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Autore: Isa_b    17/02/2024    0 recensioni
1924, Italia, Lombardia, Lodi.
Gunther Vincent Gunther, o ‘Vincenzo Guntero’, o anche ‘L’Archiviato’, è un uomo come tanti, che vive una vita come tante nel regime di post-guerra e utilitarismo dei ruggenti anni ‘venti.
O forse anche no, barbaro emigrato Tedesco con esattamente zero voglia di vivere, un odio profondo per il paese in cui si ritrova e un disprezzo ancora più viscerale per tutti coloro che lo abitano.
Gunther Vincent Gunther è un uomo semplice, fino a un certo punto; si farebbe volentieri monaco cistercense pur di trovare una scusa per allontanarsi dalla società, se solo non avesse l’abitudine di bestemmiare ogni due per tre. Eremita montanaro certo non si può fare, di capre non ne vuole sapere, e avendo esaurito i metodi disponibili di condurre una vita in totale solitudine, mi sa che gli tocca proprio… *rabbrividisice*, socializzare.
E quindi perchè non fargli la cronaca?
La storia di un personaggio *somewhat relatable*, o almeno dalla prospettiva di me che scrivo, che spero possa strapparvi un sorriso. O forse no, non lo so, la commedia non è mai stata il mio forte e penso che Gunther preferirebbe vederci tutti piangere. O morti diretti, perchè no. Lui, compreso.
Genere: Commedia, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'Archivio, L'Archivista, L'Archiviato.



Mercoledì 13 Novembre 1924, Italia, Lombardia, Lodi.

Archivio Storico Comunale.


Il canto di un merlo, vento che soffia, scroscio della pioggia.

Persiane chiuse, presto verranno aperte, le prime luci del mattino si fanno vedere, e le prime voci si fanno sentire.

 

La Signora del palazzo di fianco sbatte i tappeti fuori dalla finestra, scelta dubbia data la pioggia a catinelle, il postino impreca a non poi così tanto mezza voce tra bicicletta, ombrello e borsone.

Il fidato berretto coppola in tweed gli vola via dalla testa, mannaggia la miseria, e si va a posare dritto dritto sull’uscio dell’ Archivio Comunale.

 

Il portone prontamente si apre, davanti, o meglio dietro, è palesata una figura, presumibilmente di uomo, incombe scuro nel controluce tra gli interni vagamente illuminati dell’edificio e i fiochi raggi di sole dell’alba albeggiante.

 

Lo sconosciuto si china, dallo zerbino sparisce il giornale, e anche il fidato cappello in tweed di ora ex-proprietà del postino di turno. E presto sparisce anche la fosca figura, sbattendosi la porta alle spalle noncurante della quiete ormai già interrotta del primo mattino.

 

Qualcosa mi dice che il Signor Umberto, postino locale del Cittadino di Lodi, non vedrà mai più la sua fidata coppola in tweed.

 

Mannaggia alla miseria.

 

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Per un attimo rimase immobile nel vano della porta, in quel dannato archivio faceva così freddo che anche un barbaro Tedesco come lui non ne era completamente immune.

Gunther Vincent Gunther, o ‘Vincenzo Guntero’ come gli autoctoni di questa pittoresca (stantia) cittadina (paesotto) si ostinavano a chiamarlo per paura di pronunciare scorrettamente il suo nome e destare le sue ire funeste.

 

Gunther, o Vincenzo, o Vincent, chiamatelo come vi pare, dubito gli interessi veramente, uomo dai mille nomi e zero pazienza, si fece avanti tra i corridoi, tra il puzzo di mobile marcio e zaffate di naftalina delle lampade a olio sul soffitto, aprendo finestra per finestra in coda al proprio incombente passaggio, scura figura simil-fantasma avvolta da pesanti silenzi e dal passo egualmente felpato.

 

E quindi tende e persiane si fecero indietro, e avanti la luce: con essa un naso più simile a un becco, occhiali da lettura scheggiati, sopracciglia decisamente troppo espressive per i gusti del propietario, una bocca dalla lingua troppo tagliente per i gusti altrui, portati in cima ad un corpo sproporzionato avvolto in una coperta di juta che faceva nulla per scaldarlo e tutto per graffiarlo.

 

Si diresse marciando verso l’alloggio dell’ Archivista, il proprio, tossendo e imprecando per la polvere che sembrava permeare ogni singolo centimetro di quella catapecchia di Comune.

 

Gunther tossicchiò un’altra volta, giornale di giornata in una manona, e il berretto ora bagnato e pure sudicio di quel volgare inetto del postino non poi così tanto gran Signore Umberto nell’altra.

In realtà i berretti alla coppola non gli piacevano neanche, semplicemente glielo aveva portato via perchè chi osa disturbare l’Archivista di prima mattina paga pegno, è risaputo. O chi osa disturbarlo in genere, davvero. Gunther, per quanto essere umano, anche se il suo nome mi ricorda più un pinguino, non è mai stato una creatura sociale.

 

Beh, era per questo che i Lodigiani, oltre a ‘Vincenzo Guntero’, avevano presto preso a definirlo ‘L’Archiviato’, perchè questo era: archiviato tanto quanto i libri, manoscritti, manufatti che tanto cerimoniosamente era in carica di custodire. 

 

Sì, insomma, è un modo diversamente educato di dire che Gunther Vincent Gunther è un recluso eremita.

