Intontito
e dolorante come non mai, Dazai aprì a fatica gli
occhi nel tentativo di capire cosa stesse succedendo. Era buio,
però, e l’aria
satura di fumo; intorno a lui udiva urla, gli inconfondibili rumori di
uno
scontro e un costante crepitio che solo dopo un tempo fin troppo lungo
riconobbe come il fragore del fuoco. Avrebbe dovuto alzarsi o voltare
almeno la
testa per vedere a che distanza fossero le fiamme, ma non ne aveva la
forza. Poteva
solo stare sdraiato lì, chissà dove e
perché, ad aspettare il suo destino.
Non
ricordava, infatti, come fosse arrivato in quella situazione,
ma sorrise comunque al pensiero che finalmente sarebbe morto, anche se
quel
modo di andarsene non doveva essere affatto piacevole. Non aveva altra
scelta,
però, e chiuse di nuovo gli occhi senza curarsi della voce
irata che lo
chiamava e di uno strano movimento sotto di lui.
Nello
stesso momento Chuuya,
furibondo, cercava di convincere il suo partner a spostarsi una buona
volta. Gli
si era lanciato addosso chissà quanto tempo prima, bloccando
il suo potere, e non
riusciva a liberarsene. Probabilmente avrebbe dovuto ringraziarlo,
visto che un
attimo dopo una forte esplosione li aveva sbalzati entrambi a diversi
metri di
distanza proprio dal punto in cui si stava dirigendo a tutta
velocità, ma in
quel momento non riusciva ad apprezzare il gesto. La stanza
già in penombra
durante la sparatoria era piombata nel buio, a eccezione delle fiamme
sempre
più vicine, e il fumo rendeva difficile respirare. Il tocco
di Dazai gli
impediva di usare il suo potere e in quella posizione, incastrato
probabilmente tra alcune delle casse piene di armi che
quell’organizzazione
minore alle loro dipendenze aveva sottratto alla Port Mafia, non era in
grado
di spostarlo senza rischiare di causargli altri danni. Non gli restava
che
cercare di attirarne l’attenzione prima che fosse troppo
tardi, ma quando mai il
suo partner gli dava retta?
«Vuoi
toglierti, razza
di idiota? Non ho intenzione di bruciare vivo per colpa tua!»
gli urlò contro
per l’ennesima volta, provando infine a dare un colpo di reni
per allontanarlo
da sé. Non voleva arrivare a tanto, visto che il compagno,
di cui avvertiva per
fortuna il battito attraverso i vestiti, doveva essere in condizioni
peggiori
delle sue dopo avergli fatto da scudo con il suo stesso corpo, ma aveva
già
provato di tutto senza successo e il tempo stringeva. Nonostante il
ronzio
nelle orecchie causato dall’esplosione, infatti, sentiva fin
troppo bene i
rumori dello scontro ancora in corso da qualche parte lì
intorno e le sirene
della polizia in avvicinamento. Erano entrambi famosi criminali e non
potevano
rischiare di farsi trovare lì; senza contare il pericolo che
dei proiettili
vaganti causassero altri danni a loro o alle casse, con il rischio di
farli
saltare davvero in aria.
Dopo
alcuni tentativi,
riuscì finalmente a sgusciare via dalla sua presa,
constatando poi con uno
strano sollievo che le sue condizioni, di sicuro non buone, sembravano
comunque
meno gravi di quanto temesse, prima di caricarselo sulla schiena
già dolorante
per l’impatto. Per un attimo era stato tentato di lasciarlo
lì e scappare da
solo, ma quel giorno non se lo meritava. Gli aveva salvato la vita,
dopotutto,
e doveva chiedergli perché. Poteva essere semplicemente per
le sue manie
suicide se si era messo in mezzo, ma Dazai era troppo intelligente per
non
sapere che quello era un modo terribile di andarsene, del tutto in
contrasto,
quindi, con i metodi che provava di solito. Più ci pensava,
più sospettava che quell’idiota
si fosse sacrificato per salvare lui, ma non aveva senso, visto che non
si
erano mai sopportati.
