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Autore: Joy    16/01/2024    1 recensioni
[Un Professore]
[Simone/Mimmo]
“È uno dei migliori centri per la riabilitazione neuro motoria, non vorrai che il tuo vecchio rimanga dipendente da un deambulatore? Guarda che è dura prendersi cura di un infermo.”
Simone sente un principio di mal di testa circuirgli le tempie. “Papà, tu non hai mai usato il deambulatore.”
“Eh, ma potrei” risponde suo padre risoluto. “Potrei.”
[fix-it, ambientata dopo la fine della seconda stagione]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Un Professore

Personaggi: Mimmo/Simone

Ambientazione: Dopo la fine della seconda stagione.

Genere: Sentimentale.

Warning: Slavina di Fluff, Fix-it, Lemon, Angst and Fluff.

 

 

 

A Christmas story

 

 

 

“Simone” esordisce suo padre una sera mentre accatasta l'ennesimo libro su di una pila già traballante, “sembra che sia consigliato, nel mio caso, una...” esita, cerca di afferrare il concetto con le mani, Simone ha imparato a conoscerlo abbastanza da capire che si trova in difficoltà,“una... una riabilitazione specifica, ecco.”

 

“Va bene” gli risponde incoraggiante, “dove dobbiamo andare a farla?”

Dà per scontato che andranno insieme, del resto lo ha sempre accompagnato lui ad ogni visita, dopo l'intervento.

 

“Non molto lontano” prosegue suo padre generico distogliendo lo sguardo, “però dormiamo fuori.”

 

Simone annuisce. “E per quanti giorni?” s'informa.

 

Suo padre recupera il libro dalla torre precaria e inforca gli occhiali. “Poco” risponde con il gomito puntato sul bracciolo e una mano pensierosa sulla bocca. “Poco.”

 

---

 

Poco per suo padre è due settimane.

 

L'intera durata delle vacanze di Natale.

 

La mattina della partenza, con sua madre che lo saluta senza parlare e sua nonna che invece svolazza attorno cinguettando senza sosta, Simone si sente come se l'avessero incastrato.

E deve avere ogni perplessità stampata a chiare lettere sul viso, perché suo padre chiudendo il bagagliaio si sente il dovere di chiarire:

 

“Tua madre deve lavorare, Simò.”

 

“Lo so, papà.”

 

Lo sa davvero, solo che per quanto si sforzi di decifrarlo, suo padre a volte è più criptico dei filosofi che insegna, e Simone si sente, di fronte a lui, perennemente fuori strada.

 

“E Anita non può lasciare la libreria nel periodo delle feste” aggiunge.

 

“No ovvio.”

 

“Eh” commenta suo padre, sollevando entrambe le mani, “mi resti solo tu.”

 

“Solo io” ne conviene Simone, annuendo poco convinto.

 

Suo padre sorride e gli lancia tra le mani le chiavi della macchina. “Non vorrai far guidare un invalido” gli propina, come se non bastasse.

 

A Simone sembra che quella tortura non abbia mai fine.

 

“Un invalido, certo” borbotta tra i denti sospirando.

In realtà si sente abbastanza rassegnato mentre prende posto sul sedile di guida: la situazione è già oltre il surreale.

 

“Allora?” aggiunge quando anche suo padre si è seduto. “Dove andiamo a farla questa riabilitazione?”

 

“In svizzera.”

 

“Cosa?!” Gli sfugge prima che possa controllarlo, è quasi sicuro di non aver capito.

 

“Sul confine” si affretta a correggere suo padre. “Guarda che parlano tutti italiano, eh Simò.”

 

Come se quello fosse l'unico problema.

 

“È uno dei migliori centri per la riabilitazione neuro motoria, non vorrai che il tuo vecchio rimanga dipendente da un deambulatore? Guarda che è dura prendersi cura di un infermo.”

 

Simone sente un principio di mal di testa circuirgli le tempie. “Papà, tu non hai mai usato il deambulatore.”

 

“Eh, ma potrei” risponde suo padre risoluto. “Potrei.”

 

“Sì, vabbè” taglia corto Simone. Certe volte discutere con suo padre è solo una perdita di tempo e per quanto ancora fatichi a leggerlo, si compiace almeno di aver capito che questa è una di quelle volte. “Andiamo che è meglio” seguita girando la chiave.

 

---

 

Il presidio ospedaliero di Brissago ha in effetti un percorso riabilitativo di ultima generazione, ma

per l'età media dei pazienti, suo padre è un ragazzino e questo fa di lui un poppante, se ne rende conto quando l'infermiera di turno gli allunga un buffetto sulla guancia dopo avergli regalato un lecca lecca alla propoli.

 

“Tuo padre sarà impegnato per le prossime tre ore” gli dice. “Perché non fai una passeggiata, ci sono le bancarelle di Natale in piazza.”

 

“Sì.” risponde risoluto, l'idea di rimanere su quella sedia in plastica bianca, in balia dei suoi stessi pensieri per tutto il pomeriggio è più di quanto possa sopportare. “Penso che prenderò un po' d'aria.”

