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Autore: DragonEnya    24/03/2024    0 recensioni
[pokemon]
Quando i destini di due persone desiderose di rialzarsi si incontrano, ecco che tutto può cambiare. Lui si chiama N ed è l'ex re del Team Plasma, reduce da una reclusione in carcere, l'altro si chiama Virgil, membro della squadra di soccorso con una tragedia alle spalle. Una storia di amicizia tra due giovani ragazzi, che attraverso difficoltà oggettive imposte dai ruoli e dalle esistenze opposte che conducono, si farà prepotentemente strada tra la compassione e la durezza della vita. Vagheranno alla ricerca di sé stessi per potersi redimere e tentare di fare la differenza in quel mondo che sembra avercela con loro e di riabbracciare con impegno, l'amore per la vita. Reduci dalle sofferenze che tentano di lasciarsi alle spalle, si scontreranno e si supporteranno a vicenda per superare le difficoltà che il destino, come un tranello sadico gli metterà davanti, sfruttando un meccanismo di complementarietà che li plasmerà rendendoli molto uniti; attraverso il perdono e la difficile accettazione delle idee dell'altro, lotteranno con complicità e fiducia in una cosiddetta "terza crisi plasma" provando inoltre a realizzare i sogni abbandonati nel cassetto e l'incrocio dei loro destini cambierà per sempre le loro vite.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Ci rifugiammo all'ombra di un gruppo di fitti alberi. Eravamo stanchi, ansimanti per la corsa. Noah era distrutto dai dolori diffusi per il combattimento ma la spalla sembrava proprio tormentarlo e si sedette appoggiando le spalle contro un grosso tronco. Mi prodigai per rimettere in sede l'osso ma con scarsi risultati poiché provava così dolore che irrigidiva l'articolazione.
    «Se non rilassi il braccio non posso fare niente!» dissi spazientito dalla sua resistenza.

    «Ma fa male!»

    Troppo nervoso, ed ero sicuro che l'idea di ritrovarsi nuovamente in mia compagnia lo mettesse a disagio.
    «Lo capisco ... ma che cosa vuoi fare, rimanere col braccio a penzoloni? Ci metterò un secondo, tu girati dall'altra parte».
    Continuava a guardarsi intorno, probabilmente con la paura che sarebbero tornati per cercarci e questo impediva a me di procedere. Ebbi un'idea ed aguzzai l'ingegno: come avevo fatto altre volte in operazioni di soccorso simili, lo feci distrarre facendo un po' di scena. Mi finsi spaventato guardando verso una direzione e ci cascò, mentre io con un colpo deciso gli praticai la famosa manovra, a cui seguì un urlo acuto ed una faccia colta alla sprovvista. Lo zittii coprendogli le labbra.
    «Ah!» sospirai, terribilmente sorpreso da quella reazione a mio parere spropositata per un ragazzo di quell'età;
    «quanta scena!»

    «Mi hai massacrato accidenti!» mi rimproverò in modo secco.

    «Esagerato! È così che faccio con i bambini paurosi» dissi con tono ironico, per non ammettere che stavo trattenendo le risate. Non volevo offenderlo ma la sua reazione faceva troppo ridere e si era lamentato di meno quando Bartòn lo aveva steso come un bel tappeto persiano. Sarà stato l'effetto dell'adrenalina che mitiga il dolore.

    «Sei anche spiritoso adesso?» protestò imbronciato aggrottando le sopracciglia, dopodiché si stirò la pelle del viso con la mano sinistra fino ad alzarsi i capelli sulla fronte.

    «Scusami, ma non sapevo come fare» mi giustificai, anche se ero certo di aver fatto la cosa giusta. «Adesso va meglio?»

    Rilassò lo sguardo e si rese conto di aver enfatizzato troppo la reazione. Sorrise appoggiando nuovamente le spalle al tronco.
    «Decisamente ... ti ringrazio».

    «Sono io che devo ringraziare te, mi hai salvato la vita».

    «Allora mi sa che siamo pari».

    Allungò il braccio sano verso il suo zaino per aprirlo, ma con una sola mano ebbe difficoltà così lo aiutai. Le nostre dita si sovrapposero ed il suo sguardo schivo, forse imbarazzato rapì il mio.
Tirò fuori il mio tutore, che aveva piegato e conservato con cura e me lo restituì, ma io rifiutai.
    «Tienilo» gli dissi spingendolo leggermente con la mano «ti serve».
Glielo posizionai di nuovo ed un espressione di sollievo gli distese il volto. Con un sostegno a sorreggere il peso dell'arto avrebbe sofferto molto meno.
    «Dove hai imparato a lottare in quel modo?» gli chiesi incuriosito mentre gli aggiustavo meglio la fasciatura.

    «Solo istinto di sopravvivenza».

    «Davvero?» esclamai perplesso.
    «Quello che sai fare esula dal semplice fare a botte. Qualcuno ti ha addestrato».

    «Un corso di arti marziali ...».

    «Hai fatto il servizio militare?»

    «Beh ... si, ma con questo dove vuoi arrivare?»

     Le sue risposte così naturali avrebbero convinto chiunque ma non me. Continuava a nascondersi nelle profondità dei suoi sforzi mentali ma non infierii oltre perché lo vidi sanguinare dietro il collo. Mi avvicinai per toccarlo, portando la mia mano dietro la sua nuca e la ritirai rossa.

    «E questo?» chiesi stupito dal fatto che nemmeno lui se ne fosse accorto.
Era un colpo di coltello. Poco più in là e quel maciste gli avrebbe reciso la giugulare! Cielo!
Lo medicai approntando un rimedio per Pokémon che mi portavo sempre dietro ma che funzionava per tutte le ferite. Un po' di tintura e delle foglie curative di Laefeon per arrestare il sanguinamento poco copioso ed una improvvisata fasciatura realizzata con il fazzoletto di mia madre, che portavo sempre con me e da cui non avrei mai voluto separarmi. Era l'unica cosa che avevo per poterlo medicare, così senza pensare che non lo avrei più riavuto indietro, lo usai per fasciargli il collo.    Noah non oppose nessuna resistenza, anzi, chiuse gli occhi e mi lasciò fare. Si abbandonò a me e mi venne il freddo. Mi parse di intravedere il suo labbro sollevarsi lateralmente in una smorfia di piacere, come se volesse sorridere e ringraziarmi ma rimase in silenzio, facendo degli esercizi con la cassa toracica per controllare il respiro.