Sbuffando
e tossendo
per tutto il fumo che aveva respirato, arrancò a fatica fino
alla macchina che
aveva lasciato in una strada laterale, ancora miracolosamente sgombra
mentre
forze dell’ordine e mezzi di soccorso accorrevano sul posto.
Appena
l’ebbe raggiunta,
in un moto di stizza di cui si pentì subito,
lanciò quasi il compagno privo di
sensi sul sedile posteriore per poi telefonare a Mori mentre si
dirigeva alla
massima velocità possibile verso uno dei rifugi della Port
Mafia. In realtà avrebbe
solo voluto sdraiarsi da qualche parte e cedere di nuovo
all’oblio come qualche
minuto prima nel magazzino, quando l’impatto con le casse gli
aveva fatto
perdere i sensi per un tempo che non avrebbe saputo quantificare, ma
sapeva che
era un impulso troppo pericoloso finché non fossero stati al
sicuro.
Si
sforzò quindi di
proseguire, maledicendo tra sé, per l’ennesima
volta, quei traditori e il folle
gesto di Dazai nel tentativo di ignorare le fitte in tutto il corpo
prima di
crollare semisvenuto tra le braccia di alcuni uomini venuti al
parcheggio per
aiutarli a raggiungere l’ambulatorio del loro capo. Fu un
duro colpo per il suo
orgoglio appena se ne accorse, ma lo spegnimento del suo potere gli
aveva
impedito di attutire la caduta e l’esplosione e il fumo
dell’incendio avevano
fatto il resto. Per fortuna, almeno per il momento, non era in grado di
soffermarsi troppo su quei
pensieri mentre veniva praticamente trascinato di peso lungo i corridoi
da
qualcuno che non riuscì a riconoscere.
Come
si aspettava, dopo aver dato a entrambi un’occhiata veloce e
una
mascherina per l’ossigeno a lui, Mori si allontanò
svelto con il suo compagno,
raccomandandogli di non muoversi fino al suo ritorno. Precauzione
inutile,
visto che il suo corpo sembrava urlare pietà dopo un simile
sforzo, ma se non
altro, almeno per qualche ora, nessuno avrebbe preteso rapporti su
quella missione
disastrosa.
Avrebbe
dovuto essere un incarico facile come tanti altri recuperare le
armi rubate, ma i traditori erano più di quanti si
aspettassero e ben
organizzati. Le urla e gli spari rimbombavano nel magazzino buio e di
sicuro entrambe
le parti avevano subito pesanti perdite.
Sostituito
il caricatore vuoto, Dazai azzardò un’occhiata a
Chuuya, che si
muoveva rapido nei dintorni grazie al suo potere urlando insulti e
sparando
all’impazzata come al solito.
Scosse
la testa esasperato e si voltò appena in tempo per vedere
uno
degli avversari, nascosto a poca distanza, togliere la sicura a una
bomba a mano
e voltarsi per lanciarla.
Seguendo
il movimento, capì subito le sue intenzioni e si
buttò d’istinto
sul suo partner per impedirgli di andare incontro a morte certa.
L’uomo mirava
infatti al mucchio di casse verso cui si stava dirigendo a tutta
velocità, con
il chiaro intento di creare una via di fuga per sé e i
compagni superstiti
mettendo fuori gioco la persona con più
probabilità di raggiungerli in caso di
inseguimento.
Chuuya,
impegnato a combattere, non si era accorto di nulla e Dazai non
poté far altro che correre fuori dal nascondiglio e
afferrarlo senza preavviso,
ignorando le sue sonore proteste quando il contatto tra loro
bloccò di colpo la
sua abilità.
Un
attimo dopo un boato fragoroso gli trapassò i timpani e la
stanza
piombò nel buio più totale mentre tanti pugnali
lo colpivano insieme alle
spalle. Dazai fece una smorfia, ma non mollò la presa,
aggrappandosi più
saldamente al compagno, che aveva smesso di divincolarsi, mentre
un’ondata di
aria calda li faceva volare chissà dove.
