Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Lely1441    19/09/2009    7 recensioni
La sentii acquattarsi contro le mie membra con forza, con quel suo corpo freddo che avevo imparato a conoscere bene.
Mi ricordava una lucertola.
Non in una maniera spiacevole o cattiva, no. Quando sentivo quelle sue mani gelide risalire lungo la mia schiena, ripensavo a quei rettili a cui da bambino avevo staccato tante volte la coda, per osservarla contorcersi anche dopo il colpo inferto loro, ipnotizzato dal movimento ritmico di quell'inutile appendice che si sarebbe comunque riformata col tempo.
In quel momento mi sembrò una crudeltà orribile. E mi chiesi anche chi mai avesse potuto staccare la coda della mia Lucertola, poiché la cicatrice di quel taglio era ancora ben visibile sulla sua schiena.
Almeno, lo era per me.
E la sua coda no, non sarebbe più ricresciuta.
Prima classificata al 2^ Contest RoyAi indetto sul RoyAi Forum da Shatzy e valy88
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà di Hiromu Arakawa che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione, non esistenti in Fullmetal Alchemist, appartengono solo a me.
Credits: Il mio elaborato prende ispirazione da uno dei racconti del libro “Lucertola” di Banana Yoshimoto. Theme utilizzato:
21. Repentence/Confession - Pentimento/Confessione [prima raccolta dei 100 themes]; ambientazione: cimitero (è lì che Riza fa la sua confessione, è lì che tornano e decidono di rimanere insieme, nonostante tutto). Ah, il tutto si svolge in Giappone.
Parole: 2.602 contate da Word.



Lucertola



“Vorrei vederti ancora,” dissi, stringendole la mano.
Dio, io devo io devo assolutamente toccarla, se no impazzisco. È un bisogno impellente. Se riesco a toccarla, farò tutto quello che mi chiede.
Lo pensai e lo feci. Fu una cosa del tutto spontanea. Ricordai che l'amore era proprio così. Non come quando due che più o meno si piacciono, fissano senza troppo impegno un appuntamento, viene la sera, si mangia si beve e quando è il momento di decidere che fare tutti e due sanno tacitamente che si può fare anche quella sera stessa. No, era quella voglia di toccarla a tutti i costi, di baciarla, di stringerla, quel tremendo desiderio di avvicinarmi a lei anche di poco, anche senza essere ricambiato, a qualunque costo, quella voglia di farlo con lei, in quello stesso momento, con nessun'altra che non fosse lei. Già, era così l'amore, ricordai.
“Sì, con piacere,” rispose, e mi diede il suo numero di telefono.
Salì la scalinata della stazione senza voltarsi. La sua figura di spalle fu sommersa dalla folla. Se ne era andata.
Sentii un senso di perdita assoluto, come se il mondo dovesse finire.

[Lucertola – Banana Yoshimoto]



{Quella che non sei, quella che non sei, non sei,
ma io sono qua e se ti basterà...
Quella che non sei non sarai, a me basterà.
C'è un posto dentro te in cui fa freddo,
è il posto in cui nessuno è entrato mai.}

{Quella che non sei – Luciano Ligabue}




La sentii acquattarsi contro le mie membra con forza, con quel suo corpo freddo che avevo imparato a conoscere bene.
Mi ricordava una lucertola.
Non in una maniera spiacevole o cattiva, no. Quando sentivo quelle sue mani gelide risalire lungo la mia schiena, ripensavo a quei rettili a cui da bambino avevo staccato tante volte la coda, per osservarla contorcersi anche dopo il colpo inferto loro, ipnotizzato dal movimento ritmico di quell'inutile appendice che si sarebbe comunque riformata col tempo.
In quel momento mi sembrò una crudeltà orribile. E mi chiesi anche chi mai avesse potuto staccare la coda della mia Lucertola, poiché la cicatrice di quel taglio era ancora ben visibile sulla sua schiena.
Almeno, lo era per me.
E la sua coda no, non sarebbe più ricresciuta.

