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Autore: Helen_Rose    26/01/2024    2 recensioni
[Mare Fuori]
Voglio dare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l'ha...
Mi ero ripromessa di attendere la quarta stagione per scrivere nuove fanfiction, ma l'immagine piuttosto disturbante di quel backstage mi ha spinta a provare a dare un'interpretazione plausibile a quello scenario.
auguro loro ci sia davvero un'ottima motivazione di fondo.
Buona lettura e fatemi sapere!
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando Carmine entra in sala comune, Rosa sta confabulando con Cucciolo. Di nuovo. Sbuffa.
Ormai, gli risulta sempre più incontrollabile l’impulso di fare una scenata. Ma certo non di gelosia. Non si è bevuto neanche per mezzo secondo il bluff inscenato da quella tarantella fin troppo ingenua: Carmine Di Salvo conosce a memoria ogni tecnica per allontanare da sé chi si ama ma si teme di coinvolgere in situazioni losche, e perciò di non meritare, poiché - semplicemente - le ha inventate lui.
Solo grazie a Rosa e alla dinamica venutasi a creare intorno a loro e a lui, inconsciamente è guarito dalla sindrome dell’impostore: ha reimparato a sentirsi all’altezza della situazione, soprattutto quella; ha avuto conferma di aver capito e perdonato certe azioni e reazioni, in particolar modo le proprie; ma l’aspetto più straordinario è che, avendo reimparato ad amare, ha finalmente imparato ad amarsi. S’è reso conto di quanto valga in primis lui, di conseguenza la loro storia, la loro squadra, il loro ‘noi’.
Eppure, paradossalmente, la consapevolezza del valore di Rosa è tra le prime che abbia acquisito. Perciò, se da un lato non la giudicherebbe mai per l’inferno che si agita in lei in quest’ultimo periodo, poiché sa perfettamente cosa significhi perdere chi ami, sentirne la responsabilità per quanto sia - in parte, se non totalmente - improprio; vedere chi ti è accanto rivelarsi persino infinitamente peggiore rispetto a come ce lo si era immaginati; pensare che tutti i bei discorsi sul riscatto siano inutili e vani, dal momento che interiormente si agita un unico, bruciante e accecante pensiero: vendicarsi …
Dall’altro, molto più dell’idea che butti via tutto ciò che sono stati e che potrebbero essere insieme, come se lui non avesse già visto e conosciuto, per giunta a proprie spese, il suo lato peggiore; come se lei non sapesse della familiarità che Carmine ha acquisito col proprio; come se, dopo aver sparato al proprio stesso padre per difenderlo, avergli detto e dimostrato d’amarlo, allontanarlo possa bastare…
Rifiuta categoricamente il pensiero che Rosa getti alle ortiche la sua parte più intima, un’altra volta. Per cosa, poi? Per farsi comunque dirigere da uno come Cucciolo, che bada più al concetto di leader che all’esserlo a tutti gli effetti e usando la testa, che voleva già soppiantare Edoardo finché era vivo? Per tornare a sottostare ai progetti che un altro uomo, peraltro estraneo, modellerà su di lei e per lei? Per vendicarsi di colui che l’avrà sicuramente tradita, ma essendosi sentito tradito in prima istanza? Per continuare ad alimentare all’infinito il circolo vizioso del sangue da vendicare, finché non ne resterà più da far scorrere nelle vene di alcun essere umano? Per sentirsi in colpa, perché così sarà? Per tappare la voragine creata dalla perdita di tutti coloro che amava con lo scotch trasparente che è la vita camorristica, che non solo arriverà a strapparsi in un secondo, ma si convertirà in una scavatrice? Per passare dal dormire poco e male, alla maledizione di un’insonnia perenne, perché lei non è così?
Non importa se dovrà reiterare gli stessi identici discorsi a oltranza: non le permetterà mai di rovinarsi la vita, tenterà di salvarla da sé stessa a qualunque costo, anche se dovesse essere l’ultima cosa che fa… Perché non è umano soffrire così a 16 anni. Rosa è come la marea, basta aspettare che se ne ricordi.