    «Grazie dottore ... e grazie Laefeon» replicò con un tono amichevole ed un sorriso accogliente, «tu sei ferito?»

    Ora che mi ci faceva pensare sentivo un gran dolore alla spalla che andava a sommarsi a quello della testa.
    «Quel tizio mi ha fatto sbattere contro il pilastro» ricordai portando una mano dietro la scapola ma senza arrivarci. «Mi fa male qua e mi sa che ho un'escoriazione».
    Mi sfilai il gilet rosso e mi tolsi la camicia. Noah mi disse che avevo una bella ferita che aveva tutta l'aria di dover essere ricucita.
Medicò la mia spalla con la stessa pazienza e dedizione che avevo usato con lui, poi Laefeon me la ricoprì con le sue foglie aromatizzate. Mi rivestii e lo ringraziai.
    Sospirò profondamente e dopo qualche secondo di silenzio, senza guardarmi negli occhi mi parlò spontaneamente.

    «Scusami se mi sono voltato male prima, non ce l'avevo con te. Mi dispiace di averti trattato in quel modo, davvero».

    Era tornato quello di sempre così come lo conoscevo.
    «Non importa. Capisco che la situazione non fosse delle migliori» risposi per rassicurarlo che non ce l'avessi con lui, non per quel banale motivo almeno.
Era pensieroso, forse triste non saprei, ma si vedeva che soffriva. Ma per cosa? Rimasi a fissarlo per qualche secondo pensando che fosse una pena essere al cospetto di qualcuno che non sai come aiutare o peggio, che rifiuta il tuo aiuto. Un duro colpo per uno che crede nel lavoro che svolge. Ad un tratto però, come se nulla fosse successo, Noah si riprese cambiando umore.

    «Dove hai imparato a trattare così le ferite? Sei davvero bravo. Sicuro di non essere stato un medico o un infermiere in un'altra vita?»

    Forse era bipolare, non sapevo che cosa pensare.
    «E chi può dirlo» risposi d'istinto «ho fatto dei corsi di soccorso avanzato, così, per passione. Curare le ferite e i malesseri è qualcosa che mi fa stare bene, sento che in questo modo dono il mio contributo al mondo».

    «Lo pensi davvero?»

    «Che cosa?»

    «Vuoi veramente dare un contributo per migliorare il mondo?»

    «Beh ... ma certo ... faccio solo del mio meglio ... »

    «Non mi sembri convinto. Cos'è che ti preoccupa?»

    «Perché dovrei parlarne con te?».
    Adesso era lui che voleva aiutare me? Ero arrabbiato per le cose che mi nascondeva e mi chiusi a riccio. Perché avrei dovuto raccontargli la mia vita se lui non voleva fare lo stesso con la sua? Le mie parole un po' indurite dipinsero un velo di rassegnata afflizione sul suo viso e un po' mi dispiacque.

    «Io ... » esordì alzando gli occhi e distogliendo lo sguardo subito dopo, come quando si prova vergogna «non sono perfetto è vero. Sarò anche strano e antipatico lo ammetto; quello che però ammiro nelle persone come te è la voglia di migliorare quando quello che fanno non gli basta più».

    Wow ... Era proprio così che mi sentivo. Quello sconosciuto senza collocazione spazio temporale, dall'identità forestiera e solare mi smosse l'animo. Cosa c'era di così attraente in una persona che non voleva condividere nulla? Nel mio momento iniziale di scrutargli dentro, non mi passò per la testa che forse non poteva confidarsi con me. La sua fase di svisceramento dei miei moti interiori proseguì.

    «Hai il tipico atteggiamento di chi ha abbandonato il proprio sogno per un motivo non ancora risolto» aggiunse lasciandomi meramente spiazzato. Era andato a segno! Che fosse un sensitivo? Solo in seguito capii che le sue intuizioni nascessero dalla lettura della mente dei miei Pokémon che sapevano tutto di me ed involontariamente pensavano. Utilizzò spesso questa tecnica nel corso degli anni per sorprendere le persone.

    «Si ... ho abbandonato il mio sogno, qualche anno fa» decretai.

    «Perché?»

Era ovvio ma non avrei voluto ammetterlo anche se forse se lo immaginava già.

    «È per via della tua perdita?» insistette per forzare il mio silenzio, provocando una riluttanza nel rispondere.

    «Già ... ero arrabbiato per quello che è successo a mia madre e non ho retto al dispiacere. Adesso mi sento incompleto, quando invece vorrei fare la differenza nel mondo. Sono sempre alla costante ricerca di qualcosa che mi sfugge continuamente e vedo la mia vita scorrere al 50%».

    «Non mi piacciono le cifre tonde, facciamo 49,8%?».

    «Fa lo stesso» dissi sorridendo a stento, per non dire che non me ne fregava nulla di quello che aveva appena detto. Cifra più o cifra meno, che differenza poteva fare?   
    Evidentemente doveva essere un fissato dei numeri.

    «Qual è il tuo sogno?»

    E ti pareva ... ma perché tutte queste domande così personali?
    «Che importanza ha? Oramai ci ho rinunciato».

    «È davvero triste. Ne vorresti parlare?»

    "Col cavolo!" Pensai nella mia testa ma mi trattenni per essere educato.
    «Mi spiace ma non lo condivido con nessuno, per di più con degli estranei».

