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Autore: Parmandil    31/03/2024    1 recensioni
È un periodo fortunato per la Destiny, che scorrazza tra gli Universi combinando buoni affari. Ma quando alcuni membri dell’equipaggio scompaiono misteriosamente, tocca a Naskeel, l’Ufficiale Tattico, far luce sulla vicenda. L’indagine lo porterà più lontano del previsto, addirittura in un’epoca passata, dove il Tholiano scoprirà di non essere l’unico alieno che si nasconde sulla Terra. Né di essere l’unico inorganico. Altri, più angelici nella forma ma più demoniaci nella natura, sono lì per banchettare con l’ignara umanità. Fra travestimenti e trasformazioni, Naskeel dovrà improvvisarsi detective per venire a capo del mistero e capire di chi può fidarsi. Ma soprattutto... come diavolo fa quella strana cabina telefonica ad essere più grande dentro che fuori?
Genere: Azione, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Capitolo 1: Sparizioni
Data Stellare 2614.117
Luogo: Terra (una delle tante nel Multiverso...)
 
   «Siamo arrivati Capitano, la Terra è in vista» disse Shati, non appena la Destiny uscì dalla cavitazione quantica.
   «Sullo schermo» ordinò Rivera, tamburellando sul bracciolo della poltrona. Vedendo apparire il globo bianco-azzurro, l’Umano provò sensazioni contrastanti. Aveva cercato così a lungo di tornare sulla Terra... ed eccola lì davanti a lui. Sfortunatamente non era la Terra, quella su cui era nato e cresciuto. Era solo una Terra: una delle innumerevoli varianti che si potevano trovare nel Multiverso. Da quando avevano ottenuto la nuova lista di coordinate quantiche, quelle ignote alla Flotta, ne avevano trovate a bizzeffe. E fra tante Terre, non ce n’erano due identiche. Alcune erano paradisiache, altre devastate da attacchi alieni o dall’umana follia. Alcune fiorivano sotto governi democratici, altre soffocavano nella morsa di feroci dittature. La maggior parte era così-così. E la Terra che avevano raggiunto ora sembrava appunto una di quelle nella media.
   «Il pianeta è sovrappopolato e con tracce d’inquinamento, ma non a livelli drammatici» riferì Talyn dalla postazione sensori e comunicazioni. «Ci sono danni atmosferici e ambientali compatibili con dei brillamenti solari, come ci avevano riferito. Comunque il traffico spaziale è intenso e c’è molta attività edilizia, sia sulla Terra che sulla Luna. Anche senza la Federazione, l’umanità sembra in fase di ripresa».
   «Buon per loro» disse il Capitano. Anche se gli abitanti di quel pianeta erano tecnicamente Umani, Rivera stentava a considerarsi uno di loro. In fondo proveniva da un altro Universo, con un’altra storia. Eppure, ogniqualvolta il suo sguardo si posava su una variante della Terra, il vecchio assillo tornava. Stava facendo bene a trascinare il suo equipaggio in quell’odissea infinita nel Multiverso? Non avrebbero fatto meglio a fermarsi e mettere radici? Quella realtà, ad esempio, sembrava passabile. Se avessero deciso di... farsela bastare?
   Ma non era così semplice, si disse Rivera, aggrottando la fronte. Sebbene gran parte della ciurma fosse composta da avventurieri senza patria, alcuni – come Irvik, l’Ingegnere Capo – avevano famiglia e non si accontentavano di una realtà simile alla loro. Volevano ritrovare proprio quella, coi loro cari, o non se ne faceva niente. E poi, se si fossero fermati, quali erano le prospettive a lungo termine? Che ne sarebbe stato della Destiny di lì a dieci, venti, cinquant’anni? In che mani sarebbe finita? No, un vascello capace di viaggiare nel Multiverso era troppo pericoloso. Rivera avrebbe preferito distruggerlo, piuttosto che farlo cadere in mani sbagliate.
