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Autore: Ghostclimber    24/02/2024    1 recensioni
Le ragazze dello Shohoku hanno cominciato a portare lettere d'amore a Sakuragi Hanamichi, chiedendogli... di recapitarle a Rukawa.
Tra una scimmia umiliata e una volpe gelosa, non può non scattare qualcosa.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro personaggio, Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Altre due ragazze entrarono nella classe di Hanamichi e appoggiarono delle letterine sul suo banco; con voce bassa ed emozionata, gli chiesero la cortesia di recapitarle a Rukawa.

Hanamichi rispose con un cenno non compromettente e le ficcò nel sottobanco insieme alle altre.

Ormai ci aveva rinunciato, quella solfa andava avanti da prima dell'estate e incazzarsi e fare scenate sembrava inutile. L'umiliazione, però, continuava a bruciare. Era come se lui non fosse nemmeno un altro ragazzo, come se tutte le ragazze della scuola avessero deciso al posto suo che tra tutti gli stronzi che frequentavano il club di basket lui fosse quello che sicuramente non avrebbe frainteso, perché chi vuoi che si interessi a un mezzo criminale coi capelli color carota? Hanamichi sospirò e si mise a fingere di cercare il libro di matematica nella cartella, per evitare lo sguardo di Mito. Ci mancava solo che il suo migliore amico gli attaccasse un pippone preoccupato.

Finalmente la campanella suonò e il professore entrò in classe, costringendo Mito a guardare dritto davanti a sé invece che verso Hanamichi.

 

*****

 

Rukawa stava tornando a casa dagli allenamenti ed era imbufalito.

Quasi sperava che qualcuno gli tagliasse la strada, così da avere la scusa per scendere dalla bicicletta e ammazzare di botte qualcuno.

Aveva atteso con ansia il giorno in cui il do’aho sarebbe rientrato a scuola dalla riabilitazione, il tutto per ritrovarsi in una situazione ancora più sfavorevole: non solo Sakuragi non gli rivolgeva la parola, non solo era diventato molto più bello e muscoloso, ma apparentemente le ragazze avevano cominciato a notarlo, perché ogni santo giorno ce n'erano almeno un paio che andavano da lui a consegnargli delle stupide letterine del cazzo, tutte rosse in faccia e imbarazzate, e tanti saluti al piano di Rukawa di convincere il bel rosso a fare una capatina sull'altra sponda con la scusa che sulla sua nessuna se lo cagava.

Scaraventò la bici nella rastrelliera del konbini sotto casa ed entrò per recuperare qualcosa da mettere sotto i denti.

“Ciao!” lo salutò allegramente la solita commessa, un donnone gigantesco che Rukawa segretamente adorava, perché con la sua risata di petto e quella massa indomabile di capelli rossi le ricordava un po' Hanamichi. Le rivolse un cenno di saluto, troppo incazzato per parlare, e andò all'espositore di riviste.

Rimase per cinque minuti buoni a fissare Slam, ma infine decise che non avrebbe avuto senso comprarlo: non riusciva a concentrarsi su nulla se non sulla propria ira funesta.

Si diresse alla cassa, sempre più malmostoso, con solo una confezione di kare raisu pronta da scaldare tra le mani. Non aveva neanche fame.

La cassiera rimase un attimo a guardare il cibo, poi alzò lo sguardo e disse: “Okay, Kaede-kun, adesso basta. Dimmi cosa ti prende.”

“Nh. Sto bene,” mentì Rukawa. Con sua madre funzionava sempre.

Non con la cassiera del konbini, invece. La donna si drizzò in tutta la sua considerevole altezza, gonfiando il petto (per la prima volta Rukawa notò la targhetta col nome, scoprendo che si chiamava Kuri) e fissandolo con uno sguardo minaccioso che avrebbe fatto scendere Gengis Khan a più miti consigli. “Kaede,” ringhiò Kuri.