L’impatto
con qualcosa di duro fu devastante e il ragazzo, avvolto
dall’oscurità, cominciò presto ad
ansimare per il dolore intenso in tutto il
corpo Gli sembrava di avere lame arroventate nelle gambe e nella
schiena, la
testa e le ginocchia pulsavano e faticava a respirare. C’era
un fragore
assordante intorno a lui, ma non capiva il motivo. L’unica
cosa certa era che
niente di tutto questo fosse normale.
Confuso
e spaventato, gli ci volle un po’ per realizzare che non
stringeva più a sé il suo partner e
provò quindi a cercarlo con lo sguardo. Non
si sopportavano, in realtà, ma era sicuro che fossero molto
vicini quando era
stato colpito da qualcuno che non ricordava e doveva per forza
trovarlo. Forse
erano stati catturati e chiusi in celle diverse e quello era un ottimo
motivo
in più per cercare di scappare.
Chi si era occupato di lui aveva esagerato per metterlo fuori
combattimento e
non aveva intenzione di restare lì ad aspettare che si
facesse vivo di nuovo
per concludere il lavoro.
Ignorando
il mal di
testa e uno strano bruciore
al
naso e alla gola, fece uno sforzo immane per sollevarsi di poco e
guardarsi
intorno, cercando invano di penetrare l’oscurità.
All’inizio
non vide nulla, ma dopo un po’ si accorse di un bagliore,
dapprima lontano e poi sempre più vicino. Si stava muovendo
e non se n’era
accorto?
Non
fece in tempo a darsi una risposta perché quella luce
rassicurante si
trasformò presto in fiamme altissime che divoravano uomini e
casse stranamente
familiari.
Rimase
immobile a fissare la scena fin troppo a lungo, cercando invano di
capire cosa stesse succedendo, le orecchie squassate da suoni molto
simili a
spari ed esplosioni che si alternavano alle urla dei malcapitati mentre
il
fragore del fuoco riempiva l’aria, avvicinandosi
pericolosamente, senza che
potesse fare nulla.
Ecco
spiegato il calore sempre più intenso che sentiva addosso, e
Dazai,
accortosi in ritardo di essere stato circondato a sua volta dalle
fiamme, avvertì
una fitta di gelido terrore che sembrò del tutto fuori luogo
in un posto del
genere.
Doveva
essere morto e finito all’Inferno, non c’era altra
spiegazione, e
per un attimo si chiese se l’assenza di Chuuya non fosse un
buon segno. L’idea
lo fece sentire fin troppo sollevato, come se prima di arrivare
lì avesse
cercato di salvarlo per chissà quale motivo, e
trovò davvero ironico che la
prima buona azione della sua vita fosse stata aiutare, in qualche modo
che non
ricordava, quell’idiota senza speranza che non pensava mai
prima di agire.
Il
pensiero smosse qualcosa nella sua memoria confusa, ma una fitta
lancinante
alla schiena, terribilmente simile a un’ulteriore coltellata,
lo distrasse. Ora
che ci pensava, secoli prima uno scrittore aveva detto che
all’Inferno ci fossero
diavoli che torturavano per l’eternità i loro
prigionieri e Dazai si sentì sommergere da
un’ondata di sconforto. Aveva sempre
immaginato diversamente la morte, cercandola poi fin troppo spesso nei
modi più
svariati, e l’idea che il suo futuro sarebbe stato invece un
dolore senza fine era
insopportabile. Non che non lo meritasse, dopo tutto quello che aveva
fatto dal
suo ingresso nella Port Mafia, ma per lui, che aveva paura di soffrire,
era una
punizione atroce.
In
realtà non vedeva
esseri mostruosi intorno a sé e nemmeno catene che lo
trattenessero, ora che ci
faceva caso, ma in quale altro modo poteva spiegare
quell’orribile situazione? Gli
sembrava di aver preso fuoco anche lui in quell’aria rovente,
e nonostante il
desiderio di scappare, non
riusciva a muoversi come avrebbe voluto; inoltre, era abbastanza sicuro
di aver
visto sparire, in quel mare di fiamme, anche gente che negli anni era
morta per
colpa sua. Non riusciva a spiegarsi le casse, ma al momento quelle
erano
l’ultimo dei suoi problemi.