    «Certo ... lo capisco, non fa nulla. Sono sicuro che non lo hai messo davvero da parte. I sogni non svaniscono finché non li abbandoni e se continui a parlarne con rammarico anche se è passato tempo, vuol dire che ci credi ancora, solo che non trovi la forza per metterti all'opera. Il desiderio continua a bussare alla tua porta, ma tu hai serrato forte il chiavistello e fai fatica a riaprirlo. Sono certo che la forza per sbloccarlo sia dentro di te».

    La forza ... dopo quattro anni non ne avevo più e continuavo a perderla: la forza di andare avanti senza una meta e senza di lei.
    «Non lo so Noah, non mi sento ancora pronto». E forse non lo sarei stato mai più.

    «Non smettere mai di credere che tu abbia la capacità di realizzare i tuoi sogni».

    Che mi avesse letto nel pensiero? Avrei giurato che fosse un motivatore che trascina le persone fuori dal fango in cui sono cadute, e che non riescono ad alzarsi per la vergogna del sudiciume che hanno addosso. Avevo bisogno di persone del genere nella mia vita per poterla riprendere da dove l'avevo messa in ibernazione. Mi scrollai dalla testa quello spirito di ottimismo ovattato con cui le sue parole mi avevano stregato e tornai al mondo reale. Non mi ero dimenticato di tutto quello che era successo e mi feci serio.
    «Ho bisogno di sapere. Dimmi che cosa stai combinando. Perché un tecnico informatico si caccia sempre nei guai? Perché si immischia in faccende di cui dovrebbe occuparsi la polizia? Che cosa credevi di fare qui da solo?»

    «Ecco che il poliziotto ficcanaso ricomincia a lavorare ...» protestò borbottando ed io ripresi quel discorso anche se lui non ne aveva voglia.

    «Dimmi chi erano quelle persone e soprattutto perché ti danno la caccia».

    Puntò gli occhi castani verso il cielo, e le nuvole gli restituirono uno falso e rassegnato sguardo che non mi convinceva affatto.

    «Queste persone devono essere fermate, tramano qualcosa in giro per la regione ed io devo scoprire che cosa hanno in mente».

    «Aspetta, aspetta, fammi capire ... sei un membro della polizia internazionale sotto copertura? Io collaboro con la polizia e posso giustificare la mia presenza qui ma tu ...» dissi puntandogli il dito contro, «che titolo hai per metterti ad indagare?»

    «Non posso rivelarti di un agente sotto copertura, sennò dove sarebbe la riservatezza?»

    Astuto il ragazzo ma con me non attacca. Le mie pressanti domande tuttavia, non fecero altro che generare in lui la reazione opposta a quella da me desiderata, proprio come quando era a casa mia. Il mio istinto di cercare sempre la verità, anche a costo di prevaricare sull'intimità degli altri contrastava con i miei ideali di passione e pazienza che di solito utilizzavo nel mio lavoro. Mi dava sui nervi quel guscio in cui si ritraeva, e più si chiudeva, più metteva entrambi nei guai.
    Si alzò di scatto e mi parlò deciso.

    «Stammi a sentire agente Evan ... tu mi hai aiutato ed io ho ricambiato. Siamo pari e non ti devo più niente! Quello che faccio non ti riguarda!»

    «Invece mi riguarda eccome! Perché te ne sei andato da casa mia?»

    «Perché hai rischiato la vita. Ho messo in pericolo la tua famiglia e quando sono andato via dopo che tu hai perso i sensi, mi sono sentito in colpa».

    «In colpa per cosa? Nessuno può vivere come fai tu: costantemente in pericolo e con la speranza che qualcuno ti tiri fuori dai guai in cui ti cacci, o in cui sei coinvolto. Dimmi chi sono quelle persone e che cosa vogliono da te, prima che facciano del male a qualcun'altro».

    «Io non voglio immischiarmi negli affari della polizia. Fatti aiutare da loro. L'unica cosa che devi capire è che non dobbiamo più vederci».

Non era un poliziotto, di questo ne ero sicuro, ma allora chi?
    «Non puoi chiedermi di voltarmi dall'altra parte facendo finta di niente. Ci sono dei criminali che ti cercano per non so quale motivo, vieni qua a piantar grane con gente pericolosa, è naturale che mi faccia delle domande. E non venirmi a ripetere che non conosci quelle persone, perché vi siete chiamati per nome ed anche quei tre che si fanno osannare come il Trio Oscuro fanno parte della stesso gruppo. Si può sapere chi sono?»

    «Non sai chi sia il Trio Oscuro?»

    «Ehm ... no. Dovrei?»

    «Dimenticavo che durante le crisi plasma non eri presente perché viaggiavi fuori da Unima» si lamentò voltandosi e camminando di scatto verso la direzione opposta, come a voler dire: "Ma questo dove vive?".

    «Perché, tu eri presente invece? Non hai detto che sei di Sinnoh?»

    «Si ma vivo qui da qualche anno ormai».

    Scossi il capo per il disappunto. Era pessimo a mentire quello strano ragazzo dallo sguardo torvo. E questo Trio Oscuro che a quanto pare aveva una fama da me involontariamente ignorata, doveva appartenere ad un'organizzazione criminale più grande di quanto io stesso immaginassi.

    «Perché ti chiamano N dato che il tuo nome è Noah?»

    «Con quale lettera inizia il mio nome signor Evan? Ma dico, non ci arrivi?»

    «Già ... perché quella notte il tuo Pokémon non era con te per proteggerti e perché non ci hai aiutati ad uscire poco fa, invece di subire quel pestaggio gratuito che ti è quasi costato la testa?»

    «Di quale Pokémon stai parlando?»

    Incredibile, continuava a negare l'evidenza, ma adesso lo avrei sistemato a dovere ...
    «Quello Zoroak con cui stavi lottando all'ex deposito frigo. Te lo ha mai detto nessuno che non sei bravo a mentire?»
    Lo colsi alla sprovvista, anche se i miei discorsi lo fecero andare in protezione.

    «È incredibile ... riesci a ficcare il naso nella mia vita anche a migliaia di chilometri da casa tua! Che cosa pensi di fare?»

