Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Infinity_2015    06/02/2024    0 recensioni
Alex e Bea frequentano entrambi la facoltà di economia aziendale a Verona, dove si conoscono casualmente durante una pausa tra una lezione e l'altra alle macchinetta del caffè al secondo anno. Prima di allora non si erano mai neanche visti, nonostante avessero tutte le lezioni in comune.
Tra loro scatta subito una certa antipatia, riusciranno a superarla?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Bea

 

«Mamma mia che delirio i bus qui a Verona, mannaggia!» disse Noel salendo sul mezzo di trasporto più ritardatario di sempre, ovviamente escludendo i treni di Trenitalia.

«Vorrei poterti dare torto, ma di sto passo perderemo l’inizio della lezione e sai benissimo com’è il prof… Se arrivi in ritardo di 30 secondi ti fa passare fuori l’intera lezione, vorrei anche evitare questa volta.»

«Tesoro, non ti preoccupare che nonostante il traffico e l’ATV maledetta, arriveremo in orario.» Si perse un attimo a guardare il vuoto, poi aggiunse: «Piuttosto, sei pronta per l’esame di economia aziendale? Ormai l’abbiamo dato già 3 volte, ma di passarlo non se ne parla proprio. Io non capisco perchè la professoressa si ostini a fare gli esami così difficili, se non lo passano il 90% degli studenti dovrebbe capire che c’è qualcosa che non va, non credi?»

Mi ritrovai ad annuire: «Lo so, non faccio altro che fare scritture di assestamento e congetture, sto letteralmente impazzendo. Ormai mamma non mi sopporta più, parlo solo di questo esame.»

Mi fermai un attimo a riflettere, ma le date degli esami erano già uscite? Non mi pareva. Era metà dicembre e sarebbero dovute uscire a breve in teoria. Dopo quasi 2 anni all'università a Verona, ancora non mi capacitavo della disorganizzazione e dell’incompetenza di chi creava i calendari. Nell’ultima sessione, mi ero ritrovata due esami lo stesso giorno alla stessa ora ma in due posti diversi; ero stata costretta quindi a chiedere il posticipo di uno dei due. Meno male però che si erano resi conto dell’errore madornale e che poi avevano risolto il problema.

Ah, giusto per la cronaca, quella volta li avevo passati entrambi alla fine.

«Certo che se dipendesse dai nostri prof dell’uni, non passeremmo manco mezzo esame, neanche se ci pagassero!» disse Noel, io annuii e sospirai quando arrivammo alla nostra fermata in via XX Settembre.

«Dai amo, andiamo che siamo tirate con l’orario, su.»

Appena scese, svoltammo in via dell’Artigliere e ci avviammo verso l’ex palazzo di economia.

«Sai che ho fatto un sogno strano stanotte?» chiesi alla mia ormai migliore amica da due anni a questa parte.

«Ho paura di sapere cos’hai sognato» ridacchiò lei.

«Dai su, era strano ma non così tanto. Ho sognato che accompagnavo Irene a fare un esame al Polo Zanotto e che rimanevo lì vicino studiando diritto, non mi ricordo se privato o commerciale però. Va beh, non importa. In ogni caso, mi ritrovo davanti il mio ex responsabile del lavoro, quello per cui facevo la guardia sala, hai presente?»

Lei annuì e mi chiese: «Sì, ho presente. Ma che diamine ci faceva qui al Polo, scusami?»

Avevamo appena raggiunto l’entrata dell’edificio che le risposi: «Se mi dai un attimo, ti spiego. Allora, praticamente era venuto per dirmi che-»

Non feci in tempo a terminare la frase che, mentre aprivo la porta guardando Noel dietro di me, andai a sbattere contro qualcuno e per poco non caddi rovinosamente a terra.

«Ehy, ma potresti anche guardare dove vai invece di parlare a vanvera, non pensi?» disse lo sconosciuto.

Mi girai a guardarlo al volo e gli dissi: «Senti un po’, ciccio, non è mica colpa mia se tu che eri nel verso giusto stavi guardando il telefono.» poi aggiunsi con tono canzonatorio: «Con chi stavi messaggiando, con la mammina?»

Non gli diedi neanche il tempo di rispondere che me ne andai in aula seguita dalla mia compagna di disavventure universitarie.

«Amo… Non avrai un pochino esagerato con il tipo?» mi chiese Noel, non appena fummo abbastanza lontane dalle orecchie dello sconosciuto.

«Noel, non cominciare. Siamo già in ritardo, se in più ci si mette un tizio a caso che mi viene addosso perché era al telefono, anche no.»

Lei sospirò e non disse più nulla, sapendo benissimo che non mi avrebbe fatto cambiare idea.