E Rukawa esplose.

“Quel ragazzo che mi piace, okay? È lui! Dopo l'estate torno e lo trovo che ha messo su più muscoli del fottuto Schwarzenegger, è pure abbronzato ed è bello da morire, e vaffanculo ho aspettato troppo e ora un sacco di puttanelle gli portano letterine d'amore, e io lo so che lui è tonto e ingenuo, e prima o poi ci cascherà e si ritroverà in una storia con una che non sa assolutamente un cazzo di lui se non che è gnocco, e lui finirà col cuore spezzato e io non saprò come comportarmi e finiremo per litigare di nuovo e la mia vita sarà finita!”

Kuri aprì la bocca per parlare, ma ormai Rukawa aveva rotto la diga e non si sarebbe fermato fin quando non avrebbe detto tutto quanto: “Io lo so come funziona questo genere di cose, quando ero alle medie una ragazzina mi ha mandato una lettera d'amore e mia mamma ha pensato che fosse una cosa carina e mi ha convinto a uscirci un pomeriggio ed è stato un inferno, con questa che ridacchiava come una iena sotto acidi e che aveva pianificato tutto il pomeriggio perché aveva già deciso che cosa mi sarebbe piaciuto, e quindi siamo stati alle giostre e poi a un cazzo di mercatino pieno di gente e io ho odiato ogni minuto e poi la sera ho detto alla mamma che non volevo più fare cose del genere, e per fortuna lei ha capito, ma lui non è così, lui si farebbe tagliare la gola per una ragazza che se lo caga e resterebbe per mesi a fare lo schiavetto e lei gli rovinerebbe la vita finché lui non ce la fa più e allora lei lo mollerà e lui avrà il cuore spezzato un'altra volta e io non posso tollerarlo, io voglio che lui sia felice, e voglio che si felice con me, perché io lo conosco e so quanto vale, e…” Rukawa si rese conto che stava per svenire per mancanza di ossigeno e si fermò a respirare.

“Kaede,” disse Kuri dolcemente, allungando una mano per posargliela sul braccio, “Perché non gli parli? Se davvero non gli è mai successo prima, e se davvero è così sensibile, forse ha bisogno che qualcuno lo riporti con i piedi per terra.”

“Ma perché lui non mi parla,” rispose Rukawa, odiando il tono lagnoso che sentiva nella propria voce, “Lui mi detesta dalla prima volta che mi ha visto, se vado lì e gli dico di non cascarci mi dirà che sto cercando di sabotarlo e ci uscirà apposta.”

“E tu sarai lì per raccogliere i pezzi. Lui uscirà con una di queste ragazze, passerà un pomeriggio atroce e tu sarai lì il giorno dopo a chiedergli com'è andata e lui dovrà ammettere che avevi ragione.”

“Finiremmo per fare a botte,” mugugnò Rukawa.

“Da quel che mi hai raccontato, non è mai stato un problema prima d'ora o sbaglio?” Rukawa ci meditò, infine annuì. Dopotutto, da settembre ancora non si erano menati, e forse anche quello gli mancava: per quanto fuori di testa, era il loro modo di entrare in contatto, e Rukawa si sentiva ancora più solo e isolato da quando non si beccavano più. Pensò che forse Hanamichi evitava per non rischiare di farsi male alla schiena, ma non lo disse a Kuri: avrebbe aperto un altro vaso di Pandora pieno di sensi di colpa, e l'aveva già trattenuta abbastanza. Probabilmente non la pagavano abbastanza per i consulti psicologici.

Annuì e promise: “Ci… ci proverò.”

“Bene,” disse Kuri, poi mise la mano sotto al bancone e prese due numeri arretrati di Slam, che Rukawa si era perso: “Questi li vuoi? Li ho tenuti da parte per te.”

Commosso, Rukawa annuì.