    «Non voglio immischiarmi nel tuoi affari ma tu ... mi devi delle informazioni e sei in pericolo».

    «Sono perfettamente in grado di fendermi! Quella sera è stata solo una distrazione e oggi sei stato tu a mettermi in pericolo perché me la stavo cavando benissimo da solo. Non capisci che più mi stai addosso e più ci metti nei guai? Se la prenderanno ancora con te se non mi starai alla larga. Ti sei dimenticato di cosa hanno fatto a casa tua?»

    «Ho visto cosa sanno fare ma anche che cosa sai fare tu. Loro non mi preoccupano».

    «Invece dovrebbero ... le abilità di allenatore che hai, e quelle di difenderti che non hai ... non bastano per contrastarli e te lo hanno dimostrato».

    «Invece a quanto pare tu sei il re delle lotte! Mi devi una spiegazione dato quello che è successo, e visto come la mia famiglia si sia trovata in pericolo perché ti ho portato in casa mia».

    «Il re delle lotte? Dico ma sei serio? Quel tipo mi ha quasi ammazzato! Mi dispiace se sono capitato giusto da te. La prossima volta guarderò il nome scritto sulla porta e poi cercherò di domare il mio istinto di sopravvivenza. Lasciami in pace, non chiedo altro!»

    «No, io non me ne vado, voglio sapere. Se non vuoi collaborare mi vedrò costretto a trascinarti dalla polizia».

    «Mi ritengo una persona paziente ed equilibrata ma tutto ha un limite signor Evan. Non amo essere messo alle strette e tu mi stai provocando».

    «Mi stai forse minacciando?»
Forse lo stavo spingendo oltre i limiti della sopportazione e più lo interrogavo più la mia voce si ritirava in un fremito di timore. Così forte nella lotta e così ambiguo, e quel Pokémon raro e spaventoso che lo spalleggiava. L'istinto mi suggerì di andarci piano perché non sapevo che cosa aspettarmi da lui. Noah era al limite e osò alzare il tiro.

    «E se anche fosse?»

    «Come ti chiami?»

    «Scusa?»

    «Sicuro di chiamarti davvero Noah Levin?»

    «Lo chiedi a me?»

    «Si a te. Fammi vedere la denuncia di smarrimento dei tuoi documenti».

    «Non sono tenuta a mostrartela».

    «Sono un pubblico ufficiale quindi sei tenuto eccome, e ho anche il potere di arrestarti se necessario».

    «Ahahah! Questa te la sei appena inventata. Scendi dal piedistallo, perché non sei altro che un ragazzino che gioca a fare il poliziotto».

    «Da come vai sulla difensiva, deduco che non hai fatto nessuna denuncia».

    «Che t'importa?».

    «Forse perché non ti conviene».
    Vedendo l'espressione contrariata nei suoi occhi, il mio cuore accelerò improvvisamente e l'ennesimo brivido mi percosse come una scarica elettrica lungo la spina dorsale.
Forse senza accorgermene stavo prendendo parte ad un gioco pericoloso e sfidare una persona sconosciuta dopo averne constatato le abilità, iniziava davvero a spaventarmi; tuttavia la mia curiosità prese ancora il sopravvento e provai a mitigare il clima.
    «Perché non risolviamo la questione alla maniera degli allenatori?»

    «E sarebbe?»

    «Con una lotta Pokémon naturalmente».

    «Ancora con questa storia? Io non lotto!»

    «Visto che continui a mentire, sarò costretto a trascinarti dalla polizia con la forza».
    Feci finta di premere il tasto di emergenza per chiamare la polizia, enfatizzando il gesto e lui ci credé.

    «Hai chiamato davvero la polizia?»

    «Certamente, io non scherzo».

    «Perché non mi porti dentro tu dato che ne hai i poteri?»

    «È quello che farò dopo averti umiliato con i miei Pokémon».

    «Quindi è così che ti comporti con tutti quelli che non fanno come dici tu?»

    «Solo con chi si rifiuta di collaborare».
    Tirai fuori dalla tasca anteriore del mio gilet le mie fedeli manette e feci il gesto di arrestarlo, il che provocò in lui una risata di compassione isterica. Una strana foschia iniziò ad avvolgerci ma questa volta non mi sarei fatto mettere nel sacco da quei due.
Prima che sparisse come da copione, chiamai Umbreon e gli dissi di non perderlo di vista. Il mio compagno d'avventure peloso lanciò il suo attacco chiamato inseguimento, capace di braccare e colpire un bersaglio anche se non è visibile o se si allontana velocemente. La foschia oscurò la vista e partì il tallonamento. Questa volta ero deciso a non lasciarlo scappare.
    Il raggio controllato da Umbreon, scovò Noah in mezzo al bosco e lo stese. Quando lo raggiunsi lo vidi per terra sofferente, in bilico sul bordo di una cascata.
Era contorto dal dolore perché aveva incassato un brutto colpo e mi sgridò col poco fiato che aveva.

    «Come ti è saltato in mente di farmi colpire da Umbreon in quel modo? Sei fuori di testa?» urlò ansimando e gemendo per terra.

    In effetti avevo esagerato dato che era anche infortunato, senza calcolare il contraccolpo di un attacco che su un essere umano ha effetti più distruttivi rispetto ad un Pokémon, il quale ha la forza e la prontezza per difendersi meglio di un umano.

    «Scusami ... ma non ho alcuna intenzione di lasciarti scappare».

    Si alzò con fatica sul sottile cordolo in cui si era accasciato per il colpo e gli porsi aiuto che lui prontamente rifiutò, facendo il gesto di scostare la mia mano.
    Che testardo che era.
    «Non puoi sfuggirmi Noah ... vieni con me senza fare altre storie, è meglio».
    Gemette infastidito e iniziò a trascinarsi per attraversare il bordo stretto del sentiero sopra la cascata, rischiando più volte di precipitare.

