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Autore: DragonEnya    29/01/2024    0 recensioni
[pokemon]
Quando i destini di due persone desiderose di rialzarsi si incontrano, ecco che tutto può cambiare. Lui si chiama N ed è l'ex re del Team Plasma, reduce da una reclusione in carcere, l'altro si chiama Virgil, membro della squadra di soccorso con una tragedia alle spalle. Una storia di amicizia tra due giovani ragazzi, che attraverso difficoltà oggettive imposte dai ruoli e dalle esistenze opposte che conducono, si farà prepotentemente strada tra la compassione e la durezza della vita. Vagheranno alla ricerca di sé stessi per potersi redimere e tentare di fare la differenza in quel mondo che sembra avercela con loro e di riabbracciare con impegno, l'amore per la vita. Reduci dalle sofferenze che tentano di lasciarsi alle spalle, si scontreranno e si supporteranno a vicenda per superare le difficoltà che il destino, come un tranello sadico gli metterà davanti, sfruttando un meccanismo di complementarietà che li plasmerà rendendoli molto uniti; attraverso il perdono e la difficile accettazione delle idee dell'altro, lotteranno con complicità e fiducia in una cosiddetta "terza crisi plasma" provando inoltre a realizzare i sogni abbandonati nel cassetto e l'incrocio dei loro destini cambierà per sempre le loro vite.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Era una notte ricca di stelle quella in cui mi affrettavo a scappare da un destino che mi perseguitava da tutta una vita, trascinandomi nella mia condizione di essere umano fuorviato, tediato, rovinato. Il cielo limpido di quella notte con l'estate alle porte, guidava i miei passi affannati e vacillanti immersi nel velo scuro come la pece che li faceva impantanare al suolo. La foresta nei dintorni di Forteverdepoli venne svegliata dai gemiti delle mie corde vocali, il sentiero boschivo segnato dal mio sudore e rosato dal mio sangue, si stagliava come un nemico che non riuscivo a superare. Ero esausto, respiravo a fatica a causa di quelle spore che avevo inalato e che mi toglievano il fiato ma non potevo arrendermi e lasciarmi cadere nelle mani dei miei inseguitori, non quando finalmente in fondo alla foresta oscura scorsi una fioca luce in lontananza, probabilmente la lanterna della mia salvezza.
Scalai con immensa fatica lo steccato che mi separava da essa, ma così come io ridotto in quelle condizioni pietose riuscì a superarlo, anche i tre loschi figuri e i Pokémon da cui ero braccato, lo saltarono con la leggiadria di guerrieri ninja. Provai a seguire la staccionata lungo ettari di terreno in cui scorazzavano branchi di possenti Bouffalant, veloci Blitzle, soffici Mareep e scalpitanti Zebstrika, per poter raggiungere quella casa in mezzo al bosco e rincuorarmi al chiarore della sua lucerna. Ma le mie gambe cedettero, crollando sotto fronde verdi e rotolai giù lungo il sentiero scosceso, nella direzione opposta a quella in cui sarei voluto andare. Avevo mancato di poco l'obbiettivo perché stavo contando solo sulle mie forze, quando invece avrei potuto chiedere aiuto. Uno Zebstrika infatti si avvicinò a me per fermare la mia caduta rovinosa. Mi aggrappai al suo manto morbido e striato, mi issò sul dorso e corse verso la direzione giusta. Aveva ascoltato la mia voce, aveva captato la mia supplica di aiuto interiore dato che non riuscivo ad emettere nessun suono sensato. Ho proprio detto così: avevo parlato utilizzando la mia voce interiore e lui mi aveva risposto con la sua, perché si, ancora non mi sono presentato: mi chiamo Natural Harmonia Groupis, detto N e ho la capacità di sentire le voci interiori dei Pokémon e comunicare con loro senza dover usare le parole, ma delle presentazioni serie ce ne occuperemo più avanti magari. Chi conosce la mia storia, avrà già capito chi sono ma per coloro i quali non hanno mai sentito pronunciare il mio nome, non si preoccupino, ci sarà tempo e modo di capire come e soprattutto perché mi trovassi in quella disdicevole situazione.
Zebstrika mi condusse fin davanti all'agognata casetta, rischiarata appena dalla luce appesa sul portone d'ingresso. Il Pokémon mi scaricò con gentilezza a destinazione e si parò davanti a me pronto a difendermi. Mi trovavo ancora dal lato interno dello steccato in legno ben fatto e non avevo la minima forza per catapultarmi dall'altro per andare a bussare a quella porta, così rimasi lì, intrappolato, con la mano insanguinata aggrappata al legno, mentre tre ombre furtive mi raggiunsero col favore delle tenebre e mi circondarono, a destra e a sinistra. La mia voce emetteva sibili, tossivo, rantolavo e la gola mi si chiuse serrandomi le vie respiratorie. Era di sicuro l'effetto delle spore lanciatemi addosso da Liligant, il Pokémon di uno dei tre personaggi. Conoscevo quel trio fastidioso da quando ero piccolo, mi seguivano sempre per riportarmi a casa dopo le mie fughe. Si facevano chiamare il Trio Oscuro, tre persone dall'identità indefinita, agili come antichi guerrieri giapponesi con la katana e con il volto celato dietro un velo stretto sul viso, lunghi capelli bianchi raccolti in testa e corpi agili e scattanti come molle. Mi si fecero vicini, con ghigni soddisfatti ma stanchi di dovermi correre sempre dietro.

