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Autore: Magica Emy    22/01/2024    2 recensioni
«Akane, si può sapere dov’eri finita? Credevo dovessimo tornare a casa insieme…ehi, ma cosa…che stai facendo?»
La giovane piegò le labbra in un sorrisetto sornione senza smettere di armeggiare freneticamente con i bottoni della sua camicia che, in poco tempo, scivolò ai loro piedi, mettendo in mostra i magnifici pettorali scolpiti da anni di intensi allenamenti quotidiani.
«Cos’è, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno, per caso?»
In questa nuova storia, i caratteri dei personaggi potrebbero essere un po' diversi da ciò a cui siamo abituati, ma...niente paura! E se lo desiderate, continuate a seguirmi, mi raccomando!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: ranma/akane, Ukyo Kuonji
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 15
Sei anni prima
Si rimirò nell’ampio specchio ovale della camera immersa nella penombra, srotolando lentamente via le bende elastiche che ne comprimevano il ventre, facendola sudare. Tirò un profondo sospiro di sollievo, grata di poter finalmente, dopo quell’intensa mattinata a scuola, riprendere a riempir d’aria i polmoni. Anche se solo per un breve istante, prima di tornare a indossarle insieme ai soliti abiti casalinghi, divenuti ormai fin troppo stretti. Proprio come tutto il resto. Eh sì, ancora un po’ e avrebbe avuto bisogno di un nuovo guardaroba. Faceva già abbastanza fatica a entrare nell’uniforme scolastica. Per fortuna mancava poco alla stagione estiva. Lasciò scivolare l’indice lungo la morbida curva della pancia, affranta. Quand’è che si era gonfiata così? Adesso sembrava grande e rotonda quasi come un pallone da baseball. Si rese conto, con rammarico, di non poterla nascondere ancora a lungo. Era scomodo, doloroso e terribilmente frustrante. Studiò con una smorfia la propria immagine riflessa, ravviandosi i capelli e sbuffando più volte. Kami, il suo aspetto era davvero orribile. Forse avrebbe dovuto iniziare a truccarsi un po’, almeno per nascondere quelle spaventose occhiaie che, se non stava attenta, avrebbero di certo segnato l’inizio della sua metamorfosi in Gosunkugi. Un orrendo, grasso Gosunkugi incinto. Accidenti. Almeno, però, le nausee erano sparite da un pezzo, magra consolazione visto quanto doveva sopportare. Ma andava bene così. Si sforzò di sorridere, picchiettando con dolcezza sulla pelle che ricopriva il pancione e, quasi in risposta a quel gesto, avvertì un piccolo movimento provenire dall’interno. Il sorriso si allargò. Stava di nuovo scalciando. Era una sensazione talmente strana. Strana e bellissima.
«Ciao, cucciolo. Sai, non so se potrò essere una brava mamma per te, ma ti prometto che ci proverò con tutte le mie forze.» sussurrò e gli occhi le si inumidirono. Un colpetto alla porta chiusa la ridestò d’un tratto, facendola sussultare e strappandola ai suoi pensieri.
«Akane, il pranzo è in tavola già da un pezzo. Hai intenzione di scendere o cosa?»
Nabiki. Cavolo, era già così tardi? Non aveva alcuna voglia di mangiare e non certo per colpa delle nausee, ma sentiva lo stomaco spesso chiuso per la troppa tensione accumulata in quel periodo.
«Arrivo tra un attimo!» esclamò comunque di rimando, afferrando la spessa fasciatura in tutta fretta per sistemarsela addosso come meglio poteva e, proprio allora, si accorse di un’ingombrante presenza alle sue spalle. La sorella era appena entrata.
«Ehi, non si usa più bussare? Ti ho detto che sarei arrivata tra poco!» si lamentò, sudando freddo ed evitando accuratamente di muoversi. Se fosse rimasta in quell’esatta posizione, non avrebbe scoperto il dolce segreto custodito nel proprio grembo. Non si sarebbe accorta di nulla. O, almeno, lo sperava.