“Di' il mio nome,” mi sussurrò piano, una volta entrati in casa. Stavo cercando di raggiungere le finestre del mio appartamento per alzare le tapparelle, visto il buio che regnava sovrano.
“Co-”
“Dillo,” ripeté, avvicinandosi a me e prendendomi una mano fra le sue, innaturalmente fredde.
Capii che c'era qualcosa che non andava, non era da lei fare suppliche.
“Riza,” sussurrai piano. Lei chiuse gli occhi, posando la fronte sul mio collo, le mani ancora intrecciate alla mia. Sentivo l'aria riempirle i polmoni, avvertivo il respiro profondo contro la mia clavicola, le lacrime che non avrebbe mai versato scivolare giù dagli occhi. In quel momento la cognizione che dentro di lei si agitasse un'anima, esattamente come dentro il mio stesso corpo, mi lasciò talmente esterrefatto che ebbi un tremito involontario.
Riza non piangeva mai. Non l'avevo mai vista piangere, ed il solo pensiero mi terrorizzava. Eppure intuii che in quel momento, anche se non ero in grado di esaminarla, lei lo stava facendo, discreta e silenziosa come suo solito. La strinsi con il braccio libero e cercai di infonderle una forza che non possedevo. Quel giorno c'era stato il funerale di un nostro amico, ed entrambi sentivamo una cappa di cupezza avvolgerci e braccarci senza pietà. Ma c'era qualcos'altro che la turbava, lo sentivo.
“Cosa succede?” mormorai, la bocca sui suoi capelli. E poi di nuovo, sussurrai il suo nome ancora, ancora e ancora. La sentivo calmarsi ogni volta che lo pronunciavo, quindi lo ripetei dolcemente, con tranquillità, di nuovo. Passarono diversi minuti prima che rispondesse, mentre il suo bisogno, il bisogno di sentirsi chiamata, di sentirsi viva, si acquietava pian piano. Si staccò da me e credo che cercò di fissarmi, perché sentivo vibrare la sua voce contro le mie labbra, ma non riuscivo a vederla.
“Tu credi che ci sarà posto per me, in qualsiasi luogo ci attenda dopo la morte?”
La sua domanda mi lasciò del tutto senza fiato: non era da lei pormi certe domande.
“Certamente,” risposi solo, non riuscendo a trovar altro da dire. Sentii un tremito delle sue mani, e si allontanò da me.
“Riza...” bisbigliai piano, mentre l'avvertivo muoversi in direzione della nostra camera da letto, a suo perfetto agio in tutta quell'oscurità. Questo pensiero mi fece rabbrividire.
La raggiunsi ed accesi l'interruttore della luce: era lì, si era seduta sul nostro futon e fissava il nulla, pensierosa.
“Mi accompagneresti in un posto?” domandò, alzando di scatto la testa e trapassandomi con lo sguardo.
“Va bene,” dissi, pensando con paura che qualcosa tra noi stava per cambiare definitivamente. Lei annuì tra sé e sé e poi si alzò, dirigendosi in cucina.
Rimasi a fissare il punto in cui fino a pochi istanti prima si trovava, mentre una strana angoscia mi fece pensare che forse quella era l'ultima volta che dormivamo insieme.

“Usciamo, ti va?”
Me lo chiese improvvisamente la mattina dopo, mentre ancora cercavo di scacciare via da me la fastidiosa sensazione di torpore che mi accoglie sempre appena mi sveglio. La guardai un poco stupito, ma subito iniziai a vestirmi, cercando di non riflettere troppo su quanto stava accadendo.
Più o meno come quando si vedono le rondini volare basso e si sa che entro poco pioverà, quella mattina avevo già la sensazione che sarebbe accaduto qualcosa di eccezionale tra di noi.
C’era odore di novità, di burrasca in agguato.
“Speriamo non ci siano troppi fulmini,” pensai irrazionalmente mentre afferravo il soprabito e la seguivo, uscendo di casa senza neanche pensare alla colazione.

Lucertola ama i bambini.
Lo si riesce a vedere da come cammina per strada. Sembra stia danzando. Riesce sempre ad evitare di sbattere contro di loro, persino in mezzo alla folla incalzante. Io la vedo come una sorta di premura nei loro confronti, una materna consapevolezza del suo essere adulta, della sua responsabilità verso chi ancora non può far valere le proprie ragioni.
Da piccoli, si vede tutto più grande. Gli adulti sono delle specie di giganti che lasciano delle impronte enormi al loro passaggio, e che non ti vedono mai, mentre tu vedi tutto, ti accorgi di tutto. E non puoi far nulla per cambiare ciò che non approvi.
Non so se sia colpa dell’altezza. Credo invece che sia più per il diverso modo di guardare le cose che ci circondano. Si ha più tempo, e si osserva meglio, senza filtri, innocentemente. Si accetta tutto ciò che ci si presenta davanti con una sorta di muto stupore, di commossa meraviglia.
Sono convinto che Lucertola veda le cose in questo modo, esattamente come una bambina, senza malizia. Ecco perché riesce a capirli, ecco perché tutto ciò che fa, anche il semplice gesto di camminare, sembra sia consacrato a loro.
Lucertola sarebbe un’ottima madre, ne sono certo. Ma non so se si darà mai la possibilità di saperlo, non dopo quel giorno.