Il
dolore era sempre più intenso – di colpo i suoi
carcerieri si stavano
impegnando davvero, come se cercassero di strappargli con urgenza la
risposta a
domande che non aveva nemmeno sentito – e ben presto Dazai
non riuscì più a
trattenere urla che gli graffiarono ulteriormente la gola. Avrebbe
voluto dire
che gli dispiaceva, sperando senza alcuna logica che bastasse per
essere
lasciato in pace, ma le parole non gli uscivano.
Provò
allora a divincolarsi con la forza della disperazione, nonostante
la tragica consapevolezza che sarebbe stato inutile, raddoppiando gli
sforzi
nel sentire una presa ferrea stringergli le braccia.
Ovviamente
non servì a nulla, e con l’ennesima ondata di
panico gli
venne in mente che quelle catene dovevano essere più
resistenti di quelle
costruite dall’uomo, ma non gli importava. Doveva
esserci un modo per
liberarsi e sfuggire a quel tormento.
Con
un lieve sbuffo, Chuuya decise infine di provare ad alzarsi. Dopo la
visita e le cure necessarie, Mori gli
aveva raccomandato di stare a letto e riposare, ma il ragazzo,
nonostante la
stanchezza, non riusciva a dormire. Detestava ammetterlo, ma era
preoccupato
per Dazai. Il loro capo aveva detto che era stato fortunato, vista la
dinamica
che gli aveva descritto, ma le sue condizioni erano comunque gravi e
non poteva
sapere se e quando si sarebbe svegliato.
Sentendo
quelle parole,
Chuuya aveva finto indifferenza, ma la risposta alla sua domanda
noncurante – o
almeno si augurava che fosse sembrata tale – continuava a
risuonargli in testa,
alimentando la sua rabbia. Non riusciva a credere che il suo partner
fosse
stato così stupido da sacrificarsi in quel modo per una
persona che si era
sempre divertito a sbeffeggiare a ogni minima occasione, e se non
avesse saputo
che era assurdo, avrebbe creduto che l’avesse fatto apposta
per metterlo in
difficoltà una volta di più.
Per
fortuna Mori non
l’aveva incolpato della situazione, limitandosi a un
fastidioso sorrisetto di
natura non bene identificata quando gli aveva chiesto informazioni sul
compagno,
ma Chuuya si sentiva lo stesso fin troppo a disagio al pensiero che
quell’idiota
avrebbe potuto morire per una sua disattenzione.
Gli
venne in mente che
più di una volta si era lamentato del fatto che pensasse
solo a combattere,
senza guardarsi intorno e usare il cervello, e per un solo attimo fu
sul punto
di dargli ragione. L’istante successivo resistette a fatica
all’impulso di
urlargli contro nel silenzio di quell’ospedale clandestino,
maledicendolo tra
sé mentre immaginava la sua reazione. Poteva quasi sentire
il suo commento
derisorio e strinse i pugni, desiderando di abbatterli su quella
stupida faccia
con tutte le sue forze.
Sbuffando
irritato, raggiunse
la porta con passo malfermo e la aprì piano, controllando il
corridoio buio
prima di uscire. Gli avrebbe dato solo un’occhiata veloce,
giusto il tempo di
rendersi conto che non stava male come credeva per mettere a tacere
quell’assurdo senso di colpa, e il pensiero lo
aiutò a proseguire a tentoni
nonostante la debolezza. Quell’idiota avrebbe fatto
decisamente meglio a
svegliarsi presto o l’avrebbe soffocato con un cuscino.
Possibile che riuscisse
a essere una tale seccatura anche quando era più morto che
vivo?
In
pochi minuti arrivò nella
zona riservata ai feriti più gravi, dove si
infilò rapido e silenzioso
nell’unica stanza occupata, richiudendosi la porta alle
spalle.