«Non dirmi che ti vergogni di me, che esagerata! Non sei neppure nuda. O è una delle tue solite scuse per cercare di prendere tempo e saltare i pasti anche oggi? Guarda che ho capito che qualcosa non va e sono preoccupata. Da qualche tempo mangi come un uccellino e sei più pallida di un lenzuolo, se continui in questa maniera ti ammalerai. Si può sapere che succede? Se hai qualche problema…»
«Sto bene!» glissò, incalzandola.
«No, non è vero.»
Sentì, col cuore in gola, i suoi passi pericolosamente vicini.
«Guardami in faccia quando ti parlo, almeno!»
L’afferrò per un braccio, costringendola a voltarsi e a quel punto Akane serrò forte le palpebre per non doverne incrociare lo sguardo. Ecco, era spacciata. Non c’era modo di sfuggirle, ormai. Il lungo silenzio che seguì, rotto solo da un angosciante gridolino, come se la consanguinea avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco, la costrinse però a riaprire gli occhi all’improvviso e solo per specchiarsi nei suoi. Sgomento, sorpresa, puro turbamento navigavano ora in quelle iridi, di un caldo color caramello. La giovane si portò una mano alla bocca, scuotendo la testa con forza come se, d’un tratto, la sorella minore avesse preso le oscure sembianze di una temibile creatura sconosciuta.
«Kamisama…come…chi…» balbettò, in preda alla confusione. La vide sospirare a lungo e con forza, come a cercare di rimettere ordine nella propria testa mentre lei si sforzava di ricacciare indietro le lacrime.
«Si tratta di uno scherzo, vero?»
Dissentì, con un impercettibile movimento del capo.
«Bene» continuò, più calma «immagino tu non abbia appena ingoiato un pollo intero, perciò l’unica spiegazione possibile rimane…»
«Sono quasi al sesto mese.» rivelò in un soffio torcendosi le mani, nervosa. Nabiki la fissò, incredula.
«Per tutto questo tempo l’hai nascosto con quella?» disse, alludendo chiaramente alle fasce che teneva strette fra le dita.
«Sì. Mi dispiace.»
«Qualcuno ti ha fatto del male? Perché se è così, dobbiamo saperlo.»
«No, non preoccuparti.»
«Sicura? Bada che se stai mentendo…»
«Non mento» la interruppe, decisa «Te lo giuro.»
«Ok. Non posso credere di non essermi accorta di nulla. Insomma… per quale motivo non lo hai detto subito?»
Esitò.
«Avevo paura papà mi costringesse a fare qualcosa di cui poi mi sarei pentita.»
L’altra annullò la breve distanza che ancora le separava.
«Akane, nessuno ti costringerebbe mai a far nulla che non voglia anche tu. Ehi, ascoltami, non devi affrontare tutto questo da sola. Hai sedici anni.»
Le tolse le bende dalle mani con delicatezza, guardandola con infinito affetto e sfiorando il pancione con una tenera carezza.
«Ecco, mettiamole via. Lasciamo respirare questo bambino.»
A quel punto la minore delle Tendo sentì di non riuscire più a trattenersi e, scoppiando in un pianto dirotto si rifugiò tra le braccia della sorella, che provò a lungo a consolarla.
«Sei già stata da un medico, chi è il padre?»
«Ti prego» singhiozzò «Per favore, non chiedermi nulla.»
Si sentì stringere forte.
«Tranquilla, andrà tutto bene» mormorò, cullandola come una bambina «Sono qui sorellina, sono qui. Non temere, non sei sola.»
