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Autore: LeMuseInquietanti    19/09/2009    3 recensioni
Il cuore che è un semaforo a intermittenza. O così devi credere. Perché per te andrei ad inchiodarmi alle stelle. Ma non preoccuparti. Dormi ancora. Pensa che ci sono sempre almeno mille luci accese oltre quei vetri spessi. Le finestre dei lavoratori. Delle casalinghe disperate. Luci informi e opportuniste. Che ci schiacciamo come lucertole sotto i massi. E la città brilla nel nastro isolante. Hai presente quando mi hai stretto la mano dicendomi che non ero mai stata così bella.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Tua Musa Inquietante

"E se gli Alberghi appena costruiti 

Ricoprono i tramonti

Tu non preoccuparti"

Vasco Brondi.

Mai avrei pensato di scrivere di lei.

E dopo non mi resta che il corpo. Che ho imbrattato mentre accennavo un sorriso con le labbra. La sigaretta. La mano sulla gamba. Hai presente la sensazione di smarrire il centro. L’orrore del trapasso. Il dolore di fluttuare nella materia inconsistente del ricordo. Hai presente cosa vuol dire morire ogni giorno e non avere pace. E quando dopo ti si chiudono gli occhi ma non riesci a crollare. Hai presente il risveglio dalle sbornie e lui che ti dice scopiamo e forse pensa a un’altra. Mi piaceva quel silenzio. Una sigaretta. Un trip. Mille luci e rulli di tamburi. Entra in scena la tragedia settimanale. Ed io che sono la regina. Il cuore che è un semaforo a intermittenza. O così devi credere. Perché per te andrei ad inchiodarmi alle stelle. Ma non preoccuparti. Dormi ancora. Pensa che ci sono sempre almeno mille luci accese oltre quei vetri spessi. Le finestre dei lavoratori. Delle casalinghe disperate. Luci informi e opportuniste. Che ci schiacciamo come lucertole sotto i massi. E la città brilla nel nastro isolante. Hai presente quando mi hai stretto la mano dicendomi che non ero mai stata così bella. Che dopo mi strappi di dosso il vestito per spingermi ancora e più forte nella bolgia degli oppressi. La tua pelle che si colora di rosso. E non è sangue quello che ti fa incendiare le labbra. Come se non bastasse. Ho fumato fino a farmi esplodere gli occhi. Quelle puttane e tu che non riesci a tenerlo nei pantaloni. Sotto la tenda delle lenzuola a scriverti che ti odio ed è per questo che ti amo. O forse doveva essere il contrario. Non lo so. Sarà che mi brucia il fegato. Che ho bevuto fino a estinguermi. E non è colpa nostra se siamo fatti di lattice. Così si attutiscono gli urti. Perlomeno questo ci hanno insegnato a replicare a chi non si fa i cazzi suoi. E dopo vorrei imbottirmi di pillole. Mentre mi stringo nel pigiama troppo largo per sentirmi di nuovo piccola. Ma dopotutto è colpa mia che non dicevo mai di no. Dare per scontato l’amore è pura follia. Ma ti ripeto. Ero convinta che ci vedessi bene. Oltre lo stucco. Il trucco. In quella stanza dalle pareti di cartongesso in cui ci amavano senza far rumore. Premere la mano sulla bocca perché siamo come gli amanti pornografici dei romanzi rosa. E dei film che finiscono male. Il melodramma c’è chi lo ha nel sangue. E vorrei chiudermi in cantina e appendermi ai fili del bucato. E quando ti incontro ho come le vertigini lungo i tacchi. Sulla schiena c’è ancora il segno delle tue dita. E i messaggi in cui mi scrivevi puttanate. Per illudermi. Per sconfiggermi. Guarda come schiumo rabbia. Guarda come mi sono ridotta. Scoparmi il tuo amico imprecando nel buio. In un carcere di polistirolo che scivola per peristalsi lungo l’esofago. E spegnevo il telefono. Stesa sulla moquette a cercare le stelle. Oltre quella luce pallida che mi sputava in faccia sentenze e giudizi. E non ci vuole una parrucca per conferirle credibilità. Quando mi si asciuga il mascara sulle guance. Divento la tua bambola gonfiabile. Credici che mi basterebbe poco per essere felice. Per pisciare in santa pace per lo meno. Invece ti ostini ad appestarmi. E mi si incrinano le costole. Tu e le tue signorine poco raccomandabili. Ma temo di aver perso in qualche vecchia locanda da film western la mia dignità. E non saranno parrucche a rendermela. Come se dopo ci volesse l’onore per farti venire. E mi spremo fino a bere il succo dei miei perché senza risposta. Tanto acido lisergico per dimenticarci. Ché ormai ci droghiamo quasi fosse niente. Ed era routine anche ansimarmi addosso. Cercavi nuovi orizzonti. Senza amarmi mi dicevi che ero io la tua ragazza. Cominciavo a sperarci. Ed ora sono nella tenda di lenzuola. A chiedermi cosa ne devo fare dei tuoi occhi. Quasi il filo spinato mi coprisse. Sarò la tua regina delle feste. E quando viene sera e fuori piove. Abbarbicata nei temporali la nostra casa sulle stelle. Osserva come mangio coriandoli. Sbrindellarmi le unghie. Strappi al miocardio. Alla valvola mitrale. Alle tue fottute parole. Mi si conficcano come chiodi quelle immagini. La pista da ballo. Noi completamente stravolti. E apri le dita per afferrare un metro cubo di quella che chiamavamo felicità. Assaggiarla. Crederci. Illudersi. E lo sapevo che sapeva di merda. Ma negli abitacoli dei cuori soli ci sono solo rimorsi. E forse un viso che non si può cancellare. Non come il battesimo delle sorelle minori registrato tu cassette da quattro soldi. Quello presto o tardi lo sostituirà un film porno da quattro soldi. Glielo facevamo vedere cosa significava darci dentro. Alle matrone russe. Alle baldracche con i seni troppo grossi. E poi scopro che preferisci le bionde. E tutti sapevano quanto fossi idiota. Ma l’imperfetto è un tempo alquanto impreciso. Non mi riferisco a te. l’idiota sono io dopotutto. Che si è fatta deridere. Mi rigiravi bene e mi sentivo una musa. Ero io la tua Musa Inquietante. E la batteria del cellulare scarica come se avesse da fare. Che poi fingi di pregarmi di tornare. E se ci penso. Vorrei risponderti. E forse lo farei. Ma che ne sarebbe dei miei cuori fragili. Che sono fusi e completamente inutili. Da quando mi hai sporcato le vene. Ci mancava che lo sapessi dal giornale. Come hai potuto farmi questo, cazzo. Non lo riesco a capire. E va bene divertirsi. Diventare spastici. Ma lo spasmodico bisogno di far detonare qualsiasi cosa. Non ci hanno insegnato come smantellare i problemi. E siamo estremi cubi di Rubik. Solo un genio può districarci. Ma per ora in questi appartamenti asfittici. Non mi resta che dimenticarti. Solo che mi chiamavi Capezzola. Ed ora non faccio che ripetermi che dovevo odiarti sin da allora. Già.

Provo così tanta rabbia da confondere l’odio con l’amore. Ma tanto a te cosa importa?

Sperando che faccia meno schifo di quello che fa a me.
Depressione alle quattro di notte con Michelle.
Emme
  
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