   Così, anche quella era solo una tappa del loro lungo viaggio. Ma nel frattempo bisognava pur vivere... e loro erano pur sempre degli avventurieri in cerca di guadagno. Sarebbe stato folle percorrere il Multiverso senza approfittarne. Quindi ad ogni tappa cercavano di combinare buoni affari. E da quando avevano le nuove coordinate, cioè da quasi un anno, ne avevano fatti eccome. Certe merci, che in alcuni Universi avevano prezzi stracciati, in altri erano preziose e introvabili. C’erano interi cosmi che non avevano mai visto un replicatore o un teletrasporto, il che dava agli avventurieri un enorme vantaggio. Così i buoni affari erano fioccati.
   Regina indiscussa di questa fortunata stagione era Losira, un tempo aristocratica di Risa, poi tesoriera sull’Ishka, e ora Comandante della Destiny. Per la prima volta da anni, la Risiana poteva mettere a frutto le sue abilità mercantili. Appena fiutava un buon affare, vi si gettava a capofitto, e di solito se la cavava bene. Rivera era ben contento di lasciarle queste incombenze, dato che per gli affari era negato: era sempre stato un uomo d’azione. Così la lasciava fare, intervenendo solo nelle rare occasioni in cui la situazione le sfuggiva di mano.
   «Talyn, contatta l’ufficio doganale col codice identificativo che ci hanno assegnato» disse Losira. «Di’ che abbiamo quel carico d’antichità da Nocturne. No, anzi... di’ che abbiamo quel carico di capolavori artistici da Nocturne» precisò, già calata nel ruolo d’affarista.
   Gli avventurieri attesero, mentre la chiamata era smistata fra migliaia d’altre. Tra tutti i loro commerci, questo era insolito. Di rado s’erano occupati d’arte e di beni culturali, anche perché nessuno di loro se ne intendeva davvero. Ma come diceva Losira, il commercio d’antichità era tra i più remunerativi. «Prendete un qualunque soprammobile, che v’ingombra l’alloggio e non vale niente. Sotterratelo per mille anni. Quando qualcuno lo scoprirà, ecco che sarà diventato preziosissimo. Un archeologo lo estrarrà con mille attenzioni, un restauratore lo ricomporrà con cura certosina, un critico d’arte farà ipotesi su com’erano le parti mancanti e si affannerà a collocarlo in una corrente artistica. I musei se lo contenderanno, per arricchire la propria esposizione, e la gente pagherà per andare a vederlo. È il fascino del passato... e chi siamo noi per negare a milioni di Terrestri l’opportunità di riconnettersi con le loro radici? L’opportunità di sospirare davanti alle opere del passato e pensare che “noi siamo anche questo”? Lascia fare a me, Capitano, vedrai che sarà un ottimo affare» aveva detto la Comandante. E il Capitano, come al solito, le aveva dato carta bianca. Così eccoli lì, in attesa di sbarcare il prezioso carico.
   «L’ufficio doganale ci ha risposto» disse finalmente Talyn. «Dicono che dobbiamo accogliere a bordo il loro ispettore, che verificherà l’inventario ed effettuerà i controlli sanitari. Solo se passiamo l’ispezione potremo sbarcare il carico» avvertì.
   «Tutto nella norma, sono le solite formalità. Su, prepariamoci a ricevere l’ispettore» fece Losira, guidando gli altri nella saletta teletrasporto. «E vedete di fare una bella impressione!» aggiunse, fissando Rivera con vaga disapprovazione. Chissà perché, fissava sempre lui quando faceva queste raccomandazioni, come se il Capitano sembrasse un poco di buono. Rivera si passò la mano sulle guance: sarà stata la sua abitudine a tenere un po’ di barbetta ispida...
   «Combinato l’affare avremo un po’ di licenza? Non mi dispiacerebbe visitare questa Terra» commentò Talyn.
   «Mi spiace, ma abbiamo una tabella di marcia serrata» spiegò la Comandante. «Fatta questa consegna, dobbiamo incontrarci coi Raxacoricofallapatoriani per vendergli i nostri giochi da tavolo. Sarà un grande affare, non possiamo tardare».
   «Beh, i giochi mica scappano. Non vedo che fretta abbiano i Raxacosi...» s’impappinò Rivera.
   «Raxacoricofallapatoriani» ripeté Losira con facilità.
   «Prova a ripeterlo dieci volte di fila. Se ci riesci, vinci una bambolina» ironizzò il Capitano.