    «Ti consiglio di arrenderti se non vuoi farti ancora più male» mi avvertirono avanzando ancora verso di me.

    Ero palesemente senza scampo. Zebstrika aveva incoraggiato altri Pokémon ad intraprendere la mia difesa ma furono facilmente spazzati via da una fiammata di Volcarona che li disperse ustionandoli, così loro, povere creature non allenate alla lotta, fuggirono sparpagliandosi negli ettari di terreno intorno a noi. Qualcuno di loro ancora più spaventato prese a calci la staccionata fino ad incrinarla, finché Basculin, un altro dei Pokémon del Trio Oscuro, li fece allontanare con dei forti getti d'acqua, cosicché rimasi da solo, in compagnia dei miei incubi peggiori.
Si avvicinarono a me. Ero sotto tiro del loro Lilligant, di Basculin e di Volcarona. Un essere umano non può affrontare a mani nude i poteri dei Pokémon. Le spore mi avevano già ridotto l'ossigeno di almeno il settantatrè per cento (si ho detto proprio settantatrè, perchè dovete sapere che sono un appassionato di numeri e formule, in realtà sono un vero genio nella materia e odio le cifre tonde). So di essere bravo a calcolare qualsiasi cosa mi riguardi, almeno ci provo. Quella sera però avevo sbagliato i calcoli e stavo per rimetterci la vita. Sarei dovuto scendere dal mio piedistallo di solitudine ed onnipotenza e lasciare che qualcuno si prendesse cura di me, almeno quella notte perché avevo raggiunto il limite.
Ormai prossimo alla cattura, incrociai la figura del mio soccorritore. Era molto tardi: la porta di quella casa si era spalancata e qualcuno era corso fuori, probabilmente svegliato dal baccano che avevo causato durante il mio tentativo di fuga, infatti i Pokémon di quella proprietà non erano riusciti a placare la loro foga, generata dalla paura di quei tre che li avevano maltrattati. Alcuni di loro erano feriti e gemevano per terra poco lontani da me. Quella figura in silhouette, alta, slanciata e dalla voce immatura ma decisa saltò agilmente la staccionata e si frappose tra me ed i miei inseguitori.

    «Che cosa sta succedendo qui?» urlò un ragazzo frapponendosi tra me e loro. Al buio non lo vidi bene ma dal fisico e dalla voce delicata doveva avere più o meno la mia età, intorno ai vent'anni. Vide tutto quello che era successo fuori da casa sua e si infuriò.

