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Autore: Autumn Wind    23/03/2024    0 recensioni
Mary Moon è una venticinquenne bostoniana che si è fatta da sola: nata nei sobborghi cittadini, è solo grazie alla perseveranza, al lavoro ed allo studio che è riuscita ad affermarsi come scrittrice ed a conseguire una certa indipendenza. Il suo fragile mondo le crolla addosso quando il temibile Preston Lodge II della National Trust la pone di fronte ad un gelido aut aut: o accetta di vedere suo zio e se stessa in bancarotta ed in prigione o acconsente a sposare l’ultimogenito dei Lodge ed a trasferirsi in Colorado.
Aiutare l’uomo che più detesta al mondo è l’ultima cosa che Mary vorrebbe, ma, se desidera onorare la promessa fatta a sua madre sul letto di morte come ha giurato, non ha scelta.
Trapiantata a Colorado Springs, in un mondo sconosciuto e sotto un cielo che le sembra tremendamente sbagliato, Mary scoprirà la brutalità della vita, ma anche l’amicizia e l’amore.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.
Butterfly


Mary sbuffò, accendendo la lampada ad olio nel suo studio: la luce calante di ottobre non riusciva ad accompagnarla fino a tardi nella scrittura come quella di settembre. Tornò all’ennesima puntata della sua storia con un sospiro frustrato, rigirandosi la penna tra le mani: non riusciva proprio a trovare una soluzione che andasse bene per i suoi lettori.
A dispetto delle previsioni tragiche di Loren, l’idea dei romanzi a puntate sul Gazette era stata accolta con entusiasmo dai lettori e, anzi, si era persino registrato un lieve aumento delle vendite. Mary non era normalmente una persona orgogliosa, ma non poteva fare a meno di sorridere, soddisfatta, vedendo gli studenti accalcarsi fuori dal Gazette e dall’emporio per comprare le loro copie e scoprire come proseguiva la loro storia preferita. Oltre a quello, c’erano anche gli articoli che Dorothy le commissionava e che si divideva con Brian, a cui, peraltro, stava pian piano insegnando i trucchi del mestiere. Una sera l’aveva raccontato a Preston ed era rimasta spiazzata quando il banchiere le aveva raccomandato di non insegnargli tutto per non vedersi portare via il lavoro. Allora si era limitata a sganciare una delle solite frasi che riuscivano sempre a zittirlo, ma, ripensandovi, trovava estremamente triste che qualcuno dovesse pensare sempre e solo in quei termini dell’umanità, anche se lei stessa aveva imparato a fidarsi ben poco degli altri. Brian e Dorothy, tuttavia, erano diversi: lavorare con loro era un piacere e le incursioni di Loren, Jake, Michaela, Sully e Nube che Corre erano quasi divertenti. Certo, Mary non mancava mai di notare i loro sguardi perplessi e, spesso, sentiva su di sé anche quello preoccupato di Dorothy, ma continuava a sviare le domande ed a comportarsi come al solito, evitando il più possibile di nominare Preston, che sembrava essere la causa scatenante di tutto quello sconcerto.
Il ticchettio del fermacarte la riscosse dai suoi pensieri, facendole alzare gli occhi verso il soggiorno: quel sabato sera, Preston era rientrato leggermente prima dalla banca e stava visionando gli ultimi prospetti seduto davanti al camino acceso in camicia e panciotto, i capelli che gli ricadevano sul volto e l’aria stanca e tesa. Non le aveva parlato molto e già questo indicava che qualcosa lo turbava.
In quel mese di matrimonio Mary aveva oramai imparato a conoscerlo abbastanza bene ed era giunta alla conclusione che vivere con lui non era poi così terribile, come, del resto, aveva scritto anche a miss Jane, a cui non aveva nascosto nulla del loro accordo: in fondo, si vedevano solo per i pasti e discutevano abbastanza tranquillamente delle ultime novità della scena culturale, considerato che erano forse gli unici in città ad avere quegli interessi, ma nessuno dei due parlava mai di sé all’infuori di qualche commento sul lavoro e sui conti mensili. Non poteva dire di conoscerlo davvero come si dovrebbe conoscere un marito, ma aveva imparato parecchie cose su di lui, come il fatto che non si arrendeva mai, che puntava sempre in alto ed aspirava a migliorarsi ed ingrandirsi, che amava l’Antica Grecia e l’Antica Roma e che era un maniaco dei dettagli e dell’ordine, tanto da curare personalmente ogni singolo particolare di ciò che faceva e del suo aspetto quotidiano. Era un uomo galante, educato e colto, con la risposta sempre pronta ed una certa parlantina, questo senz’altro, ma ogni tanto mostrava anche una vena dell’ambizione e della furbizia che tutti gli avevano attribuito in paese. Tuttavia, mentre gli abitanti di Colorado Springs ne avevano parlato come di una persona avida, senza scrupoli e quasi immorale, Mary aveva l’impressione che fosse soltanto svuotato di ogni scopo e della vitalità che, forse, un tempo aveva avuto. Era difficile immaginarlo minacciare di espropriare la casa del dottor Mike, considerato che non lasciava mai la banca e se ne stava sempre rintanato sulla sua scrivania. Era uscito solo per andare a prenderla alla stazione, per sposarsi e due volte per andare a Denver per affari.
Mary sospirò, alzandosi e lisciandosi l’abito in tartan viola, raggiungendolo in soggiorno. “Preston, non credi che sia ora di lasciar perdere quei conti?”
Il banchiere le rivolse gli occhi nocciola, cerchiati da profonde occhiaie. “Devo finire di visionarli.” spiegò mollemente. “C’è anche domani: è domenica e non andiamo mai in chiesa …”
“Domani c’è la seconda revisione.”
“E sono davvero necessari ben due controlli?”
“Potrebbe essermi sfuggito qualcosa al primo e quel qualcosa potrebbe far fallire di nuovo la banca.”
Mary sospirò, levandogli i fogli dalle mani e posandoli sul tavolino. “Ragionarci su mentre sei stanco non aiuterà di certo.” asserì, consapevole di essersi appena beccata un’occhiataccia. “Disse la donna che sta in piedi fino a mezzanotte a scrivere storie.” rimbeccò il banchiere, seccato, alzandosi per versarsi del whisky. “Richiede molta meno concentrazione rispetto a fare tutti questi conti e prospetti.” considerò Mary, facendo spallucce. “E, in ogni caso, domani non ho intenzione di stare qui tutto il giorno: pare che sarà una bellissima giornata, una delle ultime prima dell’autunno e vorrei andare a fare un picnic.”
“La città ne organizza uno fuori dalla chiesa dopo la messa: potresti andarci con Dorothy e tutti gli altri.” considerò distrattamente l’uomo senza batter ciglio. “No di certo: non farebbero che farmi domande sul perché tu non ci sia e già le sopporto durante tutta la settimana. No, andrò in qualche prato qua intorno …”
“Ancora peggio!” esclamò Preston. “Potresti finire in qualche proprietà e non tutti sono gentili ed accoglienti verso gli sconosciuti, qui …”
“Senza contare cosa direbbe la gente, vero?”
“Senza contare che sarebbe pericoloso ed inutile, piuttosto!”
“Correrò il rischio, sempre meglio che stare qui ad invecchiare bevendo whisky ...”
Preston sospirò, picchiettandosi il naso con l’indice prima di alzare gli occhi al cielo. “E va bene, ti accompagnerò!”
“Al picnic della chiesa?”
“No, a quello su un prato ed è già tanto! Basta che mi lasci in pace nella mia banca con i miei conti ed i prospetti per il resto della settimana ...”
“Se proprio hai così tanti impegni, puoi anche restare qui, te l’ho già detto e te lo ripeto: posso benissimo cavarmela da sola.” l’apostrofò Mary, godendosi la sua espressione frustrata con un sorriso soddisfatto prima di ritirarsi per la notte: in fondo, anche battibeccare con lui non era poi così terribile.