Le si avvicina, simulando un passo sicuro che in realtà cela un’enorme incertezza, come fece per anni. Come sono cambiate le cose dall’ultima volta in cui, approssimandosi a lei, era certo della risposta. Ora come ora, sarà fortunato se gli darà la possibilità di esprimersi. E questa prospettiva lo rattrista. “Possiamo parlare da soli? Solo cinque minuti.” Ne aspetta e sostiene lo sguardo con pazienza.
Lei lo fissa come se si aspettasse il suo arrivo, con quell’espressione imperturbabile e imperscrutabile, per tutti ma non per lui: conosce fin troppo bene il giochetto che attua, non è più credibile da tempo. Vorrebbe rifiutare, ma sa che non servirebbe; magari non oggi, ma tornerà comunque a tormentarla. Solo che non si rende conto dell’effetto che ha su di lei. O se ne rende conto, ma se ne sta fregando. Ad ogni modo, la sua priorità è sempre stata quella di tutelarlo, per quanto debba nasconderla ai più e specialmente a lui; perciò, con un gesto congeda Cucciolo e si appartano. Dietro la tenda, non più. Darebbe qualsiasi cosa per poter tornare quella Rosa. Ma è tempo di guardare in faccia la realtà.
Aspetta che Carmine esordisca; è pur sempre stato lui a cercarla, e soprattutto non saprebbe neanche più come tenerlo sulle spine provocandolo senza tradirsi: la conosce troppo bene ormai… Purtroppo.
Ma non sembra intenzionato a cavarla dall’impaccio così presto. La sta fissando da un minuto buono. Probabilmente, è una tecnica per farla crollare, e quasi quasi rischia pure di riuscirci, maledetto… Quel che Rosa non sospetta minimamente, e che lui è impossibilitato ad ammettere, almeno per ora, è che il tempo trascorso dall’ultima volta in cui sono stati così vicini è decisamente troppo, per non parlare di quando erano ancora più vicini; ma se queste sono le briciole che gli sono concesse, non ha intenzione di sprecare un solo istante della frazione miracolosa in cui non lo scrolla sarcasticamente… Cosa che non parrebbe intenzionata a fare a breve. Si autoconvince della reciprocità della mancanza. La quale, se non altro per lui, sta raggiungendo picchi di intollerabilità sempre più ardui da gestire…
Insomma, è Rosa: così inconsapevolmente tenera, mentre si morde le labbra per evitare di scoprirsi… in qualsiasi modo, per qualsiasi motivo e sotto-motivo rischi di farlo, per quanto brami di indovinarlo; così trasparente nel tradire impazienza nel dondolio delle gambe con cui sospetta di averla contagiata, benché il suo sia infinitamente più aggraziato del proprio, poiché Rosa Ricci è un ossimoro vivente; così palesemente a disagio nell’insistenza del dirottare la traiettoria della propria visuale su qualunque oggetto o persona non sia lui, cosa che fino a qualche mese prima sarebbe stata impensabile per lei per ragioni arcinote a tutti, e soprattutto fino a qualche settimana prima per quelle un po’ meno note.
Vorrebbe tanto urlare, uscirsene con uno strillo liberatorio di durata indefinita, in cui nessuno dei presenti osasse farle intendere di sbrigarsi a concluderlo, pena lesioni permanenti ai propri timpani. Un grido di rabbia, sofferenza, frustrazione, verso l’universo mondo, ma principalmente sé stessa… Soprattutto, verso l’ostinazione dell’unica cap ’e fierr in circolazione a non farsi scoraggiare dai rifiuti, dai muri eretti, dall’atteggiamento sprezzante e/o di sfida che assume con regolarità da svariati anni. L’unico che, invece di procurarsi un cuscino per soffocarla, la lascerebbe sfogare finché necessario. L’unico che le abbia offerto, le offrirebbe e - sospetta - potrebbe continuare a offrirle all’infinito, e per giunta senza protestare, una spalla, un braccio, un torace, un intero corpo cui appoggiarsi e sostenersi. L’unico dotato del potere terapeutico di farla riposare, di non farle sentire più bisogno di… Niente.