 

*****

 

Rientrando dal lavoro, la signora Sakuragi trovò quel Genio incompreso di suo figlio seduto al tavolo della cucina, intento a sbattere ripetutamente la testa.

“Cucciolotto? Va tutto bene?” chiese.

“No che non va tutto bene!” rispose lui, in tono melodrammatico, “La gente a scuola mi ha preso per il postino e prima o poi Rukawa mi farà secco di botte!”

“...cosa?” chiese sua mamma, smarrita. Non vedeva la correlazione.

Hanamichi prese un bel respiro e si sforzò di spiegare: “Ci sono tutte le ragazze che sbavano dietro a quella maledetta volpe che hanno deciso di dare a me le letterine da dare a lui, ed è da quando sono tornato che me le portano e mi dicono di portargliele.”

“Ma perché a te?”

“Ma che ne so! Probabilmente perché sono il più brutto della squadra e pensano che è impossibile che io penso che siano per me!”

“Amore, non dire queste cose, tu sei un bel ragazzo!”

“Se lo dici tu non vale, la mamma è tenuta per contratto a credere che il suo bambino sia bello!” sua mamma rise, e Hanamichi si sentì un po' meglio. Almeno poteva puntare sulla simpatia.

“Rukawa è quello che ti sta antipatico?” Hanamichi tacque a lungo.

“Mi stava antipatico,” rispose infine, “Durante l'estate mi sono fatto l'idea che forse è solo timido e strano, e pensavo che quest'anno potevamo provare ad andare d'accordo…” sospirò, “Ma poi sono arrivate loro, ed è umiliante l'idea di andare lì da Rukawa e dargli le lettere, quindi sono due mesi che le accumulo e basta, ma prima o poi questa storia salterà fuori e Rukawa si incazzerà con me.”

“Amore, e se invece a lui non fregasse nulla di queste letterine?” Hanamichi la fissò come se le fosse spuntata una seconda testa. Per lui, quell'idea era assolutamente inconcepibile.

“Non penso proprio,” disse.

“E allora domani prendi il coraggio a quattro mani, vai da lui, ammetti di avere quelle lettere e gli dici di dire alle sue ammiratrici di piantarla di usarti come postino.”

“Mi prenderà per il culo.”

“Hai un'alternativa?” La mamma si alzò, prese una confezione di pollo fritto con patatine e la svuotò in una teglia per metterla in forno a scaldare, “Se preferisci, puoi aspettare che lui lo scopra per conto suo.”

“Merda, hai ragione… AHIA!”

“HANAMICHI SAKURAGI, MODERA IL LINGUAGGIO!” senza aggiungere altro, la donna andò a lavarsi, lasciando il Genio del Basket a sbattere quella capoccia dura contro il tavolo.

 

*****

 

Rukawa prese un bel respiro, poi un altro.

Sbirciò alla velocità della luce dentro alla classe di Hanamichi, vide un paio di ragazze vicino al suo banco e attese con pazienza, nascosto dietro alla porta.

Quando le vide andare via, prese un altro bel respiro, si stampò in faccia un'espressione neutra ed entrò, proprio mentre Hanamichi metteva le lettere nel sottobanco.

“Ehi,” chiamò. Con immensa sorpresa, vide sbiancare Hanamichi.

“Volpe, ti posso spiegare!” sbraitò. Rukawa rimase così spiazzato che non trovò nemmeno un mugugno con cui rispondere, e si ritrovò sommerso dalle parole del Genio: “Senti, lo so, sono colpevole, queste lettere sono per te e loro mi hanno chiesto di dartele e io non l'ho fatto, ma cerca di capirmi, per me è umiliante, cazzo, volevo giusto parlartene ma non sapevo come. Senti,” sollevò il pianale del banco e prese una marea di letterine, “Tieni. Eccole. Però per favore digli di piantarla, mi fa sentire la merda delle merde farti da postino, okay?”

Rukawa boccheggiò, poi chiese: “Sono… per me? Quelle lettere sono per me?”

