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Autore: Jordan Hemingway    27/02/2024    3 recensioni
“Forse non succederà nulla,” buttai lì, senza interrompere il conteggio. “Forse hanno perso la strada.”
“Non perderanno la strada. Il sangue ha radici profonde, sorella”
Storia partecipante al Rabbit Lunar Year Contest indetto da Spoocky su Efp forum
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contare la sabbia
Contare la sabbia è un compito meno difficile di quello che si potrebbe pensare. Basta ignorare le conchiglie, le alghe, le ossa sbiancate dal sale, i pezzi di lamiera di navi arenate da così tanto tempo che nessuno ricorda quale aspetto avessero in origine.
Basta contare i granelli, quelli irregolari e quelli tondi, bianchi, grigi, neri, screziati, senza fermarsi e senza lasciarsi abbattere dalle onde che risalgono sulla battigia per riprendersi quello che avevi contato fino a quel momento.
Un compito rilassante.
Certamente meglio che fissare l’orizzonte temendo ciò che potrebbe apparire.
“Forse non succederà nulla,” buttai lì, senza interrompere il conteggio. “Forse hanno perso la strada.”
Pochi secondi dopo, le dita larghe di un piede piatto – come i miei – passarono sotto il mio naso e mossero la sabbia che stavo contando, facendomi perdere il conto.
“Non perderanno la strada.” Mia sorella camminava avanti e indietro, incidendo orme nette sulla sabbia, a malapena cancellate dalla risacca. “Non loro. Non lui. Non dopo quello che crede di aver trovato.” Il suo coniglio bianco con la coda nera le saltellava accanto - ovviamente.
“In quel caso, sarebbe comunque solo colpa tua: perché devo finirci in mezzo anche io?” Trovavo ingiusta la situazione. Nemmeno il coniglio di mia sorella sembrava capirmi, si limitava a saltellare tra un’onda e l’altra.
“Il sangue ha radici profonde, sorella.”
Il che purtroppo era vero ed era anche il motivo per il quale eravamo su quella lingua di sabbia nel mezzo dell’oceano.
Tendo a immaginare quello che era successo a mia sorella Kaja in modo molto cinematografico: apertura di scena, la visuale scende lentamente sulle colline e sulle montagne coperte di nuvole fino ad arrivare alle spalle di Kaja – riconoscibile dalla corporatura robusta, adatta a percorrere le distanze necessarie a verificare che le foreste primigenie non stessero subendo mutamenti di habitat.
In lontananza, il verso di un animale selvatico, il ticchettare della pioggia sulle foglie, poi uno schianto simile a un tuono particolarmente forte. Una sentinella meno esperta non avrebbe potuto distinguere la differenza e non sarebbe andata a vedere di che si trattava.
Purtroppo mia sorella è brava.
Stacco e inquadratura sull’oggetto che si è schiantato sulle colline: metallico, grande, circolare, piatto. Emette un ronzio che ricorda la turbina del livello Quattro quando doveva essere riparata.
Tutt’intorno si sono avvicinati alcuni degli esemplari più intelligenti delle colonie di conigli selvatici – bianchi con la coda nera – che vivono nei tunnel creati dalle radici degli alberi.
Kaja si avvicina per capire meglio. Dalla struttura centrale, appena più rigonfia del resto, si apre una fessura dalla quale escono una schiera di piccole miniature della nave accompagnate da qualcuno di più grosso.
Un viaggiatore? Kaja sta già gongolando per la notizia che avrebbe riportato al quartiere generale. L’ultimo è penetrato solo molto tempo prima, i resti sono ancora visibili sulla cima di una delle montagne. Si gira per dileguarsi nella foresta ma inciampa in uno dei tronchi abbattuti dallo schianto: i conigli scappano, il viaggiatore si volta verso di lei.
Per i dialoghi immagino invece qualcosa sullo stile dei film dell’era Olografica, dei botta e risposta molto classici e molto di moda in questo periodo. Inoltre mia sorella potrebbe benissimo essere l’eroina di un film Olografico, per come si è comportata in questa storia.