***

“Era davvero necessario? Sembra che tu debba sfamare un intero reggimento!”
“La smetti di lamentarti? Davvero, inizi ad essere irritante!” sospirò Mary, sistemando quello che aveva preparato sulla tovaglia e sedendovisi con uno sbuffo, lisciandosi il completo rosa e la camicia bianca con le rouches.
“Non sono abiti un po’ troppo eleganti per un picnic in una landa desolata del Colorado? Non siamo più a Boston, nel caso te lo fossi scordata ...” obiettò Preston, imitandola e sedendosi nella sua giacca scura e nel panciotto dai ricami dorati. “Si potrebbe dire la stessa cosa di te.” obiettò lei, allungandogli il pollo. “Io ho un lavoro per cui necessito di apparire sempre in un certo modo. Tu accetteresti di mettere i tuoi risparmi nelle mani di un banchiere sciatto e, magari, rozzo? Una banca ed i suoi dipendenti devono dare l’idea di stabilità, precisione e sicurezza ...”
“Oh, sicuro. Comunque non smetterò mai di vestirmi così: ho faticato per potermi permettere questi abiti e questo stile e non cambierò solo perché ho cambiato residenza.”
“Non mi sognerei neanche di chiedertelo o di aspettarmelo: sei talmente ostinata che …”
“Lo sono almeno quanto te, abbi il coraggio di ammetterlo.”
Preston la fissò per qualche istante prima di sospirare. “In questa stagione, a Boston, i teatri sono sempre pieni: ci sono tutte le prime. E quest’anno ho sentito che ci saranno addirittura compagnie da tutta Europa …” rivangò. “Per non parlare delle sale da ballo e della fiera di fiori e piante esotiche, già …” annuì, malinconica, Mary, distogliendo lo sguardo. “Ti manca molto?” azzardò Preston. La scrittrice annuì. “Moltissimo. Ed a te?”
“Suppongo di sì. Ma, col tempo, imparerai che sia Boston che il Colorado hanno i loro lati positivi e negativi, come tutto, del resto.”
“Questo senz’altro. Un panorama del genere, per esempio, non si potrebbe mai ammirare a Boston!” annuì Mary, alludendo al prato che si estendeva dinanzi a loro ed al suo scendere verso un panorama costellato da alberi tintisi di rosso, arancione e giallo, contornati dalle montagne azzurrine sotto un cielo color carta da zucchero. L’unico segno del passaggio umano era l’hotel che si intravvedeva in lontananza, tra gli alberi.
“La visuale da lì dev’essere stupenda!” considerò, addentando una carota. “Lo è.”
“E come fai a saperlo?”
“Era il mio hotel.”
Mary tacque, volgendosi a fissarlo, ma Preston stava guardando il suo piatto come se fosse improvvisamente diventato la cosa più interessante sul pianeta. “L’hai costruito tu?” indagò. “Ho scelto ogni singolo dettaglio di quell’albergo. Come vedi, non è stato sufficiente a salvarlo dalla crisi.”
“Mi dispiace. Dev’essere molto bello …”
“Lo era. Ora non saprei dire, non ci sono più stato da quando è stato acquistato da un senatore. Non ti nascondo che mi piacerebbe molto riacquistarlo, un giorno, ma non credo sia concretamente possibile, allo stato attuale delle cose.”
“Magari le cose cambieranno …”
“Con la crisi odierna, temo proprio di no.”
Mary deglutì e tacque, consapevole di aver toccato un tasto dolente. Intuendo che era uno di quei momenti in cui Preston non voleva parlare di qualcosa che era decisamente troppo personale, si alzò e portò qualche carota ed una mela ai due cavalli che li aspettavano tranquilli sotto un albero. Tuono e Fulmine, uno nero e l’altro marrone, erano due equini docili ed affascinanti che Mary aveva ammirato dal primo giorno in cui le erano stati presentati da un reclutante Preston. Da allora, si era presa l’incarico di portar loro da mangiare e di strigliarli personalmente, a prescindere dalle proteste di suo marito, che riteneva di pagare già Robert E. per questo.
Mentre allungava la mela a Tuono, lo accarezzò, sorridendo al vedere il cavallo farle qualcosa di simile alle feste.
“Ti piacerebbe cavalcarlo?”
“Prego?” pigolò, voltandosi di scatto e ritrovandosi Preston alle spalle in tutta la sua altezza. “Hai capito benissimo. Ti piacerebbe cavalcarlo?” ripeté il banchiere. “Oh, beh … sì, senza dubbio, ma … non ho mai cavalcato. Non credo di sapere come si fa …”
“Ti propongo un accordo: io ti insegno a cavalcare e, in cambio, tu potrai prendere Tuono quando vorrai ed andare a queste escursioni domenicali senza trascinarmi con te ogni volta.”
Mary sollevò le sopracciglia, incrociando le braccia. “E dove sarebbe l’imbroglio?”
“Nessun trucco, nessun imbroglio.”
“E, secondo te, io ci crederei?”
“Sarebbe vantaggioso per entrambi, pensaci: a te darebbe libertà ed a me pace. Allora? Affare fatto?”
La scrittrice fissò la sua mano tesa con l’anello di famiglia scintillante al dito e sospirò, stringendola nella propria. “Accetto.”
“Ottimo: cominciamo subito.” sorrise, soddisfatto, Preston, iniziando a liberare i cavalli dal giogo. “Cosa? Adesso? Stai scherzando, spero? Non ho le scarpe adatte e neanche i vestiti …”
“Non hai detto tu che non avresti mai rinunciato allo stile di Boston? Allora non dovrebbe essere un problema …”
Mary sospirò, trattenendo un insulto: non aveva mai conosciuto nessuno di più impossibile di Preston Lodge, questo era certo.
“Ecco qui … forza: metti qui il piede sinistro e sali in sella.” la invitò. “Fin qui ci sarei arrivata anche da sola, grazie.” sbuffò lei, avvicinandosi cautamente. A vederlo da quel lato, Tuono non le sembrava più carino, anzi: era abbastanza intimidatorio. “Coraggio, Mary: ti sei laureata, hai sposato uno sconosciuto … che sarà mai andare a cavallo?” rifletté, facendo leva sul piede sinistro e sulla sella per salire. L’azione, per quanto semplice, si rivelò ben più impegnativa di quanto pensasse: non riusciva proprio a darsi lo slancio per salire.
“Devi metterci più forza.” la incitò Preston. “Facile a dirsi, per te!” sbottò lei, il sudore che oramai le colava lungo la schiena. “Mi permetti di aiutarti?”
“No, ci riuscirò da sola!”
“Per Natale sicuramente …”
“Ma come ti permetti di … ah!” gridò, sentendosi sollevare quel tanto che bastava da farle montare in sella. “Mi dispiace, non avrei assoluto voluto farlo senza il tuo permesso, credimi, ma, come ti dicevo, serviva una spinta maggiore. Ora possiamo iniziare con tutto il resto.” spiegò il banchiere, rivolgendole uno dei suoi sorrisi a trentadue denti mentre montava con agilità Fulmine.