“Sì, e ti chiedo scu…” Rukawa scoppiò a ridere e piombò seduto sulla sedia del banco di fianco a quello di Hanamichi.

Hanamichi che non lo menò solo perché di colpo si stava rendendo conto di una cosa: che solo per il suo smisurato orgoglio non si era ancora messo pure lui a scrivergli letterine d'amore.

“Cazzo,” disse Rukawa, “Pensavo fossero per te.”

“Ma ti droghi?” chiese Hanamichi. Rukawa prese un bel respiro e recuperò la compostezza: “Buttale, non me ne frega un cazzo,” disse.

“Eh? Ma allora…” Hanamichi deglutì, “Allora perché sei qui?” Rukawa sospirò.

“Volevo avvertirti.”

“Di cosa?”

“Non volevo che ci cascassi.” Hanamichi attese un'ulteriore spiegazione, che non arrivò. Rukawa si alzò dalla sedia, mentre i compagni di classe di Hanamichi cominciavano ad entrare, e disse: “Buttale. E digli di piantarla. Se non lo fanno dimmelo.” Senza aggiungere altro, se ne andò.

 

*****

 

Rukawa entrò nel solito konbini: non aveva bisogno di nulla, ma aveva intenzione di comprare un paio di lattine di Pocari Sweat come scusa per aggiornare Kuri sulla situazione. E magari chiederle se secondo lei ad Hanamichi avrebbe fatto piacere se lui gli avesse offerto una Pocari dopo gli allenamenti.

Arrivò e, perso nei propri pensieri, si diresse subito all'espositore delle bibite senza guardare verso la cassa. Prese due lattine, poi finalmente si voltò.

E gli si gelò il sangue nelle vene.

Hanamichi era lì, e stava facendo una sceneggiata a Kuri, che lo stava apparentemente rimproverando.

Rukawa cercò di arretrare in silenzio per rendersi invisibile, la ferma intenzione di aspettare che Hanamichi si levasse dalle palle prima di avvicinarsi, ma troppo tardi: Kuri lo vide e lo chiamò.

“Ehi, Kaede-kun!” Come al rallentatore, Rukawa vide Hanamichi che si voltava verso di lui e diceva: “Rukawa.”

“Rukawa?” chiese Kuri, “Lui è Rukawa?”

“Volpe, che cazzo ci fai qui?”

“Nh, ci abito,” rispose Rukawa, poi venne colto dall'imbarazzo, “Cioè, abito qui vicino, mi serviva… cose.”

Dietro ad Hanamichi, Kuri lo indicò in silenzio e mosse le labbra per chiedere: “È lui?” Rukawa la supplicò con lo sguardo si non dire nulla.

“Non stare lì impalato, Kaede-kun, ti giuro che mio figlio non morde!” disse Kuri.

Suo figlio.

Ovvio che lei gli ricordava Hanamichi. L'aveva partorito.

Dannazione.

Rukawa si avvicinò con il buonumore di un condannato a morte che percorre il Miglio Verde e posò le lattine sul bancone.

“Hanamicchan, gli hai parlato?” chiese Kuri, scansionando i codici a barre delle lattine. Hanamichi rispose con un grugnito da Neanderthal.

“Kaede-kun, mio figlio ti ha parlato?”

“Delle lettere? Sì.” Kuri mugugnò soddisfatta.

“Quindi, tutto chiarito?” nessuno dei due rispose, quindi Kuri mollò uno scappellotto ad Hanamichi.

“AHIO, ma perché meni solo me? Anche lui sta facendo scena muta!”

“Perché lui non è mio figlio! Rispondi a tua madre quando ti fa le domande!”

“Sì, abbiamo chiarito, ha detto che non gliene frega niente, poi fa che non veniva ad accusarmi ma ad avvertirmi, ma non mi ha detto di cosa,” Rukawa lo guardò mentre gli scavava la fossa e Hanamichi gli fece una boccaccia.