   La Risiana gli restituì il sorriso ironico, ma a quel punto dovettero tutti tacere, perché l’ispettore doganale stava arrivando. La sua sagoma si delineò sulla piattaforma del teletrasporto, assieme a quella di due guardie. Ancora un istante e furono del tutto materializzati.
   «Beh, siete all’altezza della vostra fama!» commentò quella che si era rivelata un’ispettrice, osservando con interesse il comitato di benvenuto. Era una donna sulla cinquantina, dallo sguardo sicuro e penetrante. Indossava la severa uniforme doganale rossiccia, con un bracciale elettronico fitto di comandi, ma per contrasto i folti capelli castani scendevano come una criniera fin sotto le spalle. «Salve, sono l’Ispettrice Amirani dell’Ufficio Doganale Terrestre» si presentò con voce decisa, scendendo dalla pedana. A confermare le sue parole, mostrò a Rivera la propria tessera identificativa, prima di riporla in tasca. «Devo dire che il vostro arrivo mi sorprende. Da Nocturne a qui è un viaggio lungo... vi attendevo tra non meno di una settimana» ammise.
   «La nostra nave è veloce, e fortunatamente il viaggio è stato tranquillo» spiegò il Capitano.
   «Già, la nave da un altro Universo... confesso che stentavo a crederlo» disse l’Ispettrice, osservando gli ufficiali. Il suo sguardo si soffermò su Naskeel. «Adesso, invece, non ho più dubbi» ammise.
   «Lui è Naskeel, il nostro Ufficiale Tattico» disse Rivera, abituato a quelle reazioni. «Non si lasci intimorire dal suo aspetto. In realtà è un biscottino, non è così?». Lo fissò con quello sguardo che gli ingiungeva di confermare.
   «Certo, proprio un biscottino» disse Naskeel, ma il suo sguardo sulfureo sembrava raccontare un’altra storia.
   «Dunque, Ispettrice, come saprà abbiamo un carico d’antichità terrestri, risalenti in massima parte al XIX secolo» proseguì il Capitano. «Tutta roba che fu evacuata dalla Terra per precauzione durante l’ultima Guerra Dalek, e che in seguito – ehm – si smarrì nel mercato nero. Ora che il pericolo è cessato, siamo lieti di restituire alla Terra questo frammento del suo patrimonio culturale».
   «E i nostri musei sono lieti di riceverlo. È sempre bello quando i beni culturali tornano nel loro luogo d’origine, dove possono essere valorizzati. Ho ricevuto la documentazione da Nocturne, unitamente al vostro contratto, e vi confermo che è tutto regolare» disse Amirani. «Direi di passare senza indugio a inventariare il carico. Dopo di che procederò coi controlli sanitari».
   «Certo, mi segua» la invitò Rivera, facendo strada nel turboascensore. «Riguardo ai controlli sanitari, di che si tratta esattamente?».
   «Oh, è la procedura standard. Dovrò analizzare i reperti, per accertarmi che non siano contaminati con microrganismi o tossine nocivi. Lei mi capisce, Capitano: il cosmo è vasto, i rischi biologici innumerevoli».
   «Ma certo, Ispettrice!» trillò Losira, inserendosi nella conversazione. «Faccia con comodo ciò che deve. Da noi avrà la massima collaborazione. Se lo desidera, può trattenersi a cena» propose, sperando di fare buona impressione.
   «Lei mi tenta, Comandante, ma non posso trattenermi oltre il dovuto» spiegò Amirani, con un breve sorriso che non si estese agli occhi. «Se dalla mia ispezione non emergeranno irregolarità, procederemo quanto prima a trasferire il carico. Il Ministero dei Beni Culturali si occuperà del pagamento, convertendolo nella valuta da voi indicata. Dovrebbe essere tutto sbrigato in un paio di giorni. Sempre che non emergano irregolarità» ribadì.
   «Quando mai i nostri clienti si sono lamentati? Non troverà un solo insoddisfatto in tutto il cosmo!» assicurò Losira. Considerato che erano appena arrivati in quel cosmo, non era granché come garanzia. Ma a pronunciarla faceva comunque effetto.