Ma lei non lo merita. Di anestetizzarsi, di dormire e non svegliarsi finché non si sarà ripresa del tutto. Perciò l’ha allontanato. Perciò si sforza di regalare la performance della vita nel simulare indifferenza. Perciò prega ogni notte, prima di addormentarsi, cadendo per poche ore in un oblio denso di incubi, e ogni mattina appena sveglia, in forma decisamente prioritaria rispetto ai piani più/meno edificanti… Che Carmine se ne scordi. Di lei, di loro, di ciò che sono stati e non potranno mai essere insieme. Sostenuta dall’ingenua convinzione che si fatichi a dimenticare e lasciar andare chi muore, non chi abbandona per scelta, specialmente se con la risolutezza e il vigore che si è assicurata di infondere.
Peccato che abbia sottovalutato innanzitutto il sentimento che Carmine non solo prova a parulelle, bensì coltiva dentro di sé ogni giorno e in cui crede ciecamente, molto più di quanto abbia fatto lei, convinta certamente della sua buona fede, ma assumendo di non meritare tanto dispendio di energie; ma la sua capacità di lottare per chi ama e ciò in cui crede, fino allo stremo delle forze se necessario. Capacità che Rosa riconosce anche a sé stessa, indipendentemente dall’oggetto d’amore in questione.
Peccato la canalizzi nella direzione più sbagliata, essendosi ormai autoconvinta che sia l’unica per tornare a sentire, non spegnersi, non farsi annientare da un contesto che la vuole schiacciata, debole. Una volta, l’odio la faceva sentire potente, invincibile, in grado di affrontare e gestire persino il dolore. Poi, si è trasformato in amore con una facilità talmente impressionante da farle capire - benché sia improbabile che s’innamori di qualunque nemico - le reali precarietà e futilità di tale sentimento. Eppure, la sola illusione di riuscire a provarlo di nuovo - verso Edoardo poi, un proposito realistico - riesce a farla sentire meglio di come si senta: vuota. E in questa voragine non c’è spazio per Carmine.
Ma ha intenzione di parlare, prima o poi, o cosa? Me par ’nu pesc pigliat c’a bott, si ritrova a pensare. ‘Il più bel baccalà che la storia ricordi, vorrai dire’, rimbecca sempre sé stessa. Sta uscendo di senno. E se continua a guardarla in quel modo… Rischia di cedere. E non può assolutamente permetterselo. “Carmine, nun teng tutt ’a jurnat.” lo informa, con il tono più scocciato che riesca a produrre, per ora.
L’interlocutore avverte improvvisamente l’aleggiare di un’antica, familiare vocina, pronta a suggerirgli di sfotterla. Perché nessuno sfotte un certo tipo di atteggiamento, e saprebbe pure farlo efficacemente. Ma ormai, a propria volta, anche Rosa ha interiorizzato fin troppo bene i trucchi di Don Piecuro. Il quale, onestamente, s’è pure rotto il cazzo di predicare a vuoto poiché pareva fossero buone le prime. Perciò, nel controbattere sceglie di ritorcerle contro le sue armi con voluta e inevitabile esasperazione: “Pecché, tien coccos ’e megl ’a fà? Foss ’na bella jurnat ca ta vuò godè, ché accussì nun ’e vir assaij?”
Per la prima volta da quella che pare un’eternità, qualcuno riesce a scuoterla. Sempre quel qualcuno. Ma chi è diventata? O meglio, in chi sta tornando a trasformarsi? Si sente precipitare, le manca l’aria. E non può restituirgliela nessuno. Neppure Carmine. Non è giusto. E non deve dargli questo potere.
Scambiando il suo silenzio per fastidio, incalza: “Che tien ’e accussì importante ’a fa, cà dint ? Ah?”
È tempo di apparare la situazione, una volta per tutte. “Si tenev genij ’e t’o cuntà, l’ess già fatt, no?”
Avrebbe preferito che lo schiaffeggiasse. Che gli urlasse contro. Che lo allontanasse con una manata. Sa che non lo pensa veramente, ma la realtà di quest’esclusione volontaria lo dilania da settimane. Tuttavia, cedere significherebbe farle credere che possa ‘vincere’. Invece sta perdendo. Con sé stessa. “E pecché nun l’e fatt? ’E ’nnammurat se contan ’tte cos, no? Tien coccos ’a nasconnr, Tarantè?”