 

“Copriti bene” raccomanda con premura l'infermiera.

 

Simone abbozza un sorriso tirato e annuisce reprimendo l'impulso di gridare.

 

Quando le porte a vetri si aprono di fronte a lui, gli sembra di tornare a respirare.

 

---

 

Il luogo è bello, di quelli che se Simone credesse ancora alle fiabe, ne sarebbe una cornice perfetta.

 

E invece sente solo il freddo.

 

Non ci sono lucine intermittenti così luminose da dissolvere le ombre che si sente dentro o cumuli di neve abbastanza soffici da schermare il pungere crudele della solitudine, e il freddo che lo paralizza non è mai così intenso da spegnere il lavorio deleterio della sua mente; Simone ha imparato a conviverci anche se nella maggior parte dei casi, a stento gli sembra vita.

 

La piazza è affollata; c'è un sentore zuccherino di dolci e zucchero filato che sembra lenire un po' la tristezza, il grande albero decorato ha attirato stuole di bambini al centro del mercato: uno di loro ha capelli chiari e un broncio che gli riporta alla mente qualcosa di bello.

Tira su col naso e affonda le mani nelle tasche alla ricerca di un fazzoletto: l'aria è talmente gelida che non si sente più nemmeno le falangi.

 

Un bancarella alla sua destra vende guanti; ce ne sono un paio tagliati che gli ricordano Mimmo.

 

Mimmo.

Con le punta delle dita fredde e i palmi caldi.

 

A Simone manca così tanto che il respiro si ferma e deve bere un sorso d'acqua per convincere il suo fiato a ripartire, e comunque non sempre gli riesce; sospira piano e si passa sugli occhi le dita paonazze e un fazzoletto già bagnato.

 

Dall'altro lato del banco qualcuno gliele porge uno pulito insieme a un paio di guanti interi e azzurri.

“A te starebbero meglio questi” dice.

 

La voce è bassa e soffice, Simone ha fatto di quel suono la sua personale ninna nanna, vocale dopo vocale, fino ad addormentarsi con la guancia sul telefono, da quando lui e Mimmo si sono detti addio. E sono passati più di sei mesi da allora.

 

Solleva lo sguardo sul ragazzo della bancarella e perde l'uso delle mani: guanti e fazzoletto ricadono sul banco. Quello sorride e li raccoglie di nuovo.

 

“Sei sempre stato un bravo ragazzo” dice, infilandogli quei guanti caldissimi nelle mani. “Le manopole non fanno per te.”

 

Ha labbra morbide e occhi grandi, tutto il resto Simone lo vede sfocato.

 

“Hai le dita gelate” continua stropicciando le mani nelle sue. “Mi avevano detto che avrei ricevuto una sorpresa per Natale, ma non avrei mai osato sperare in questo.” E sull'ultima parola anche quella voce s'incrina.

 

“Simone...”

 

Il suo nome lo pronuncia prima che si rompa del tutto.

 

Simone ha paura di sperare, paura di guardarlo e scoprire che non è lui. Riesce solo a tremare.

 

“Quella giacca non va bene per queste temperature. Se vuoi domani ti accompagno in un emporio di abiti adatti a questo clima; la mattina non lavoro.”

 

E quello è davvero Mimmo.

Che si preoccupa per lui in ogni momento. Che cura i suoi geloni, quando lui stesso, per pochi momenti in sua compagnia, rischia la vita.

 

“Sei al sicuro qui?” lo interrompe. È l'unica cosa a cui Simone riesce a pensare.

 

La prima che riesce a dirgli. La voce gli esce umida.

 

Mimmo sorride e annuisce. “Stai tranquillo, Pantera sa quello che fa.”

 

“Ti aspetto anche stasera, allora” sussurra, senza poter distogliere gli occhi dai suoi.

 

Non c'è niente, niente, che possa convincerlo ad allontanarsi di un solo passo, adesso che l'ha ritrovato.

 

“Stacco tardi...” replica Mimmo.

 

“Non importa. Ti aspetto.”

 

E vorrebbe sembrare forte e adulto, e invece continua a tirare su col naso e le labbra continuano a tremargli.

 

Mimmo allunga una mano e gli sfiora una guancia. “Va bene” sussurra. “Però non piangere, Simò.”

 

---

 

Se prima aveva paura di guardarlo, adesso ce l'ha di distogliere lo sguardo.

Ha bisogno di sapere che è lì, dietro a quella bancarella, che non se ne andrà lasciandolo da solo ad affrontare i giorni e le notti e qualsiasi altra cosa gli riservi il futuro.

 

Mimmo sorride ai clienti e a lui e Simone non riesce a tenere gli occhi asciutti.

 

C'è un coro Gospel da qualche parte e dal punto in cui si trova Simone, sembra che l'acciottolato abbia rubato l'acustica alla chiesa: sente le vibrazioni anche sotto le piante dei piedi.

 

Sente tutto, dopo mesi in cui non sentiva niente.

Fa freddo, ma non gl'importa.