 
   «Come vede, abbiamo custodito i vostri beni culturali in questa stiva secondaria, per evitare qualunque contaminazione col resto del carico» disse Losira, introducendo l’Ispettrice nella saletta. Lungo la parete di fondo erano disposti in bell’ordine i reperti storici del XIX secolo. Malgrado gli avventurieri li avessero definiti opere d’arte, per la maggior parte erano oggetti d’uso comune, sia pure costosi e raffinati, del genere riservato all’aristocrazia. C’erano orologi sia da tavolo che da taschino, tabacchiere, soprammobili di vario tipo. Vi erano servizi da tavola con bicchieri di cristallo, posate d’argento, piatti e zuppiere di porcellana. E c’erano persino armi e uniformi militari dell’epoca coloniale dell’Impero Britannico, con contorno di tamburi e bandiere. Una parte considerevole del carico, inoltre, era composta da libri: grandi tomi rilegati in cuoio, contenenti lo scibile del secolo decimo nono. C’erano persino dei giornali d’epoca, fitti con gli eventi di quegli anni. Era strano leggere della Guerra Civile Americana o della nazionalizzazione della Compagnia delle Indie tra le notizie d’attualità. In uno scrigno a parte c’era del contante: monete e banconote con l’effige della Regina Vittoria.
   E infine sì, c’erano delle opere d’arte propriamente dette, come quadri e statue. Tra i dipinti spiccavano alcuni capolavori di Turner, con gloriosi tramonti dorati sul mare. Le statue erano perlopiù di piccole dimensioni, sul genere dei soprammobili. Tuttavia ve n’erano sei a grandezza naturale, che sembravano sorvegliare il prezioso carico.
   Si trattava di angeli, raffigurati secondo la tipica iconografia cristiana: volti efebici, vesti fluenti di foggia classica e grandi ali piumate, tenute racchiuse presso il corpo. Angeli di pietra, all’apparenza marmo grigio e polito, scolpiti con grande talento. In effetti erano così coerenti nello stile, così in armonia gli uni con gli altri, da far pensare che fossero opera dello stesso scultore, o almeno della stessa officina. Il catalogo non riportava il nome dell’artefice, ma lo stile era assai realistico. Gli angeli erano raffigurati fin nei minimi dettagli somatici, fino all’ultimo ricciolo dei capelli e all’ultima piega delle vesti. Le loro pose, tuttavia, erano strane e inquietanti. Gli angeli, tutti quanti, avevano il capo chino e si coprivano il volto con le mani, come se cercassero di nascondere o di asciugarsi le lacrime. Angeli piangenti, angeli in lutto... come quelli che un tempo adornavano le tombe monumentali, si disse il Capitano. Sì, quegli angeli dovevano venire da un cimitero, o al limite da una cappella privata, dov’erano stati posti a guardia di qualche illustre sepolcro. Chi l’avrebbe mai detto che un giorno avrebbero viaggiato tra le stelle, a bordo di un’astronave...
   «Bene, vedo che i reperti sono stati trasportati con le dovute attenzioni» disse l’Ispettrice, in tono d’approvazione. «Mi dica Capitano, e la prego d’essere sincero... ci sono stati incidenti durante il viaggio? Oggetti caduti o finiti fuori posto...?».
   «Niente del genere» assicurò Rivera. «Come vede, tutti i reperti che non siano posati a terra sono assicurati contro le cadute. Gli oggetti più fragili sono inscatolati, con tanto di schiuma anti-urti». Così dicendo aprì una delle casse, mostrando un servizio di fragili bicchieri di cristallo, ben fissati nei loro alloggiamenti.
   «Hm-hm» approvò Amirani. Premette un comando sul suo bracciale elettronico, attivando un oloschermo. Vi si leggeva un lungo catalogo, diviso in categorie. «Bene, comincio a inventariare il carico. L’avverto che ci vorrà un po’, Capitano, quindi non voglio trattenerla oltre. Sono certa che ha molto da fare».
