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Autore: Ghostclimber    26/01/2024    1 recensioni
Akagi Takenori sta per lasciare Kanagawa, diretto all'università.
Ma prima di partire intende chiarirsi con sua sorella Haruko, con la quale il suo rapporto sembra essersi raffreddato.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akagi Takenori, Ayako, Haruko Akagi, Kiminobu Kogure
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Già che ci sono, eccomi con un'altra delle mie fic a tema sigle!
Enjoy :)






Akagi rilesse la lettera che aveva trovato nella cassetta della posta rientrando da scuola.

Accettato.

Era stato accettato all'università di Tokyo, per meriti scolastici e sportivi.

A patto che avesse ottenuto non meno di un certo punteggio agli esami di fine anno scolastico, ma Akagi tornava giusto ora dall'ultima prova, e a meno di non essere completamente impazzito aveva totalizzato il massimo dei punti in tutto.

C'era solo una cosa che gli restava da fare, prima di organizzare una cena celebrativa e di fare le valigie.

Parlare con Haruko.

 

Erano ormai un paio di settimane che sua sorella gli rivolgeva la parola il minimo necessario: di fronte ai genitori si comportava ancora con la solita gentilezza e disponibilità, e forse a loro era sfuggito quanto invece fosse forzata, ma non a Takenori. Lui l'aveva vista crescere, erano stati sempre fianco a fianco e lei si era sempre confidata senza esitazione; la cosa era andata un po' a scemare negli ultimi tempi, ma inizialmente Akagi l'aveva attribuito a una sorta di rispetto nei suoi confronti, convinto che Haruko non lo volesse disturbare mentre preparava gli esami e mandava in giro lettere alle varie università.

“Oh, Takenori, sei a casa!” disse sua mamma, da dietro le sue spalle. Rientrava giusto in quel momento dal lavoro, e lasciò le chiavi nel solito piattino mentre si toglieva le scarpe.

“Mi hanno preso all'università,” rispose Akagi.

“Hah??” ribatté la madre, “Fa’ vedere! Oh cielo, che emozione!” Akagi le diede la lettera, e lei la lesse più e più volte mentre infilava le ciabatte e andava in cucina a versarsi un bicchiere d'acqua.

“Questi risultati degli esami del liceo…”

“Devo ancora controllare le risposte che ho dato oggi, ma sono certo di aver raggiunto il cento percento.” Akagi esitò, poi aggiunse: “Sarei lo studente migliore dell'anno, se non fosse che Kiminobu avrà preso il centotrenta percento.” sua madre rise, e Akagi si domandò amaramente se avrebbe riso così di cuore anche sapendo che lui e Kogure stavano insieme.

Scacciò il pensiero dalla mente.

“Questa sera farò del kare raisu, che ti piace tanto!” annunciò sua mamma, mettendosi già il grembiule, “Oh, aspetta che lo sappia tuo padre. Sono così fiera di te!”

“Grazie, mamma,” disse Akagi, poi si lasciò dare un raro bacio sulla guancia. Sua madre dovette mettersi in punta di piedi e tirarlo giù, per riuscirci.

“Sono a casa!” chiamò Haruko dall'ingresso.

“Haruko chan, tesoro! Takenori è stato accettato all'università di Tokyo!” annunciò sua mamma.

Haruko entrò in cucina e disse: “Oh, wow, è fantastico! E quando parti, Takenori?” per una volta, sul suo viso sembrava esserci della felicità genuina, ma ad Akagi sembrò un po'... Maliziosa, questo fu il termine che gli venne in mente, quasi come se fosse felice per qualcosa che non era la sua ammissione.

“I corsi cominciano fra tre settimane, ma nel frattempo dovrò trovare un alloggio al campus, e capire il calendario delle lezioni…” Haruko annuì con aria frenetica.

“Bene, bene. Immagino che stasera mangeremo kare raisu per festeggiare, o sbaglio?”

“Indovinato!” trillò la mamma. Haruko fece un altro sorriso strano e si congedò per fare la doccia.

Akagi controllò l'ora: suo padre sarebbe rientrato in quaranta minuti, e l'avrebbe subito cercato per complimentarsi. Decise di rimandare la discussione con Haruko a dopo cena e andò in camera propria a controllare le risposte dell'esame appena concluso, visto che ufficialmente aveva già fatto la doccia in palestra. Ufficiosamente, l'aveva fatta a casa di Kogure, ma non c'era motivo perché i suoi sapessero i dettagli.