 

Due ore dopo, a dispetto degli inizi disastrosi, Mary riusciva ad andare quantomeno al trotto e quasi aveva imparato a far correre il cavallo, ma sospettava che i suoi risultati fossero dovuti più che altro all’infinita pazienza che sembrava avere Tuono.
“Gli piaci molto e credo che questo giochi a tuo vantaggio. Ad ogni modo, non è male come prima lezione: la prossima volta andrà meglio e, anche se forse non sarai mai una campionessa ippica, quantomeno riuscirai a cavalcare nei dintorni senza problemi.” giudicò Preston, smontando ed aiutandola a scendere prima di risistemare i cavalli al carro.
Mary sospirò, asciugandosi la fronte. “Non credevo fosse così faticoso!” ammise. “I cavalli sono animali affascinanti, ma richiedono dedizione e costanza, come tutto del resto.”
“Su questo ci troviamo d’accordo.”
“Strano, ma, almeno, è qualcosa.” sorrise il banchiere. “Vogliamo tornare in paese, adesso?”
“Direi proprio di sì.” asserì Mary, raccogliendo tovaglia e piatti ed affrettandosi a caricarli sul carro prima di sedersi accanto a Preston.
Mentre tornavano a Colorado Springs, per qualche istante, la scrittrice si godette il piacevole tepore del sole sul viso, l’aria frizzante ed il profumo dell’autunno che si apprestava ad arrivare. Lanciò un’occhiata di sottecchi a Preston e si stupì non poco nel vederlo visibilmente più rilassato rispetto alla sera precedente.
“Vedo che la domenica all’aria aperta ha fatto bene anche a te.” notò, celando un mezzo sorriso. “Oh, stavo benissimo anche prima …”
“Ho notato. Posso sapere cosa ti preoccupa così tanto, ultimamente?”
“Assolutamente niente.”
“Non eri così turbato quando sono arrivata.”
“Allora eri tu a turbarmi.”
“Preston … non credi abbia il diritto di saperlo? Dopotutto, siamo sposati, anche se … beh, hai capito.”
Il banchiere sospirò, rivolgendole l’occhiata che Mary si sarebbe aspettata di vedere sul muso di una preda messa all’angolo dal predatore. “Gli affari non stanno andando bene come speravo.” ammise a denti stretti. “Che intendi per ‘non stanno andando bene’?” indagò Mary. “Intendo che la banca ha praticamente zero clienti ed investire sta diventando pericoloso in queste condizioni, come potrai immaginare. La banca vive dei suoi clienti e, se non ne ha, è destinata a fallire. Di nuovo.”
La scrittrice tacque, pensierosa: aveva intuito che le cose non andassero bene, ma non credeva così tanto. “Potresti offrire tassi d’interesse minori per attirare i clienti …” azzardò. “E credi che non c’abbia pensato?” sospirò Preston, quasi beffardo. “Il problema sono io e quello che ho sempre fatto da quando sono arrivato, nient’altro.”
“Le persone possono sempre cambiare …”
Il carro si fermò di colpo ed il banchiere le rivolse un’occhiata cupa. “Dillo a Dorothy, a cui ho sempre imposto certe linee editoriali minacciando di chiudere il Gazette, o a Horace, a cui ho pignorato il calesse o al dottor Mike, che ha quasi perso la casa, se davvero ne sei convinta. E poco importa se fossero in ritardo con i pagamenti o no: ai loro occhi, quei rimedi sono solo e semplicemente l’ingiustizia di un avido.” la sfidò, salvo poi riprendere il viaggio in totale silenzio, la domenica oramai rovinata.