Se c’era una cosa che odiavo, era arrivare in ritardo, OVUNQUE. Soprattutto all’università con certi professori, diventava un delirio e ti facevano vivere l’esperienza dell’uni veramente veramente male.

Dopo la pandemia, durante la quale avevo passato gli ultimi due anni delle superiori in DAD e avevo fatto la maturità con le mascherine, ero stata molto felice di poter cominciare l’avventura dell’università quasi alla normalità; il primo anno c’erano ancora in vigore il distanziamento sociale e il divieto di assembramenti, ma i casi di Covid erano diminuiti ed era tornato tutto come prima.

Entrammo finalmente in aula, ci sedemmo e cominciammo a seguire la lezione di ragioneria: una palla infinita. Per quanto come insegnamento non mi dispiacesse, gli insegnanti me lo stavano facendo detestare.

Quando finì la prima lezione della giornata, avevo ufficialmente bisogno di un caffè per riprendermi e svegliarmi effettivamente fuori. Con Noel scendemmo le scale e raggiungemmo le macchinette: «Quindi mi finisci di raccontare ‘sto sogno?»

«Giusto, hai ragione! Ti stavo raccontando che praticamente era venuto per dirmi che c’era stato un errore nel calcolo delle ore e che mi avevano pagato più del dovuto. Immagina la mia reazione, nel sogno ovviamente, al sentire quelle parole; per poco non mi veniva un mancamento.»

Lei ridacchiò inserendo le monete nella macchinetta e premendo il tasto del caffè espresso: «Immagino, poi com’è finita?»

«Eh, è finita che ricontrollando le ore, mi avevano pagato quelle giuste. Dopo questo mezzo mancamento mi alzo per tornare dalla Ire fuori dall’aula dell’esame e chi trovo secondo te?»

«Oddio, non lo so… un indizio?»

«Si tratta di uno dei miei ex, sono solo 2… hai un 50% di possibilità di azzeccare il nome.»

Noel si mise a pensare mentre mescolava il caffè ed io mi appropinquavo a prendere il mio latte macchiato con 300kg di zucchero al suo interno: «Deficiente 2?»

Scossi la testa in segno di diniego e le dissi: «Nein, Deficiente 1.»

«Oh Signore… e tu che facevi nel sogno?»

«Eh, lo salutavo… Poi mi sono svegliata, un risveglio abbastanza traumatico anche perchè sai quanto io sia stata male per quell’idiota. Se mai mi vedrai di nuovo affezionarmi  in quel modo a qualcun altro hai la mia autorizzazione per tirarmi dietro un microonde, va bene?»

Lei scoppiò a ridere e annuì: «Dai Bea, non esagerare però. L’amore in fondo è bello, devi solo trovare la persona giusta…»

«Sì certo, la persona giusta. Guarda, ho letto proprio stamattina il mio oroscopo che diceva che l’amore era dietro l’angolo… Peccato che la terra sia tonda ed io viva attaccata ad una rotonda.»

«Ma smettila, deficiente! Troverai la persona giusta per te che ti accetterà per come sei… Magari l’hai già incontrata e ancora non lo sai, forse proprio il tipo contro cui hai sbattuto stamattina.»

Io strabuzzai gli occhi e per poco non le sputai la bevanda calda che stavo sorseggiando addosso: «Tu sei fuori di testa, non esiste proprio.»

«Guarda che era carino!»

«Anche fosse, cosa c’entra questo? Sai benissimo che io non guardo solo questo in una persona, dopo le mie esperienze oscene e abbastanza traumatiche in amore ho capito cosa non voglio in un ragazzo, ossia uno che pensi solo a farsi bello ma senza cervello.»

Noel mi guardò con gli occhi pieni di compassione e mi disse: «Scusami tesoro, non volevo toccare un tasto dolente. Dico solo che non dovresti precluderti fin da subito l’opportunità di conoscere qualcuno di nuovo ed innamorarti seriamente. Io capisco la paura di stare male e soffrire ancora, di incontrare un altro caso umano che ti sminuisca, ma questo non dovrebbe paralizzarti in tal modo da rifiutare a priori l’amore in sé.»

Eravamo ancora davanti alle macchinette per prenderci anche qualcosa da mangiare, quando qualcuno mi venne addosso e mi fece rovesciare il latte macchiato sul maglioncino.

Mi girai di scatto pronta a prendere a parole quell’energumeno, ma mi precedette: «Ancora tu?!?»

«Ancora? Tu chi saresti, scusa?» non capendo a cosa si riferisse con quell’espressione.

Noel e lo sconosciuto si guardarono mezzi increduli e lei mi rispose: «Guarda che è il tipo a cui sei andata addosso stamattina, Bea.»

Il tizio grugnì infastidito dal nomignolo e la interruppe: «Guarda che ho un nome ed è Alex.»

