted, il dentone del gruppo, che decise di lasciare danza classica per giocare a calcio. Ha i capelli neri e lunghi, legati con un codino per non farli cadere sugli occhi. Bravissimo nei calci d’angolo, preciso e scattante.

Molte delle volte lo rimprovero per giocare nella stessa posizione, in particolare di passare in continuazione la palla a Pole, il mio migliore amico. Un figo che non ha niente di figo, con i capelli lunghi e castani, anche i suoi legati. Porta gli occhiali e quando giochiamo si mette delle lenti. Un portento a centro campo e so che posso contare su di lui per delle belle azioni, ma far sempre gli stessi schemi di gioco può farci perdere.

Ecco perché il capitano sono io, ho il controllo su tutto e tutti. Da lontano gestisco il campo di battaglia e loro solo corrono.

“Jonny! Potevi fare un assist!”

Jonny Meson, un burlone, troppo simpatico, talvolta le sue battute sono di poco gusto ma lo fa con buone intenzioni. E’ il bomber della squadra ed è un altro dei miei amici più stretti. Lo chiamo se ho un problema, perché è uno dei pochi che mi tira su di morale.

In questo periodo è stato fondamentale per me, per curarmi contro la mia poca  sicurezza.

Già a volte capita anche al migliore dei portieri sentirsi inferiore.

“Benji! Non è colpa mia Bob ha fatto un pessimo tiro!”

Bob l’ultimo arrivato nel gruppo, è il più piccolo tra noi ma una solida spalla in difesa. Non mi fido molto di lui, lo conosco da poco, ma a quei rammolliti sta simpatico.

Insieme siamo i pilastri d’oro del Giappone.

Nome figo? Lo so. 

Ricordarmi del nostro talento mi fa sentire potente. Mi dispiace per il figlio di Hutton e per come stava male, però è una partita.

Non ci sono amicizie.

Se vuole poi possiamo prenderci un caffè, ma ora voglio solo schiacciarlo sotto i piedi.

“Va bene basta così ragazzi! Siete stati grandi. Grazie preside Connie per aver fatto giocare la vostra scuola con noi oggi.”

“Grazie mille a voi, non riusciremo mai a battervi.”

Si strinsero le mani e i giocatori dello Yorktown ci guardarono male. Comprensibile. Perdere venti a zero non è soddisfacente. 

Sono conosciuto per non far passare nemmeno un pallone fuori dall’aria di rigore. Questa porta e’ la mia casa. Ha un sistema di difesa ben piazzato e i suoi abitanti devono sentirsi protetti.

Non sono solo il capitano, ma sono anche un amico, un fratello, una guida. Se la via si perde i suoi passanti impazziscono.

“E anche oggi abbiamo vinto!”

Disse Pole euforico e saltò addosso a Jonny che infastidito dal cattivo odore del suo sudore lo spinse malamente.

Iniziarono a litigare come bambini e Ted li prendeva in giro. Che idioti!

“Invece di fare i so tutto io perché non mi offrite il pranzo. Vi ricordate la sfida di sta mattina? O devo ricordarvela?”

“No Benji! Siamo amici dai!”

“No no Ted, avete detto che se voi avreste fatto più di dieci goal il pranzo l’avrei offerto io. Sono venti! Coglioni!”

“Senti non è colpa nostra!”

Mi ricorsero per tutto il campo e alla fine quel pranzo me l’offrirono.

Adoravo stare con i miei amici, ne ho sempre avuti tanti, ma nella vita capii che amico si da a poche persone.

Le stesse che continuavano a bisticciare per strada.

“Avete finito!”

“Benji Pole non si lava, io e Ted potremmo morire come topi!”

“Chi sono sua madre?”

“Io mi lavo, ma fa caldo, quindi sudo. Voi non vi siete mai odorati dopo l’allenamento?!”

“Che schifo!”

Quei due disgustati e l’altro vittorioso e io seccato. 

Camminavamo per il percorso e il tramonto sulla via ci diede la possibilità di vedere tanti colori l’uno sugli l’altro.

Quel colore giallo, d’orato, colore dei vincitori.

Il mio.

“Domani vinceremo.”

Mi voltai verso di loro, e comprendendo il mio sguardo sorrisero. Non mi sarei fermato davanti a nulla.

Di quel lontano pomeriggio ne sarebbe rimasto un piccolo ricordo nella memoria.

Che sarebbe sparito con il vento.

“Lo sai, noi siamo con te.”

“Non si avvicinerà.”

Pole e Jonny gli brillarono gli occhi, come Ted appoggiato al palo.

Se di dimostrare potevo farlo, 

Se lo sguardo del mondo potevo avere sul palmo.

Se agli occhi di tutti coloro che da uno schermo o dal vivo mi fissano incuriositi, la mia forza sarò pronto a dimostrare.