    «Fermati! Così cadrai di sotto!» Urlai davvero preoccupato.
     L'ultima cosa che volevo era andare a recuperare un cadavere sfracellato sulle rocce sporgenti che affioravano dall'acqua sottostante. Non mi ascoltò, evidentemente era deciso a fuggire.
Scelsi di seguirlo assumendomi il rischio di finire giù ma feci uscire Espeon, il mio Pokémon psico dicendogli di prenderci al volo se mai fosse successo. Noah si trovò la strada sbarrata da una frana e non poté proseguire, di fatto la sua corsa terminò lì.
    «Non è il tuo giorno fortunato oggi» decretai con un pizzico di soddisfazione.
Feci alcuni passi verso di lui per aiutarlo a tornare indietro, ma non mi diede retta e cercò di scalare le pietre che gli ostruivano il passaggio, una vera e propria follia con un solo braccio, e da esperto di sentieri di montagna qual ero, sapevo che non li avrebbe mai superati illeso.
    Avanzai ancora, mentre cercavo di farlo ragionare ma giuntò a metà del cordolo, il terreno mi mancò sotto i piedi e fui io a scivolare lungo le rocce, aggrappandomi ad una sporgenza tagliente che mi ferì la mano. Vidi Noah tornare verso di me muovendosi carponi verso ciò che rimaneva del breve sentiero che ci divideva e mi afferrò per un braccio. A causa del nostro peso però, l'intero cordolo franò catapultandoci entrambi verso la cascata. Saremmo stati spacciati se Espeon non ci avesse presi al volo con i suoi poteri psichici, facendoci levitare gradualmente verso il suolo, di lato alla cascata.

    «Stai bene Virgil?» mi disse come se fosse davvero preoccupato per me.

    «Si ... non grazie a te però!» lo rimproverai seccato.

    «Bel ringraziamento agente Evan. Sarei anche potuto scappare e lasciarti a penzolare sulla cascata».

    «Dove vuoi andare in quelle condizioni? E poi non mi sarei schiantato, ho una squadra che mi aiuta».

    «Va bene ma adesso basta con le domande ... che cosa credevi di fare venendomi dietro?»

    «Tu cosa credevi di fare scappando? Ma ti sei visto? Sei infortunato e ti metti a giocare a guardie e ladri?»

    «Non sto giocando, cerco di liberarmi di te con garbo».

    Che assurdità. Dovevo capire perché non voleva condividere le informazioni con me; perché appariva così restio nel rivelarmi l'identità di quei tipi che ci hanno dato fastidio e soprattutto come avesse fatto a far ragionare il mio Umbreon quando era sotto il controllo di quel trio di svitati a casa mia.
    «Dimmi perché i Pokémon ti ascoltano a prescindere se sei o meno il loro allenatore. Come ci riesci?»

    Probabilmente estenuato dalla mia insistenza e desideroso di liberarsi di me il prima possibile, iniziò a cedere.

    «So farlo da sempre! È una sorta di empatia, come l'hai definita quando eravamo a casa tua, che ho sviluppato nel tempo».

    «Empatia? Ormai ci sono dentro, quindi tanto vale che mi racconti la verità».

    Esasperato ma mantenendosi nei ranghi, mi rivolse una domanda:

   «è legittimo invece chiederti il perché tu mi stia seguendo? Perché ti interessi così tanto a me? Deve esserci per forza un motivo».

    «Perché sei coinvolto in qualcosa che voglio scoprire. Voglio sapere di quegli uomini che ti hanno inseguito fino a casa mia, di quelli che ci hanno presi al deposito frigo, voglio sapere chi è il Trio Oscuro e se tu non mi dirai cio che sai, ti renderai loro complice. Lo dico per te, perché ti potrebbe finire male».

    «Certo, come no. Questa conversazione è diventata alquanto noiosa. Scommetto che sotto qualcos'altro invece».

    «Non c'è nient'altro» risposi risoluto.

    «Anche tu non sai mentire. Io so ascoltare i Pokémon ma capisco quando le persone mi nascondono qualcosa. Dimmi perché mi stai seguendo!»

    Lo aveva ammesso finalmente, ma io mi ero altamente stancato del fatto che tentasse di rigirare la frittata, e decisi di comportarmi in maniera inusuale. Ordinai ad Umbreon di colpirlo con attacco pallaombra. Alle mie parole rimase scioccato. Credo che ritenesse surreale che io stessi aizzando nuovamente il mio Pokémon contro di lui, ma lo feci solo perché sapevo il fatto mio, non volevo mica fargli del male.

    «Che cosa fai ...» I suoi occhi si inondarono di stupore ed incredulità. Indietreggiò. Un attacco palla ombra su un essere umano è molto pericoloso e può causare danni gravi, ma come previsto, il suo Pokémon intervenne per difenderlo e finalmente venne allo scoperto, alzando uno scudo di protezione come quello con cui lo aveva protetto da quegli uomini prima. Soddisfatto, continuai ad ordinare attacchi ripetuti e potenti a raffica per non dargli tregua, soprattutto per metterlo alla prova come presunto allenatore, e spazientito dalla mia foga, finalmente rispose a tono contrattaccando.
    Si alzò un gran polverone che mi bruciò gli occhi e quando lo feci sparire grazie a Vaporeon ed al suo getto d'acqua nebulizzato che ripulì l'aria, Umbreon era a terra sconfitto e Zoroak mi aveva immobilizzato in un attimo e mi teneva fermo contro un albero, ringhiando e mostrandomi denti e artigli affilati.
Un po' intimorito mi arresi, anche se ero quasi sicuro che Noah non avesse intenzioni cattive verso di me; lo avevo solo fatto arrabbiare.
    «D'accordo hai vinto ... puoi dire a Zoroak di lasciarmi?»

    «Io non do ordini a Zoroak. Chiedilo direttamente a lui e vedi se riesci a convincerlo» sbuffò portando una mano al fianco.