Se esce è per comprare il pane, o andare dal medico, o buttare la spazzatura, insomma niente più del minimo necessario; e quando lo fa, rigorosamente non prima e nemmeno oltre il tramonto, si agghinda in nero pece da capo a piedi con tanto di fedora calata sugli occhi (la fedora perchè lui, lui si che è un Signore, mica come quei paesani e loro coppole): perchè si sa, ‘non vedere per non essere visti’.

 

Gunther tossì ancora una volta, e finalmente scostò l’ultima tenda, quella che fungeva da porta al suo appartamento: uno stanzone nel retro dell’ Archivio che fungeva da cucina, salotto, camera da letto e bagno tutto incluso.

 

Un altro modo diversamente educato, per dire che il nostro eroe poteva essere Signore quanto voleva, ma non aveva comunque due lire in tasca e si era dovuto arrangiare un alloggio con quel poco che aveva.

 

Gettò il giornale sul letto, il berretto nel cestino, e subito si vestì: Gunther non aveva tempo da perdere, la giornata era appena iniziata e già c’erano affari da concludere per l’Archivista/Archiviato, libri da vendere, inventari da fare, conti da calcolare e persone da… evitare.

 

Gunther era un uomo di routine, e come tale la scelta tra le sue tre camicie identiche non fu che semplice. Lo stesso vale per i suoi tre paia di identici calzoni, panciotto, e blazer, il tutto in tinte di grigio più o meno smorte proprio come la carnagione del nostro amabile protagonista. Le immancabili bretelle, perchè altrimenti i calzoni di due taglie troppo larghi gli sarebbero immancabilmente caduti. Le sartorie costano, va bene?

La cravatta, nera come la sua anima… e anche come il caffè che presto fischiava nel bollitore.

 

Gunther si fece avanti a lunghe falcate tra la parvenza di bagno e l’angolo cucina.. il che gli prese tre singoli passi, ma va bene, e con il rasoio ancora alla mano e il mento imbrattato di schiuma da barba, tolse il bollitore dal fornello. Riuscì a scottarsi, in uno scatto felino ritirò la manona, dall’altra gli sfuggì il rasoio, che gli graffiò la gola e si schiantò a terra. L’elegantissimo Gunther tirò un bestemmione - se c’è una sola cosa che gli piaceva dell’ Italia era questa, le bestemmie. Dopo questa, l’elegantone si ritrovò con un rasoio rotto, un cerotto grosso come una casa sulla carotide e la barba fatta solo per metà.

 

Ma poco importa: alla fin fine chi è che deve vederlo, lui, lupo solitario tra i lupi solitari? Nessu…

 

“Vincenzo, caro, carissimo!”

 

… no.

 

Oh, Scheiße.

 

Giunse una per niente melodiosa voce femminile di vecchiaccia malaugurata, seguita da ancora un’altra imprecazione di quel vocione di Gunther. 

 

E non lo avesse mai fatto!

 

“Ah, Vincenzo! Sei già sveglio?”

 

Regola numero uno alla sopravvivenza into-the-wild: mai avvertire il possibile nemico della propria presenza, ma suppongo oramai sia troppo tardi per Gunther.

 

No, no no no, nein, stamattina non doveva andare così, non stava aspettando visite, era in condizioni oscene, a lui non piaceva che la sua routine venisse interrotta in tale maniera—

 

— Gunther si blocca. Com’è che si dice? ‘Quando ti attacca un orso, fingiti morto’. ‘Se tu non ti muovi, lui non ti vede’… o forse era per i T-Rex? Ah, ma a chi importa, un predatore vale l’altro. Fatto sta che Gunther si irrigidisce, incapace di capire, di agire, di pensare—

 

— la tenda del suo quasi-appartamento si scostò per la seconda volta nel giro di dieci minuti, ed ecco si fece avanti il solo predatore naturale di quel barbaro vichingo di Gunther Vincent Gunther, Vincenzo Guntero, Il Gran Signore, L’Archivista e L’Archiviato…

 

… la biondissima, bassissima, piccolissima, esuberantissima Signora Dosi! Regina dei sette mari, imperatrice delle farfalle, Signora della  galassia Sombrero, ammaliatrice di uomini e niente po’ po’ di meno che proprietaria dell’edificio dell’ Archivio Comunale, diretto datore di lavoro di Gunther ribattezzato Vincenzo stesso!


La sua testolina piccola e canuta fece capolino sulla soglia dei nobili alloggi Gunteriani, seguita immediatamente da un esile corpo befana-vestito.



 

“Signor Guntero, Vincenzo, carissimo!

 

La sua voce tubante immediatamente rimbombò nella cassa toracica di… ‘Vincenzo carissimo’, tanto che quasi avrebbe recuperato il rasoio per riaprirsi la carotide, e già che ci siamo anche la giugulare.

 

E invece no, perchè per quanto ciò potesse inorridirlo e indurlo a questionare le proprie dubbie scelte di vita che lo avevano portato qui e ora, il proprio vitto e alloggio, la propria permanenza in Italia e la propria stessa sopravvivenza dipendevano da… quella donnina con tanto di fazzoletto in testa e sorriso sdentato che lo stava correntemente caricando a passo di carro armato nonostante i millemila anni di età, le chiavi del suo appartamento tintinnanti nella scheletrica mano.

 

Gunther si ripromise di far cambiare la serratura.

 

Ma fino ad allora, avrebbe dovuto sorbirsi la vecchia e le sue moine…

 

“Vincenzo, fatti vedere, gagliardo giovanotto!

 

‘Vincenzo’, si sentiva tutto meno che gagliardo.


 
   
 
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