«Sì, grazie caro ma non ci interessa» intervenni io piccata, poi aggiunsi: «Cos’è, sei venuto a vendicarti per la battuta di stamattina?»

Alex mi guardò socchiudendo gli occhi ed io mi presi un attimo per osservarlo. Dovevo ammettere anche a me stessa che, per quanto stronzo fosse, era un bel ragazzo. Alto, moro, riccio, occhi verdi misto marroncino chiaro, molto carino. Delle sopracciglia belle scure e marcate gli contornavano gli occhi ormai socchiusi dal disprezzo nei miei confronti.

«Ma che vendicarmi e vendicarmi, non me frega niente, né di te né della tua battuta di stamattina, tesoro.» mi rispose lui marcando con il tono della voce il nomignolo.

«Beh, in ogni caso mi devi un maglioncino nuovo, ciccio.»

«Allora tesoro, intanto ciccio ci chiami tuo fratello e poi, per quanto riguarda il tuo adorato maglioncino nuovo, puoi anche ricomprartelo da sola, ammesso e concesso che lo trovi vista la tua stazza.»

Per carità, ero perfettamente conscia del fatto che il mio aspetto fisico non rispecchiasse i canoni della società odierna, secondo cui una donna era bella solo se magra e con le curve al posto giusto. Io ero bassina ma bella in carne, con un seno grande il giusto e con un sedere che, nonostante la grandezza, era invidiato e comodo, almeno a detta delle altre persone. In ogni caso, questo non dava il diritto a determinati soggetti di sparare giudizi non richiesti. Molte volte mi ritrovavo ad invidiare Noel per il suo fisico: lei era snella, proporzionata, poco più alta di me e con la fila dietro, nonostante lei si ostinasse a dire che non piaceva a nessuno. Ogni tanto mi sarebbe piaciuto essere lei per capire cosa significasse vivere senza avere il costante pensiero che le persone stessero in mia compagnia solo perchè facevo loro pena, mi sarebbe piaciuto scoprire cosa volesse dire vivere senza che la gente ti indicasse e ridesse di te alla prima occasione. 

Boccheggiai alle parole di Alex e per poco non mi scagliai contro di lui; mi bloccarono Noel e la sveglia sul telefono che mi ricordò che avevamo la lezione di statistica.

Me ne andai incazzata nera con la mia migliore amica alle calcagna e lo sguardo di Alex che mi stava perforando la schiena sogghignando convinto di aver vinto.

Entrammo in aula e ci accomodammo ai nostri posti, pronte (più o meno) a seguire la lezione di una delle mie prof preferite in assoluto. Grazie a Dio riuscii a non pensare per un paio di ore a quello che era successo durante la pausa e non potei essere più grata per questo. Meno male che io e Noel avevamo un tutorato di economia aziendale il pomeriggio, così mi sarei distratta ancora per qualche ora.

Arrivarono le 13:30, la fine delle lezioni per oggi, ed io e la mia migliore amica uscimmo e ci sedemmo ad un tavolo fuori dall’aula per mangiare al volo prima di andare al Silos di Ponente per il tutorato con la nostra amata prof di economia aziendale.

Mentre scartava il suo panino al prosciutto cotto, Noel mi guardò di sottecchi e mi chiese: «Tutto bene, Bea? Stai ancora pensando a quello che ha detto Alex prima, vero?»

Io scossi la testa addentando il mio sandwich al tonno: «No, perchè mai? È solo l’ennesimo cretino che dà più importanza all’aspetto fisico che a tutto il resto. Non è la prima volta che mi parlano in questo modo e non sarà neanche l’ultima. Ormai, vuoi o non vuoi, mi sono abituata a sentirmi dire certe cose.»

Lei annuì non molto convinta: «Sì tesoro, ho capito, ma questo non significa che non ti ferisca quando sparano certe cazzate.»

Purtroppo aveva ragione, c’ero rimasta male sia per come mi aveva trattata sia per le parole che mi aveva rivolto. Nessuno, e dico nessuno, dovrebbe permettersi di mortificare in questo modo una persona e sparare sentenze senza sapere nulla della sua vita. Era tutta la vita che lottavo contro certe persone e certi luoghi comuni, ma a volte diventava veramente difficile mantenere la calma ed essere forti. 

Mi resi conto che avevo cominciato a piangere e mi asciugai di tutta fretta le lacrime che erano sfuggite al mio controllo, anche se ormai Noel se n’era già accorta. Mi strinse la mano e sorrise dolcemente: «Tesoro, non devi vergognarti davanti a me, so quanto tu sia forte ma fragile allo stesso tempo e quanto certe cose, nonostante tutto, ti feriscano anche se non vuoi darlo a vedere. Va tutto bene.»