 
 
***
 
 
Presente
Ripensare alle Parole di Nabiki lo faceva sentire come se una lama affilata lo colpisse ogni volta in pieno petto, trapassandolo da parte a parte fino a togliergli il fiato, senza possibilità di scampo. No, non era vero. Non poteva essere vero, si rifiutava di credere che Akane gli avesse fatto una cosa simile. Eppure glielo aveva chiesto. Lo aveva fatto espressamente e lei si era limitata a negare tutto, raccontandogli invece un cumulo di bugie. Ora lo sapeva. Perché? Sua figlia. Nao era la sua bambina, sangue del suo sangue. Kami, non riusciva nemmeno a dirlo ad alta voce senza che gli venisse una voglia matta di scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione. Sicuro, se non fosse stata tanto grottesca e…assolutamente impossibile. Ma sì, forse c’era una spiegazione logica a tutto questo, doveva esserci per forza. Forse aveva capito male, credendo di sentire qualcosa che invece non era stato detto e che per qualche strana, assurda ragione, si era soltanto immaginato. E l’immaginazione, si sa, spesso giocava brutti scherzi. Probabilmente era stressato per via del litigio con Akane…oh, ma a chi voleva darla a bere? Le parole della seconda delle sorelle Tendo gli giravano ancora in testa, maledettamente chiare come il sole, come l’aria che respirava. No, non poteva essersi sbagliato e quell’amara consapevolezza lo colpì ancora una volta, forte e lacerante come uno schiaffo in pieno viso. Eppure era felice. E arrabbiato. Disperato. In preda a una strana altalena di emozioni che lo frustavano fin nelle viscere, poiché la verità era una soltanto. Fin dal primo momento in cui si era ritrovato a incrociare lo sguardo di quell’adorabile, piccolo terremoto, infatti, aveva percepito un’inspiegabile, profondo legame. Il proprio cuore l’aveva inconsapevolmente riconosciuta, riservandole il posto speciale che da sempre l’attendeva. Restava il fatto, però, che Akane gli avesse mentito. Colto da un impeto di collera colpì con violenza la parete della parete da letto, rischiando quasi di rompersi una mano e perdendo così completamente il controllo. Imprecò sottovoce, prendendo a massaggiarsi con vigore le dita arrossate e doloranti e gli ci volle qualche secondo per tornare un po’ più padrone di sé stesso. Delle proprie sensazioni. Respirò profondamente un paio di volte, deciso ad andare in fondo alla questione. Doveva sapere. Capire. Aveva bisogno che qualcuno desse delle risposte a tutte le sue domande. Domande che ora gli ronzavano attorno come api impazzite, affollandogli la mente e stringendosi via via in un vorticoso cerchio che faceva sempre più male, ogni minuto che passava. Aveva bisogno di spiegazioni e una sola persona poteva dargliele. Non importava quanto fuori fosse buio, perché doveva farlo subito. Non poteva attendere il giorno o sarebbe impazzito del tutto.
Quando la raggiunse Akane era in procinto di coricarsi, ma l’espressione sorpresa e contrariata che lesse sul suo viso non servì certo a distoglierlo dalle proprie intenzioni.
«Che ci fai qui? Ti avevo detto di non farti più vedere.»
La sentì bisbigliare, stringendosi nella vestaglia.
«Perché lo hai fatto, Akane?» proruppe, rabbioso, ignorandola come se non l’avesse  sentita.
«Di che stai parlando? E poi piantala di gridare, hai visto che ore sono?»
«Perché non me lo hai detto, avevo il diritto di conoscere la verità! Io…»
«Insomma, adesso basta» lo interruppe, al colmo dello stupore «Sei impazzito, per caso? Che cosa ti sta succedendo? Non puoi piombare qui nel cuore della notte e farmi una simile scenata senza un motivo valido.»
Le lanciò un’occhiata che bastò a gelarla fino al midollo, annullando con pochi passi la distanza tra loro e afferrandola per un braccio, stringendolo fino a farle male. La ragazza si irrigidì ma, accecato com’era dall’ira furiosa che si divertiva a distorcergli i lineamenti, non vi badò affatto mentre si affrettava a trascinarla fuori dalla stanza, fermandosi solo quando raggiunse il giardino.
«Lasciami immediatamente!» esclamò lei a quel punto, liberandosi con uno strattone per massaggiarsi il braccio, già arrossato e dolorante.