***

Il lunedì mattina, Colorado Springs era particolarmente affollata ed indaffarata con i preparativi per Halloween. Quando Mary si recò al Gazette nel suo completo grigio e nella camicia crema a V, Loren era impegnato ad appendere delle zucchette a mo’ di festoni lungo tutte le travi del portico dell’emporio. “Oh, miss Mary, buongiorno!” la salutò, agitando la mano. “Signor Bray …” rispose lei, avvicinandosi. “Sta già preparando tutto per Halloween?”
“Eh, bisogna, altrimenti mi ritrovo a sentire gli improperi di Dorothy, del reverendo e di tutti i bambini della città!” brontolò. “E lei? Non mette neanche una zucchetta in banca?”
“Non credo che Preston ne sarebbe contento.” considerò Mary, facendo spallucce. “Sa, l’idea di serietà e solidità delle banche …”
“Oh, Signore, ancora quelle storie! Ci ha tormentati per mesi, quando è arrivato qui … oramai tre o quattro anni fa!”
Mary si guardò attorno e, notando che l’emporio stava vivendo un momento di calma, azzardò a porre la domanda che le frullava nella testa dal giorno prima. “Signor Bray, posso chiederle una cosa?”
“Quello che vuole, se può aiutarla!”
“Preston non è benvisto in paese e mi chiedevo cos’avesse fatto di preciso. Ho intuito che abbia sempre messo gli affari al primo posto, a discapito di tutto e tutti, ma nulla di più preciso ...”
Loren sospirò, facendole cenno di passargli una zucca. “Quando è arrivato, Preston non era molto popolare, ma come il dottor Mike, sua sorella Marjorie, il dottor Cook ed anche come lei, del resto: siete stranieri, è normale avere dei pregiudizi, in una città come questa. Solo che, poi, mentre gli altri li hanno smentiti, Preston no: si è sempre comportato con una galanteria eccessiva ed ha rifiutato di adeguarsi ai modi della gente di qui. Non l’ho mai visto ad una battuta di caccia ed ha sempre frequentato poco il saloon. E già questo è una cosa da considerare. Poi, c’è tutto il resto: ha abbattuto l’albero dei baci, a cui tenevano tutti, per far su una casa che non ha neanche mai costruito, ha pignorato di tutto e di più, è sempre stato terribilmente ostile verso Sully, il marito del dottor Mike … e poi l’hotel ha dato fastidio a molti. Insomma, ha una mentalità basata sugli affari e sul profitto che non è amata, qui. Certo, ce l’ho anch’io, ma in lui credo siano i modi il problema. E, comunque, non preoccuparti, se temi di non conoscerlo abbastanza: presto avrete figli, lì tutto smetterà d’importare perché avrete ben altro a cui pensare!”
Mary aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. “Forse.” si ritrovò a dire, abbozzando un sorriso forzato prima di ringraziare e salutare Loren e dirigersi spedita al Gazette, l’oramai familiare nodo in gola che non accennava minimamente ad andarsene.
“Buongiorno!” esclamò, falsamente allegra, rivolta a Dorothy ed al dottor Mike, entrambe prese a confabulare alla scrivania della giornalista. “Oh, Mary, buongiorno!” la salutò la rossa. “Hai …”
“Ho la nuova puntata, certo.” sorrise, allungandole le pagine e rivolgendo un sorriso imbarazzato a Michaela, che la fissava dubbiosa, come sempre da quando la conosceva, del resto. “Tutto bene, signora Lodge?” le chiese. “Benissimo.” mentì Mary, prendendo posto alla sua postazione. “La vedo un po’ … accaldata.”
“Oh, sto bene, davvero: ho solo fatto una corsa per arrivare in tempo e, purtroppo, soffro molto il caldo.” liquidò Mary, affrettandosi a mettersi al lavoro e mancando di notare lo sguardo preoccupato che si scambiarono le due donne.

 