Kuri alzò un sopracciglio e rimase a fissare Rukawa con aria severa. Infine, la Matricola d’Oro cedette: “Hai tempo?” chiese ad Hanamichi.

Lui annuì. Era chiaro che la sua curiosità era ben più pressante dell'ostilità.

Kuri diede a Rukawa un sacchetto con le due Pocari e ad Hanamichi il libretto scolastico, insieme alla raccomandazione: “Vedi di non perderlo, altrimenti te la do io la gita all'acquario.”

“Sì, mamma,” ribatté Hanamichi, stranamente docile, poi fece un cenno a Rukawa e lo condusse verso un parchetto nelle vicinanze.

Si sedettero su una panchina. Rukawa estrasse le Pocari dal sacchetto, lo arrotolò e se lo mise in tasca, poi porse una lattina ad Hanamichi, che la accettò, stupito.

Di punto in bianco, senza un'introduzione, Rukawa disse: “Credevo che fossero per te. Pensavo che avresti finito per uscire con una di quelle e che lei ti avrebbe spezzato il cuore.” Hanamichi rimase in silenzio per parecchi minuti, poi aprì la lattina e bevve un sorso.

“Ho…” disse, “Ho così tante domande che non so da dove cominciare.”

“Nh,” rispose Rukawa, principe dell'eloquenza.

“Cioè, come hai potuto pensare che fossero per me?” Rukawa si voltò a fissarlo, attonito. Infine chiese: “Do’aho, ce li hai degli specchi a casa?” Hanamichi lo guardò senza capire.

Rukawa batté le palpebre: “Sei bello. Deficiente.” Hanamichi lo fissò come se fosse improvvisamente impazzito.

Forse lo sono, pensò Rukawa, sono seduto qui a dirgli che è bello, così, come se niente fosse.

“Beh, tralasciando i tuoi gusti di merda,” disse Hanamichi, “Perché ti preoccupavi? Cioè, che te ne frega?”

Rukawa rimase in silenzio a valutare le proprie opzioni. Infine, disse: “Do’aho.”

“Volpeee! Cazzo, spiegami, non capisco!” Hanamichi bevve nervosamente un altro sorso di Pocari, e Rukawa lo imitò per riflesso pavloviano.

Sospirò: “Loro non ti conoscono,” disse, cercando di essere più chiaro e neutro possibile, “Non sanno niente. Si fanno un'idea di come sei e poi se la prendono se non sei esattamente come vogliono loro. Tu ci saresti cascato, e sarebbe finita male, e ci avresti sofferto.”

“Okay, ha senso,” disse Hanamichi. Le sue mani tremavano un po' intorno alla lattina, “Ma a te, che ti frega?”

Per un lunghissimo, terrificante istante, Rukawa si sentì in procinto di gridare: “questo non c'era negli appunti”.

Dopodiché cominciò la lunga attesa: Rukawa non sapeva come articolare quel sentimento, tanto più che aveva cercato di ignorarlo per un bel po', salvo un paio di fantasticherie piccanti nelle quali comunque loro due limonavano e lasciavano implicita ogni menzione di sentimenti. Ma sospettava che, anche se si fosse preparato un bel discorso completo di argomentazioni, avrebbe fatto scena muta peggio che a un'interrogazione di storia.

Non si sarebbe lanciato in un discorso arzigogolato per girare intorno alla questione: si sarebbe bloccato a metà, e aveva la certezza quasi matematica che certe cose, che dentro sembrano chiare e cristalline, dall'esterno sarebbero sembrate solo sbrodolate di sentimentalismi senza capo né coda.

Né tantomeno poteva giusto mollare la bomba con la A, Hanamichi avrebbe avuto domande e Rukawa non avrebbe avuto le risposte.