   In realtà Rivera non aveva chissà quale impegno urgente. Ma in effetti non gli andava di passare ore a osservare quella donna che spuntava il suo interminabile elenco, soffermandosi su ogni minima irregolarità. Se poteva ritirarsi, lo faceva con piacere. Losira poteva sorbirsi le lungaggini al posto suo; era lo scotto da pagare per chi faceva l’affarista.
   «In tal caso, io vado, Ispettrice» annuì il Capitano. «I miei ufficiali sono a sua disposizione per ogni necessità. Avvertitemi quando avrete finito. O prima, se ci fosse qualche problema» raccomandò. E sgattaiolò fuori dalla stiva, prima che a qualcuno potessero venire in mente delle obiezioni. Non che si aspettasse grane da quell’affare. Era una semplice rivendita di beni – in questo caso culturali – del genere che Losira sapeva perfettamente gestire. Sì, pensò tra sé mentre tornava nel suo alloggio, stavolta non ci sarebbero stati colpi di scena...
 
   «Sei battuto. È inutile resistere. Non lasciarti distruggere, come fece Obi-Wan» ammonì Darth Vader. L’estremità della sua spada laser, rossa come il sangue, dardeggiava a pochi centimetri dal viso atterrito di Luke Skywalker.
   Il giovane era a terra, stremato dal lungo combattimento, col volto escoriato dall’urto con gli oggetti che il Signore dei Sith gli aveva scagliato contro con la Forza. Ma ancora una volta rifiutò d’arrendersi. Deviò la lama dell’avversario, e quando questi tornò a calarla, Luke rotolò sul pavimento e balzò di nuovo in piedi. Gli avversari si scambiarono qualche ultimo colpo, nella loro posizione esposta sul baratro di Cloud City, mentre il vento turbinava attorno a loro.
   Darth Vader menò un potente attacco laterale, ma mancò il colpo, e così facendo si scoprì. Luke ne approfittò per assestare un affondo che colpì il Signore Oscuro al braccio, appena sotto lo spallaccio, intaccando la sua nera armatura. Le scintille sprizzarono e Darth Vader si lasciò sfuggire un lamento. Ma subito convertì il dolore in collera, tornando all’attacco, più devastante di prima. Costrinse Luke ad arretrare su una passerella sospesa nel vuoto e tranciò un sostegno metallico che si frapponeva tra loro. Quando le spade laser tornarono a contatto, Vader costrinse Luke a piegare il polso, in un ripetuto movimento circolare, che lo lasciò del tutto scoperto. E ne approfittò per recidergli la mano destra.
   Luke Skywalker gridò di dolore mentre la sua mano mozzata, che ancora impugnava la spada laser azzurra di suo padre, cadeva perdendosi nel vuoto. Il giovane ribelle si accasciò, premendo l’arto mutilato contro l’ascella, mentre con la mano superstite si reggeva a un sostegno metallico.
   Anziché proseguire l’attacco, infliggendo un colpo mortale, Darth Vader si arrestò, puntando la propria lama verso il basso. «Non hai scampo. Non lasciare che ti distrugga» ribadì.
   Luke lo fissò con ribrezzo, e cercò d’arretrare. Ma si era cacciato in un vicolo cieco, perché dietro il sistema d’antenne a cui era precariamente aggrappato c’era l’abisso senza fondo di Bespin.
   «Luke, tu non ti rendi ancora conto della tua importanza. Hai solo cominciato a scoprire il tuo potere» avvertì Darth Vader, il mantello nero agitato dal vento. «Vieni con me, e io completerò il tuo addestramento. Unendo le nostre forze, possiamo mettere fine a questo conflitto distruttivo, e riportare l’ordine nella Galassia!» lo tentò, tendendo il braccio in avanti.
   Luke si rialzò a fatica, aggrappandosi a un’antenna, per evitare che il vento lo gettasse nel baratro. «Non verrò mai con te!» rantolò, ancora sconvolto dal dolore per la sconfitta e la mutilazione.
   «Se solo conoscessi il potere del Lato Oscuro... Obi-Wan non ti ha mai detto cosa accadde a tuo padre?» inquisì Darth Vader, levando il pugno chiuso in un gesto di potenza.