Le sorrisi e finii il mio panino al tonno: «Hai ragione, lo so che tu per me ci sarai sempre e comunque. Ammetto di esserci rimasta male ma sono anche cosciente del fatto che è solo un povero deficiente senza cervello se ragiona in quel modo.» Mi diedi una sistemata ai capelli e aggiunsi: «Adesso però sbrighiamoci che dobbiamo andare, dai.»

Lei annuì e ci avviammo verso il Silos, pronte a cercare di capirci qualcosa delle quantità congetturate e delle scritture di assestamento.

Dopo un’ora e mezza di delirio, esercizi vari e puro non capirci una fava, uscimmo finalmente dall’aula e ci dirigemmo alla fermata del bus per tornare a casuccia.

«Bea, sono veramente esausta. Tra ragioneria, statistica ed il tutorato, io oggi arrivo a casa mi stendo sul letto e non mi alzo nemmeno con le bombe, te lo giuro.»

Ridacchiai alle sue parole e le dissi: «Sono d’accordo, ma prima dobbiamo arrivarci a casa… Speriamo che oggi il bus non faccia ritardo, che appena arrivo a casa ho un appuntamento con la mia psicologa.»

«Sai cosa penso? Penso che tu stia facendo benissimo ad andare dalla psicologa per preservare la tua salute mentale ed imparare a gestire al meglio i tuoi attacchi di panico. Mi ricordo ancora quando, al primo anno, ti ho trovato in bagno all’uni, in preda ad uno dei tuoi peggiori attacchi, mentre piangevi tutta accucciata con le gambe al petto. Eri così tenera e indifesa che non ho potuto fare a meno di avvicinarmi a te e cercare di aiutarti nel miglior modo possibile.»

Sorrisi al ricordo e le dissi: «Non potrei esserti più grata per essermi stata vicina in quel momento, non riuscivo nemmeno a respirare, figurarsi fare qualcos’altro.»

«Beh, alla fine è stato un bene, altrimenti probabilmente, nonostante frequentassimo gli stessi corsi, non ci saremmo mai incontrate.» ridacchiò lei salendo sul bus diretto in stazione.

«Cambiando argomento, sei riuscita a capirci qualcosa di economia stavolta?» le chiesi interessata.

«Qualcosina, ma non tutto. Che ne dici se ci vediamo uno di questi giorni per studiare insieme e vedere se in due riusciamo ad uscirne indenni?»

«Per me va benissimo, si potrebbe fare dopodomani direttamente dopo le lezioni, dato che non abbiamo tutorato, ti va?»

Lei annuì e scese in stazione seguita da me, pronta per raggiungere il treno per Mantova e tornare finalmente a casa.

«Va bene, tesoro, ci vediamo domani a lezione. Buona serata, Bea.» mi diede un bacio sulla guancia e si avviò al binario, lasciandomi sola con i miei pensieri.

Mentre aspettavo il mio bus, come al solito in ritardo, mi ritrovai a pensare nuovamente ad Alex: era tanto bello quanto stronzo. C’era qualcosa dentro di me che mi diceva che c’era qualcosa che non andava in lui, c’era qualcosa che non mi convinceva. Non so se per le parole che mi aveva rivolto o per lo sguardo con cui mi aveva guardato vittorioso dopo il nostro secondo incontro-scontro alle macchinette, ma non riuscivo a mandare giù la marea di idiozie che aveva pronunciato. Era più forte di me, se una persona mi umiliava in quel modo, in privato ma soprattutto in mezzo ad un sacco di gente, diventavo una iena. Se non fosse stato per Noel e la mia sveglia non so neanch’io cos’avrei combinato, probabilmente mi sarei messa in ridicolo scagliandomi contro di lui nonostante il mio metro e cinquantacinque.

Finalmente arrivò il bus, salii, passai l’abbonamento sul lettore e mi sedetti dalla parte del finestrino come mio solito. Mi tolsi il cappotto e lo zaino, presi le mie amate cuffiette e attaccai la mia canzone preferita, sperando riuscisse a tirarmi un pochino su il morale.

Dopo mezz’oretta scesi alla mia fermata, raggiunsi la macchina, la accesi e mi avviai verso casa.

Appena arrivata, appoggiai le chiavi sul piccolo contenitore all’entrata, salutai mamma e mi diressi in camera. Stavo per stendermi a letto tranquilla dopo essermi tolta lo zaino ed il cappotto che entrò mia madre: «Bea, tutto a posto? Ti ho visto strana quando sei entrata. È successo qualcosa in università? Qualcuno ti ha dato fastidio?»

Sospirai rassegnata al dover rispondere all’interrogatorio: «Mamma, va tutto bene. Sono solo stanca dopo le lezioni e il tutorato, non ti preoccupare. Mi riposo giusto mezz’ora che poi ho la seduta con la psicologa, va bene?»

Lei mi osservò non molto convinta, ma annuì e mi lasciò sola soletta.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Infinity_2015