“Sono un'assassina.”
Guardai negli occhi Lucertola, quei suoi grandi occhi nocciola troppo profondi per un semplice essere umano. Non ebbi il coraggio di ribattere; improvvisamente, vidi un lampo di gelo nelle sue iridi e riflettei su come con lei ogni cosa sia possibile, così attesi semplicemente che continuasse.
Seduti su una panchina subito dopo l’entrata del cimitero, aspettavo la sua storia.
“Mia madre è morta quando ero piccola, sono cresciuta sola con mio padre. Gli volevo bene e comprendevo che non fosse facile allevare una figlia senza alcun aiuto, così ho sempre cercato di creare meno problemi possibili, di non dargli ulteriori preoccupazioni. Studiare, cucinare, lavare, cercavo di fare del mio meglio in tutto. Era sempre molto preso dal suo lavoro, e mia madre veniva considerata un argomento tabù. Non perché non ne volesse parlare, semplicemente perché era troppo doloroso. Non l'hai mai tradita, non ha mai portato a casa altre donne perché ha sempre voluto onorare la sua memoria. Non mi ha mai fatto mancare nulla, è stato un buon padre e più passa il tempo più la mia stima nei suoi confronti cresce, giorno dopo giorno, difficoltà dopo difficoltà.”
Lucertola parlava senza fissarmi. La sua attenzione era completamente dedicata all'altra parte della strada, sulla panchina vuota che raccoglieva le ultime foglie autunnali come una passiva spettatrice del tempo. La sua parlata era fluida e senza incertezze come sempre, ma riuscivo a captare l'emozione che le suscitava il parlare con me di una cosa tanto importante. Ancora una volta, riuscivo a sentirla.
“Accadde però che a sedici anni, pulendo un vecchio armadietto in camera di mio padre, trovai due fogli di giornale piegati in quattro ed ingialliti dal tempo. Uno era il necrologio di mia madre, l'altro era un articolo in cui veniva narrata l'orrenda sorte toccata ad una donna, uccisa da un ubriaco per strada. L'uomo era stato poi giudicato incapace di intendere e di volere e rilasciato dopo qualche mese, almeno fu questo che scoprii in seguito. Non ne parlai a mio padre, avevo capito perché non me ne avesse mai fatto parola e rispettavo questa scelta. Fatto sta che mi informai su quest'uomo e dopo qualche settimana di ricerca riuscii a scoprire dove abitava. Un sabato decisi di andare a casa sua. Non avevo un piano ben preciso in mente, sentivo solo l'impulso di guardare in faccia la persona che aveva tanto fatto soffrire mio padre e me. Per la prima volta, agii senza pensare alle conseguenze. Passai un'intera mattinata in viaggio – a casa raccontai che andavo al mare con delle amiche – e giunsi a casa sua nel primo pomeriggio. Abitava in una casetta di campagna, piccola e umile perfino per quel posto. Rimasi ad aspettare qualcosa, una cosa qualsiasi, per quasi un'ora, senza osare muovermi. Fatto sta che verso le quattro aprì la porta un ometto sulla cinquantina, chiaramente non normale. Rimase a guardarmi per minuti, poi strillò e si richiuse in casa. Tornò a sbirciarmi da una finestra, lo vidi bene, come vidi bene il terrore nei suoi occhi.
Capii immediatamente cos'era successo. Mi aveva scambiato per mia madre o per il suo fantasma, dopotutto la somiglianza era tanta. A quel punto decisi di averne avuto abbastanza, e tornai a casa. Mio padre si accorse che c'era qualcosa di strano, ma non gli dissi nulla. Giorni dopo notai una strana espressione mentre guardava le notizie al telegiornale: stavano annunciando il suicidio dell'assassino di mia madre.”
Lì ci fu il suo primo vero cedimento: si prese la testa fra le mani e poi le posò sul collo, piegandosi su sé stessa in maniera difensiva.
“Sono stata io ad ucciderlo. Fin da quando avevo scoperto che la morte di mia madre non era stata naturale ero stata ossessionata dall'idea di quell'uomo, volevo che morisse, che soffrisse tanto quanto aveva sofferto mia madre negli ultimi istanti della sua vita, quanto mio padre. Volevo semplicemente che questa terra venisse liberata dalla sua presenza ripugnante. Ho pregato tanto, tanto, e alla fine sono stata esaudita. Ma ora il suo fardello si è spostato su di me. Io sono la vera assassina, soltanto io.”
Continuando a starsene in quella posizione, non cessava di riflettere. Anch'io riflettevo, su tante cose.