    «Non sono affari che ti riguardano» rispose uno del Trio Oscuro, quello che sembrava avere una voce più femminile rispetto alle altre; io stesso che li conoscevo da tutta la vita non li avevo mai visti senza le maschere. «Torna a casa e non ti succederà niente. Lui verrà con noi» aggiunse l'altro.

    Il giovane si girò verso di me e la lanterna dell'uscio di casa sebbene molto flebile illuminò il suo viso. Erano gli occhi castani del mio soccorritore, un incrocio di sguardi che avrebbe cambiato per sempre la mia vita ed anche quella sua, ma nessuno dei due poteva saperlo, non ancora.
Fu come togliere il pasto ad una bestia affamata. Si infuriò per bene ma il suo linguaggio così pulito e con quei termini tecnici ... mi lasciò stupito ed impaurito alla stesso tempo. Forse era un avvocato o peggio, un poliziotto. Badai all'ultima eventualità solo per poco perché stavo veramente male e mi sarei accontentato di qualunque cosa pur di sfuggire ai miei persecutori.

    «Certo che sono affari che mi riguardano! Avete violato illecitamente la mia proprietà e state provocando il caos! E poi non mi sembra che lui sia d'accordo; smettetela o ve la vedrete con me!»

    Quel ragazzo di cui ignoravo totalmente il nome, intimò ai tre di andare via perché non aveva intenzione di soprassedere, soprattutto dopo aver squadrato le mie condizioni e quelle dei Pokémon intorno a noi. Rimasi lì seduto, con le spalle abbandonate agli spuntoni di legno grezzi della staccionata appena riverniciata, con quell'acre odore di pittura fresca al piombo, non proprio un profumo salutare, una gamba rannicchiata al petto. Già mi mancava il respiro ed inalare quel tanfo mi fece vorticare la testa; la mia mano sinistra teneva fermo l'omero a destra che mi era uscito dalla spalla durante lo scontro precedente con quel trio ed ero sul punto di svenire.

    «Ci mancava solo questo scocciatore» sbottò spazientito quello leggermente più alto «adesso ti daremo una bella lezione».