 

A sera, quando Mimmo comincia a smontare la bancarella, sa di avere un aspetto davvero miserabile, eppure si sente vivo come non succedeva da tempo.

 

“Porto questi scatoloni in magazzino e ho finito” gli dice Mimmo

 

Simone toglie dalle sue mani la maggior parte di loro. “Ti aiuto” replica.

 

Attraversano insieme la piazza e un paio di vicoli e una volta depositata la merce Mimmo chiude la serranda del magazzino e sorride.

Simone lo ricambia, ma lo fa lacrimando.

 

“Mo' basta, eh!” esclama Mimmo stringendo i pugni attorno alla sua giacca e scuotendolo bonariamente. “Andiamo a prendere qualcosa di caldo, ti va?”

 

Simone deglutisce. “Possiamo farlo?”

 

“Basta che mi chiami Leo.”

 

Annuisce. “Io posso restare Simone?”

 

Mimmo appoggia entrambe le mani sulle sue guance e lascia scorrere i pollici sulle scie gelide delle sue lacrime.

 

“Sì” mormora. “Tu resti Simone.”

 

---

 

È tardi e la pasticceria sta per chiudere.

 

Simone è abbastanza sicuro di aver fatto compassione al proprietario, tremante com'è nei suoi abiti inadatti; o forse sono stati gli occhi di Mimmo: quel bisogno radicato in ogni suo sguardo di essere felice e di avere pace.

 

“Il tempo di una cioccolata, Carl” promette. “E domani ti porterò le muffole che piacciono tanto a Greta.”

 

“Sedetevi” ride Carl asciugandosi le mani sul grembiule. “Mia nipote ha più guanti che dita” risponde bonario.

 

La cioccolata è caldissima e troppo densa, ma almeno fa passare a Simone la voglia di piangere. E immagina di avere anche dei baffi di cioccolata perché Mimmo non smette di guardarlo e ridere.

 

Poi si sporge sul tavolino verso di lui e li porta via con un bacio.

 

---

 

“Ti va di salire da me?”

 

“Sei sicuro che tutto questo non sia pericoloso per te?”

 

“Sì.” E annuisce, per enfatizzare la risposta.

 

Simone non chiede più. Del resto non riuscirebbe a tornare indietro, adesso che ha varcato la sua soglia di casa e l'odore di Mimmo è ovunque.

 

“Me lo dai il tempo di una doccia, Simò?”

 

Simone immagina i rivoli d'acqua sulla sua pelle, e Cristo...

 

“Posso...” balbetta indicando la porta del bagno. “Posso... con te?”

 

Mimmo esita un secondo, e Simone si sente già in colpa.

 

“Sì” annuisce poi. “Sì.”

 

---

 

Sono da un amico, non mi aspettare”

 

Alla fine ha mandato un messaggio a suo padre. È palese che abbia architettato tutto lui, anche se dubita che il suo piano comprendesse lui nudo davanti al vetro appannato di un box doccia.

 

“Ci entriamo in due?” chiede.

 

“Basta che mi stai vicino, Simò.”

 

Simone pensa che ha sempre avuto bisogno di stare vicino a Mimmo, anche prima di esserne consapevole.

 

Ha bisogno di appoggiarsi a lui, pelle contro pelle, e se l'acqua della doccia nemmeno vi scorre in mezzo, tanto meglio: sono stati separati troppo a lungo.

 

Eppure, mentre scavalca il gradino della doccia, Simone sente di aver paura.

 

Ha paura delle esitazioni, dei silenzi improvvisi; quelli che insinuano nella sua mente il dubbio e lo fanno sentire in colpa e sbagliato.

 

Ma Mimmo sa quello che vuole e lo stringe a sé senza esitare.

 

Gli passa le dita tra i capelli, gli bacia le labbra e lo guarda, e nel frattempo gli occhi gli diventano lucidi.

 

“Mi sei mancato tanto” mormora sulla sua bocca.

 

A Simone sarebbe mancato meno l'ossigeno.

Risale le sue braccia con una lenta carezza e poi scende lungo la schiena, Mimmo sospira e avvicina i fianchi ai suoi.

 

“Sei sicuro di voler ancora stare con me?” gli chiede.

 

Se non fosse così preso, Simone scoppierebbe a ridere, e invece riesce solo a sollevargli il mento e baciargli di nuovo le labbra, prima di chinarsi e appoggiare la fronte alla sua spalla.

 

“Te lo già detto una volta” sussurra sulla sua pelle. “Non voglio stare lontano da te.”

 

“Quello nemmeno io.” gli risponde lui.

 

---

 

 

Tra le lenzuola Simone sente di poter finalmente chiudere gli occhi; non ha paura di perderlo adesso che può tenere le braccia avvolte attorno al suo torace e il viso affondato tra i suoi capelli.

 

La stanza è rischiarata dalle luci soffuse del campanile illuminato a festa.

C'è un leggero scoppiettio di risa che proviene dalla strada, anche se ormai è notte fonda.

 

Mimmo si rigira nel suo abbraccio, incastra il viso nell'incavo del suo collo e sospira piano.