Come
si aspettava, il
compagno era lì e Chuuya provò uno strano misto
di sollievo e irritazione quando
posò gli occhi su di lui. Era ancora privo di sensi,
naturalmente, con una
mascherina per l’ossigeno in faccia e fastidiosi macchinari
che controllavano
le sue condizioni.
Gli
si avvicinò con un
sospiro, cercando di convincersi che si sedeva un momento sulla sedia
accanto
al letto per riprendersi dallo sforzo e non perché fosse
preoccupato. In fondo
c’era un motivo se Mori gli aveva detto di passare la notte
lì, e sebbene
l’antidolorifico gli avesse permesso di alzarsi e andare in
giro, non
significava che il suo corpo fosse davvero pronto a farlo.
Rassicurato
da quel
pensiero, lo osservò per qualche minuto riflettendo. Avrebbe
potuto trovarsi
nelle sue stesse condizioni o peggio se Dazai non gli si fosse buttato
addosso,
impedendogli di raggiungere gli uomini nascosti nell’angolo
da cui era partita
la bomba. Non se n’era reso conto quando aveva ripreso i
sensi nel magazzino con
il compagno steso sopra, ma pian piano aveva messo insieme i pezzi.
L’unica
cosa che ancora non capiva era perché l’avesse
fatto. D’accordo che erano
partner, per sua disgrazia, ma quell’idiota non faceva che
ripetergli quanto
sarebbe stato meglio se lui fosse morto nel corso dei suoi folli piani
o per un
colpo di testa dello stesso Chuuya e non aveva senso che si fosse
ridotto così
per proteggerlo dall’esplosione che avrebbe potuto esaudire
il suo desiderio. Come
Mori aveva constatato, infatti, Dazai aveva impedito quasi del tutto a
schegge
e detriti di raggiungerlo e il ragazzo era quasi certo che avesse anche
cercato
di attutirgli il colpo alla testa quando l’onda
d’urto li aveva scagliati a
diversi metri di distanza.
C’era
riuscito solo in
parte, visto che era comunque svenuto per l’impatto, ma era
ovvio che i danni
avrebbero potuto essere ben peggiori.
Se
lui se l’era cavata
con un bernoccolo, qualche livido e lievi ferite, però, non
si poteva dire lo
stesso di Dazai e Chuuya, osservando il suo volto, si chiese se stesse
soffrendo. Probabilmente sì, a giudicare
dall’espressione, e si sentì ancora
più in colpa.
Senza
pensarci, prese la
pezzuola posata sul comodino di fianco a una bacinella e la immerse
nell’acqua,
strizzandola con più cura del necessario prima di passarla
sulla fronte del
compagno, che si agitava nel sonno. Stando così vicino,
poteva sentire il
calore emanato dal suo corpo e rinfrescarlo un po’ mentre
dormiva non avrebbe
fatto male a nessuno. Di sicuro c’era ancora tempo prima che
Mori tornasse a
controllarli e avere qualcosa da fare l’avrebbe aiutato a non
impazzire per i
suoi stessi pensieri e il rumore ritmico dei macchinari.
Sarebbe
stato meglio
alzarsi e trascinarsi di nuovo a letto, lo sapeva, ma era troppo stanco
per
farlo. In fondo era comodo su quella sedia e qualche spugnatura era il
minimo
che potesse fare per lui dopo quanto era successo nel magazzino.
Sarebbe
bastato adottare più tardi qualche piccolo accorgimento per
non farsi scoprire,
evitando così noiose ramanzine
e
battute inappropriate.
Soddisfatto
del suo piano, continuò a immergere la pezzuola
nell’acqua e
passargliela sulla pelle calda e sudata, facendo attenzione a non
toccare i
fili e le bende che aveva addosso. Sembrava che Dazai apprezzasse il
trattamento e Chuuya si sentì stranamente sollevato,
cominciando infine a
rilassarsi a sua volta. Il senso di colpa e le domande erano ancora
lì, ma meno
pressanti mentre si concentrava su altro.