    Il terzo ninja ordinò al suo Basculin di attaccare. Il Pokémon pesce verde foresta tentò di colpirlo con un getto d'acqua, mentre il secondo allenatore ordinò al suo Volcarona, il Pokémon falena, di attaccare con il fuoco ed il terzo comando al suo Lilligant, il Pokémon fiore che mi aveva avvelenato con le sue spore, di lanciare foglie taglienti come lame. Il mio salvatore si ritrovò a dover fronteggiare tre elementi diversi tutti insieme, acqua, fuoco ed erba. Con un lungo ma deciso fischio, richiamò a sé un Pokémon. Era un Umbreon, un magnifico esemplare che si evolve da Eevee solo con il favore delle tenebre. I luccicanti anelli del suo corpo sfavillarono superando di gran lunga le luci delle stelle e della luna. Era una creatura bellissima dal manto nero e lucente. Chiunque avrebbe notato l'affiatamento che c'era tra lui ed il suo allenatore, anche chi come me, versava in condizioni critiche che di lì a poco sarebbero divenute irreversibili.
Il ragazzo gli ordinò di alzare una barriera protettiva per annullare i tre attacchi, per poi restituire il favore con un potente palla ombra. La compatta sfera nera di pura energia, investì il trio ed i loro Pokémon mettendoli in fuga.
Nel bagliore e nella confusione mi accorsi che un piccolo Pokemon con un aspetto a metà tra una volpe ed un gatto, aveva supportato la mossa di Umbreon per renderla più forte. Era un Eevee, Pokémon della stessa famiglia di Umbreon da cui lui si era evoluto.
Alla compatta combriccola di compagni bastò poco per liberarsi di quei tre buoni a nulla nella lotta, i quali scapparono via giurando però vendetta.
Dopo aver messo in fuga gli aguzzini, lui, con fare premuroso si avvicinò a me per capire come stessi. Ero già scivolato supino sull'erba fitta e sentivo le goccioline fresche di rugiada accarezzarmi la nuca, evidentemente in quella zona aveva piovigginato da non molto tempo. Mi parlò per cercare di avere un contatto con me ma i miei occhi appannati poco alla volta si chiusero. Ero sicuro che la mia pelle bianca, paragonabile solo alla luna piena nelle notti terse, fosse diventata rossa per la mancanza di ossigeno, di fatti mi svegliai non so quanto tempo dopo con un respiratore sul volto.
    Dischiusi gli occhi e sentii il mio sospiro attraverso la maschera ma la sensazione di soffocamento era sparita. Avevo dolori ovunque, come se mi avesse investito un treno ma in generale provavo sollievo. Alzai una mano per esaminarne il dorso e constatai che la mia pelle fosse tornata bianca, come era sempre stata. Mi sentivo senza forze ma in totale stato di rilassamento grazie al comodo matetasso che accoglieva il mio corpo martoriato ma abituato. Non potevo muovermi bene, la spalla lussata era stata rimessa apposto ma mi faceva un male che a caldo non avevo ancora avvertito.
Scrutai i dintorni e mi resi conto di trovarmi in una casa, modesta ma ben arredata. Non somigliava nemmeno lontanamente a quella che avevo lasciato qualche anno prima enorme ed aristocratica, quando ero fuggito dopo il tradimento di mio padre. Eh si, perché io sono il figlio adottivo di un ricco e potente signore single che si era rivelato essere il peggiore terrorista della storia di Unima, la mia terra. Già ... la mia adorata terra che mi aveva accolto non so bene tra quali braccia. Non sapevo nulla dei mie genitori naturali e Ghecis - questo è il nome del padre malvagio che mi ha cresciuto - mi aveva sempre raccontato che loro mi avessero abbandonato nel bosco, perché avevano paura del mio potere sconcertante: sentire le voci interiori dei Pokémon. Quando ero piccolo consideravo il mio dono come una punizione, poiché tutti quelli a cui lo mostravo, provavano paura e disgusto e mi apostrofavano come mostro. "Mostro! Mostro! Sei solo un mostro" dicevano scappando via e abbandonando ogni volontà di avere un rapporto come, di comprendere come io stesso non capivo di essere l'unico ad avere questa sorta di capacità che mi aveva sempre caratterizzato per il rapporto di simbiosi con le creature fantastiche del mio mondo: i Pokémon.
Ma tornando al presente ...
Sentì delle persone discutere tra di loro al dì là della porta della mia stanza. Parlavano di me.

    «Allora Virgil, come sta?»

    Virgil ... era forse questo il nome del mio salvatore? Quella voce matura aveva lo aveva pronunciato con affetto e si stava informando con lui sulle mie condizioni. Doveva essere per forza Virgil ad avermi tratto in salvo ed a giudicare dal modo in cui mi aveva cucito le ferite - sapevo bene che cosa fossero i punti di sutura perché ne avevo già avuti in passato - e il tutore a norma che mi reggeva la spalla, doveva essere per forza un medico. Avvocato? Poliziotto? Medico? Era un tutto fare? Eppure avrei giurato - quando entrò nella stanza e lo rividi ben illuminato - che era troppo piccolo per poter essere ognuna di queste cose, ma quando notai la sua divisa e quella delle altre due persone che erano con lui, sobbalzai atterrito. Il cuore annaspò per crearsi un'uscita dal mio petto, ebbi come un attacco cardiaco.

    «Un po' meglio papà». Rispose Virgil. «Ho dovuto idratarlo con una flebo perché sudava e la febbre non scendeva; adesso la sua temperatura si è normalizzata e gli effetti del veleno quasi svaniti».