Sono un insegnante. Ho conosciuto Lucertola proprio grazie al mio lavoro. Purtroppo non sono una persona che riesce ad infischiarsene dei propri alunni, e dico purtroppo perché altrimenti la mia vita sarebbe molto più semplice. Fatto sta che un giorno, preoccupato dalle ripetute assenze di un ragazzo, andai a trovarlo a casa sua per vedere se stava effettivamente male, cosa di cui dubitavo seriamente. Suonai alla porta di uno dei grandi condomini, ormai piuttosto vecchi. Venne ad aprire lei, tenendo per mano una bimba di più o meno cinque anni. Sul momento rimasi basito ad osservarla, e solo il suo gentile richiamo mi risvegliò. Spiegai chi ero e mi fece accomodare nel piccolo salotto. Eichi, il mio alunno, si presentò in pigiama, con un'aria veramente sbattuta in volto, pallido. Si era beccato una grossa influenza, quindi era veramente stato assente per malattia. Mi scusai con quella donna, che mi rivolse uno sguardo divertito e mi spiegò che in realtà era solo una conoscente della madre che a volte le teneva i bimbi se doveva andare a lavorare. Una famiglia disastrata, lo capii subito; il padre era un alcolista da parecchi anni, probabilmente la sera neanche si preoccupava di rientrare.
Eppure c’era una strana atmosfera di tranquillità in quella casa, qualcosa che si era impadronito di me senza che me ne accorgessi. Mi accorsi poi che quella strana sensazione proveniva da quella donna. Me ne andai senza nemmeno chiedere come si chiamasse. Ma la strana calma che guidava ora i miei gesti non mi lasciò per molti giorni a venire, e decisi che dovevo rivederla.
Uscendo da quel palazzo, alzai gli occhi e nel farlo notai una figura alla finestra, che mi fissava. Alzai una mano per salutarla e mi sorrise in risposta, ma lo sguardo che mi rivolse, quello non lo dimenticherò mai. È il ricordo che più di tutti gli altri che possiedo mi spinge ad andare avanti, sempre.

“Non è stato intenzionale,” dissi, guardando il cielo che ci ricopriva come un padre che stesse proteggendo con il suo corpo quello dei suoi bambini infreddoliti. Pensai che non fosse giusto che persone come lei, come quella donna, si facessero carico di pesi più grandi di loro.
“È… normale desiderare la morte di qualcuno che ti ha fatto tanto del male. Ma tu non l’hai ucciso, non puoi dire di averlo fatto,” continuai, sperando che le mie parole sortissero un qualche effetto. Ma lei continuava a scuotere la testa, le mani strette sulle sue braccia.
“Non è normale, è sbagliato. Io non sono una brava persona, ecco. E non so se sono pronta a sposarti.”
Allora era quello il problema. Ecco perché mi aveva detto che le serviva del tempo per rifletterci su, la settimana prima.
“Cosa vuoi che ti dica? Che a questo punto devo pensarci anch’io? Sai che non è vero. Se non vuoi sposarmi, trova un’altra scusa. Perché questa non regge,” risposi, duro.
La lasciai seduta lì, mentre la rabbia e la delusione montavano come bestie dentro il mio petto.

