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Autore: Tynuccia    03/01/2024    1 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Intuendo di essere rimasto in silenzio per troppo tempo, Yzak si schiarì la gola. "Se è tutto, signore, avrei dei doveri da espletare".
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Gilbert Dullindall, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Requiem
 
 
 
Si chiese come fosse possibile, a fronte della tragedia che li aveva appena sopraffatti, che il suo volto apparisse così calmo; benevolo, quasi. Ma, se doveva essere onesto, i due anni trascorsi a barcamenarsi tra il Consiglio e ZAFT gli avevano fatto capire che, a differenza dell’uomo dall’altra parte dello schermo, non era tagliato per essere un politico. O per essere calmo, in generale.
 
“Se non aveste manomesso il motore di quell’anello, ora non esisterebbe più Aprilius. E per questo hai tutta la mia gratitudine”, disse Dullindal, sorridendo. “Alla prima occasione utile sarà mia premura conferire una medaglia a te e a tutta la tua squadra”.
 
Lui strinse le labbra sottili e si morsicò l’interno della guancia, sperando che non trasparisse alcuna emozione sul suo viso diafano. Avrebbe voluto urlare che non se ne sarebbe fatto un bel niente di una coccarda appuntata al petto, non quando aveva due navi piene di soldati a lutto per aver perso i propri cari. Quello che il Presidente elogiava come un successo, a Yzak Joule pareva una sconfitta su tutta la linea. "Bisogna fermarli", replicò invece, stringendo febbrilmente il pugno. "Spareranno di nuovo, poco, ma sicuro".
 
Dullindal annuì, appoggiandosi alla poltrona. "Ben detto", si complimentò ancora. "Certo, è deplorevole come il governo di Orb si sia fatto sfuggire Djibril. Dopo aver mentito in mondovisione, poi", considerò, le labbra perennemente incurvate all'insù in un sorriso accondiscendente.
 
Yzak, nuovamente, evitò di dar voce ai propri pensieri. A voler ben guardare, la Minerva ed i suoi piloti avevano ingaggiato un'inutile battaglia contro l'Archangel ed il Freedom, sprecando così del tempo preziosissimo che sarebbe dovuto servire ad intercettare la fuga del membro dei Logos. Che il Delegato ad interim di Orb avesse sbagliato nel negare la presenza di Djibril nell'Emirato era lampante, ma le operazioni erano state svolte con una noncuranza che gli aveva fatto storcere il naso. E temere che, in fin dei conti, si volesse arrivare precisamente ad un fallimento. 
 
Osservò, ancora per un attimo, il viso del Presidente, ed avvertì un dannato senso di déjà-vu. In lui serpeggiava il dubbio, unito allo sconforto, che ricordava ancora fin troppo bene dagli eventi della prima guerra. Si era fidato, ciecamente, di quell'uomo così carismatico, che con un discorso da manuale era riuscito a scagionarlo da tutte le accuse che, altrimenti, lo avrebbero portato all'esecuzione capitale. Aveva avuto il cuore colmo di speranza e ottimismo, ed ora, per l'ennesima fottuta volta, doveva scendere a patti con l'egoismo umano, unito ad una preoccupante dose di megalomania ingiustificata. I conti non gli tornavano da abbastanza tempo, e quando a fianco del Delegato Athha era comparsa una seconda Lacus Clyne, i pezzi del puzzle si erano finalmente incastrati alla perfezione. Da un lato si era rallegrato di non essere completamente pazzo nell'aver nutrito perplessità per la nuova, procace versione dell'idol beniamina dei PLANT, ma dall'altro si era ritrovato a dover ammettere che Dullindal non fosse magnanimo come cercava di far credere. Certo, l'utilizzo di una sosia per motivare le truppe non era un reato di per sé, ma la diceva lunga sulla mancanza di trasparenza da parte dell'uomo. 
 
Intuendo di essere rimasto in silenzio per troppo tempo, Yzak si schiarì la gola. "Se è tutto, signore, avrei dei doveri da espletare".
 
Dullindal annuì e sventolò una mano in aria. "Ma certo, posso solo immaginare il caos", concesse. "Buon lavoro, Yzak".
 
L'albino si portò sull'attenti, e fu intimamente sollevato quando lo schermo si spense, liberandolo da quella chiamata così surreale. Si abbandonò contro lo schienale della poltrona, socchiudendo gli occhi e prendendo un grosso respiro. Di tutti i complimenti ricevuti ultimamente, c'era quello che denotava come fosse più maturo, e raccolto; di come avesse imparato a gestire la rabbia, limitandola a momenti ben definiti in cui poteva essere accettabile un piccolo guizzo del vecchio Yzak.
 
In quell'istante, gli sembrò che le sue mani avessero vita propria. Qualunque cosa fosse sulla scrivania finì a terra, e dovette ringraziare che la poltrona fosse ancorata al pavimento o avrebbe ribaltato perfino quella.
 
Ansante, Yzak non volle neppure riconoscere il disastro di documenti ed apparecchiature elettroniche che rendeva la sua cabina così disordinata, e si diresse fuori, sentendosi improvvisamente claustrofobico. 
 