Gli occhi le si inumidiscono in automatico. Maledetto. Quanto le manca. E quanto le pesa tutto ciò. “Ma ij e te nun stamm chiù ’nziem.” Negare innamoramenti passati e presenti sarebbe pura follia.
Altra consapevolezza straziante e ingiusta. “ ’O sacc, pe’ chest stong cà: vogl sapè pecché. ’A verità.” In questo momento, a Rosa sembra di aver scordato persino la versione ufficiale. “Pecché tien paur?”
Sgrana gli occhi. Paura? E di chi, dell’unica persona che l’abbia fatta sentire al sicuro dopo Ciro?
Tien paur ca te fermass, si sapess chell ca tien p’a capa. È accussì ? Preferisci chiavà cultellat ?”
Preferisce non metterlo di fronte alla scelta tra la donna che ama e l’attenersi ai propri principi. Preferisce tenerlo lontano dal contesto che ha subito e odiato dall’infanzia, nonché dall’incubo cui è miracolosamente scampato con le sue sole forze e il sostegno di chi gli vuole davvero bene. Chest è. Ma se glielo dicesse, le risponderebbe che non è lui a dover fare una scelta, ma lei, nei propri stessi confronti; e prima o poi, dentro di lei, sentirà la spinta verso la più giusta. Peccato che non sia così. Ed è troppo esausta per affrontare questa conversazione, specialmente co’ ’na cap ’e fierr comm a iss.
Sa benissimo che appellarsi al nome di battesimo non suscita in lei alcuna reazione, ma è sfinito. “Rosa, te pienz ca sò scem? Ca nun ’o vec ca te miett scuorn ’e me guardà ’nfacc ? TU, co’ ME?” Solleva impercettibilmente il capo. Non è solo vergogna. Quegli occhi cioccolato al latte sono la sua più grande debolezza, l’unica a cui sente di non poter sfuggire. E detesta di essere lei a causarne la sofferenza, il risentimento, la disperazione, l’avvilimento. È l’unico rimorso a suscitarle vigliaccheria.
Crir ca nun ’o sacc, ca me vuò tenè luntan pecché pienz ca nun te capisc? Però nun è accussì, e l’ess a sapè buon. È sul ca nun sacc chiù comm te spiegà ca nun è accussì ca te pass ’o rulor. A TE no.”
Una grande, preponderante parte di lei, vorrebbe che continuasse. Che le ripetesse nun si accussì, tu. Che glielo ricordi ogni volta in cui ne sentirà il bisogno, in cui si sentirà troppo smarrita e ferita per potersi rianimare da sola. Quella parte vorrebbe tanto essere salvata e salvarsi, com’era già avvenuto.
E poi c’è l’altra, vilmente grata all’arrivo di Cucciolo: la facciata iniziava a dare segni di cedimento. “Piecr, ’e cinc minut sò passat; si nun te dispiac, ij e Rosa stevm parlann ’e questioni importanti.”
Anche qui, chiunque si inalbererebbe per il concetto ‘Rosa e io’, ma non sarebbe mai questo il caso. Piuttosto, trova patetico il tentativo di fare il grosso, a cui non è neppure certo che creda lui in primis. A costo di suonare scontato, si vede costretto a specificare: “Quando e se vuole, è libera di seguirti.” Sposta lo sguardo su di lei in attesa che prenda posizione senza implicare alcuna aspettativa in merito. Starà a lei, se lo riterrà opportuno, specificare che loro due non stessero propriamente giocando.
Troppo matura per sminuire apertamente la natura della loro conversazione, ma troppo coerente alla versione proposta negli ultimi tempi per smentire Cucciolo, si limita ad approssimarsi a quest’ultimo.
Il quale tuttavia, incomprensibilmente, non sembrerebbe avere alcuna intenzione di muoversi. Al che, la reazione di Rosa è la più prevedibile e spontanea che ci si attendesse: inarca il sopracciglio sinistro.