    Guardai gli occhi azzurro cristallo bordati di amaranto di quel Pokémon che da vicino faceva veramente paura, e senza che dicessi nulla, mi mollò e sparì in un battito di ciglia.
Mi ricomposi l'uniforme e richiamai sia Umbreon che Vaporeaon e per qualche secondo ci fu un silenzio da landa desolata. Inutile negarlo, Noah ed il suo Pokémon erano troppo forti anche per un detentore di titolo della lega Pokémon come me. Quella sconfitta bruciava ma non lo diedi a vedere.
    «Lo sapevo ... » attaccai «finalmente sei venuto allo scoperto. Perché non hai detto che sei un allenatore?»
    Ero sbalordito. Sapevo bene che questo Pokémon potesse assumere qualsiasi sembianza, umana o Pokémon, infatti è chiamato il Pokémon mutevolpe. Gli Zoroak sono conosciuti come i re delle illusioni e se un essere umano si introduce nel loro territorio, rischia di perdersi nel bosco per giorni, o addirittura per settimane, perché l'illusione è la loro arma di difesa più efficace per confondere i nemici.
    «Zoroak è uno dei tipi buio più forti ed è anche estremamente raro. Non avevo mai visto una persona allevarne uno, anzi ... non avevo mai visto uno Zoroak di presenza. Ti si addice proprio come compagno».

    «Sei molto preparato sull'argomento ma ... con questo che cosa hai voluto dimostrare?»

    «Che sei un bugiardo. Ti ho colto di sorpresa e non mi sono neppure risparmiato, eppure tu non hai battuto ciglio e ti sei prontamente difeso, sei fuori dal normale, un degno allenatore. Hai partecipato al torneo qualche anno fa per caso?»

    «Certo che no! Te l'ho già detto ... »

    «Dove ti sei formato come allenatore? Non ci credo che sei un autodidatta. Avrai pure fatto un percorso».
    Serrò il pugno sinistro lungo il fianco ma si riprese subito. Era un tipo abituato all'autocontrollo e si vedeva. Credo di avergli rotto talmente le scatole che se fosse stato come quel Bartòn, mi avrebbe strozzato con le sue mani ma io non avevo più paura di lui né del suo Pokémon. Piuttosto mi spaventava non riuscire a venire a capo della questione. Dovevo farlo parlare, a tutti i costi.
    «Sei sorpreso che io l'abbia scoperto?»
    Gli chiesi molto sicuro di me. A lui tuttavia sembrava non interessare affatto e dissolto quell'accenno di rabbia, distese la mano e prese appositamente un argomento che mi fece vergognare.

    «Non m'interessa, anzi, adesso sai che non puoi battermi e ti conviene farti da parte» replicò con tono serio ma senza scomporsi. Alla faccia della modestia, ma dovevo dargliene atto. «A proposito ... » pronunciò soave scrollandosi la polvere di dosso «com'è andato il tuo incontro con i Superquattro della Lega?»

    Il tono canzonatorio, il suo ghigno da presa in giro mi fece ribollire il sangue come il magma fluido di una camera magmatica sottoposta alle esplosioni di gas. Non solo ero stato facilmente battuto da lui, dovetti ammettere anche la sconfitta che avevo subito da Mirton, come da suo copione.
Gli scappò un sorrisetto ma cercò di trattenersi; si vedeva che moriva dalla voglia di sbattermi in faccia che mi aveva avvertito ... e che ne sapesse più di me.

    «D'accordo ... puoi anche ripeterlo che non ne ero all'altezza, del resto tu sai tante cose».
    Si mise a ridere, anzi, sembrava proprio che mi stesse deridendo. Ero diventato paonazzo dalla rabbia e dalla vergogna. Ero il campione in carica del torneo della Lega di Unima disputata poco tempo prima, avevo sbaragliato decine di allenatori, anche molto forti ma ero appena stato sconfitto ed umiliato da un trainer di passaggio.

    «Ci tenevi così tanto ad avere quel titolo?» mi domandò con una sorta di disgusto.

    Snobbava la Lega. Ma perché mai un allenatore dovrebbe farlo? Il torneo rappresenta un'opportunità per misurare le proprie capacità tecniche e strategiche e confrontarle con altri allenatori per crescere. A che scopo sminuire una competizione così importante? E poi ... diventare campione regionale assoluto rappresenta un sogno per tutti gli allenatori. Certo che in giro ce n'è di gente strana.
    «Perché no?» risposi con decisione, «in fondo anche quella sarebbe una soddisfazione».

    «È a questo che aspiri sperando di migliorare te stesso?» mi domandò venendo verso di me come se avessi appena detto una brutta parola.

    «Risparmiami la predica per favore ... che cosa te ne importa di come lavoro sulla mia autostima?»

    «Autostima? Ma fammi il piacere. La percentuale della tua autostima sta tre metri sotto ai tuoi piedi. Prima piagnucoli che non sei contento della tua vita, fai la vittima perché hai perso tua madre e poi mi vieni a parlare di importanti opportunità come "strappare il titolo di zimbello dell'anno alla campionessa in carica?»

    Il mio vulcano eruttò con una forza tale e profonda che sembrava giungere direttamente dal centro della terra, dal nucleo del mondo ed esplose. Nessuno poteva sminuire a tal punto il dolore ed i sentimenti che fanno parte della mia crescita, fisica e spirituale. Nessuno può parlare di mia madre, schernendo le lacrime generate dal dolore che provo per la sua perdita come se fosse ieri. Avrei voluto prendere a sberle quel prepotente ma cercai per quanto possibile di mantenere la calma.
    «Come ti permetti di parlarmi in questo modo? Tu non sei nessuno per giudicarmi!».

    «Tipico atteggiamento difensivo delle persone insicure e fallite» replicò duramente senza nemmeno darmi il tempo di replicare.
Non c'era modo di arrestare le sue parole sadiche e demotivanti. Avrei voluto prendere quel presuntuoso per il  colletto e tirargli un bel pugno in faccia ed insegnargli un pizzico di educazione ma evitai.
    «Credi pure quello che vuoi, ma il mese prossimo tornerò alla lega e vincerò pensando a te. Ti darò una lezione morale visto che non sono abituato ad utilizzare le mani in modo improprio».