Simone gli bacia i capelli, intreccia le gambe alle sue e per la prima volta pensa alla possibilità di entrare nel programma di protezione.

 

---

 

“Quante mattine avremo come questa?”

 

La voce è bassa, esitante, sembra che Mimmo non voglia davvero una risposta.

Gli dà le spalle mentre armeggia con la moka e il tostapane, e con la testa china sembra improvvisamente avvolto dalla tristezza.

 

Simone vorrebbe baciargli il collo e dirgli che le avranno tutte; che è disposto a rinunciare agli altri, ma non a lui.

Non di nuovo.

Non dopo i sei mesi d'inferno che ha trascorso.

 

Invece prende quella caffettiera che nelle mani di Mimmo sembra non volersi chiudere e la posa perfettamente avvitata sul fornello.

 

“Altre tredici” mormora.

 

Le ciglia di Mimmo fluttuano e si sollevano, mostrando uno sguardo leggermente più animato.

“Pensavo peggio” confessa.

 

Simone aggancia gli indici all'elastico dei suoi pantaloni e se lo tira contro. “Mio padre devi seguire un programma di riabilitazione specifico” spiega.

 

“Fantastico!”

Lo esclama di getto, con un guizzo di vero entusiasmo che gli anima gli occhi, salvo ridimensionarsi un istante dopo, “cioè, non intendevo-

 

“Ho capito” lo interrompe Simone ridendo. “Ho capito.”

 

---

 

“Simò, devo dirti una cosa” esordisce Mimmo mentre escono dall'emporio dove, tra giacche a vento e scarponi, hanno passato metà della mattina.

 

Simone si ferma e ruota verso di lui; le sue scarpe scricchiolano sul lastrico ghiacciato. “Mi stava meglio il giaccone blu, vero?” chiede spostando i sacchetti da una mano all'altra e fingendo una preoccupazione che non sente. “Lo sapevo.”

 

Mimmo scoppia a ridere “Ma che cazzo dici?!”, gli lascia andare un pugno leggero sul braccio “Che me frega del colore!”

Avanza di qualche passo, l'eco della risata che fatica a spegnersi nella sua gola, poi si ferma e lo guarda negli occhi: “È di un'altra cosa che volevo parlarti, Simò.”

 

L'ansia improvvisamente lo schiaffeggia: l'ultima volta che Mimmo gli ha parlato con quella serietà è stato per dirgli addio; cerca d'ignorare il modo in cui il suo respiro sembra accelerare ad ogni istante, trasferisce a turno i sacchetti in un'unica mano per asciugarsi i palmi sudati sui pantaloni e deglutisce: “Puoi dirmi quello che vuoi.”

 

È la verità. Così com'è vero che ogni sua parola gli scaverà una voragine nel petto o la risanerà, ma questo non glielo dice.

 

Mimmo lo osserva immobile, l'unico movimento è spostare il peso da un piede all'altro mentre cerca le parole e Simone non può fare a meno di pensare che più sono difficili da pronunciare e più gli faranno male.

 

“Io ti volevo chiedere scusa” dichiara d'un tratto, deciso.

 

Simone ha la sensazione di non capire: “Tu non mi devi nessuna scusa.”

 

“Sì, invece” ribatte Mimmo, “quando ti ho accusato di aver raccontato tutto a tuo padre. Avevo solo paura.”

 

“E facevi bene.” Non gli dice che si è pentito di averlo fatto, ma lo sente; egoisticamente e in modo così meravigliosamente immaturo avrebbe preferito lasciare le cose come stavano. “Guarda come siamo finiti” alita.

 

Mimmo scuote la testa, si guarda le mani e poi guarda lui. “Non avrei potuto stare con te mentre ero invischiato con Molosso. Ti avrei messo in pericolo.”

 

“Lo avremmo affrontato in due.”

 

“No” lo corregge Mimmo deciso, “saremmo finiti nei guai in due. O peggio.”

 

Simone sa che ha ragione, ma ancora vacilla per la sberla che il destino gli ha appioppato quando ha colmato il vuoto rassegnato della sua vita donandogli Mimmo per poi allontanarlo senza possibilità di appello.

 

“Cosa succederà adesso?” riesce a chiedere. E ha un nodo che gli serra la gola, e un tale senso d'irrequietezza che gli formicola nelle mani, da non sapere se abbracciare Mimmo tanto da diventare una cosa sola con lui o prendere a pugni l'albero più vicino.

 

“Dopo che te ne sarai andato mi trasferiranno di nuovo” snocciola evitando il suo sguardo. Per il poco che può consolarlo Simone è sicuro che anche lui stia soffrendo. “Era già previsto” aggiunge, “per questo ci hanno concesso questi giorni.”

 

“Vuol dire che ripartirai da zero? Altro nome? Altra città?”

 

Annuisce. Ingoia a vuoto parole che non riesce a pronunciare: Simone vede il movimento vischioso e dolente della sua gola.

 

“E non sai se potremo rivederci?”

 

Mimmo scuote la testa.