Evidentemente, nutre uno spirito suicida persino superiore a quello del suo interlocutore, per aver sentito il bisogno di aggiungere: “Te rong sulament ’nu consigl: nun pruà a ce mettr stran idee ’ngap.”
Carmine alza gli occhi al cielo per poi spostarli su Rosa, apparentemente impassibile. Non riesce a credere a ciò che non sta vedendo e udendo: da quando accetta di farsi sminuire così, da quello poi? Reputa incontemplabile la possibilità che stia evitando di contribuire al degenerare della situazione. Avendo atteso risposta da parte di lei per dieci secondi buoni, gli tocca chiarire per la seconda volta: “Se pensi che Rosa accetti di farsi comandare da qualcuno, soprattutto da te… Te staij sbagliann.” Nessuna reazione. È opportuno sottolineare provocatoriamente: “E mi pare strano dovertelo dire io.”
Peccato che l’unico a dimostrare di sentirsi provocato è proprio Cucciolo, ribattendo con tono di sfida: “Si te fa piacer, te può pur convincer ca sulament tu saij chell che penza e chell che vò; però, essa ’o sap buon, e nun è chell che te crir tu: essa vò cumannà, e sap ca co’ nuij ce può riuscì.
Carmine libera una risatina nervosa e di compatimento. “Si proprij sicur ? Tra noi due, chi è che sta parlando al posto suo? Ah, sì: quello che le sta promettendo di prendersi tutto e a modo suo, comm. E in che modo, famm sentì, se ci stai tu a parlare e decidere per lei? La stai rispettando? ’O ver faij ?”
Eppure, gli importa meno di zero di far presenti a Cucciolo le sue incoerenze, molto onestamente; l’unica speranza è quella di suscitare una benché minima consapevolezza in Rosa. Ammutolitasi. Ormai più inespressiva delle pareti bianche della sala e con il crescente desiderio di imitare gli struzzi.
Dal canto suo, evidentemente il piccolo aspirante camorrista si stava annoiando troppo quest’oggi. “Piecr, nun ce sta bisogn ca m’imbar comm m’aggia cumpurtà: ’a Ricci è essa, io eseguo gli ordini.
“Ah, e quali fossero ’sti ordini?” incalza Carmine, intenzionato a tirare la corda finché non darà segni di cedimento; che, infatti, non tardano a manifestarsi: lo sguardo di Rosa saetta da Cucciolo a lui, temendo che si spinga troppo oltre, benché intimamente sia consapevole dell’impossibilità che arrivi a esporla a tal punto. Infatti, il presupposto da cui parte è fondato: non lo farebbe mai, e non lo farà. Tantomeno, con Edoardo presente, a pochi metri da loro, che ha iniziato a fissarli insospettito. Sarebbe inutile e controproducente per tutte le parti coinvolte; soprattutto, confida che ci ripensi.
Naturalmente, dal canto suo, Cucciolo non si sogna di accennare mezza risposta oltre a uno sguardo tra il minaccioso e il sospettoso, come se avesse il potere di intimidire l’interlocutore: povero illuso.
Ritenendo di aver sufficientemente pungolato gli animi presenti in sala, Carmine fa per allontanarsi. Tanto, il più dilaniato e sconvolto rimane lui - o almeno così crede -, sentendosi per giunta annientato nella personale guerra contro i demoni di Rosa; non può desiderare solo lui di tornare ad abbatterli.
Eppure, in questo caso in misura decisamente più prevedibile, apparentemente anche Micciarella quest’oggi si è parecchio annoiato, al punto da sentire il bisogno di rincorrerlo con la rimostranza: “Ma tu chi cazz te crir r’esser ? Pienz ca si megl ’e nuij ? Vir ca pur tu stai cà dint comm a tutt quant.” Lungi da lui il desiderio di prendere le difese del fratello; si tratta piuttosto di una questione di onore.
Carmine si volta e, scuotendo la testa, sceglie di ‘educare’ quel moccioso nell’unico modo opportuno: “Micciarè, ij ’e sacc buon ’e sbagli meij, perciò stong cà dint pur pe’ ’mbarà a nun ’e fà chiù.”