«Vuoi un motivo valido? Bene, vediamo se questo può esserlo. Comincia a spiegarmi perché cazzo non mi hai detto che Nao è mia figlia!» la incalzò, facendola ammutolire di colpo e lasciandola di stucco.
«Rispondi, maledizione!»
«Ranma, io…»
«Non provare a negare tutto, non provarci nemmeno! Vi ho sentite parlare oggi, tu e le tue sorelle stavate discutendo proprio di questo!»
Lo fissò come se non credesse alle proprie orecchie.
«Dunque, ti sei messo a spiarmi?»
«Non cambiare argomento, sai che non è questo il punto! Ero passato perché volevo fare la pace, scusarmi per ciò che era accaduto fra noi e per caso ho assistito alla vostra conversazione. Immagino sia stato esilarante, per te, tenermi nascosta una cosa del genere per tutto questo tempo!»
«Ti prego, vuoi smetterla di alzare la voce in questo modo?» si lagnò nuovamente, senza curarsi del fatto che quella paresse ormai assomigliare tanto a una gara a chi urlava di più.
«Te lo avevo anche chiesto» continuò, avvilito «e hai pensato bene di mentirmi! Si può sapere perché diavolo lo hai fatto?»
«Che accidenti sta succedendo? Vi si sente fin dal piano di sopra e stavo cercando di dormire! La date un’occhiata all’orologio, ogni tanto?»
L’improvvisa voce di Nabiki li colse di sorpresa ed entrambi si voltarono a guardarla quando, scarmigliata e chiaramente indispettita, fece il suo ingresso tra loro. Ranma sbuffò. Ci mancava solo questa.
«Stanne fuori, tu» l’aggredì «Questi non sono affari che ti riguardano!»
«Come sarebbe a dire» rispose, risentita «Per tua informazione, l’ultima volta che ho controllato questa era ancora casa mia e…» si interruppe, sussultando all’arrivo della più piccola inquilina della dimora Tendo che ora li osservava, spaesata, nel suo pigiamino colorato, stropicciandosi più volte gli occhietti ancora assonnati.
«Mamma, cos’è questa confusione? È già ora di andare all’asilo?»
Il giovane si mosse per correrle incontro, chiamandola per nome e cercando disperatamente di attirarne l’attenzione, ma un’impietosa Nabiki le si parò subito davanti, come a proteggerla, pungolandolo a lungo sul petto fino a costringerlo a indietreggiare. Che diritto aveva, lei, di mettersi in mezzo? Era il legittimo padre di quella bambina, dannazione!
«Ascoltami bene» lo redarguì «Non ho idea di quale sia il problema ma non ti permetterò di avvicinarti a mia nipote in queste condizioni, perciò adesso verrai con me per spiegarmi il motivo di tutto questo casino. Intesi?»
 
Affondò una mano tra i capelli, scompigliandosi la folta frangia corvina in un gesto che tradiva enorme disagio prima di sollevare lo sguardo verso di lei, che, seduta sulla panchina del parco con aria pensosa, dondolava le gambe avanti e indietro ormai da un tempo che sembrava interminabile. Sospirò con forza, ancora sconvolto ma di sicuro più calmo. Esprimere con chiarezza le proprie ragioni era servito a restituirgli un po’ della lucidità perduta, schiarendogli le idee.
«Credimi, posso capire cosa provi» mormorò la giovane dopo quel lungo, tormentato momento di silenzio «ma metterti a inveire contro Akane non servirà a cambiare la situazione e non dovresti farlo. Non dovresti…ferirla. Non sai cosa ha passato.»
«Soffermiamoci, invece, su ciò che ho passato io nell’apprendere una notizia simile. Quello che sento non conta niente?» replicò, accorato. Si specchiò nei suoi occhi chiari, disorientata.
«Non sto dicendo questo ma, vedi, c’è una cosa che devi sapere. Mia sorella non ha mai confessato a nessuno la paternità della piccola né tantomeno lo stato in cui si trovava, almeno fino a gravidanza inoltrata e cioè quando io stessa l’ho scoperto per caso. Era solo una bambina, santo cielo e, probabilmente per paura ha taciuto per molto tempo, trovandosi a fronteggiare una situazione certamente più grande di lei. Inoltre, dopo che la questione Ukyo era stata archiviata e risolta nel migliore dei modi, è venuto fuori che eri fuggito via con Shampoo con l’intenzione di sposarla.»