Prima di potersi fermare a ragionare, Rukawa chiuse gli occhi, si sporse verso Hanamichi e appoggiò le labbra sull'angolo della sua bocca; si soffermò appena, un po' per rendere più chiara la questione, un po' per assaporare il momento. Dopotutto, non sapeva se si sarebbe mai ripetuto: a giudicare dal caratterino di Hanamichi, sarebbe stato saggio contemplare l'ipotesi che Rukawa non sarebbe stato vivo per riprovarci.

 

Ma, quando Rukawa interruppe il contatto, Hanamichi non si mosse.

Rukawa aprì gli occhi e si ritrovò di fronte a un Hanamichi che aveva in volto un'espressione indecifrabile. Poteva essere disgusto? Shock? Di certo non era desiderio di rifarlo.

Prima che si riscuotesse dal torpore e lo inseguisse con l'intento di farlo a pezzi, Rukawa si alzò e se ne andò, tagliando in mezzo alle siepi per sparire il prima possibile.

 

*****

 

“Hana chan!” chiamò Kuri, rientrando dal lavoro, “Hana chan, stai…? Oh.” Si zittì, alla vista del figlio seduto al buio in salotto, il viso meditabondo illuminato solo dal fuoco led della televisione spenta.

“Tesoro, che è successo?” Hanamichi non rispose per un bel po', ma Kuri non intendeva demordere.

“Mi ha spiegato tutto,” disse infine Hanamichi, “E poi mi ha dato un bacio?”

“È una domanda o un'affermazione?” chiese Kuri, un po' divertita dalla situazione.

“È un'affermazione,” rispose Hanamichi, “Ma perché? Perché io?”

“Perché no, invece?” chiese Kuri. Hanamichi aprì la bocca, poi la richiuse.

“Io… credo che andrò a letto. Ho bisogno di pensarci. Buonanotte.” Senza aspettare una risposta, Hanamichi si rifugiò in cameretta.

 

Sdraiato al buio nel futon, Hanamichi continuava a tornare al momento in cui Rukawa gli aveva dato quel bacio. Non era nulla di che come bacio, veramente, Hanamichi aveva visto ragazze che tra di loro erano ben più espansive, e ricordava ancora con un misto di divertimento e orrore il momento in cui il Gori si era reso conto che stavano veramente andando al campionato nazionale: una volta smesso di piangere, aveva depositato dei baci schioccanti e bavosi sulle guance di tutti i componenti della squadra.

Il bacio di Rukawa era stato una cosina piccina: una lieve pressione morbida ad un angolo della bocca, durata forse un paio di secondi e poi svanita, eppure Hanamichi continuava a tornarci su col pensiero, analizzando e sviscerando ogni frazione di secondo di quel contatto, cercando di riviverlo nella mente, cercando di ricreare quel meraviglioso, inebriante tuffo che il cuore gli aveva fatto nel petto.

Cercando di capire se davvero voleva dire ciò che lui pensava, ciò che sperava.

Nel cuore della notte, quando ormai i suoi pensieri coscienti si erano mescolati ai sogni, giunse a una conclusione: il bacio si Rukawa significava proprio quello.

E lui, dannazione, ricambiava alla grande.

Sognò di parlare con Haruko: lei gli si era appena dichiarata, e Hanamichi le tenne una lunga filippica sul perché e il percome lei non sapesse una beata minchia di cos'è l'amore, dopodiché arrivò Mito e lo baciò sulla bocca. Takamiya commentò: “Vedi che con lui è diverso? È come paragonare i broccoli al cioccolato, non c'entra un cazzo.” Hanamichi, lungi dal fare una strage, concordò con lui, e insieme agli altri intavolò una discussione su cibi che non potevano essere messi a confronto tra loro. Ad un certo punto passò Miyagi, si fermò ad ascoltare, poi si tolse il berretto e cominciò a strapparlo metodicamente mentre annuiva.

Hanamichi si svegliò di soprassalto quando apparve il Gori, gli mollò un Gorilla Punch e gli chiese se voleva il bis o se ci arrivava anche da solo.