“Dici di aver visto tutti questi pianeti, eppure non sai dirmi che sapore ha la loro acqua.”
“Non beviamo acqua da dove vengo, come posso conoscerlo?”
“Perfino i conigli non li conosci: che pianeta strano deve essere il tuo.”
Stacco su Kaja, seduta a gambe incrociate accanto al viaggiatore, sempre in tuta, e circondata da una dozzina di conigli.
“Fai davvero troppe domande, dovrei essere io a fartele: per esempio, sai dove potrei trovare del materiale conduttore per sostituire i circuiti della mia nave?”

Oppure un dialogo come:
“Ti è andato bene quello che ho portato?”
“Più che bene, è straordinario. Non si ossida, non si rovina, il sale non gli fa nulla?”
“Non che io sappia.”
“E non hai detto nulla di me alla tua gente, giusto?”

No, non lo aveva fatto.
I motivi, li trovate nel dialogo qui sotto:
“Non ho mai trovato nessuno come te. Sei speciale.”
“Tu lo sei: sei il mio viaggiatore venuto dalle stelle.”
“Ti amo più della mia vita: per caso altri come me sono mai stati qui? Oltre a quella spedizione di ricerca di cui mi parlavi.”
“Non credo… Non siamo mai stati un pianeta importante per l’Impero: dopo la caduta, ci hanno semplicemente ignorati. Inoltre, c’è lo scudo.”
“Di cosa parli?”
Qui immagino Kaja ridacchiare e scuotere la testa e attaccare con lo Spiegone di circostanza.
“Sei arrivato qui senza pensare di trovare un pianeta, non è vero? Credevi di trovarti nel mezzo di una massa di nebulose rarefatta e i tuoi comandi per orientarti non funzionavano. Se la tua rotta fosse stata diversa, avresti continuato a navigare senza accorgerti di nulla. Ma la tua rotta era in collisione con noi: hai attraversato lo scudo di nebbie e ti sei schiantato.”
“Affascinante.”
“Funziona anche al contrario: per lasciare il pianeta bisogna oltrepassare lo scudo. Nessuno lo fa mai purtroppo.”
“Ma ci sarà un modo per eludere lo scudo, vero? Lo troverai per me, poi ce ne andremo insieme alla scoperta dell’Universo!”
Diciamo che mia sorella è sempre stata una credulona.
Motivo per cui mi trovavo lì, piuttosto stanca a quel punto, a fissare un puntolino tremolante sulla linea dell’orizzonte.
 
Un filo di fumo sull’orizzonte, una linea verticale appena più chiara dell’azzurro che si riflette sulle onde.
Poi il rumore di qualcosa che si spezza, una fessura che si apre nel cielo: la nave penetra volteggiando verticalmente sulla superficie dell’acqua, in cerchio, prima di approdare sull’unica terra in vista.
Dalla nave escono due figure, coperte da tute e tubi di respirazione.
Per un lungo momento restano immobili: scrutano l’immensa distesa d’acqua attorno a loro, interrotta solo da alcune lingue di sabbia e dall’isolotto dove si trovano, simile al cocuzzolo di una montagna da quanto è spoglio.
“Un intero pianeta pronto per lo sfruttamento.” La figura più bassa si riscuote per prima e si volta verso il compagno, ancora immobile.  “Colline di firanio che si susseguono una dopo l’altra. Foreste e montagne.”
“Colonnello, le assicuro che questo posto era coperto di alberi, c’erano montagne, colline…”
“E magari anche qualche giacimento, eh, caporale?”
“Ma, signore, sono un tenente…”
“Soldato, ci hai fatto deviare fino a questo sputo di pianeta completamente coperto di acqua, rischiando di farci perdere la nave, con la promessa di trovare un enorme giacimento di firanio. L’unico giacimento qui è composto da molecole di idrogeno e ossigeno legati insieme in un modo del tutto inutile al nostro sistema.” La figura alta entra di nuovo nella nave. “Dentro, forza: torniamo in un quadrante più civile.”