 

*****

 

La cena durò fortunatamente meno di quanto Akagi aveva temuto, e alla fine suo padre aveva proposto un brindisi a Takenori: anche Haruko aveva avuto un pochino di sake, giusto per brindare, e Akagi sperò che non le venisse la nausea istantanea come era successo a Capodanno. Non aveva mentito, dall'indomani aveva intenzione di andare a Tokyo e informarsi sul campus e sulle lezioni, e non voleva cominciare un nuovo capitolo della propria vita sapendo che Haruko aveva qualcosa contro di lui.

Aveva esitato fin troppo, si disse mentre attraversava i tre metri di corridoio che separavano la sua stanza da quella di Haruko.

Mentre bussava piano, si chiese cosa avrebbe fatto Kogure, e quando Haruko gli rispose entrò, si chiuse la porta alle spalle, si sedette sul letto vicino ai suoi piedi e chiese: “Haruko, mi vuoi dire che c'è che non va?” Lei arrossì.

“Niente,” rispose. Akagi sapeva poco delle ragazze, ma una cosa che gli era ben chiara era che quella risposta equivaleva all'esatto opposto.

Scosse la testa e disse: “Non è vero, Haruko. Non mi parli più a meno che mamma e papà non ci stiano fissando, non mi racconti più niente di te, non mi chiedi consigli…”

“Beh, forse sarai caduto dal piedistallo su cui ti avevo messo,” rispose Haruko. Akagi sentì una fitta al petto, e si chiese chi fosse quella ragazza dura e fredda che indossava il pigiama e il volto della sua dolce sorellina.

“Cos'è successo, Haruko? Cos'ho fatto?” chiese. Haruko parve spiazzata.

“Ecco, io…” cominciò, poi prese in braccio un peluche e si raccolse le ginocchia al petto.

“Haruko?” la incalzò Akagi.

“Credo… credo che tu ti sbagli su certe cose. Anzi, lo so per certo.” disse, a voce bassa, come se non fosse invece tanto sicura. Poi, però, riprese sicurezza: “E finché non cambi idea, io non potrò più dirti nulla, perché non farai altro che cercare di farmi cambiare idea!”

“Haruko… per favore, spiegami.” Haruko scosse la testa con decisione.

Il suo cellulare si illuminò e diede una lieve vibrazione. Akagi, per riflesso automatico, guardò giù e vide l'anteprima del messaggio: era di Ayako, e cominciava con “Ciao, dolcezza”.

Alzò lo sguardo su Haruko, che ora sembrava terrorizzata e stringeva convulsamente il suo pupazzo.

“Credo di sapere di cosa parli,” disse Akagi a voce bassa, poi allungò una mano e la posò sul polso di Haruko: “Quelle cose me le ha sempre dette papà. Ho scoperto strada facendo che un po' di quelle cose non sono altro che cavolate. Vuoi dirmi la tua sul resto?”

“Cosa…?” balbettò Haruko.

“È amore, non è vero?”

“Io… sì,” ammise Haruko, abbassando la testa come se si vergognasse.

“Bene, allora,” disse Akagi, incerto, “Allora possiamo concludere che papà sa il fatto suo solo se si tratta di architettura.” Haruko non parlò, e Akagi aggiunse: “Perché anche per me è amore.”

“Cosa… cosa vuoi dire?” chiese Haruko. La sua posa difensiva si allentò un pochino.

“Per me… e per Kiminobu,” specificò Akagi. Haruko spalancò la bocca.

“Scusami se non te l'ho detto prima,” aggiunse Akagi, “Ti sentivo ripetere tutte quelle cazzate e ho pensato… ho pensato…” deglutì, “Ho pensato che mi avresti dato del pervertito. Non l'avrei potuto sopportare.”

“È la stessa cosa che ho pensato io…” bisbigliò Haruko.

“Da quando state insieme?” chiese Akagi.

“Un paio di settimane. Voi?”

“Dieci mesi e ventisette giorni.”