    «Con questo atteggiamento non andrai lontano. Il mio consiglio è di tornare a vivere perché in questo modo stai facendo morire anche tuo padre e tuo fratello che si angosciano per te. Li ho sentiti sai? Non si danno pace perché sei irrequieto e gli dai troppi pensieri. Devi incanalare questo dolore altrimenti il sentimento di vendetta ti consumerà. Te lo do come consiglio da amico perché anche io ci sono passato».

    «Non siamo amici».

    «Ne prenderò atto».

    Dovevo ricompormi. Voleva confondermi per creare un diversivo e darsi alla fuga senza sapere quanto invece tenesse a me e volesse aiutarmi, ma ero troppo arrabbiato, troppo contrariato per capirlo. Chissà perché invece forse lo invidiavo. Ero così stupito di trovarmi davanti ad un allenatore del suo calibro che aveva avuto la capacità di allevare uno Zorua, fino a farlo evolvere in Zoroak. Gli Zorua hanno un tasso di allevamento molto lento, ci vogliono tanti anni per farli crescere e infinite sessioni di allenamento ed il suo era già evoluto; questo significava che il Pokémon fosse con lui da tanto tempo e che ci avessero dato dentro con gli allenamenti. Gli Zoroak sono considerati delle leggende, quasi al pari dei Pokémon leggendari per il loro carattere e la loro forza. Allevare uno Zoroak in termini di tempo equivale a far crescere un bambino fino a farlo diventare adulto ed in termini di difficoltà ... non saprei, ma è molto complicato e lui ci era riuscito.
Un Pokémon straordinario e dall'aspetto inquietante, con sembianze di volpe che su due zampe non supera l'altezza di un uomo adulto. Chiunque se lo ritrovi davanti prova terrore poiché il suo aspetto appare cattivo; gli Zoroak sono Pokémon che difendono il territorio e i propri piccoli e solo se si sentono minacciati diventano aggressivi. In generale non si fidano degli esseri umani ed i casi di amicizia con loro sono davvero rari. Questo dimostrava che Noah possedesse qualcosa che altri allenatori non avevano, delle abilità speciali, fuori dall'ordinario e fu allora che ricordai le parole di mio padre : «"fuori da ogni comprensione umana"».
    Fui assalito da così tanti dubbi che gli stessi facevano a botte nel mio cervello con l'intento di prevaricare. Ero deciso ad andare fino in fondo a costo di perdere tutto, anche la dignità.
    «Adesso spiegami in che genere di traffici sei coinvolto. Pensi che mi sia bevuto la storia del perito informatico?»
Continuai il mio interrogatorio come se niente fosse, dimenticandomi della sfuriata che mi aveva costretto a fare denigrando la mia voglia di essere un discreto allenatore.

    «Pensala come vuoi» mi rimproverò, stavolta con tono piu rassegnato «ma sai una cosa? Prendi troppo sul serio il tuo lavoro, dovresti rilassarti un po' e preoccuparti di più di quelli che hai intorno invece di pensare solo a quello  he vuoi tu. Veniamo al dunque: mi dici una buona volta cosa ti spinge ad interessarti tanto a me?»

    Quelle parole mi tolsero il fiato. Davvero apparivo cosiegousta agli occhi della gente? Che giornata orribile quella in cui ti viene sbattuta in faccia la realtà. Mi rassegnai e lasciai scivolare via la mia durezza, valutando che forse era quello il problema. Pensai che forse cominciando a fare il primo passo aprendomi a lui, anche quelle labbra rosate e tenaci come tenaglie si sarebbero allentate. Decisi di raccontargli quello che avevo visto, cercando di ricostruire i ricordi confusi di queste notti, a partire da quella fatidica in cui ci eravamo conosciuti.

    «Sarà stupido ma te lo dirò».

    «Alla buonora ... »

    «Piantala ... ho delle visioni».

    «Sei un visionario?»

    Il suo sguardo interrogò il mio essere interiore, lo si vedeva dai movimenti facciali involontari che faceva, questo voleva dire che avevo toccato un tasto per lui interessante e giocava a mio vantaggio. Forse avevo trovato la chiave per aprire il suo forziere blindato, abbandonato nei fondali marini più profondi e dimenticati.
    «Si. Cioè ... no, non lo so. Quando ti ho toccato per soccorrerti ho visto cose ... »

    «Hai detto quando mi hai toccato? Ho capito bene?»

    «Si. Prima di incontrarti non mi era mai successo».

    «Continua».

    «Dopo quella notte ne ho avute tante, tutte diverse nelle loro manifestazioni ma con dei punti sempre in comune.
Ci sono delle strane creature che con i loro raggi devastano Unima. Non riesco a distinguere che cosa siano, tutto è confuso. Vedo poi uno spirito che scaglia fulmini ed uno che emana fuoco, anche se non capisco se lottano tra loro oppure contro le creature, tutto è annebbiato».
    Lo avevo incuriosito a tal punto da vedere il suo corpo tendere verso di me, come in uno stato di totale abbandono. Era così preso dal mio racconto che avrei potuto benissimo colpirlo e trascinarlo dalla polizia, cosa che ero ansioso di fare ma ero troppo frenato, perché come una calamita, ero attratto dall'alone di mistero che lo avvolgeva, e non mi aveva ancora rivelato chi fossero quelle persone con cui avevamo avuto un pressoché "amichevole" scambio di sonore opinioni. Poi mi ricordai anche del suo Pokémon, e di certo non volevo finire sbranato o dilaniato dalle sue rudi fauci.
    Mi rivolse una curiosa ma attenta espressione pensante inarcando un sopracciglio ed abbassando l'altro. Cercava con la mente di venirne a capo.

    «Delle creature che lanciano raggi di energia ... uhm ... sapresti descriverle meglio?» mi chiese con vero interesse.

    «Sembrano insetti, ma non ne sono sicuro».

    «E pensi che io sia in qualche modo coinvolto?»