Quando il sole sorse su Kanagawa, Hanamichi sapeva cosa fare.

 

*****

 

Rukawa aveva passato il weekend in uno stordimento di panico e terrore.

Era certo che lunedì sarebbe stato l'ultimo giorno della sua vita: Hanamichi ci avrebbe pensato e poi gli avrebbe spaccato ogni osso che aveva in corpo, non c'era altra via d'uscita.

“Oi, Volpe!” lo sentì chiamare, e si immobilizzò senza volerlo. Mentre cercava di chiamare a raccolta i muscoli, spiegando loro che Sakuragi Hanamichi non è un tirannosauro e che non percepisce solo gli oggetti in movimento, una mano atterrò sulla sua spalla e lo spinse a girarsi.

Hanamichi aveva in mano un'altra busta, e questa volta era piuttosto consistente.

“Buttala,” riuscì a spremersi Rukawa, “Te l'ho già detto.”

“Questa è diversa, Volpe,” disse Hanamichi in tono serio, “Questa è di qualcuno che ti conosce.”

“Nh,” rispose Rukawa, poi tentò di liberarsi dalla presa ferrea di Hanamichi.

“E va bene… Volpe, puoi per favore ascoltare questa cazzo di cassetta?”

“Nh?” chiese Rukawa.

“Fallo e basta,” disse Hanamichi, “Ci vediamo in palestra, ciao.”

Senza aggiungere un'altra parola, se ne andò.

Rukawa esitò a lungo, rigirandosi la busta in mano. Era la classica busta non commerciale, col davanti chiuso da un orribile adesivo a forma di cuore; sembrava che qualcuno l'avesse staccato con cura per aprirla e poi richiuderla con dello scotch, chiaramente strappato coi denti.

La campanella suonò, e Rukawa trascorse la lezione di matematica e quella di letteratura a elucubrare sul mistero, senza concludere assolutamente nulla. Infine, decise che avrebbe ascoltato la cassetta che, stando ad Hanamichi, stava nella busta.

Si alzò dal banco al suono della campanella e salì in terrazza. Estrasse il walkman, tirò fuori la cassetta di Prince e la posò diligentemente a terra, poi aprì la busta.

Dentro c'era una normalissima musicassetta di quelle che si acquistano vergini, che poi vengono incise registrando da vinili, da altre cassette o dalla radio: Rukawa stesso ne aveva un paio, su cui aveva registrato i singoli di Prince prima che uscissero gli album, recuperandoli dalla radio.

Con mani tremanti, Rukawa aprì la custodia. Sulla parte bianca, fatta apposta per scriveteci sopra il titolo della cassetta, una mano decisamente meno abile di quella di Ayako aveva scritto: “Kitsune”.

Con mani tremanti, Rukawa infilò la cassetta nel walkman e premette play.

 

Le note finali di un pezzo dei Queen sfumarono, mentre la voce di un commentatore radiofonico commentava ovvietà come che è sempre un piacere ascoltare i Queen. E grazie al cazzo? Pensò Rukawa.

Poi, il deejay disse: “Siete su Radio Reporter, se vi siete appena sintonizzati o se siete nuovi di queste parti, questa è l'ora del jukebox, quando tutti possono chiedere una canzone. Chiamateci al numero … e fate la vostra richiesta. In linea con noi c'è Hanamichi, e ha scelto una canzone molto dolce. Hanamichi, dalla voce ci sembri uno tosto, come mai tutta questa smielatezza?”

“Eh, come mai…” disse Hanamichi. La sua voce tremava, e sembrava un po' strana in cuffia, filtrata anche dalla radio.

“Diciamo che c'è una persona che da qualche giorno tenta di dirmi una cosa e poi scappa sul più bello.”

“È una cosa bella, questa che cerca di dirti?”