“E per tutto questo tempo…”

“Haruko, te l'ho detto! Avevo paura,” Akagi esitò, poi decise di proseguire: “Mi piace essere il tuo adorato fratellone. Non te l'ho mai detto, ma l’adoro. E se tu mi avessi voltato le spalle, io…” Akagi si bloccò, incerto. Esitava a dirle che un suo eventuale abbandono l'avrebbe fatto a pezzi.

“Oh, fratellone!” esclamò Haruko, gettandogli le braccia al collo.

Akagi cullò il suo corpo minuto, tenendola stretta a sé come se volesse compensare per tutti gli anni in cui aveva giocato a fare il duro, e quando finalmente lei si fu calmata le diede un bacio sulla fronte.

“Ti posso dire anche un'altra cosa?” chiese Haruko, guardandolo di sotto in su.

“Avanti, spara.”

“Hanamichi e Rukawa stanno insieme!”

“Oh, misericordia!” esclamò Akagi, “Non voglio pensarci, porca miseria!”

“Takenori!”

“Quei due mi fanno a pezzi la scuola, preferivo continuare a pensare che si parlassero una volta al mese. Haruko. Senti. Se litigano, vai via, più lontano che puoi, non voglio che rischi di restare coinvolta.”

“Ma coinvolta in cosa?” chiese Haruko, a metà strada tra una risata isterica e la confusione.

“Non lo so, già a momenti mi smontavano la palestra prima che si parlavano appena, se adesso litigano potrebbero distruggere il quartiere!” Haruko, finalmente, rise.

“Da come li ho visti, dubito che litigheranno così male. Sono tutti pucci pucci.”

“Pucci pucci,” ripeté Akagi, sconvolto, “Hanamichi e Rukawa sono tutti pucci pucci.” scosse la testa, come a volersi liberare da quell'immagine che in realtà non riusciva nemmeno ad evocare.

“Ho già detto a Rukawa che se fa soffrire Hana chan dovrà vedersela con me,” aggiunse Haruko. Ora sembrava quasi provarci gusto a scioccare il fratello.

“Hai minacciato Rukawa,” parafrasò Akagi. Haruko annuì.

“Rukawa sta con Hanamichi e tu gli hai detto che dovrà vedersela con te se lo fa soffrire.”

“Sì, e sto con Ayako e ci vogliamo un mondo di bene.”

“E io sto con Kiminobu e lo amo da impazzire.”

“Takenori?” fece Haruko, la voce piccola piccola.

“Dimmi, Haruko.”

“Scusami se non mi sono fidata di te.”

“E tu scusami se non mi sono fidato di te,” ribatté Akagi. Haruko gli sorrise, sorrise per davvero, dopo settimane di buio.

Akagi sorrise a sua volta, pensando a quanto amava vedere le persone che amava sorridere con tutto il viso e con tutto il cuore.

E lui, solo lui era stato l'artefice di quei rinnovati sorrisi. Per un istante, si concesse di pensare che al diavolo l'università, la sua vita aveva già un senso per la gioia che si mostrava nei sorrisi delle persone a cui voleva più bene al mondo: Haruko e Kiminobu.

“Vieni qui, piccoletta, dammi un abbraccio,” disse, in tono burbero. Haruko rise, una risata lieta e cristallina, e gli si gettò di nuovo tra le braccia.

La vita era bella.

 

*****

 

Il giorno successivo ci sarebbe stato l'ultimo allenamento della squadra prima delle vacanze primaverili, e in via del tutto eccezionale Akagi decise di partecipare, dal momento che il viaggio informativo a Tokyo gli aveva preso molto meno tempo del previsto.

Quando arrivò, vide che Kogure aveva avuto la stessa idea, ed era già in campo con addosso una delle canottiere colorate che usavano per dividere le squadre quando giocavano tra loro.

Sembrava divertirsi un mondo, e Akagi non vedeva l'ora di raggiungerlo.

“OI GORI!!” esclamò Sakuragi, avvistandolo, “Che fai, ti unisci a noi?”

“Qualcuno dei bianchi mi passi la maglia,” disse Akagi a mo' di risposta, “Sakuragi, ti darò una lezione che non ti scorderai facilmente.”

“Oho, stiamo morendo di pppaura!” ribatté Sakuragi, poi: “Ahio!”

“Stavolta te la sei cercata,” disse Mitsui, battendo il cinque ad Akagi dopo il Gorilla Punch, “E poi è l'ultima volta, lasciagli questa soddisfazione, dal mese prossimo i cazzotti li vedrai arrivare solo dal basso.”