 

“Questa volta verrò con te” dichiara risoluto. Ed è quasi liberatorio dirlo ad alta voce, come se avesse finalmente scagliato via il peso che gli gravava sul petto.

 

“Che cazzo dici, Simo'?!” Mimmo questa volta la testa la alza e per quanto insolito per lui alza pure la voce.

 

“Dico che entrerò nel programma” ribadisce.

 

“No! Non se ne parla proprio! Ti ho già rovinato la vita.”

E per quanto sembri arrabbiato, quelle lacrime che Simone scorge a margine delle ciglia, tradiscono un'angoscia che non avrebbe mai voluto vedere sul suo volto.

 

“Tu non hai rovinato proprio niente!” vocia di rimando.

Non vuole urlare, l'unica cosa che vorrebbe sovrastare è quel dolore assordante nato dalla distanza che altri, nel bene e nel male, hanno imposto loro.

 

Ma Mimmo china la testa , la incassa tra le spalle e Simone si sente in colpa all'istante.

 

Getta i sacchetti a terra, posa le mani sulle sue guance e gli solleva il volto.

 

“Tu non rovini niente” ripete questa volta in un sussurro, mentre gli asciuga le lacrime con i pollici. “Niente.”

 

Quando lo abbraccia a Mimmo sfugge un singhiozzo e Simone non sa più niente, tranne che lo ama.

 

---

 

“Giurami che non lo farai.”

Le parole di Mimmo nel buio silenzioso della stanza, sono una stilettata al cuore.

Lo sono anche le sue spalle curve, la schiena in ombra rivolta verso di lui e contornata dal riverbero del camino, lo sono i suoi pugni chiusi più di ogni altra cosa: Mimmo li stringe solo attorno alla sua camicia, quando non ha abbastanza fiato e labbra per fargli capire quanto lo vuole vicino, mai per tenerlo lontano.

 

“Non è quello che voglio, ma lo giuro, se è ciò che vuoi tu.”

Del resto, cos'altro può fare?

“Vorrei solo non dovermi separare da te” continua, “ma se la mia scelta ti fa soffrire, allora non lo farò.”

 

Mimmo si volta verso di lui e il riverbero delle fiamme si sposta tra i suoi capelli; non commenta né ribadisce le proprie motivazioni, l'unica cosa che cambia è il suo sguardo: prima era solo triste, ora anche dolce.

“Grazie” gli dice semplicemente.

Poi si alza e lo raggiunge, quando le braccia di Mimmo lo avvolgono e lo tirano a sé, Simone sente il calore del camino trasferirsi sulla sua pelle; sente anche il suo battito cardiaco che gli romba contro il torace e l'odore neutro e delicato del suo bagnoschiuma.

“Possiamo essere felici per questi giorni?” gli chiede con poco più di un sussurro.

 

Simone, lo stringe forte.

“Sì, sì. Certo che possiamo” risponde.

 

Ma di fronte a mesi, forse anni di solitudine, quei quindici giorni gli sembrano appena una manciata.

Le mani di Mimmo però non smettono un attimo di andare su e giù per la sua schiena.

 

---

 

Quella notte Mimmo ha il sonno agitato e Simone si sente bruciare.

Inizialmente pensa che sia per il calore dei loro corpi trattenuto dalle lenzuola e per la vicinanza, o per il fatto che Mimmo gli abbia posato le labbra ovunque, ovunque, prima ti tirare su il piumone e accoccolarsi contro di lui, ma poi Mimmo si solleva su un gomito, accende la luce e lo scruta con attenzione.

“Hai la febbre, Simò” dichiara come un oracolo nefasto.

 

“Impossibile” ribatte subito. “L'ultima volta che ho avuto la febbre ero in prima media.”

Eppure mentre pronuncia quelle parole sente la gola raschiare, un senso di occlusione generale e un principio di mal di testa.

 

Mimmo gli posa una mano sulla fronte e sul collo. “Simone credimi, tu hai la febbre” ribadisce. “Vado a prenderti qualcosa.”

 

Sparisce prima che Simone possa ribattere e quando torna ha in mano un'aspirina e un bicchiere d'acqua.

 

“Prendi questa” gli dice. “Hai preso freddo ad aspettarmi l'altra sera.”

La voce di Mimmo si affievolisce sull'ultima frase; perde energia, ma non autorevolezza. “Non avresti dovuto rimane fuori con quegli abiti inadatti fino a sera inoltrata.”

 

Simone si solleva sul letto, inclina la testa per catturare il suo sguardo chino e stranamente non riesce a trovare le parole per interrompere quella che sembra proprio volersi trasformare in una valanga di autoaccuse.

 

“Dammi qua” gli dice spiccio, buttando giù acqua e pasticca in un solo sorso. “Domani starò benissimo.”

Si lascia ricadere sul cuscino e reprime il primo brivido di freddo. “È solo un raffreddore.”

 

Mimmo lo guarda scettico, ma leggermente più sereno, Simone ne approfitta per scoccargli un sorriso saputo: “Passerà tutto con una notte di sonno.”