“Michaela è un bravo medico.” esordì Dorothy a metà mattina, attirando lo sguardo dubbioso di Mary, fino a poco prima intenta a visionare un articolo. “Non lo metto in dubbio: si vede che sa il fatto suo ed ho sentito molte storie da Loren sulla sua bravura.” ammise. “Certo, un conto è sentire ed un altro crederci, però.”
“Ma io ci credo.”
“Però stamattina non hai dato molto peso al fatto che ti trovasse accaldata, o sbaglio?”
“Perché non ve n’era motivo ed infatti è subito passato: sapevo a cos’era dovuto.”
“Uhm. Se lo dici tu ...” asserì Dorothy, poco convinta. “Se pensi che non mi fidi di lei per i … dissapori che ha avuto con mio marito, ti sbagli.” azzardò Mary dopo un po’ e, sollevando lo sguardo su quello della giornalista, intuì che aveva centrato il punto. “Non stavo dicendo questo, ma ero preoccupata che la cosa potrebbe averti influenzata. Preston deve averti detto …” iniziò la rossa. “Preston non mi ha mai detto niente di nessuno di voi: quello che so, lo so da Loren o, al massimo, da Grace. E, in ogni caso, non permetto mai a niente ed a nessuno di influenzare le mie scelte, figurarsi a mio marito.”
Dorothy annuì, intuendo che la cosa l’avesse infastidita. “Scusami, non volevo insinuare nulla.” disse, infatti. “No, scusami tu.” sospirò Mary, posando i fogli. “Sono qui da un mese, oramai, ma è … è ancora tutto così difficile. La gente a stento mi parla e sento sempre di non sapere o capire tutto come dovrei. Non avrei dovuto prendermela con te, sei stata solo gentile nei miei confronti …”
La rossa le rivolse un sorriso. “Posso capirlo: anche a me è successo così, quando sono arrivata. Credevano avessi ucciso mio marito perché mi picchiava ed era stato trovato morto subito dopo che l’avevo lasciato, ma non era vero e Michaela riuscì a dimostrarlo ed a tirarmi fuori dalla prigione. E, da allora, eccomi qui.”
Mary sollevò le sopracciglia: non immaginava che dietro a Dorothy si celasse una storia del genere, soprattutto considerato quanto fosse spigliata ed allegra. “Dev’essere stato terribile!” esclamò, sinceramente addolorata. “Oh, non poi così tanto. E, poi, è passato, non v’è motivo di rivangarlo. Sai qual è stata la cosa veramente terribile, ancor più del processo, dei brontolii di Loren e dei pettegolezzi su Nube che Corre? Avere come socio tuo marito.”
Il tono di quell’affermazione fece sorridere Mary. “Ecco, se ridi significa che puoi capirmi: dire che era asfissiante era poco. E un giorno era la linea editoriale, l’altro le vendite, l’altro ancora il costo della carta …”
“Dev’essere tutto perfetto e non infastidire nessun finanziatore, giusto?” rise la scrittrice. “Esattamente! Santo cielo, era un tormento quando si metteva in testa una cosa!”
“Lo è ancora.”
“Oh, non lo metto in dubbio. Come vi siete conosciuti?”
“Conoscenti di Boston in comune.” sviò Mary, schiarendosi la voce e rivolgendole un sorriso nervoso. “Allora, su cosa devo scrivere un articolo questa settimana?”
“Oh, su una vera vergogna!” sospirò Dorothy, frugando nel cassetto alla ricerca di una penna che la scrittrice le porse. “E sarebbe?”
“Sarebbe che Michaela vuole vendere la clinica ed aprire un ospedale in città, che serva anche quelle vicine, magari ed in cui potrebbero trovare lavoro molte persone, ma non può per mancanza di fondi. Rifiuta di chiederli a sua madre e nessuna banca di Denver le concede un prestito perché è una donna e non ha garanzie …”
“Avrebbe la sua casa!”
“Non intende toccarla. Io lo trovo scandaloso a prescindere da quali garanzie possa offrire e credo che meriti la prima pagina del Gazette, tu cosa ne pensi?”
“Assolutamente: mi metto subito al lavoro.” annuì Mary: un’idea del tutto nuova le era appena balenata nella mente.