    Non erano medici, né avvocati né tanto meno poliziotti ok, ma ero finito proprio nel quartier generale della squadra di soccorso di quella città. Forteverdepoli era anche la mia città ed era lì che ero cresciuto. Tutti lì sapevano chi io fossi ma nessuno per fortuna mi riconobbe.

    «Ha ancora il respiro sibilante, come se fosse allergico. Gli ho somministrato dell'antistaminico e se non migliorerà lo porterò in ospedale» aggiunse.

    Ospedale? Sentire quella parola mi fece andare nel panico. Non potevo muovermi, avrei voluto scappare a gambe levate ma cercai di calmarmi. Nessuno poteva accorgersi del mio travestimento; la mia parrucca castana e voluminosa costruita ad hoc conteneva perfettamente la mia chioma esagerata di lunghi capelli e le lenti a contatto marroni camuffavano i miei inconfondibili, cangianti occhi color cristallo. Il mio fenotipo era così particolare che non sarei mai passato inosservato, soprattutto in luoghi che avevo frequentato negli anni precedenti e la mia fama - direi piuttosto la mia cattiva fama - mi precedeva. Il discorso dietro la porta continuò.

    «Non serve che stamattina tu esca in missione, hai dormito poco, ti coprirà Davy» suggerì l'uomo più grande.

    «Anche lui mi ha aiutato, comunque preferisco rimanere per tenerlo monitorato».

    «Buongiorno ... come sta?» Riconobbi una terza voce dietro lo stipate, erano in tre. Tre maschi che parlavano di me tra di loro. Virgil spiegò anche a lui che con molta probabilità avevo avuto uno shock anafilattico causato dalle spore inalate. "Shock anafilattico?" ripetei incredulo tra me; io non ero allergico alle spore, non lo ero mai stato, o almeno non mi era mai capitato di stare così male in seguito ad un'esposizione alle stesse che io ricordi. Quando un essere umano respira accidentalmente le spore dei Pokémon d'erba rimane avvelenato ma l'intossicazione si risolve facilmente con rimedi appositi. Virgil invece stava raccontando ai suoi interlocutori - che potevano essere i suoi colleghi ma che in realtà erano suo padre e suo fratello - che la mia reazione spropositata fosse dovuta ad una forma di allergia nei confronti del polline dei fiori dei Pokémon.

    «È stato complicato fare una diagnosi ma in base alla sintomatologia sono riuscito a stabilizzarlo. Si riprenderà».

    Ancora dei termini da medico, ancora confusione nella mia testa. Virgil ... il mio soccorritore era rimasto in piedi tutta la notte per assistermi e lo aveva fatto con fare professionale. Un ragazzino che ne sapeva quanto un medico e che non aveva ritenuto necessario farmi curare in ospedale. Per mia fortuna direi. Mi voltai verso la finestra senza sollevarmi dal letto e capii attraverso le veneziane che era mattina presto. Avevo dormito beatamente - o quasi - tutta la notte mentre lui era rimasto sveglio accanto a me. Gli unici ricordi erano dei tocchi freschi sulla mia fronte, sui polsi e sulle caviglie. Erano le spugnature a cui mi aveva sottoposto per abbattere la temperatura causata dalla febbre alta. Ci sapeva fare eccome, avevo perfino il braccio incannulato da una flebo, nella cui sacca c'era l'acqua fisiologica per idratarmi ed i rimedi antistaminici contro la mia forma allergica a me sconosciuta.

    «Deve essere capitato qui mentre scappava da quelle persone» osservò l'uomo dalla voce matura interrogando Virgil, il quale aveva assistito ai fatti. «Sai chi fossero?»