 

“Facciamo pure con mezza, Simò” ribatte quello, “sono già le due.”

 

Simone scrolla le spalle e si rannicchia meglio sotto il piumone: spera che Mimmo non si accorga che i brividi di freddo adesso sono continui.

 

“Forse è meglio se dormo in un altra stanza” riflette Simone a voce alta. “Potrei contagiarti.”

 

Ma Mimmo scoppia a ridere e s'infila di nuovo sotto il piumone accanto a lui: “Simò, abbiamo pomiciato fino a un'ora fa, se dovevi contagiarmi l'hai già fatto, no?” Gli ravvia i capelli e gli bacia la fronte “Se ti senti male svegliami, va bene? Basta che allunghi una mano e mi trovi.”

 

Simone sorride.

“Lo so” mormora; poi cerca la sua mano sotto le coperte e la stringe.

 

 

---

 

La mattina dopo è la voce di Mimmo a trascinarlo fuori dal dormiveglia.

 

“Come ti senti?” gli chiede strusciando il pollice sulla sua guancia in una lenta e ripetuta carezza.

 

Simone si sente come se gli fosse passato sopra un treno, ma le dita di Mimmo sul viso gli piacciono.

“Bene” risponde.

 

Mimmo solleva le sopracciglie scettico, afferra dal comodino la scatola delle aspirine e gliene porge una assieme ad un bicchiere d'acqua.

 

“No sto bene, giuro” ribadisce Simone. “Mi faccio una doccia e sono pronto.”

 

La fronte di Mimmo s'increspa: “Pronto per cosa?

 

Simone si solleva dai cuscini e ignora il giramento di testa che lo coglie: “Voglio stare con te, lavori tutto il giorno oggi, no?”

 

“Non se ne parla proprio. Tu hai ancora la febbre. Te ne stai buono qui a letto e io torno per pranzo, così ti porto qualcosa e mangiamo insieme.”

 

Simone incrocia le braccia al petto e imbroncia le labbra. “Non me starò qui a letto tutto il giorno mentre tu sei fuori a lavoro” dichiara deciso.

 

Mimmo sbatte un paio di volte le palpebre e Simone capisce che sta cercando le parole giuste per convincerlo, e che ci riuscirà, ovvio che ci riuscirà.

 

“Sei più testardo di quanto ricordavo, Simò” gli dice infatti, “ma così mi fai preoccupare.”

 

Ha l'onestà che trabocca dagli occhi, Mimmo.

 

“O resti qui” gli propina, “o vai da tuo padre in clinica. Ho bisogno di saperti al sicuro.”

 

Simone vorrebbe ricordargli che ha solo l'influenza, non rischia la vita, ma in realtà lo capisce: capisce che il punto per Mimmo è sempre quello.

 

T'incasinerò la vita, Simò.

 

---

 

Si sveglia intorno a mezzogiorno per il sollievo di qualcosa di fresco sulla fronte. Quando apre gli occhi, Mimmo è di fronte a lui con un panno bagnato tra le mani.

“Se questa febbre non scende entro stasera, devi chiamare tuo padre.”

 

Mimmo sembra davvero preoccupato, Simone non sopporta di vederlo così.

Solleva la mano dal lenzuolo e cerca la sua, Mimmo gliela fa trovare subito.

 

“Scenderà” risponde poi giocherellando con le sue dita. “Mi sento già meglio.”

 

Mimmo gli rinfresca la fronte per tutta la durata della pausa pranzo e prima di tornare a lavoro gli strappa la promessa di mangiare qualcosa prima di prendere un'altra aspirina.

 

Simone lo guarda per tutto il tempo.

 

 

La sera si sente meglio davvero. Quando Mimmo torna, con la cena da asporto in due sacchetti, e l'espressione preoccupata di quella mattina ormai scolpita sul volto, Simone è appena uscito dalla doccia.

 

Simone gli va incontro senza parlare e gli avvolge le braccia attorno: “Niente più febbre” dice, “te l'avevo detto che mi sarei ripreso subito.”

 

Mimmo ricambia l'abbraccio serrando i pugni sui suoi vestiti.

“Meno male” sospira tra i suoi capelli. “Meno male.”

 

---

 

“Simone.”

 

Non registra subito la voce che lo sta chiamando, è troppo preso a osservare come la luce di quel mattino di vigilia assolato schiarisce gli occhi di Mimmo e indora i suoi capelli. Ha insistito per passare la giornata con lui, alla bancarella, per essere d'aiuto -ha detto-, ma Mimmo lo ha relegato nella zona più interna, vicino alla stufa e non gli ha permesso di servire nessun cliente.

Si volta a sorridergli spesso, però.

 

“Simone!”

 

Al secondo tentativo si rende conto che la figura di suo padre si è materializzata davanti alla bancarella.

 

“Ciao papà” gli dice semplicemente.

 

Suo padre aggrotta la fronte: “Ciao, eh.” ribadisce “Mi fa piacere vedere che hai trovato un impiego volto a rendere fruttuosi questi giorni -ti fa onore-, ma un messaggino potevi anche mandarmelo, no? Giusto per farmi sapere -che so-, che non sei fuggito oltre il confine con il tuo amico.”