***

“Fare un prestito così ingente a Michaela Quinn, senza alcuna garanzia? Sei forse impazzita, Mary?”
La giovane sospirò, sistemandosi meglio sulla sedia di fronte alla scrivania ed invitando nuovamente Preston a leggere la bozza del suo articolo. “Secondo me è la tua occasione, la tua ultima occasione, se la metti nei termini tragici in cui hai sempre delineato il tuo futuro: se le concederai un prestito che nessuno è disposto a darle basandoti sul riconoscimento della sua professione, la gente ti rivaluterà e ricomincerà a fidarsi di te, anche se forse a piccoli passi. Potrai inserire regole nuove, come proroghe ai tempi di pagamento in cambio di maggiori interessi o di una rata in più e …”
“Ed io che cosa ci guadagnerei?” sbottò Preston, scuotendo fermamente il capo prima di accendersi un sigaro, nervoso. “Clienti ed una banca che funziona. Non era quello che hai sempre voluto?”
“La prospettiva di miglioramento è molto aleatoria, non è detto che Michaela accetti e, come se non bastasse, cambiare le regole non aiuterebbe i miei affari. Non funzionerà, altrimenti avrebbero tutti cambiato idea già anni fa quando le feci quel prestito per la clinica ...”
“Non era a queste condizioni ed ora, francamente, non credo tu sia nella posizione di fare l’esigente …”
“E tu non sei nella posizione di prendere simili decisioni, Mary!” esclamò Preston, sospirando. “Ma non mi dire? Ed è perché sono giovane o perché sono una donna?”
“Perché non conosci la finanza ed il mercato, non hai idea di quello che mi proponi e di come attuarlo concretamente …”
“Quella è la tua specialità, sei tu il banchiere, qui e sei anche bravo!”
“Ma perché continui ad insistere? Non funzionerà, posso solo sperare in influenti investitori …”
“Santo cielo, Preston, gli investitori non arriveranno se starai qui ad aspettarli: l’ospedale di Michaela è la tua chance per ritornare in auge e dimostrare a tuo padre che vali qualcosa!”
Non appena quelle parole ebbero lasciato la sua bocca, Mary se ne pentì e, infatti, tacque immediatamente, come scottata. Preston, che, in un primo momento, parve quasi sobbalzare per quanto detto, le rivolse un sorriso sprezzante. “Detto da una ragazzina, è quasi un complimento. Dovrò anche ciò che sono a mio padre, non lo metto in dubbio, ma almeno non mi abbasso a matrimoni di convenienza per non affogare nei debiti!”
“No, infatti: ti abbassi a matrimoni di convenienza per fare contento un vecchio senza scrupoli a cui ti ostini a voler assomigliare per ottenere la sua approvazione, il che, permettimi di dirtelo, è davvero infantile!” eruppe Mary, sentendo le guance in fiamme per la collera.
Senza neanche attendere la sua risposta, si alzò e, raccattata la bozza del suo articolo, andò in casa, sbattendo violentemente la porta alle sue spalle. Si appoggiò allo stipite, espirando a fondo per cercare di calmare la rabbia: contrariamente a quella di Preston, la sua non era una collera gelida, anzi. Come osava rinfacciarle quelle cose dopo quello che aveva fatto per aiutarlo … si era davvero sbagliata così tanto sul suo conto?
“Ma cosa credevo, che saremmo stati buoni amici? Che sarebbe diventato un vero matrimonio? Con un uomo avido che tutti disprezzano? Se tutti la pensano così su di lui, un motivo ci dev’essere!” si disse, lanciando l’articolo in un angolo: non sapeva se a bruciarle di più fosse l’idea di essersi sbagliata così tanto o quello che le aveva detto Preston. “O il fatto che, in fondo, è la verità.” mormorò ad una stanza buia e vuota, illuminata solo dalle ombra danzanti che il fuoco gettava sul muro. Scacciò una lacrima che le stava bagnando gli occhi e corse in camera dove si lasciò scivolare sul letto, aspettando, inutilmente, che il sonno arrivasse e soffocando i singhiozzi nel cuscino.