Quella mattina era ancora più freddo del giorno prima. Il cielo era completamente grigio, e il sole non voleva saperne di spuntare da dietro le grosse coltri di nubi. Questo, unito all'atmosfera cupa, mi ricordava l'ambientazione di un film sulla fine del mondo, e chissà, magari era proprio così. Forse quel giorno non sarebbe stata distrutta la stirpe umana, ma il mio mondo sì, avrebbe raggiunto il suo termine.
Camminavo senza una meta precisa, lasciandomi guidare dal vento che sollevava in alto le foglie dei viali; non mi stupii molto, quindi, quando mi ritrovai davanti al cimitero che avevo visitato il giorno prima. Entrai senza esitazioni, già sapendo che lì avrei trovato ciò che cercavo.
Mi sedetti calmo su di una panchina. Rimasi a lungo in silenzio, finché non sospirai e allungai le braccia in alto.
“Hai trovato una risposta?” domandai alla donna seduta al mio fianco.
“Hai riflettuto su ciò che ti ho detto ieri?” mi rispose invece lei, parlandone come se mi stesse chiedendo cosa volessi per pranzo.
“E se non me ne importasse?” ribattei semplicemente, mentre la vedevo deglutire piano e puntare lo sguardo sulle volute di incenso che salivano a spirale verso l'alto.
“Se non mi importasse di quel che è successo, intendo. Ognuno ha i suoi segreti, e io sono l’ultima persona in grado di giudicarne un’altra. Se ho scelto di stare con te, di sicuro l’ho fatto mettendo in conto i rischi.”
Non parlammo per un altro po’.
“Pioverà,” dissi, buttando il capo all'indietro e fissando in alto. Riza mi guardò stupita, non capendo bene dove volessi arrivare.
“E io non ho un ombrello,” continuai con un piccolo sorriso. Lei spalancò gli occhi, mentre io mi voltavo verso di lei e le indicavo il parapioggia nero che aveva portato con sé.
“Non hai un ombrello...” sussurrò a testa china, accarezzando il manico di legno. Vidi una lacrima luccicare appena sul suo viso, ma quando si girò verso di me non c'era più niente. Forse era stato di nuovo il fantasma di una lacrima mai versata.
“Già. E non è strano,” risposi, “dopotutto io senza te sarei perso.”
Accolse dentro di sé quelle parole, e si alzò. Mi tese la mano.
“Andiamo a casa,” mi disse con un sorriso. Strinsi le sue dita gelide e ci incamminammo insieme, mentre grosse gocce di pioggia iniziavano a cadere bagnando il selciato e spegnendo i bastoncini di incenso accesi sulle tombe.
Ma noi, stretti in quell'abbraccio silenzioso, non sentivamo nient'altro che la nostra presenza viva farsi largo attraverso quella dei morti, uscendone purificati e vincitori.
“Riza, ti amo,” sussurrai, mentre il forte profumo di incenso mi riempiva le narici. La sentii stringersi ancora più a me e pensai che al mondo non ci fosse nient'altro di altrettanto bello.
Della sua presenza, del suo amore. Di lei.






Note: Dunque. Sarà lunga, io vi avviso XD
Per quanto riguarda lo stile: ho cercato di conformarmi ai periodi della Yoshimoto: lessico semplice, descrizioni quasi oniriche, periodi brevi e spezzati. Indi per cui, lo stile risulterà diverso, o almeno questo è quello che mi auguro (se sembra che manchino virgole, mi spiace, ma è volontario. Anche se il mio povero cuore si ribella al pensiero - di solito ne metto fin troppe! -).
Poi. Questa storia prese vita... quando? Un anno fa? Di più? Promisi di farla leggere ad elyxyz, se non erro, una volta terminata. Ebbene, neanche giunta a metà mi diede così fastidio l'idea di terminarla che accantonai il progetto, e non riuscii più ad aprire il file per mesi. Solo ultimamente l'ho riaperto, ma!, ovviamente non trovavo più il libro. Mi serviva, era fondamentale per lo studio dello stile, della psicologia dei personaggi. Casualmente l'ho ritrovato qualche giorno fa, a poco dallo scadere del contest e con un'idea che non credo sarei riuscita a portare avanti. Quindi mi metto al pc, e scopro miracolosamente che la trama regge. Che, forse, ero pronta per affrontare questo lavoro. Non mi aspetto chissà che grandi risultati, è più che altro un esperimento, ma cielo, la soddisfazione di vederla compiuta e finalmente giunta al suo termine supera qualsiasi cosa. Consiglio caldamente Lucertola, il vero libro, a chiunque voglia leggerlo, è stupendo.
Poi. Un ringraziamento specialissimo e commosso va alla cara zietta, Rue Meridian, che ha accettato di farmi da beta. Mi hai salvato, sul serio, thanks (_ _)
Poi… poi basta. Saluti a tutti XD