E cio vuless ’mbarà pur a quant ne simm, o sul a Rosa? Si no, pecché ce faij semb ’a guallera?”
Alcuni dei presenti hanno già visto Carmine perdere il controllo, se c’era in ballo qualcuno a cui teneva particolarmente; e per quanto la loro visione sia limitata, è certo che alla Ricci lui tenga assai. Ma come disse a Gianni quella volta, Micciarella è ’nu creatur, non vale la pena di sporcarsi le mani. Si limita ad avvicinarglisi e a intimare, con tono fermo: “Chisti nun sò proprij cazz r’e tuoij, muccù.”
E nun m par, si c’e a rà ’e lezion ’ngopp a chell ca ce ricimm, comm ’o ricimm e pecché ’o ricimm.
Verament, ij stev parlann co’ fratet ; Cucciolo, t’o vuò piglià ’a ’stu creatur, primma ca se fa mal ?”
Benché dubiti del fatto che voglia effettivamente alzargli le mani addosso, il fratello si vede costretto a intervenire anche in supporto della sua versione: “Si proprij sicur ca può convincer a Rosa a t rà rett?”
Carmine lo fissa intenerito. “E pur si foss, pienz ’e sapè tu chell c’avissm a fà? Scet’t ’a ’stu suonn, ja.”
In maniera completamente incosciente, non sembra accennare a demordere: “Magari, co’ nuij Rosa putess ’mbarà a se sentì veramente libera e potente. Invece tu, che vita ’e merda pienz ’e ce rà, Piecr? Nun t’abbast ca figliet se puzzarà ’e famm, senz’e mammeta? Tu ’sta vita ’a schif, però te può servì.”
A questo punto, incurante di essere vista o meno, Rosa sgrana istintivamente gli occhi, sconvolta. Conosce il sorprendente autocontrollo di Carmine meglio di chiunque, sa che può resistere a tutto… Ma se toccano Futura, per giunta accusandolo di ipocrisia e tirando in ballo Wanda in ’sto periodo… Ovviamente, sta trascurando un fattore di essenziale importanza nell’imminente effetto domino: lei.
Carmine ha ormai imparato a riconoscere i segnali di uno sbrocco in atto, dentro e fuori di sé; soprattutto, provando ad analizzarne le cause scatenanti, ha realizzato che contino relativamente: qualsiasi aspetto gli stia a cuore assume un peso più o meno rilevante a seconda del periodo attuale. Sfortunatamente per Cucciolo, ultimamente sta vedendo tutto nero come sperava non ricapitasse più; poco contano le consapevolezze acquisite negli anni, se gli sembra si stiano sgretolando una ad una.
Ora, non sa se prevalga la brama di chiudergli la bocca a furia di manate per questioni di principio, o più semplicemente, se un’infinitesimale parte di sé crede davvero che Rosa sia perduta per sempre… Fatto sta che, dopo diverso tempo, non trattiene più lo sfogo davanti a un provocatore. Gli è addosso.
Silvia, sconcertata e allarmata dall’impotenza dell’amica, corre a scuoterla fisicamente e verbalmente: “Vuò ca s’accirn?” Assolutamente no; ma al momento, nessuno è ferito e sono intervenute le guardie. Contrordine… Carmine sembra una furia, non l’aveva mai visto così. “Sant Patatern, Rò, SCET’T!”
E lo fa. Incurante di tutti coloro che li stanno fissando, approfitta della momentanea frattura tra i due per interporsi, fissare i propri occhi in quelli trasfigurati di lui e urlargli: “C sfaccimm staij facenn Cà?” Potrebbe sembrare un folle azzardo, ma l’istinto di Rosa sapeva di calamitarne tutta l’attenzione. Come se il demone avesse improvvisamente abbandonato il suo corpo, Carmine si allontana da solo. E, con un principio di mutilazione in corso, si costringe a staccare le mani di lei dalle proprie spalle. Lo ama al punto da impedirgli di commettere idiozie irreversibili, ma non abbastanza da scegliersi. Perché il punto è sempre stato questo: non scegliere lui significa tradire la parte migliore di sé stessa.
   
 
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