***

“Mary, devo insistere: sei sicura di stare bene?”
La scrittrice sospirò, alzando lo sguardo ad incontrare quello preoccupato di Dorothy.
“Sto bene, davvero.” mentì, sforzandosi persino di abbozzare un sorriso, nonostante il mal di testa.
Dalla sera del litigio, lei e Preston non si erano mai rivolti la parola: ognuno faceva la propria vita, ai pasti fissavano i propri piatti e la sera se ne stavano lei nello studio e lui in soggiorno. La cosa che l’aveva davvero sconcertata, al di là del risentimento che provava, era il fatto che le mancasse parlare con lui. In un mese avevano quantomeno capito che potevano conversare di libri ed argomenti culturali e non c’era nessun altro a Colorado Springs che sapesse riuscirci come lui. Ciononostante, non credeva che gli avrebbe mai perdonato quello che le aveva detto e la sconcertava credere che l’avesse pensato per così tanto tempo.
Sbuffò, passandosi la mano sulla fronte: l’emicrania era arrivata del tutto inaspettatamente due giorni prima e non accennava minimamente ad andarsene, alimentata dal suo nervosismo e dall’astio che provava per il marito.
Si lisciò la giacca grigia e cercò di concentrarsi sull’articolo che stava revisionando quel mattino, ma proprio non ci riusciva: la testa le pulsava ed i pensieri erano da tutt’altra parte.
“Mary …” mormorò Dorothy. La scrittrice sollevò lo sguardo ed incontrò quello gentile della donna. “Mary, se sei così stanca, dovresti proprio andare a casa e riposare.”
“Sto bene, Dorothy, davvero, non preoccuparti: è solo un po’ di mal di testa.”
“Oh, me lo ricordo bene …” ridacchiò la rossa. Mary le rivolse un’occhiata sconcertata. “Beh, i primi mesi sono così!” si giustificò Dorothy. La nausea assalì Mary con una tale violenza da farle credere di poter essere davvero incinta. “Non aspetto un bambino.” mormorò. “Oh, suvvia: siete sposati, è normale che …”
“Dorothy, non sono incinta e non lo sarò mai!” sbottò la scrittrice, schizzando in piedi. Allo sguardo stupito della giornalista, sentì con orrore le lacrime salirle agli occhi ed il respiro mancarle. “Io … scusami.” biascicò, affrettandosi verso la porta sul retro che dava sul prato del Grace’s Cafè, al momento quasi deserto. Si lasciò scivolare sul gradino, prendendosi la testa tra le mani ed inspirò ed espirò a fondo, cercando di regolare il respiro e di far smettere quelle lacrime del tutto ridicole.
Non passarono che pochi istanti prima che dei passi la raggiunsero ed il familiare profumo di Dorothy l’avvolgesse quando questa si sedette accanto a lei.
“È un matrimonio di facciata, non è così?” azzardò. Mary annuì come potè, asciugandosi una guancia con stizza. “L’avevo immaginato, sai? Voglio dire … eravate entrambi molto evasivi sull’argomento ed è stato fatto tutto in sordina. Per non parlare di te: non sembri il tipo che Preston sceglierebbe, hai troppo fuoco in te. E, come se non bastasse, non hai certo quell’espressione perennemente sognante delle novelle spose …”
“Non sono una sposa per corrispondenza.” mormorò Mary con vergogna. “Io … io vengo da sobborghi di Boston. I miei sono morti quand’ero bambina e sono rimasta con mio zio, ma me ne sono andata a tredici anni perché … beh, beveva e giocava. Sono cresciuta in una locanda, dove la proprietaria, in cambio di un aiuto, mi ha permesso di studiare e mi ha educata. Avevo un lavoro ed una vita che mi soddisfaceva, finché non mi ha chiamata la National Trust. Io e mio zio avevamo un conto cointestato ereditato dai miei e l’aveva dilapidato: la soluzione era finire in prigione per debiti, in mezzo ad una strada o accettare la proposta di Preston Lodge II, cioè sposare il suo ultimogenito, che, da quanto ho capito, considera il fallito della famiglia. E, così, eccomi qui. Preston, da parte sua, non poteva rifiutare perché altrimenti suo padre gli avrebbe tolto la banca, l’unica cosa di cui gli importa davvero.” raccontò con voce incerta. “Abbiamo deciso che non sarà un vero matrimonio, fortunatamente, ma credevo … speravo, quantomeno, che fosse un’amicizia. Ed invece no … lui è esattamente come dicono tutti quanti.”
Dorothy sospirò, annuendo. “Capisco.”
“Io … ti prego, non raccontarlo a nessuno!” la implorò Mary, afferrandole le mani. “Mi vergogno così tanto … per favore …”
“Hai la mia parola … e le mie scuse. Non immaginavo …”
La giovane annuì, tirando su con il naso. Rimase interdetta quando Dorothy la tirò a sé e l’avvolse in un caldo abbraccio, ma, subito dopo, scoppiò a piangere come una bambina.