“Se me l'avessi chiesto sei mesi fa, adesso starei dicendo un sacco di parolacce,” Hanamichi rise, imbarazzato, “Ma sì, è una cosa bella. Senti, possiamo passare alla canzone? Lo conosco, non ha pazienza, starà già sbuffando.” Il commentatore rise, e dopo un paio di frasi di circostanza fece partire la canzone.

Una voce maschile molto dolce cominciò: “It's amazing how you can speak right to my heart…

Rukawa rimase ad ascoltare fino all'ultima nota, nonostante la propria intima convinzione che Ronan Keating fosse un personaggio costruito a tavolino. Improvvisamente, la hit che un paio di anni prima l'aveva reso ricco, complice anche il fascino imbranato di Hugh Grant in Notting Hill, di cui la canzone era colonna sonora, non sembrava a Rukawa così banale.

Rimase in ascolto, con l'impressione che la canzone venisse cantata con un sorriso lieve, di quieta serenità, e quando la musica sfumò, Rukawa fece per premere il pulsante di riavvolgimento per riascoltare tutto.

Gli tremavano le mani, per fortuna; sul delicato coro finale, la voce di Hanamichi si impose: “Volpe… pure io.” Rukawa rimase immobile ad ascoltare quanto restava del nastro, del tutto vuoto.

 

*****

 

Hanamichi se la stava facendo sotto.

Razionalmente, sapeva di non avere nulla da temere, ma stava comunque diventando matto.

Aveva saltato l'ultima lezione, millantando un inesistente mal di stomaco, e si era rifugiato in spogliatoio.

Quel buco malsano e umido, pregno dell'odore mefitico di adolescenti sudati in magliette sintetiche era l'unico posto in cui volesse stare: sapeva di Rukawa, e se per caso Hanamichi avesse frainteso voleva morire in un posto che sapeva di lui.

La porta si aprì lentamente, cigolando; Hanamichi fece la folle riflessione che qualcuno avrebbe dovuto oliare i cardini, tutte le volte che entrava qualcuno pareva di essere alla casa degli orrori del luna park, dov'è c'è quella strega nasona che ride di continuo.

Rukawa si stagliò in controluce sulla soglia, e Hanamichi si sedette un po' più dritto. Nessuno dei due parlò, poi Rukawa mosse un esitante passo in avanti. Poi un altro, e un altro ancora.

Hanamichi alzò gli occhi su di lui, poi Rukawa si inginocchiò tra le sue gambe divaricate.

Rukawa alzò le mani e gli prese il viso; la differenza con tutte le altre volte che erano entrati in contatto così ma a velocità molto maggiore era tanta che per poco Hanamichi non scoppiò a ridere.

Si limitò a sorridere, e anche dall'interno riusciva a capire che il proprio viso era quasi distorto in un'espressione supplice di speranza.

Rukawa prese il respiro e si umettò le labbra, come per parlare, poi parve ripensarci.

Hanamichi lo incitò: “Avanti, Volpaccia ignorante, te l'ho pure suggerito.”

“Do’aho,” rispose Rukawa, poi finalmente si chinò in avanti e lo baciò sulle labbra.

Era vero, dopotutto.

Lui le cose le diceva nel modo migliore quando non parlava.





Si ringraziano per l'idea: Elliot, direttamente dal fandom di Katekyo Hitman Reborn, con cui mi sto riguardando Slam Dunk e che mi dà retta quando improvvisamente a metà puntata scrivo in chat "ooooo fic idea fic idea!" e Kaede88, che ha commentato qualcosa tipo che Hana e Ru non possono non menarsi in una fic... sì, questo è tutto ciò che basta alla sottoscritta per mettermi a scrivere.
Stay tuned, comunque, perché stavolta non è un falso allarme, mi sa che ho in testa una long, almeno dieci capitoli, più probabilmente una ventina. Spero vi piacciano i Cinderella ;)
Battete un colpo se avete gradito!
XOXO

 
   
 
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