I
minuti scorrevano lenti e il ragazzo perse presto la nozione del tempo
mentre il sonno pian piano ritornava.
Era
sul punto di cedere e tornare nella sua stanza – non poteva
certo
farsi trovare addormentato accanto a un tizio che odiava con tutto il
cuore –
quando lo vide agitarsi di nuovo, lamentandosi a voce più
alta di quanto avesse
fatto fino a quel momento.
Per
un attimo rimase immobile a fissarlo, incerto se provare a calmarlo
o scappare di corsa prima che Mori tornasse al
suono degli allarmi che di certo non avrebbero mancato di avvertirlo di
lì a
poco, ma uno scatto improvviso di Dazai lo convinse invece ad
afferrargli le
braccia per tenerlo fermo.
La
parte più razionale
del suo cervello cercò di avvisarlo che in quel modo avrebbe
rischiato di farsi
scoprire, ma il ragazzo, con il cuore in gola, non
l’ascoltò. Muoversi così
poteva essere molto pericoloso per un ferito grave e non gli avrebbe
permesso
di peggiorare ancora la situazione. Aveva già fatto
abbastanza per quel giorno,
e se doveva morire, spettava a lui il piacere di ucciderlo.
Sia
pure sorpreso dalla
forza con cui cercava di sfuggirgli, non mollò la presa,
stringendo il più
possibile quelle braccia esili mentre tentava di svegliarlo.
In
un altro momento si
sarebbe accorto che era una pessima idea, visto che il suo partner era
proprio
l’ultima persona che avrebbe dovuto sapere della sua presenza
in quella stanza,
ma era troppo impegnato a impedirgli di farsi ancora del male per
riflettere.
Lottarono
per un tempo
fin troppo lungo per il suo corpo ancora debole e dolorante, ma alla
fine Dazai
aprì gli occhi di colpo, restituendogli per un attimo uno
sguardo di puro
panico.
«Alla
buon’ora» borbottò
Chuuya, lasciandosi cadere di nuovo sulla sedia, nel tentativo di dare
alla
situazione una parvenza di normalità e calmare i battiti del
suo cuore. Non
l’avrebbe mai ammesso, ma si era spaventato e quei lamenti
pietosi non
smettevano di risuonargli in testa, facendolo rabbrividire. Di sicuro,
almeno
per un po’, aveva risolto il problema di rischiare di
addormentarsi.
Nel
frattempo Dazai,
ancora scosso per il terribile incubo fin troppo vivido, si guardava
intorno
agitato, rendendosi pian piano conto che non c’era nulla di
cui aver paura. Un
attimo prima avrebbe giurato di trovarsi tra le fiamme
dell’Inferno a subire
torture atroci, ma quella stanza piacevolmente buia e la presenza di
Chuuya,
sia pure inspiegabili per lui, erano molto rassicuranti.
«Cosa
ci fai qui?» chiese
piano, la voce rauca e affaticata, dopo aver studiato il luogo con aria
confusa
ma sempre più sollevata. Non riusciva a riconoscere
quell’ambiente comunque
familiare, ma di sicuro era meglio di ciò che aveva lasciato
e il suo partner avrebbe
saputo spiegargli la situazione.
Quella
semplice frase
sembrò riattivare il cervello di Chuuya, facendogli capire
di essere nei guai. Di
colpo, sentì di nuovo il bisogno di alzarsi e scappare il
più in fretta
possibile, augurandosi che il compagno non ricordasse di averlo trovato
lì al
suo risveglio, ma i muscoli, dopo lo sforzo di poco prima, non gli
obbedivano e
nemmeno la testa sembrava intenzionata a collaborare. Perché
diavolo non se
n’era andato quando poteva farlo?
«Mori
mi ha detto di
tenerti d’occhio» inventò alla fine,
evitando il suo sguardo mentre cercava una
scusa per allontanarsi che gli permettesse di salvare la faccia, senza
accorgersi che l’altro lo stava studiando in silenzio.