 

Gesticola molto, ma a Simone non sembra davvero arrabbiato. “Pà, te l'ho mandato un messaggio” replica tranquillo.

 

Suo padre oscilla, spostando il peso da un piede all'altro: “Uno” ribatte, sollevando l'indice ad enfatizzare l'unicità dell'evento. “Ma va bene eh, meglio di niente.”

 

Simone fa spallucce è sicuro che suo padre possa capire, il mezzo sorriso che gli rivolge glielo conferma.

 

“Comunque” riprende dopo un istante, “vi ho portato un regalo.”

 

I due pacchetti avvolti in una carta rosso brillante, li porge a Mimmo; forse, pensa Simone, è la sua vendetta; ed è talmente infantile e ridicola che gli sfugge un sorriso.

O forse gli sfugge perché gli occhi di Mimmo sono spalancati e increduli, perché è palese che non si aspettasse regali e a Simone sfiora il pensiero -e ha un retrogusto amaro- che non ne abbia mai ricevuti.

 

“Ma professò, non dovevate” balbetta, e Simone si sente in dovere di posare una mano al centro della sua schiena.

 

Suo padre scrolla le spalle: “Ma no, è una sciocchezza” sminuisce, “una cosa da niente. Lo aprite domani, però, ok?”

 

Mimmo rimane immobile con i pacchetti a mezz'aria e gli angoli della bocca socchiusa rivolti verso l'alto: “Professò” si sblocca quando riconosce l'accenno ad allontanarsi. “Lo possiamo aprire stasera? Non ho mai aperto un regalo la notte di vigilia.”

 

Ed è talmente morbido e adorabile che Simone si perde pensando a un'infinita di cose che vorrebbe fare con lui e che prevedano una lontananza non superiore ai cinque centimetri, ma nessuna è compatibile con la presenza di suo padre.

Solleva il braccio e gli circonda le spalle, avvicinandolo a sé. Solo di poco. Quello lo può fare.

 

“Come no!” asserisce suo padre, già distante dalla bancarella. “Certo, lo potete aprire pure stasera.”

 

“Papà” lo richiama Simone. “Grazie.”

 

Ma lui si limita a rispondere con il lieve cenno d'assenso, prima di andarsene.

 

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Nei pacchetti ci sono due telefoni.

Non due telefoni qualsiasi, questo Simone lo realizza subito.

Sono modelli antiquati, telefoni non smartphone, marca americana; li ha visti nei film d'azione: sono usa e getta, prepagati con durata limitata, ma completamente anonimi.

Probabilmente è possibile individuarne la posizione, ma di fatto non hanno un proprietario.

 

Mimmo, seduto a gambe incrociate davanti al camino, si rigira il suo tra le mani: ha un'espressione neutra, trattenuta, come se avesse paura di concedersi una felicità illusoria.

 

“Simò, tu pensi che con questi ci potremo chiamare?”

 

Simone non riesce a capire per quale altra ragione suo padre glieli avrebbe regalati.

 

“Penso di sì” azzarda. “Se stiamo attenti a ciò che diciamo.”

 

E mentre lo dice si rende conto che basta quella sola speranza -il pensiero che questa volta non sarà una sforbiciata netta a tranciare il filo che li lega-, a scongiurare il baratro sul cui argine sta barcollando da giorni.

 

“Potremo parlarci” mormora Mimmo sottovoce, tra sé. “potrò sentire la tua voce” continua, “anche tutti i giorni.”

 

“Anche più volte al giorno” ride Simone. Lui è più incline a lasciar entrare la felicità.

 

Mimmo solleva il viso e gli rivolge uno sguardo ancora sperduto: “Ho paura a crederci, Simò” confessa.

 

Simone gli toglie il telefono dalle mani e lo ripone in un angolo del tappeto insieme al suo.

“Vieni qui” gli dice, trascinandolo verso di sé. “Domani parlerò con mio padre e tu con Pantera, e chiariremo tutto.” Mimmo sospira e annuisce nell'incavo del suo collo. “Ma questa è la più bella notte di Natale della mia vita” seguita, “e non voglio pensare a niente.”

 

Mimmo solleva il viso e gli posa entrambe le mani sulle guance: “È la più bella anche per me” mormora regalandogli l'accenno di un sorriso.

 

Simone se ne appropria con un bacio.

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A Simone piace il modo in cui Mimmo lo tocca, lentamente e senza dare niente per scontato.

Lo accarezza con le mani e le parole e ognuna lo sorprende, non se l'aspetta, la gentilezza.

 

“Sei così bello” gli dice, percorrendo con le labbra il tratto che va dal suo orecchio alla clavicola. “Così buono, che proprio non capisco cosa ci fai ancora con uno come me.”

 

Simone deglutisce a vuoto, sente la bocca di Mimmo arrivare fino al suo ombelico, e vorrebbe dirgli che per lui l'amore che prova è stato una condanna nel giudizio degli altri quasi ogni volta, e lo è stato sempre nel suo.