     Giustamente si stavano interrogando sui miei inseguitori e soprattutto sul perché mi tallonavano. Solo Virgil era arrivato a vederli mentre la sua famiglia no. Come avrei dovuto spiegare la sistuazione dal momento che a breve sarebbero entrati nella stanza? Dicevo pocanzi che quando si avvicinarono a me, vestiti con la divisa da lavoro riconobbi all'istante due di loro. Uno era il capitano Jeff Evan, capo della squadra di soccorso della città e l'altro era suo figlio ma non ricordavo il nome. Solo sentendolo nominare da suo padre mi tornò in mente. Davy ... era il figlio maggiore del capitano Evan e lavorava insieme a suo padre nella squadra di soccorso, la quale aveva una stretta collaborazione con tutti i corpi pubblici, tra cui polizia locale, ospedale, centro Pokémon e ... quel corpo di agenti penitenziari che solo a pensarci mi vengono i brividi: la polizia internazionale. Non vado molto d'accordo con la polizia, soprattutto quella internazionale perché oltre a scappare dal Trio Oscuro, cercavo di non farmi scovare da loro. Ritrovarmi a casa dell'uomo che rappresenta un'istituzione parastatale di supporto e di riferimento per ognuno di quegli enti pubblici, mi mise davvero timore.
Ero sveglio e vigile, intento a guardarmi intorno. Conoscevo Davy e suo padre Jeff ma non avevo idea di chi fosse Virgil, colui che mi aveva salvato. Fu presto chiaro che fosse il figlio minore del capitano e doveva essere entrato a far parte della squadra da poco, poiché non lo avevo mai visto in vita mia. Lo guardai bene in faccia e constatai che i suoi occhi non erano castani ma verdi come smeraldi ed iridati con sfumature color ambra. Occhi stupendi, corpo slanciato come me e più alto di suo fratello maggiore, il quale aveva una corporatura più robusta.
Visibilmente agitato, tentai più volte di sollevarmi dal letto causandomi dolori atroci che uscirono come gridolini strozzati dalle mie labbra. Mani gentili e voci dolci come tazze di latte caldo nelle sere invernali, mi tennero giù e mi rassicurarono.

    «Non è il caso, sei ancora debole» mi suggerì deciso Virgil.

    Rimasi giù piacevolmente colpito dalla sua dolcezza e sentivo di essere in buone mani, finché non avessero saputo chi realmente fossi. Cercai ancora una volta di rilassarmi, in fondo mi ero fatto quel travestimento apposta per queste evenienze, per poter stare in mezzo alla gente ed indagare per portare avanti la mia missione.
    «Dove mi trovo?» chiesi facendo finta di non saperlo, così, per rompere il ghiaccio.
    Non credo che ricordassero la mia voce, piuttosto avevo paura che i miei sottili lineamenti mi tradissero. Eravamo troppo vicini e sei occhi che mi scrutavano così intensamente mi fecero tremare. Per fortuna attribuirono il mio vibrare al mio stato precario di salute e non alla paura matta di venire allo scoperto.

    «Sei a casa nostra. Sta tranquillo, qui sei al sicuro».

    «Che mi è successo?»

    «Ti ho trovato qua fuori mentre tre strani tipi ti stavano dando fastidio con i loro Pokémon, li ho messi in fuga e ti ho portato qui. Ti ricordi?»

    «Insomma». Dovetti stare un po' al gioco, per dar loro l'idea che fossi confuso e disorientato.
    Sarebbe stato più facile in questo modo apparire instabile, poco sano di mente per ricordarmi dove avessi messo i documenti nel momento in cui me li avrebbero chiesti.

    «Non importa. Questi sono mio padre Jeff e mio fratello Davy, io mi chiamo Virgil, tu chi sei?»

    A quella domanda ero ben preparato. Avevo studiato un nome appropriato per cambiare identità.
    «Noah ... mi chiamo Noah» risposi conmnaturalezza cercando di nascondere la voce tremante.

    «Va bene Noah. Avevi un avvelenamento da spore ed una spalla lussata, te l'ho rimessa a posto. Sei stato molto male. Per caso sei allergico?»