Si interruppe per un attimo, schiarendosi la voce, poi proseguì.
«Insomma, cos’avrebbe dovuto fare, se non starci male? Specie dopo aver scoperto di essere rimasta incinta e, anche se non lo dava a vedere, sapevo quanto soffrisse a causa tua, visto che ero a conoscenza della vostra relazione segreta praticamente da sempre. Per questo non è stato difficile per me fare due più due e collegare tutto.»
Già. Come mai non ne era affatto sorpreso?
Si morse le labbra, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
«Beh, sì, forse eravamo molto giovani quando è accaduto, ma ora siamo cresciuti e io sono qui. Sono tornato e avrebbe dovuto parlarmene!»
«Come poteva, dopo il tuo matrimonio con quella squinternata?»
Le nuvole si addensarono nel cielo e un vento leggero gli pizzicò la pelle scoperta, facendolo rabbrividire. Oppure era tutta colpa del pesante bagaglio di emozioni che si portava dietro?
«Non l’ho sposata perché lo desideravo.» chiarì, fermo, ma il fiero sorrisetto della sua interlocutrice non ne mascherò certo il disappunto.
«Come se potessi darmela a bere» disse, infatti «Si vedeva lontano un miglio che ti moriva dietro e ne hai approfittato, tutto qui. Esattamente come hai fatto con Akane, prima di abbandonarla come una scarpa vecchia e adesso ti permetti di avanzare pretese su Nao, come niente fosse!»
«Mi ha ricattato!» proruppe, stanco di quelle accuse assurde. Silenzio.
«C…Come?»
«Ha usato Akane» provò a spiegare, più chiaramente possibile «L’ha quasi uccisa per costringermi a sposarla. Non ho mai giocato con tua sorella, l’ho sempre amata. La amo fin dai tempi della scuola, quando i nostri genitori hanno deciso che dovevamo fidanzarci e non avrei mai potuto farle del male.»
A quanto pare la sua incredibile perspicacia, qui, aveva fatto cilecca. Non gliene fece comunque una colpa, del resto era rimasto in casa Tendo solo per pochi mesi. Il tempo per conoscersi a fondo non era stato sufficiente, è chiaro. E poi, con tutte le ragazze che all’epoca gli ronzavano attorno, era perfettamente normale venir etichettato come una specie di dongiovanni. Anche se non era mai stato niente del genere. Il suo cuore apparteneva a una sola donna. Da sempre.
Questo sembrò coglierla in contropiede.
«Ok, mi dispiace, ti chiedo scusa. Non sapevo nulla della storia del ricatto.»
«Bene, adesso lo sai e lo sa anche lei. Ecco perché avrebbe dovuto dirmi la verità.»
Nabiki smise di colpo di dondolarsi sul posto e quando, sospirando piano, tornò a incrociare lo sguardo ardente e inquieto del giovane Saotome, la sua voce si addolcì un poco.
«Sai una cosa? Puoi restartene qui e continuare a rimproverarla in eterno, crogiolandoti nel tuo dolore, oppure puoi raggiungerla e parlarle, ascoltandone con calma le ragioni per chiarire una volta per tutte questa questione. La scelta è soltanto tua. In ogni caso, il risentimento che nutri nei suoi confronti non ti porterà da nessuna parte, servirà anzi ad avvelenarti l’anima più di quanto non lo sia già. Vedi, nonostante le difficoltà Akane ha trovato il coraggio di andare avanti, rimboccandosi le maniche e sfidando la sorte. Ha persino frequentato un corso di cucina durante la gravidanza, per prepararsi nel migliore dei modi alla nascita della bambina. Ci teneva davvero tanto a essere una buona madre per lei ed era chiaro quanto disperatamente la desiderasse nella propria vita. Per questo ha sempre lottato per restare in piedi. Non si è mai arresa e non dovresti farlo neanche tu. Non soccombere alla rabbia o alla paura, aprile il tuo cuore e tutto diverrà più facile. Adesso più che mai ha bisogno di saperti vicino.»