 

Ma ora lo ama e Mimmo lo ringrazia per quell'amore; altri per il suo amore l'hanno allontanato, l'hanno deriso e quando per lo stesso motivo l'hanno picchiato, Mimmo l'ha difeso.

 

Vorrebbe dirglielo, ma riesce solo ad ansimare.

 

Mimmo comunque sembra leggerglielo negli occhi: “Non so come ho fatto a meritare te” gli dice, le labbra a un centimetro dall'elastico dei suoi boxer.

 

“Posso andare avanti?” gli chiede, e quello che Simone vede quando abbassa lo sguardo, sono due occhi chiari, lucidi e labbra umide.

S'inarca per risposta sussurrando un .

 

Il solo respiro di Mimmo sul suo membro teso sarebbe sufficiente a farlo venire, quando sente le sue dita seguire lente il contorno del suo buco sa già che durerà pochissimo. Del resto non ha scampo, bloccato com'è tra le mani e la bocca di Mimmo.

 

Grida quando viene, ma non ha idea di cosa abbia detto, Mimmo rallenta il ritmo per farlo godere fino alla fine.

 

Quando riprende possesso delle sue facoltà mentali, Simone lo trova al suo fianco con la guancia sul palmo della mano e il gomito puntato sul tappeto.

“Tutto bene?” gli chiede.

 

Simone ride, ruota finché non è sopra di lui e lo bacia.

La pelle di Mimmo è caldissima e ha un'erezione bollente che struscia contro il suo inguine.

“Cosa posso fare per te? Mormora sulle sue labbra.

Mimmo gli prende il volto tra le mani: “Voglio sentirti dentro, Simò.”

 

Un senso di profonda insicurezza, torna a colpirlo in pieno petto: “Non so se ne sono capace” confessa.

 

Ma Mimmo cattura il suo sguardo con le carezze del pollice: “Mi piacerà in ogni caso, devi stare tranquillo.”

 

E Simone lo ama, lo ama tanto da credere più a lui che alla sua testa. Lo salva. Lo salva sempre.

 

Alla fine lo fanno di fianco e Simone dietro di lui non sa neanche se è riuscito ad infilarlo, tanto è stretto, ma il modo in cui l'erezione di Mimmo risponde alle carezze della sua mano, conferma che, perlomeno l'insieme, gli sta piacendo.

 

Piace di nuovo anche a lui, per la verità.

 

Muove i fianchi e la mano con lo stesso ritmo, gli lascia scie umide sul collo e sulla nuca, lì dove ha capelli corti e soffici, e quando con un unico fiato lo sente cedere all'orgasmo, esplode di nuovo con lui.

 

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La mattina di Natale vengono svegliati dalla luce intensa che filtra dalle tende delle finestre. È una giornata limpida e soleggiata e loro sono entrambi doloranti ed entrambi felici, e sembra impossibile che qualcosa possa gettare ombra su tutto quel sole; finché Mimmo, dopo avergli stampato un bacio fugace sul naso, dichiara: “Telefono a Pantera.”

 

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Quando torna, per Simone il suo volto è indecifrabile.

Si muove piano e ha lo sguardo perso nel vuoto come se fosse assorto in pensieri impossibili da accantonare fosse anche per un solo secondo.

Simone ha paura di tante cose, la peggiore è sentirlo di nuovo piangere tra le sue braccia -come quando si sono detti addio-, sapendo di non poterlo consolare, di essere inerme di fronte a una scelta che non chiede il loro consenso; per cui si alza dal letto e gli va incontro a braccia tese.

 

“Qualsiasi cosa sia, la affronteremo Mimmo” gli dice, “troveremo un modo, non rimarrai solo.”

 

Ma Mimmo scuote la testa e gli afferra entrambe le mani: “Finirà presto, Simò” sussurra con gli occhi lucidi, “solo pochi mesi ancora. Per questo ci hanno concesso il telefono.”

 

Simone non ha mai creduto ai miracoli di Natale, ma a convincerlo più delle parole, è quel bagliore negli occhi di Mimmo: speranza al posto delle lacrime.

 

“È tutto vero?” alita, e deve quasi soffocare un singhiozzo, perché improvvisamente sente pungere agli angoli degli occhi e un bolo di saliva in gola che non riesce a mandare né su né giù.

Le mani di Mimmo si spostano sul suo petto, quasi volessero aiutarlo a respirare: “È tutto vero, Simò” ribadisce, “la banda di Molosso ha subito una vendetta trasversale. Non resta più nessuno e i pochi ancora attivi non hanno alcun interesse a stare dalla sua parte.”

Respira forte: “Pantera dice che hanno bisogno ancora di qualche mese, per essere sicuri, poi tutto finirà.”

 

“E per noi quindi può iniziare?” Simone piange mentre lo dice, non prova neanche a trattenersi.

Mimmo invece ride e lo scuote forte: “Per noi può iniziare, Simò!”

 

 

Fine.

 

  
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