Galleggiò senza meta, i pugni tremanti ai lati del corpo, e neppure si sorprese quando si ritrovò di fronte ad una delle vetrate nelle vicinanze della caffetteria. Ovviamente lei era lì, seduta per terra con lo sguardo perso in direzione dello spazio. Sulla sua guancia campeggiava un grosso cerotto, sinonimo che si era fatta male, ed il suo stomaco gli parve precipitare. 
Arrestò il suo incedere, sostenendosi al muro, e la vide sollevare il capo. 
 
"La stavo aspettando, signore", mormorò con voce appena udibile.
 
Yzak sospirò e si accomodò vicino a lei, appoggiando la testa contro il vetro e allentandosi il colletto. "Non ci eravamo dati appuntamento".
 
Il Maggiore Hahnenfuss andò a tormentarsi un lato della giacca dell'uniforme e tornò a fissare le stelle. "La conosco bene, Comandante Joule", si permise di dire, arricciando appena le labbra. "A volte, credo, meglio di lei stesso".
 
L'albino non avrebbe obiettato, perché aveva ragione. Come al solito. "Cosa ti sei fatta?", domandò quindi, imponendosi di non allungare la mano per sfiorare la medicazione.
 
"Piccole ferite di ordinaria amministrazione", replicò lei. “Nulla per cui preoccuparsi. C’è chi è messo peggio, ma a livello psicologico”. 
 
“Lo so”, concesse Yzak, mesto. Appena sceso dal suo Mobile Suit, conscio che avrebbe dovuto interloquire con il Presidente di quanto appena successo, aveva dato istruzioni perché Dearka supervisionasse il lavoro dei meccanici, mentre Shiho avrebbe dovuto avvalersi della sua proverbiale pazienza per sincerarsi che l’equipaggio stesse bene. I suoi occhi arrossati e l’espressione tirata gli suggerivano che era stata una prova stancante. “Sono passati due anni e siamo a punto e a capo”. 
 
La giovane emise una risata vuota ed annuì. “Non impareranno mai, oggi ne abbiamo avuto la riprova. Mi chiedo che senso abbia, combattere". Ormai la sua mano era stretta al bordo dell'uniforme, e si sentiva oltremodo stanca. Richiamare i tempi andati, quando erano ancora due Redcoat a bordo della Vesalius, era stata una scelta azzeccata, perché in qualche astruso modo le sembrava che non fosse trascorso neppure un singolo giorno. Erano di nuovo lì, in balia degli eventi, a compiangere vite umane distrutte dalla follia di pochi. Non erano servite delle promozioni e interminabili trattative: nel giro di una manciata di secondi, le loro esistenze erano state catapultate indietro nel tempo, appesantite dalla lugubre consapevolezza che, per quanto ci provassero, la pace sembrava costantemente fuori dalla loro portata. 
 
Sentirla così abbattuta fu un ulteriore stoccata all'animo martoriato del Comandante Joule. Solitamente era lei quella che gli alleggeriva l'umore, anche solo con l'accenno di un sorriso. "Almeno questa volta c'è anche Elthman", considerò, sollevando gli occhi chiari al soffitto, per poi posarli sul suo volto. "Un argomento in meno con cui tediarti". 
 
Shiho ricambiò con uno sguardo di dolce rimprovero. "Autocommiserazione? Da lei mi sarei aspettata qualcosa di più", disse. "Se sono rimasta nella sua squadra, è proprio perché non ho mai pensato che lei fosse noioso, signore. Tutt'altro". Lo vide stringere la mascella, profondamente imbarazzato, e decise di non calcare la mano. "Comunque sì, effettivamente la presenza di Dearka rappresenta un nuovo scenario. Io e lei siamo troppo seriosi, se fossimo soli, come due anni fa, credo che riusciremmo soltanto a deprimerci ulteriormente".
 
Yzak si trovò d'accordo, ma si limitò ad un cenno del capo. "L'importante è non farglielo sapere. Potrebbe montarsi la testa ed usarlo contro di noi in continuazione".
 
Il Maggiore sbuffò un ghigno, sentendosi comunque colpevole per quel leggero scambio di battute in un momento altrimenti teso. Però, si ritrovò a pensare, il tempo era davvero andato avanti, malgrado lo scenario visto e rivisto: Yzak Joule era una persona completamente diversa, e non solo per l'uniforme candida ed un viso scevro di cicatrici. Sulla Vesalius non si sarebbe mai lasciato andare ad esternazioni umoristiche, per quanto deboli, e di sicuro avrebbero optato per il loro adorato, confortevole silenzio. "Andrà tutto bene", affermò, automaticamente, al punto che si sorprese da sola. "Vedrà. In un modo o nell'altro, riusciremo a risolvere la situazione".
 
L'albino non ne era troppo convinto, ma l'esperienza gli aveva insegnato che, su certi temi, il Maggiore Hahnenfuss era molto più lungimirante di lui. Si arrese, quindi, ad un ultimo sospiro, e si alzò in piedi, tendendo la mano verso la giovane per aiutarla ad imitarlo. La tenne stretta, per non farla galleggiare lontano, e per un istante si concesse il lusso di rimanerle tanto vicino. "Andiamo", disse poi. "Non sappiamo quanto tempo gli ci voglia per ricaricare quel fottuto cannone". La sentì stringergli appena le dita, prima di lasciarlo andare e sorridergli, seguendolo lungo il corridoio, con la stessa cieca fiducia che, ogni volta, gli infondeva un minimo di speranza in un domani meno grigio.
  
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