Nonostante la testa
ancora confusa e dolorante, infatti, Dazai sentiva che c’era
qualcosa di
diverso tra loro e doveva capire cosa fosse.
Con
qualche secondo di
ritardo, si accorse delle bende intorno al capo e alle braccia del suo
partner e
si sentì invadere da uno strano misto di sollievo e
preoccupazione che non
riuscì a spiegarsi.
«Non
avresti dovuto
alzarti» lo rimproverò alla fine, serio come non
mai, accennando al suo braccio
sinistro, dove un rivolo di sangue ormai secco indicava che si era
tolto da
solo una flebo sicuramente necessaria, da quello che vedeva.
«Non
accetto prediche al
riguardo da te!» scattò Chuuya, punto sul vivo.
Ormai aveva perso il conto delle
volte che quell’idiota aveva fatto lo stesso in condizioni
ben più gravi delle
sue e di certo non aveva il diritto di rivolgersi a lui con quel tono,
come se
gli importasse davvero della sua salute, tra l’altro.
«Perché l’hai fatto,
piuttosto?» sbottò.
«Fatto
cosa?»
«Mi
prendi in giro? Per
poco non crepavamo tutti e due per la tua bella idea di saltarmi
addosso in
quel modo!» lo aggredì Chuuya, per nulla
intenerito dalla sua espressione
confusa e troppo arrabbiato per accorgersi di avergli appena offerto su
un
piatto d’argento una serie di battute una più
imbarazzante e umiliante
dell’altra.
Per
fortuna il suo
partner non ne approfittò e il ragazzo, suo malgrado
preoccupato da
quell’ennesimo segnale di quanto fosse grave la situazione,
sentì montare di
nuovo la rabbia e quell’assurdo senso di colpa che lo stava
facendo impazzire. Incredibile
ma vero, dimenticò perfino la stanchezza e il bisogno di
fuggire.
«Non
ricordi nemmeno la
missione?» insistette con più foga del necessario
e un accenno di disperazione nella
voce che l’altro non colse per pura fortuna.
«Dovevamo recuperare le armi
rubate da quegli stronzi, ma un idiota peggio di te ha lanciato una
bomba a
mano e…»
«Quindi
è per questo
che sei qui… Sei così carino a preoccuparti per
me!» lo prese in giro Dazai,
tornando se stesso nel momento peggiore, con uno strano senso di calore
nel
petto di natura non bene identificata.
«Figuriamoci!
È stato Mori a ordinarmelo e stavo giusto pensando a come
ucciderti senza insospettirlo» ribatté Chuuya con
orgoglio, maledicendo tra sé l’intuito
dell’altro e il suo pessimo senso dell’umorismo.
«Troppo
complicato per uno come te» ridacchiò Dazai, per
nulla
impressionato. «E poi anche tu sei ferito e dovresti essere a
letto» aggiunse
poi, tornando serio all’improvviso per una fitta traditrice.
Il suo partner era
bravo a nasconderlo, ma lui lo conosceva troppo bene per non
accorgersi, dalla
postura e dall’espressione, di quanto fosse stanco e
sofferente. Qualunque cosa
fosse accaduta quella sera – il breve racconto non era
infatti bastato a fargli
tornare la memoria –, era ovvio che il loro capo non gli
avesse certo ordinato
di assisterlo in quelle condizioni.
«Sono
messo molto meglio di te! Non ti conviene mettermi alla
prova» lo
minacciò Chuuya, sia pur consapevole che
quell’idiota sarebbe stato capacissimo
di sfidarlo a ucciderlo in quello stesso istante, mettendolo con le
spalle al
muro come sempre. Nonostante la rabbia che provava in quel momento,
infatti,
non sarebbe mai riuscito a fargli seriamente del male, soprattutto
quella sera,
e questo Dazai lo sapeva fin troppo bene. Perché diamine gli
era toccato un
partner così diabolico?
«Per
rispondere alla tua domanda di prima, comunque… no, al
momento non
ricordo cosa sia successo, ma immagino sia stata colpa del mio fedele
servitore.