    «Non saprei ... ».

    «Le tue ferite sono state pulite e disinfettate, la febbre è andata via ed i sintomi dell'avvelenamento sono quasi del tutto scomparsi. Anche il tuo respiro è migliorato».

    Sorrisi grato, sfilai la maschera per l'ossigeno che mi dava un gran fastidio a causa del caldo, portai una mano al petto e chinai il capo in segno di ringraziamento. «Grazie di cuore» risposi sospirando energicamente.

    «Figurati. Tu come ti senti?»

    Quegli occhi lucenti, quel sorriso sincero, le labbra rosa ben disegnate mi ispiravano fiducia. Anche il capitano era una persona per bene, un uomo di mezza età, leggermente calvo e con i capelli brizzolati come cenere di camino; mi dava la sensazione di un padre amorevole con la sua famiglia, tutto il contrario del mio di padre, anche se non sapevo perché mi ostinavo ancora a definirlo tale. Era istinto, lo dicevo quando parlavo a braccio, ma a rifletterci bene non se lo meritava proprio anche se di fatto portavo ancora il suo cognome.
    «Beh, sono stato meglio» aggiunsi recitando un pizzico.

    «Non ti biasimo, sei ridotto male. Non preoccuparti qui avrai tutto il tempo per rimetterti».

    Davy, quel ragazzone dalla corporatura sviluppata mi rassicurò mentre apriva le finestre della stanza per far entrare la luce del sole, ma non avevo ancora capito di chi dei due fratelli fosse. Mi porse dell'acqua a temperatura ambiente e la bevvi tutta d'un fiato. Avrei preferito che fosse stata un po' più fresca ma sono una persona che nonostante sia vissuta nel lusso, servita e riverita in ogni momento, era di poche pretese.
    Il capitano mi diede ufficialmente il benvenuto a casa sua, rassicurandomi che grazie alle cure di suo figlio mi sarei rimesso molto presto.

    «Di qualunque cosa tu abbia bisogno non esitare a chiederla» concluse prima di lasciare la stanza insieme al suo figlio più grande.
Virgil rimase con me, a controllare che fossi a mio agio. Continuò inesorabile a prendersi cura di me, non ricordavo simili accortezze nei miei confronti da che fossi nato. Prese la mia spalla tra le sue abili mani e la esaminò in modo così scrupoloso che la domanda mi venne spontanea:
    «sei un medico?»

    Scosse la testa e mi parse di intravedere un velo di rammarico nella sua espressione, come se avessi toccato un tasto dolente della sua vita, ma si riprese subito.

    «Sono un soccorritore con competenze avanzate. Con mio fratello e mio padre formiamo la squadra di soccorso locale, è il nostro lavoro».

    «Squadra di soccorso eh?»

    «Si ... siamo la squadra di Forteverdepoli».

    «Capisco ... ahm ... sei ... stato sveglio tutta la notte soltanto per prenderti cura di me?»

    «Le spore ti hanno fatto salire la febbre alta; questo ti ha provocato delle lievi convulsioni e mi sono preoccupato. Ad un certo punto ho pensato di portarti in ospedale ma poi con la flebo sono riuscito a riportare la situazione sotto controllo. Faccio le ronde notturne quindi sono abituato a stare sveglio la notte. La cosa importante è che tu ti sia ripreso».

    «Davvero non so come ringraziarti».

    Mi donò un grande sorriso, quasi imbarazzato, poi mi disse che il dolore alla spalla ci avrebbe messo un po' a passare e che avrei dovuto tenere il tutore per almeno due settimane. Mi invitò a spostarmi in cucina per la colazione, perché riteneva che fossi in grado di muovermi. Io mi sentivo così indolenzito da credere tutto l'opposto. Capii che me lo dicesse per spronarmi a riprendermi più in fretta, si vedeva che nel suo lavoro di soccorritore ci metteva l'anima.

   
 
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