“Sicura che se ne siano andati?”
A quel punto l’unica cosa di cui ero sicura era che gli unici parenti che desideravo avere intorno erano le salme delle nonne imbalsamate al tempio di famiglia.
Per l’ennesima volta mostrai il mio visore a Kaja, questa volta rischiando di amputarle il naso: “Sono usciti dal radar di terra e sono entrati in quello orbitale, stanno prendendo quota e… Eccoli, hanno imboccato il varco gravitazionale, non li vediamo più. A quest’ora saranno dall’altra parte dell’Universo.”
“Quindi, possiamo stare tranquille?” Mi guardò con ansia, accarezzando il coniglio tra le sue braccia. “Credi anche tu che non torneranno, vero? Possiamo essere riaccolte in Città, vero?” Tipico di mia sorella, combinarne una e poi venire da me per capire come tamponare i danni.
“A parte il fatto che l’esiliata qui eri tu,” ci tenni a precisare, “e che io sono stata coinvolta senza il mio consenso in una cosa che era fondamentalmente compito tuo risolvere…”
“Lo sai che non era possibile!”
“… Credo comunque che sia andato tutto bene. Da quello che ho capito, il tuo viaggiatore…”
“Non era il mio viaggiatore!”
“… Deve essersi preso una lavata di capo – eravate davvero fatti l’uno per l’altra – dunque ci lasceranno in pace. In ogni caso,” mi strinsi nelle spalle, “a causa di tutto questo la Decana ha finalmente deciso di investire nel miglioramento dello scudo.”
“Non tutto il male viene per nuocere, vedi?”
“Tu non dovresti proprio dire nulla del genere.” Sbuffai: “Ora, vogliamo rimettere a posto tutto questo casino e tornarcene a casa?” Porsi le mani a mia sorella: il coniglio mi fissò a lungo, muovendo appena le orecchie.
Poi, al momento giusto, saltò lentamente sulle mie mani con le zampe anteriori, lasciando quelle posteriori sulle mani di Kaja e permettendoci di posare le fronti contro la sua testa.

Il sangue ha radici profonde, soprattutto se si tratta del sangue di coloro che discendono dalle Dee Fondatrici, i cui Prescelti vivono nelle innumerevoli gallerie che percorrono il pianeta, accuditi da pochissimi eletti.
Si trattava sempre di contare, contare la sabbia, contare ognuna delle particelle che conteneva e scendere in basso, percorrendo i rilievi spogli che erano più abituati alla nebbia che all’acqua salata, ancora più in basso, sul fondale che una volta fondale non era, contare tutto.
Unire i palmi con quelli di Kaja e la fronte con quella di uno dei Prescelti delle Fondatrici, piantare salde le piante dei piedi nel terreno sabbioso le cui parti, se le si conta bene, sono collegate con le vene che scorrono nei nostri corpi e nei corpi dei Prescelti e direttamente con le vene di fuoco che muovono la superficie del pianeta.
Prendere il controllo, contare ancora una volta che tutto sia al suo posto.
Inspirare, percepire il battito sempre più veloce del Prescelto, smettere di contare.
Sentire il flusso del sangue infuocato che inizia a scatenarsi. Riconoscere la trazione delle radici delle rocce che salgono fino al livello che era loro destinato.
Ascoltare l’acqua ritirarsi negli anfratti nascosti da dove, se ne avremo bisogno ancora, tornerà a salire.
Aprire gli occhi e vedere gli scudi protettivi che si sciolgono sotto i raggi del sole, rivelando colline, foreste e, in lontananza, le cupole della Città.
Ritrovarsi sulla cima di una montagna e dovere attivare in tutta fretta la schermatura anti-gelo per evitare di finire tutti congelati sul colpo, coniglio Prescelto incluso.
“Secondo te, riusciamo a farcela per ora di cena?” Chiese Kaja mentre scendevamo lentamente lungo il pendio meno scosceso. Il suo coniglio mi fissava tranquillo dallo zaino sulla schiena di mia sorella, sgranocchiando della verdura.
Se l’era meritata.
 “Prima di andare dalla Decana potremmo fermarci da qualche parte per mangiare.”
Per l’ennesima volta, mi domandai come sarebbe stata la mia vita se fossi stata figlia unica.
“Offri tu, vero?”
  
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