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Autore: TsukikageShawn    22/03/2024    0 recensioni
Fase 2 - Sequel de Il misterioso caso di Merag Kamishiro.
Dopo la presa di posizione di Merag, il gruppo di terrestri capitanati da Astral e Yuma si prepara ad fronteggiare la minaccia dei bariani. Segreti ed intrighi faranno da sfondo alla ricerca di numeri speciali, che riportano a memorie perdute di tempi lontani e non così lontani. Cosa celerà questo passato misterioso e cosa vorrà comunicare a Merag? E soprattutto, come affronteranno questo nuovo sviluppo Yuma ed Astral?
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: I Sette Imperatori Bariani, Nuovo personaggio, Rio, Yuma/Yuma
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Il segreto della Luna Rossa'
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Capitolo 18

 

Yuma, per la prima volta in molto tempo, si ritrovò a pensare. Ma non dei pensieri qualunque, ma veri e propri piani di azione come quello attuato dal gruppo per salvare Jessica e Rei dai bariani. Doveva indicare un punto di atterraggio a Bits, il comandante delle Fiamme Blu. Non conosceva per niente la città di Roma, solo quel che bastava per la missione di recupero dei numeri.

«Teletrasportaci in un posto isolato, più vicino al Colosseo si trova meglio è» rispose dopo un paio di minuti.

L'esserino blu annuì e condusse il gruppo nella sala di controllo, facendoli posizionare su una pedana verde. Essa si illuminò e loro in un battito di ciglia si ritrovarono in un vicolo deserto. Proseguendo in avanti, sbucarono dritti di fronte al Colosseo.

Si fermarono ad ammirare l'imponente struttura antica, e Merag venne colta da un forte senso di nostalgia. I ricordi riaffiorarono nella sua mente, come un soffice abbraccio. Roma fu la prima città della Terra che visitò in una delle sue fughe dal mondo bariano…

 

Frustrata, arrabbiata e delusa. Questi i sentimenti che Merag provava nei confronti di suo fratello, il leader di Barian. Al comando da ormai un secolo, non riusciva più a reggere sulle sue spalle la pressione del suo ruolo. Nash era un patetico incompetente come guida del pianteta, ma il suo carisma riusciva ad ammaliare la folla ignorante, che lo seguiva fedelmente. In fondo, si trattava del loro salvatore. O forse era meglio dire che fu colui che si prese tutti i meriti?

Quella pesante verità, unita al cambiamento di atteggiamento delle sue amiche, la pressione sociale di essere la perfetta principessa, e fare tutto il lavoro del fratello al posto suo, la stavano esaurendo. Voleva il suo tempo libero, il suo libero arbitrio, la sua libertà di dire quel che voleva quando lo voleva. Voleva tutto quel che le spettava, ma che di comune accordo tutti le privavano, non le interessava se lo facessero di proposito o meno.

E ora suo fratello aveva avuto il coraggio di metterla in castigo, come se fosse una bambina, davanti ai membri della consulta. Tutto solo perché si era permessa di correggerlo. Stava per dire una grandissima stronzata, lei lo sapeva ed era intervenuta per evitare che accadesse, lui stesso gliel'aveva chiesto prima di presiedere l'incontro. Per questo la faceva assistere alle riunioni della consulta, seduta proprio al suo fianco, per bloccarlo subito.

Ma no! Non andava più bene, ora non poteva più neanche assistere. Nash l'aveva cacciata dalla sala in malo modo, solo perché gli aveva detto: «fratello, ti stai confondendo su questo argomento».

Camminava per i corridoi del palazzo reale, rimuginando su quel che era appena successo. Tutti quelli che incontrava la evitavano a prescindere, la sua espressione facciale comunicava senza parole. Arrivò senza accorgersene alla torre più alta dell'edificio e si rintanò nella stanza piena di manufatti stravaganti. Si sedette sul divanetto di cristallo rosso, in una posizione per niente regale, e provò a rilassarsi.

I suoi occhi vennero rapiti da uno degli aggeggi nella stanza, una lastra trasparente con un bordino blu, accoppiato con una specie di penna con una palla pelosa in cima.

«Chissà a cosa servi…» disse osservandolo curiosa.

L'apparecchio si illuminò, spaventando la ragazza, che lo allontanò dal viso. Un cerchietto luminoso girò per un paio di secondi, per poi lasciare il posto a una scritta in una lingua sconosciuta. Merag guardò la penna nella sua mano destra, la punta si era illuminata. Così, andò per tentativi.

«Non si può cambiare la lingua? Parlo solo bariano stupido affare» disse scuotendolo con forta.

Il dispositivo mandò una scarica elettrica che la ragazza avvertì in tutto il corpo. Colta alla sprovvista, mollò la presa sul'aggeggio che cadde sulle sue gambe. Sembrava proprio che l'avesse sentita, infatti le scritte sconosciute si trasformarono in parole bariane, che la ammonivano di trattare il tablet con cura, se voleva che esso rispondesse al suo volere.