“Te l'ha mai detto nessuno che sei una merdaccia, Hisashi?” chiese Miyagi, piccato.

Akagi si mise la maglia che Kakuta gli stava passando, felice di poter nascondere il sorrisone che suo malgrado gli illuminava il viso: quanto voleva bene a quella banda di deficienti.

Fu una partita amichevole ma accanita, e Akagi dovette nascondere la propria soddisfazione nel vedere quanto Sakuragi fosse maturato: si concentrava sui rimbalzi e, salvo qualche battuta su Rukawa da copione, evitò persino di fare a botte.

Infine, Ayako fischiò la fine della partita, e Akagi si diresse insieme agli altri verso la panchina.

Alzando gli occhi, vide che Sakuragi si avvicinava a Rukawa e gli dava un fugace bacio sulla guancia. Mitsui e Miyagi continuavano a prendersi a gomitate sotto agli occhi divertiti dei compagni di squadra e del coach, che sembrava felice come un capofamiglia che vede tutti i parenti riuniti al tavolo del pranzo e nessuno spargimento di sangue.

Kogure lo guardò: “Tutto bene?” chiese a bassa voce.

“Ieri ho parlato con Haruko. Sa di noi, e sta con Ayako.”

“Quindi…?” Akagi non rispose, non a parole. Si chinò su di lui e lo baciò sulle labbra, davanti a tutti.

“NON CI POSSO CREDERE!” berciò Sakuragi.

“Non sei l'unico che non crede alle cose, fidati,” ribatté Akagi.

“Io resto dell'idea che dopo di me il Gori sia un po' una caduta di stile, ma se sei felice, Quattrocchi…”

“Sono feli…”

“Ma taci, sfregiato,” disse Sakuragi, “Almeno il Gori ha i denti.”

“E un cervello, a differenza tua,” ribatté Mitsui.

“Concordo,” aggiunse Rukawa.

“KITSUNEEE!”

“Se ci stai insieme, però, dei pregi li deve avere,” disse Miyagi.

“Ha una mazza così,” disse Mitsui al posto di Rukawa, accompagnando la frase con un gesto molto esplicito.

“Nh,” confermò Rukawa, facendo spallucce.

“KITSUNEEE!”

“Imbecille, va' che era un complimento!” gli urlò dietro Miyagi.

“Ho Ho Ho,” fece il coach Anzai.

“Sì, okay, ma Rukawa non sta con me per il mio cazzo enorme, sta con me perché ama la mia personalità!” scese un silenzio attonito.

“Sono caduto dalla bici da piccolo,” disse Rukawa. Tutti, compreso Hanamichi, scoppiarono a ridere.

“Basta cazzate adesso, ci sono delle signore qui,” li riportò all'ordine Miyagi.

“Una delle quali ti ha insegnato almeno la metà delle parolacce che conosci,” gli fece notare Ayako.

“Touché, ma in ogni caso via a cambiarsi, marsch!” i ragazzi sì diressero verso lo spogliatoio, ubbidienti.

“Okay, come hai fatto?” chiese Akagi.

“I miei pugni arrivano ad altezza stomaco,” ammise Miyagi, “Fanno più male.”

Akagi esitò, poi si lasciò andare e rise forte. Intravide Kogure che lo guardava di sottecchi, sorridendo.

“Forza allora, andiamo anche noi a lavarci,” disse. Haruko prese per mano Ayako, e Akagi le sorrise.

“Mi sembra di vedere che lascio tutto in buone mani,” aggiunse.

Il coach Anzai sorrise e confermò: “Non potevi sperare di meglio, Akagi.”

“Sì, adesso però muoviamoci,” disse Mitsui, “Prima che quei due decidano di cominciare a pomiciare mentre noi ci stiamo ancora lavando, non sarebbe la prima volta.”

“SAKURAGI!!” tuonò Akagi, andando verso lo spogliatoio, “NIENTE POMICIATE NELLO SPOGLIATOIO!!”

“MA GORI!!” Akagi aprì la porta dello spogliatoio e andò a mollare l'ultimo Gorilla Punch sulla capoccia dura di Sakuragi.

Certe cose non cambiavano proprio mai.

   
 
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