    «Le visioni sono incominciate proprio quella notte. Voglio solo capirne il significato e tu ... hai la stessa capacità di sentire le voci interiori dei Pokémon, proprio come N del Team Plasma. Conosci la sua storia? Lui ha lottato con i Pokémon leggendari».

    «Si, ne ho sentito parlare. Cosa c'entro però io con lui?»

    «Avete le stesse capacità: sapete comunicare con i Pokémon, siete dei bravi allenatori e lui - questa è una cosa che mi ha detto mio fratello quando lo aveva incontrato qualche anno addietro - aveva uno Zorua con sé e gli Zorua sono troppo rari».

    «Il branco del mio Zoroak è parecchio numeroso invece e solo che sono rare le amicizie con gli esseri umani ...»

    «Appunto!» Non ci arrivava o non voleva?

    «Ok frena ... N ha i capelli lunghi e gli occhi azzurri, e tu sei venuto a cercare me, che ho i capelli corti e gli occhi castani? E poi lui sta ai servizi sociali. Scusami ma ... hai le idee parecchio confuse».

    «Ah ma allora hai in mente di chi sto parlando? O forse sei tu ad essere confuso? Dimmi se queste non sono delle coincidenze».

    «Lo sono. Sono solo coincidenze».

    «Ti ho rivelato il motivo per cui ti sto dietro, adesso tocca te. Voglio sgominare questa banda armata. Collabora con me, altrimenti sarò costretto a segnalarti alla polizia».

    «So che tuo padre mi ha già segnalato e grazie a voi adesso devo tenermi lontano dalle città e guardarmi dalla polizia a causa dell'identikit che gli avete fornito».

    «Te la sei cercata. Cosa c'è? Sei ricercato dalla polizia e non vuoi incontrarla?»

    «Non sono un ricercato agente Evan».

«Allora qual è il problema? Vieni al mio elicottero, ti darò un passaggio così potremo sederci a parlare per decidere insieme come procedere».

    «No».

    «Oh Andiamo!» sbottai infastidito   
    «sono fuori casa da tutta la mattina e fra poco vorranno sapere che fine ho fatto! Mi hai fatto perdere un mucchio di tempo inutile e ...»
    Mentre mi facevo trasportare da un estenuato scatto d'ira, contrapposto all'impassibile espressione rilassata di quell'individuo con le braccia incrociate, che mi faceva dar di matto, il mio cellulare si mise a squillare. Era mio padre. Mi avrebbe chiesto sicuramente conto della missione e di dove mi fossi cacciato per tutta la mattina visto che era già ora di pranzo.
    Iniziai a sudare e ad avere le palpitazioni. Avrei dovuto fare rapporto ma con tutto quello che era successo lo avevo completamente dimenticato. Piombai in un visibile stato di panico, mentre in quei secondi infiniti di squilli cercavo di comporre una buona scusa con le poche parole che balzavano nella mia testa vuota. Ero sicuro che dopo la nostra visita all'ex deposito, quelle ancora ignote persone se la fossero data a gambe visto che peraltro mi avevano riconosciuto come agente speciale.
    Guardai in faccia Noah che con una mano davanti la bocca tentava di coprire un sorrisetto sghembo, compiaciuto per la catastrofe che a breve si sarebbe abbattuta come una scure sulla mia sommità.
    «Pronto?» risposi avvicinando l'orologio al viso.

    «Virgil ... va tutto bene lì?»

    «Alla grande papà».

    «Hai scoperto qualcosa in seguito alla segnalazione? Aspettavo di avere tue notizie».

    «Si hai ragione ... sono stato al deposito, c'era parecchio movimento, delle persone con divise nere che trafficavano con strane attrezzature».

    «Dunque?»

    «Non so dirti chi fossero ma sono andati via subito e non ho potuto capire se erano davvero degli operai».

    «Hai avvertito la polizia locale?»

    «Ehm ... »
    Quell'infingardo intanto ascoltava la conversazione in viva voce e si divertiva alle mie spalle; poco ci mancava che quel ghigno schernitore non mi trafiggesse anche l'anima sconsolata ed indifesa. Sgridato e sbeffeggiato per colpa di un ragazzino provocatore che si era elevato dall'alto della sua sfacciataggine. Davvero quel giorno la mia mente vomitò un variopinto arcobaleno di insulti ed imprecazioni nei suoi confronti e la voglia di fare a pugni cresceva in modo esponenziale.

    «Ahi, ahi agente Evan» mi sussurrò scoprendo leggermente la bocca «sei nei guai con paparino?»

    «Smettila!» sibilai a denti stretti.

    «Con chi stai parlando? Sei con qualcuno?» mi chiese mio padre che mi aveva sentito.

    «Io ... no» balbettai rosso per l'imbarazzo «dicevo ad Eevee, oggi è proprio irrequieta e mi sta infastidendo». Ma lei non c'era, era andata rifugiarsi dentro alla sua sfera per farsi un riposino. «Comunque non ne ho avuto il tempo perché quando sono arrivato al deposito frigo, come ti ho già detto sono andati via e li ho visti di sfuggita».

    Mi ero ridotto a dire una frottola per non essere ulteriormente strigliato e perdere la fiducia che mio padre mi aveva dato, affidandomi questo incarico così lontano da casa. Facevo proprio pena.

    «D'accordo Virgil, fai la segnalazione e poi torna a casa» concluse mio padre prima di chiudere la conversazione.

    «Certo papà».

    Dopo aver chiuso la chiamata, Noah iniziò a prendermi in giro a tutto volume, scandendo con gusto le parole.
  
    «Perché hai mentito al paparino? Non ... è ... da ... te ... agente ... Evan ...!»

    «Quello che faccio con la squadra di soccorso non ti riguarda!»

    «Ah non mi riguarda? Pensa te invece che ti vuoi fare a tutti i costi gli affari degli altri».

    Preferii non rispondere e con garbo, cercando di prenderlo per il suo verso provai ancora una volta a convincerlo a seguirmi.

   
 
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