Temerario, arrogante ed egocentrico.

Si lo sono.

Corse e piedi muovevo, le mani le sollevavo.

Analisi e aghi pronti ad estrarmi ogni vitamina possibile per raggiungere il limite.

La vita non aveva limiti se non la morte, e fino a che non l’avessi toccata con le mie dita miracolose, avrei preso, preso e ancora preso ogni occasione, formatasi nel cuore di cuoio.

Nella speranza di quelle distese verdi che avevo negli occhi, invincibile ero.

Parlavano tanto e io davo voce alle loro parole e le loro azioni.

E loro davanti a me sono la mia musica.

“Sta sera andiamo a guardare la festicciola di quei perdenti?”

Ted si stacco’ dal palo e si stavano già coalizzando per spiare i nostri avversari. 

Che idioti.

“Io passo, devo rivedere le tattiche di gioco, se voi volete andare fate pure, ci vediamo domani mattina.”

“Va bene Benji. Ma non stancarti troppo.”

“Abbiamo bisogno di te domani.”

“Se pensate che io non ci sia, siete degli illusi. Nemmeno due ore di sonno mi fermeranno. Addio!”

Salutandoci, se ne andarono per la loro strada, facendosi dispetti e ancora i pensieri a me tormentavano. Quella notte l’avrei passata a ripetere, ma non tutte le ore, in realtà quei ricordi mi stavano vorticando. 

Era strano, era imbarazzante. Mio padre mi ha sempre insegnato a diffidare degli altri e dei loro problemi, mi ha sempre detto di prendermi cura di me stesso e che potevo contare sulle mie forze per andare avanti. Ma possibile che tale momento non lo scordo.

Da quando ci penso? Da quando ci siamo presi a botte, stessa intensità, stessa rabbia.

Come può un ragazzino essere tanto arrabbiato con il mondo. 

Si può esserlo? Siamo giovani, che razza di problemi nell’adolescenza dovremmo avere se non insicurezza e ansia per il futuro?

Gli adulti erano rancorosi e depressi, noi dovremmo essere più spensierati.

La famiglia Hutton viene conosciuta come la famiglia felice, allegra, gentile con tutti. 

Persone meravigliose. Il padre in particolare, veramente disponibile e generoso, una persona come pochi. Per quale ragione Oliver era ridotto in malo modo a terra, urlante…gli era morto un parente? Non credo, la famiglia non sarebbe venuta…aveva perso la ragazza, si era lasciato? Non l’ho mai visto con nessuno…strano.

“Domani porto i pom pom. Dobbiamo fare un big tifo capito! Holly ha bisogno del nostro sostegno. Magari a te ti apprezzerebbe di più~”

“D-daichi no, insomma si…farò il tifo ma ci saranno tante p-persone domani.”

“Ci faremo riconoscere my friend.”

“Tu ti farai riconoscere! Io sto per sostegno morale.”

“Certo…faremo le ragazze pom pom.”

Svoltai l’angolo e in un parchetto c’erano due ragazzi. Daichi Hutton, ben riconoscibile per quei capelli colorati, ma quella figura vicino a lui che giocava con un pom pom, guardava a terra arrossito. Mai l’avevo visto con loro, non sembrava un tipo che si avvicinava al loro genere. Ho sempre pensato che attorno a noi dovevano esserci persone di un certo calibro: eleganti, sofisticate, con una certa cultura, con una certa faccia e importanza.

Osservavo le loro movenze e come si divertivano insieme. Sia mai che i sorrisi di quel bambino ora alle feste erano così falsi? Che cosa nasconde questa famiglia? Tutto era normale, ma adesso sembra tutto strano…che cosa non so?

Vedendoli allegri nel giocare in quel parco, nonostante la riluttanza del castano a salire sull’altalena, ballavano e scherzavano.

La mia presenza avrebbe solo rovinato il loro divertimento. 

Domani avrebbero potuto deprimersi, per il loro eroe senza spada, ma adesso volevo che avessero tutte le loro convinzioni. 

All’orizzonte arrivai, e dinanzi a me il nuovo giorno stava quasi per sorgere. In quel verde brillava la mi speranza, che si specchiava nel mare. 

Respiravo a pieno quell’odore di gratitudine e dopo una preghiera al tempo ritornai a casa, l’allenamento non era finito.

“Benji i miei alunni universitari sono qui.”

“Si signor Marshall, prendo i guanti!”

Eccomi ancora qui, in mezzo a quei pali solidi. Fino a che la luce mi avrebbe illuminato avrei continuato.

Strinsi i guanti, strinsi i denti.

Saremmo stati invincibili.

Da me dipendeva tutto.

Saremmo stati noi la canzone di sempre.

E io avrei fatto sì che che sfatasse i miti.

Ancora una volta.

“Sono pronto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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