Quelle parole lo scossero nel profondo, costringendolo a chinare la testa, finalmente più consapevole. D’un tratto, tutto divenne chiaro. Ora sapeva cosa fare.
 
 
***
 
Dopo aver tranquillizzato la figlia era corsa a rifugiarsi sul tetto, così come faceva sempre ogni volta che si sentiva triste. Anche se sapeva che non avrebbe dovuto. Non stavolta, poiché i segnali c’erano tutti e, se i suoi timori fossero stati fondati…
Insomma, non sarebbe potuto capitare in un momento peggiore, per questo preferiva non pensarci. Sussultò, avvertendo dei passi sempre più vicini. Li avrebbe riconosciuti fra mille. Tuttavia, la vergogna le impedì di voltarsi. Non sarebbe riuscita a guardarlo in faccia neppure se avesse voluto.
«Sarà sempre così tra noi, d’ora in poi? Staremo sempre a urlarci contro e ferirci a vicenda? E, ora che sai la verità su Nao cosa farai, vuoi portarmela via?» mormorò con voce rotta, temendo già la risposta. Lo sentì sospirare mentre le sedeva vicino e avrebbe pagato oro per scoprire se la rabbia ne indurisse ancora i lineamenti armonici ma, di nuovo, le mancò il coraggio per verificarlo. Che idiota. Stupida. Stupida codarda. In realtà era sicura di non riuscire a sopportarlo. Non se…
«Che razza di uomo sarei, se lo facessi?»
Il tono, ora morbido e tranquillo, la convinse a osare di più ed ecco che, sì, ogni traccia di livore era finalmente svanita da quelle splendide iridi chiare, velate ora di malinconia. Una struggente malinconia che si affrettò a consolare con le parole, pur sapendo che non sarebbe stato semplice.
«Sai, quando è nata, come hai visto, ho dovuto comprare un letto più grande. Non volevo perderla di vista nemmeno per un secondo e poi mi piaceva tanto sentirla vicina, respirare il suo profumo. Sapeva di…»
«Neonato?» azzardò il ragazzo, facendola ridere.
«Proprio così.» disse.
«Poi» aggiunse, più seria «crescendo, ha espresso il desiderio di avere una cameretta tutta per sé e, l’anno scorso, quando Kasumi è andata via di casa si è appropriata della sua stanza, riempiendola subito di giocattoli e facendone in breve tempo il proprio regno. È sempre stata una bambina indipendente ma anche tanto, tanto sensibile. Proprio come te. Per questo ho avuto paura di parlarle. Non avevo idea di come avrebbe reagito, è così piccola e il mio compito era quello di proteggerla, non certo sconvolgerla in qualche modo.»
«Credi davvero potrebbe sconvolgersi nell’apprendere come stanno le cose?»
Gli rivolse uno sguardo indecifrabile, intrecciando le dita in grembo.
«Non lo so» mormorò, infine «Lei però ti adora e, forse…» si interruppe bruscamente, lanciando un’occhiata distratta al cielo stellato di quella lunga notte, come se questo potesse darle la forza per proseguire. Forse, aveva sbagliato tutto.
«Cosa le hai raccontato? Su di me, intendo.»
Quella domanda la spiazzò, rendendola, se possibile, ancor più distante e vergognosa.
«Le ho detto che suo padre era partito per un lungo viaggio e non sarebbe mai tornato.»
La voce si incrinò pericolosamente.
«So che mi odierai per questo, perciò sono pronta. Dimmi ciò che merito, ricoprimi pure d’insulti se la cosa ti farà stare meglio. Non mi importa.»
Ranma le prese una mano, stringendola fra le proprie in un gesto che la commosse a tal punto da non riuscire più a frenare le lacrime.