Sei un idiota che non pensa mai prima di agire, ma se morissi, non
saprei più a
chi dare ordini ed è troppo divertente farti fare quello che
voglio» disse
Dazai dopo qualche secondo per ripristinare le distanze e distrarsi
dalle
strane emozioni che il suo partner gli stava suscitando e
l’ombra di disagio
che Chuuya aveva provato vedendolo sussultare per una probabile fitta
poco
prima scomparve all’istante, sostituita da una rabbia cieca
che rischiò di
fargli perdere davvero il controllo.
«Cos’hai
detto, stronzo? Ti ammazzo davvero!» sibilò
minaccioso, le guance
più rosse che mai per l’ennesima umiliazione che
per qualche motivo l’aveva
ferito nel profondo. Avrebbe dovuto aspettarsi una risposta del genere,
visto
che il compagno non aveva mai nascosto la sua convinzione di essergli
superiore,
ma che fosse in fondo colpa sua era vero, purtroppo, e sentirselo
rinfacciare così
brutalmente dopo quello che aveva sopportato nelle ultime ore era un
colpo
basso. Non poté sfogare in alcun modo la sua rabbia,
però, perché l’arrivo della
persona meno opportuna in quel momento lo costrinse a fermarsi sul
più bello.
«Non
ti avevo detto di startene a letto?» disse infatti Mori,
entrando
con un sorrisetto poco rassicurante, tremendamente simile a quello
rivoltogli chissà
quanto tempo prima. Di male in peggio. Perché aveva deciso
di alzarsi e
impedire a quello stronzo di ammazzarsi da solo? Sarebbe stato
così bene senza
più averlo tra i piedi!
«Chuuya
non poteva starmi lontano» ne approfittò subito
Dazai e il diretto
interessato si trattenne a fatica dal tirargli un pugno che
l’avrebbe
finalmente spedito all’altro mondo per il bene
dell’umanità.
«Crepa,
fottuto spreco di bende!» sbottò il ragazzo
furibondo, incapace
di sopportarlo oltre. Con Mori nella stanza non c’era
più bisogno che facesse
del suo meglio per aiutarlo e per un po’ non voleva vederlo.
Suo
malgrado ferito da tutta la situazione e da quell’odioso
sorrisetto
che prima o poi gli avrebbe cancellato dalla faccia, tornò
quindi a grandi
passi nel suo letto senza più curarsi della stanchezza e dei
dolori che ormai
gli pervadevano di nuovo tutto il corpo e nemmeno
dell’espressione vagamente dispiaciuta
del compagno al rimprovero esasperato e divertito insieme del loro
capo. E
pensare che si era preoccupato tanto per il suo partner, al punto da
perderci
il sonno! Appena quello stronzo si fosse ripreso abbastanza da lasciare
l’ospedale, l’avrebbe ammazzato nel modo
più lento e doloroso possibile. Questo
era poco ma sicuro.
Prompt:
Inferno
Angolo
autrice:
Ciao
a tutti e grazie per essere arrivati fin qui! È la mia prima
fic su
di loro e non avevo mai scritto nulla del genere, ma spero che la
storia vi sia
piaciuta. Fatemi sapere che ne pensate, se vi va, e grazie a tutti per
il tempo
che mi avete dedicato anche solo leggendo! <3
Come
ho scritto nell’introduzione, la storia partecipa alla
challenge “Easter
Advent Calendar 2024” indetta dal gruppo fb Hurt/Comfort
Italia - Fanart
and Fanfiction. Passate a trovarci se anche voi amate questo
genere! 😉
Se
volete conoscere altri fan delle opere di Mashima, passate a trovarmi
sul mio gruppo facebook Fairy
Tail & Edens
Zero Italian fan group (attenzione ai possibili spoiler se
non seguite le
scan online!), dove organizzo periodicamente challenge di scrittura e
disegno.
Vi aspettiamo numerosi! :)
Penso
di non avere altro da aggiungere, quindi per ora vi saluto,
augurandovi una buona serata.
Bacioni
e alla prossima!
Ellygattina