Note aggiuntive:
Non mi aspettavo il primo posto, sul serio. Comunque ne sono veramente felice ^^ I miei complimenti alle altre podiste e partecipanti e un grazie alle giudici, ovviamente ^^
(Qui il bando)


Grammatica e lessico – 9,5
Caratterizzazione dei personaggi (IC) – 9,25
Attinenza alla traccia – 9,5
Originalità – 9,25
Giudizio personale – 9,5

Totale: 47 punti

Commento di Valy:

Stupenda. Davvero. Premetto che io non ho letto il libro di Banana Yoshimoto, però mentre leggevo la tua storia, mi hai fatto venire voglia di leggerlo.
Complimenti anche per la scelta dello stile, riadattare il tuo secondo quello del libro non deve essere stato facile, però la storia era molto scorrevole e semplice da leggere. L’ho apprezzata molto per questo.
Hai rispettato molto il theme da te scelto, l’hai sviluppato bene. La confessione di Riza all’inizio mi ha stupita un po’, trovarsi di fronte una persona che confessa di essere un’assassina, non deve essere certo una bella cosa. Ho apprezzato anche il motivo per cui lei si senta colpevole. E lei che si confida con Roy, beh a noi fan del RoyAi non può che piacere. Molto belle quelle scene, anche quella iniziale, dove lei gli prega di dire il suo nome, le dà sicurezza. Ero gelatina già lì.
Caratterizzazione praticamente perfetta, Riza non si piange addosso, ma cerca in Roy sostegno e lo trova.
Una storia bellissima, che penso proprio meriti il primo posto. Complimenti!

Commento di Shatzy:

Storia decisamente fuori dai canoni, non solo per la scelta magistralmente resa dell’AU, così rara in questo fandom, ma anche per la trama, così particolare e coinvolgente. Roy e Riza sono completamente stravolti nel loro ruolo classico di militari, il loro rapporto nasce in modo diverso e si basa su fondamenta diverse, eppure, anche se Riza non è il Tenente inflessibile di sempre, anche se Roy è un semplice insegnante, si ritrova in loro qualcosa dei loro caratteri originali. Qualcosa di profondo, di radicato nella loro caratterizzazione. E quindi Riza, orfana e assassina per motivi diversi ma altrettanto importanti rispetto al manga, è fondamentale per la vita di Roy, e Roy si appiglia a lei, ne sente il bisogno fisico e non può farne a meno, anche se è meno complessato rispetto ai problemi del Roy originale. Ed entrambi amano i bambini, c’è molta dolcezza in quel passaggio, Riza così materna (come con gli Elric), Roy che non riesce ad infischiarsene dei suoi alunni (come dei suoi sottoposti). Ho preferito Riza tra i due, per questo il voto non è pieno, perché Roy mi sembra un po’ troppo semplificato; nonostante la narrazione sia dal suo punto di vista quella che si percepisce meglio è Riza, indirettamente.
A questa trama ben studiata, con una conclusione decisa e completa anche se è solo una one-shot, si aggiunge uno stile molto curato, quasi prezioso, che si rifà consapevolmente a quello della Yoshimoto, ma che comunque non risulta pedante o poco originale. È chiaro e semplice, con frasi brevi ma non troppo spezzettate, e sinceramente non ho visto il problema di mancanza di virgole indicato nelle note. Ci sono però un paio di ripetizioni che in realtà sono sviste, un “dì” inteso come voce del verbo dire (l’imperativo è “di’”, altrimenti vuol dire “giorno”), e forse un’imprecisione nel nome del bambino, Eichi, che non ho capito perché è giapponese se Roy e Riza hanno nomi inglesi… L’ambientazione non è precisata, ma mi sembra un piccolo particolare che stona. Mi pare ovvio che comunque niente di tutto ciò sia rilevante come errore.
L’attinenza alla traccia c’è, il theme è ben reso e anche l’ambientazione, anche se ci sono scene in luoghi diversi si sente che la parte centrale della fanfic si trova proprio nel cimitero, come anche la spiegazione del theme. Davvero complimenti perché è raro leggere qualcosa di così particolare e curato.

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Lely1441