«Akane, non potrei mai odiarti.»
Lo sentì sussurrare con semplicità, prima di gettargli le braccia al collo in un dolce, improvviso impeto di tenerezza.
«Mi dispiace» singhiozzò, il cuore in gola «Non sai quanto mi dispiace di non avertelo detto subito, ma ti sei sposato con Shampoo e, anche dopo, non esistevano certezze per me. Per noi e io…avevo solo bisogno di tempo. Mi rendo conto di quanto possa risultare difficile credermi, ma ti giuro che è la verità. Tutte le volte che eravamo insieme mi ripromettevo di parlartene, ma poi mille pensieri prendevano il sopravvento e il timore che tutto andasse a rotoli mi spingeva a tirarmi indietro. Perdonami, è stato più forte di me e mi sento tanto stupida per questo!»
Si sentì stringere ancora più forte. Era bello potersi di nuovo rifugiare tra le sue braccia.
«Ti chiedo scusa anch’io, non avrei dovuto urlarti contro a quel modo ma, adesso, per favore, calmati. Lo sai che non sopporto di vederti piangere. Mi odio tantissimo per averti abbandonata, lasciandoti da sola quando avevi più bisogno di me e causandoti tanto dolore. Mi odio per essermi perso tutti i momenti più belli della crescita di nostra figlia, ma adesso sono qui perciò, ti prego, dammi una possibilità con lei. Ti prometto che non la sprecherò. Abbi fiducia in me.»
La scostò piano da sé per asciugarle le lacrime che, copiose, le inondavano le guance infuocate. La giovane, finalmente consolata gli affondò le dita fra i capelli, attirandolo più vicino e cercando le sue labbra, che moriva dalla voglia di baciare. Anche se, probabilmente, l’uomo che amava non desiderava lo stesso e lo dimostrò con chiarezza quando la rifiutò, voltando la testa dall’altra parte in un brusco, inaspettato gesto che la ferì molto più di quanto desse a vedere.
«Ranma…»
«Dammi solo un po’ di tempo, ora sono io ad averne bisogno.»
Lo sapeva. Non l’amava più. Quell’amara consapevolezza le tolse il respiro. Il cuore andò a fondo come una pietra. Beh, comprensibile dopo ciò che gli aveva fatto. Doveva solo accettarlo e…
Le mani sgusciarono via dalla morbida chioma corvina. Sarebbe mai riuscita a mascherare la delusione? Si ricompose, rossa in viso.
«Certo, capisco. Non preoccuparti, ti lascerò tutto il tempo di cui hai bisogno.»
Sul suo volto apparve un breve sorriso.
«Ho una sola richiesta.» disse. Akane annuì.
«Tutto ciò che vuoi.»
«Desidero esserci quando le dirai la verità.»
Non c’era neppure bisogno di chiederlo.
«Ma sì, ovviamente sì. Non ho mai pensato di farlo senza di te.»
Si rimise in piedi, in bilico sulle tegole, spolverandosi la gonna da eventuali tracce di polvere.
«Ora sarà meglio che vada a controllare se si è addormentata, dopo il tuo turbolento arrivo era piuttosto irrequieta.»
L’espressione, di colpo affranta, le fece di nuovo venire una voglia pazza di incollare le labbra alle sue. Solo a stento riuscì a controllare le emozioni, distogliendo in fretta lo sguardo. Sarebbe stato difficile trattenersi d’ora in poi ma, se questo era ciò che desiderava, andava bene così. Lo avrebbe aspettato per sempre, se necessario.
«Mi spiace, non era mia intenzione turbarla. Ero arrabbiato e ho perso il controllo.»
Scosse la testa, come a voler cancellare quelle parole.
«Va tutto bene» lo tranquillizzò «Senti, che ne dici di venire con me?»
«Dico che mi piacerebbe molto.» rispose, sorridendo di rimando. Si apprestarono a scendere dal tetto per avviarsi verso la camera della bambina, del tutto ignari dell’amara sorpresa che invece li attendeva…
   
 
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