«Lo terrò a mente… Cos'è un tablet?»

La lastra luminosa guidò Merag nella sua configurazione, spiegandole poi cosa era in grado di fare. Senza accorgersene, passò tutto il giorno e la notte ad interagirci, arrivando a imparare il suo linguaggio di programmazione e creando un'immagine per la sua coscienza. Un cerchio per la testa e delle linee per il busto e gli arti, tutti di colore arancione.

«Ti farei più bello, ma ho bisogno che occupi meno memoria possibile» disse osservando la sua creazione proiettata sullo schermo.

L'esserino annuì, facendo un inchino come ringraziamento alla sua padrona.

«Tu si che mi capisci. Vorrei tanto evadere da questo posto, anche solo per un po'… Esplorare un luogo sconosciuto, dove nessuno mi conosce.»

L'omino le diede le spalle, osservando tutti gli oggetti nella stanza. Dopo un paio di minuti, apparve sullo schermo l'immagine di un oggetto con una didascalia che indicava il suo funzionamento.

«Stai dicendo che questo mi può teletrasportare fuori da Barian? È fantastico, posso andare e venire quando voglio! Devo solo uscire fuori dal palazzo per evitare il blocco.»

Merag raccolse l'oggetto tra le cianfrusaglie e si riaccomodò sul divanetto. Si trattava di uno specchio rotondo, con la cornice e il manico in un metallo grigio lucido. Riportava delle incisioni sul bordo, un'altro linguaggio sconosciuto alla bariana.

Ma proprio quando stava leggendo le indicazioni per farlo funzionare, la porta della stanza si aprì di scatto. Subito Merag coprì il tablet con lo specchio, per evitare che Nash lo vedesse.

«Hai davvero trascorso tutta la notte qui dentro?» le chiese con gentilezza, sedendosi al suo fianco.

«Qui nessuno mi rimprovera» rispose freddamente.

«E questo?» disse prendendo lo specchio senza chiedere.

La ragazza approfittò della sua distrazione per nascondere nuovamente il tablet, sotto il suo vestito arancione non l'avrebbe visto di sicuro. Se avesse saputo della sua conoscenza, la calma con cui le parlava sarebbe svanita nell'immediato.

«Che specchio incantevole, ti si addice proprio… Mi dispiace averti trattato male, non so cosa mi sia preso. Mi perdoni?»

Merag sbuffò, reggendosi il mento con una mano. Quella scenetta si ripeteva ogni volta: lei che lo perdonava e poi ci rimaneva male quando lui non rispettava la promessa. La ragazza non riusciva mai a tenere il broncio con suo fratello, ma questo non spense il suo desiderio di evadere da Barian e le sue responsabilità.

Infatti, dopo aver rassicurato Nash, corse in camera sua per prepararsi all'imminente viaggio. Indossò un abito bianco, finemente ricamato d'oro, si coprì con un mantello e nascose il tablet e lo specchio in una borsa. Poi uscì dal palazzo facendo finta di nulla. Una volta lontana dal centro abitato, eseguì le indicazioni per teletrasportarsi.

Le scritte sullo specchio si illuminarono, la ragazza venne circondata da una luce argentata e il terreno sotto i suoi piedi scomparve, facendola cadere in un tunnel luminoso.

Merag atterrò malamente nei pressi di un corso d'acqua, in uno spiazzale circondato da degli edifici insoliti, composti da mattoni gialli e tetti con tegole rosse. Si alzò spolverandosi l'abito, e raccolse da terra l'artefatto magico. Osservò incredula l'immagine riflessa, così diversa dalla sua. La sua pelle era rosea, sotto il suo naso si trovavano due fessure da cui entrava ed usciva l'aria, e più giù uno strano affare di colore rossiccio.

«Che magia è mai questa!» esclamò, stupendosi nuovamente.

La nuova parte che completava il suo viso si muoveva ad ogni sua parola, e al suo interno si trovavano due file di rettangolini bianchi e un serpentino rosso che poteva manovrare a comando.

Passò un po' di tempo ad ammirarsi, poi iniziò a vagare per le strade di quel luogo sconosciuto. Incontrò molte persone, che la osservavano meravigliati. Alcuni la fermavano e le parlavano in una lingua che non conosceva, ma notò una certa riverenza nei loro modi di fare. Pensò che avessero intuito il suo stato sociale, infatti sembrava come se volessero qualcosa da lei. Allora prese dalla sua borsa il tablet e tramite esso iniziò a comunicare con le persone che incontrava. Essi, meravigliati da quella stregoneria, iniziarono ad essere più appiccicosi nei suoi confronti. Tutti la chiamavano dea e la veneravano come tale.

Merag approfittò di quella situazione per farsi guidare mentre esplorava quella meravigliosa città, chiamata Roma.

 

 

 

 

Capitolo 18 - Merag che sfrutta gli antichi romani

   
 
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