***

Il venerdì era sempre stato un giorno fiacco alla banca, ma, inutile dirlo, dalla crisi lo era ancor di più. Preston era chino da ore sulle solite azioni ferroviarie, senza, tuttavia, trarvi grandi risultati. Le lasciò cadere, sbuffando e sistemando il cravattino sul completo scuro con stizza: aveva un gran mal di testa, un terribile mal di testa e la causa era Mary.
Aveva sinceramente creduto di aver finalmente trovato un’amica a Colorado Springs, una persona con cui essere se stesso e con cui conversare di tutto e di tutti. A quanto pareva, invece, Mary aveva di lui la stessa opinione di tutta la città, poco importava cosa facesse o non facesse. Il fatto che lo credesse un viziato figlio di papà che cercava disperatamente di assomigliare al padre l’aveva forse ferito più di tutto, anche se, tutto sommato, era vero. Non stava a lei giudicarlo, né proporsi per risolvere tutti i suoi problemi, come a lui non competeva ponderare cosa l’avesse spinta lì. Erano due estranei e lo sarebbero sempre stati. Eppure, gli mancava, forse come nessuno gli era mai mancato: gli mancava il modo in cui rideva, decisamente poco signorile, la sua sfacciataggine quasi impertinente e la sua intelligenza, che sfidava e teneva testa alla sua senza problemi, anzi, quasi divertendosi.
Quando sentì la porta della banca aprirsi, pensò fosse lei e tornò subito a seppellirsi nel lavoro, ma dovette sospirare nel distinguere una macchia rossa marciare verso di lui.
“Dorothy, è sempre un piacere!” mentì, rivolgendole un sorriso forzato. “Bando allo charme, Preston: sono qui per Mary.”
“Le è successo qualcosa?”
“Negli ultimi mesi le sono successe un bel po’ di cose, direi …”
Il banchiere la fissò, sconcertato. “Te l’ha detto?”
“Certo. Era disperata: da giorni ha mal di testa e prima è scoppiata a piangere perché … beh, perché ho suggerito qualcosa di impossibile vedendola così stanca.”
Preston annuì, abbassando lo sguardo con vergogna. “Sei venuta a dirmi quanto io sia deprecabile?”
“No, perché, paradossalmente, capisco tutti e due: so bene cosa significa non avere scelta e non l’avevate. Tu ti sei comportato fin troppo bene, credimi: un altro uomo avrebbe reclamato i suoi diritti senza farsi troppi problemi. Fortunatamente per lei, tu avrai tutti i difetti di questo mondo, ma ti conosco e so che non sei quel tipo di persona. Però … però eravate riusciti ad essere quantomeno amici, me l’ha detto lei. Ora, non so per cos’abbiate litigato e non voglio impicciarmi …”
“Certo, non sei Michaela.”
“Infatti non lo sono. Ma voglio semplicemente consigliarvi di riappacificarvi: non aiuterà nessuno stare così, a prescindere da quel che è successo. E, certamente, non aiuta neanche te perdere l’unica persona che ti sia stata vicina da anni a questa parte, o sbaglio?”
“Anche se fosse, sono abituato alla solitudine. Non so cosa farmene della compagnia della gente, men che meno di chi sembra vivere in un mondo di scoiattolini e coniglietti come tutti voi qui ...” sbottò il banchiere. “Ed ora ho molto da fare, se vuoi scusarmi …”
Dorothy sospirò, scuotendo il capo. “Sai, Preston, da Nube che Corre ho imparato molto, ma soprattutto che nulla avviene per caso. Il fatto che tu ed io siamo finiti a Colorado Springs non è un caso e, forse, non lo è nemmeno il fatto che il destino ci abbia mandato Mary, anche se, devo ammetterlo, è l’opposto del tipo di donna che normalmente guarderesti tu.”
“È testarda, insistente e sfacciata.”
“Ma anche molto intelligente, con un gran talento e, bisogna ammetterlo, bella.”
Al silenzio del banchiere, Dorothy riprese: “Quello che posso dirti è che la felicità è un po’ come una farfalla variopinta: più la inseguiamo a più ci sfugge. Ma può accadere che, quando meno ce l’aspettiamo, arrivi e si posi su di noi e, se lo fa, dobbiamo prenderla per com’è. E, forse, infischiarcene di tutto il resto.”
Detto ciò, la giornalista gli rivolse un’ultima occhiata e se ne andò, lasciandolo solo con i propri pensieri e la propria oramai familiare solitudine.

Angolo Autrice:
Bentornati/e!
Spero che la storia vi stia piacendo se siete arrivati fino a qui e, soprattutto, che i personaggi risultino sufficientemente verosimili agli originali, è la cosa a cui tengo di più. Dal prossimo capitolo entreremo più nel vivo della vicenda.
Grazie a chiunque passi di qui!
E.

 

  
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