   «Mi ha detto abbastanza!» gridò Luke, cercando d’indietreggiare; ma così facendo era sempre più sospeso nel vuoto. «Che sei stato tu ad ucciderlo!» aggiunse, sputando le parole con disprezzo. Così gli aveva detto Obi-Wan, quel lontano giorno su Tatooine, suscitandogli il desiderio d’essere un Jedi, come suo padre prima di lui...
   «No; io sono tuo padre» rivelò il Signore dei Sith, lapidario. Le parole parvero galleggiare nell’aria, con le loro devastanti implicazioni.
   «Non è vero... non è possibile!» gemette Luke, il viso contorto in una smorfia di dolore e disperazione. Non poteva credere che i suoi saggi maestri, Obi-Wan e Yoda, gli avessero mentito... e che il mostro davanti a lui dicesse la verità...
   «Cerca dentro di te... tu sai che è vero» insisté Darth Vader, con forza ineluttabile.
   «NOOOOOO! NO!» gridò Luke, annientato da quella rivelazione che rovesciava tutto ciò in cui credeva e avvelenava perfino il desiderio d’emulare suo padre...
 
   A quelle parole, Giely smise di guardare l’oloschermo e si rivolse al compagno, con cui sedeva abbracciata sul divano. I suoi occhioni viola erano spalancati dall’orrore e dallo sconcerto. «È vero? Darth Vader è il padre di Luke?!» sussurrò, incredula per il magistrale colpo di scena.
   Allora Rivera bloccò temporaneamente il film, per darsi tempo di risponderle. Già da un po’ aveva smesso di guardare l’oloschermo, e al suo posto fissava il visetto attento della Vorta, in attesa dell’impagabile espressione di tutti i neofiti della saga. Quell’emozione straordinaria, che si prova una sola volta nella vita, nell’apprendere che Darth Vader è il padre di Luke Skywalker. E Giely non l’aveva deluso... il suo volto era la quintessenza dello stupore. Questa era una delle cose che l’Umano amava della sua compagna aliena: poteva mostrarle i classici terrestri e godersi le sue reazioni spontanee. Era davvero adorabile.
   «Beh, se ci pensi ha senso» commentò Rivera. «Obi-Wan e Yoda hanno detto che sia Anakin – il padre di Luke – sia Darth Vader erano potenti Jedi. Hanno ammesso persino che erano stati entrambi apprendisti di Obi-Wan. Quindi ha senso che Anakin e Vader siano lo stesso individuo, prima e dopo la sua caduta nel Lato Oscuro. Se ti ricordi, anche gli zii di Luke nel primo film parlavano con timore di suo padre, preoccupati dal fatto che Luke potesse somigliargli».
   «Ma... come ha fatto Anakin a passare al Lato Oscuro? E chi era la madre?! E adesso cosa farà Luke?!» chiese Giely preoccupatissima, osservando l’eroe ferito sullo schermo.
   «Beh, non resta che continuare a guardare» sorrise Rivera. «Ma non aspettarti che tutte le domande siano risolte in questo film. Come ti dicevo, è una saga lunga...» disse, carezzandole i capelli corvini. Un tempo Giely li portava corti, ma negli ultimi anni li aveva lasciati crescere, e ormai le si erano fatti lunghi, dandole un’aria angelica.
   «Non vedo l’ora di andare avanti! Certo che... Vader è stato cattivissimo a mutilare suo figlio» commentò la Vorta, raggomitolandosi presso il compagno. Essendo un clone, nata già adulta, col rimpianto di non avere genitori, era particolarmente sensibile ai drammi familiari.
   «È il potere del Lato Oscuro» disse l’Umano con gravità, sul punto di far ripartire il film. In quella però gli giunse una chiamata dal comunicatore.
   «Losira a Rivera, ci sei?!» chiese la Risiana, sempre un po’ informale.
   «E dove dovrei essere? Sono in ascolto, sì!» sospirò il Capitano, premendosi la mostrina.
   «Abbiamo finito l’ispezione» annunciò la Comandante, in tono stranamente serio. Così serio da far temere guai.
   «E quindi?» chiese Rivera, raddrizzandosi sul divano.
   «L’inventario è andato bene. Abbiamo tutti i pezzi, e non c’è stato alcun danneggiamento durante il viaggio» spiegò Losira. «Il problema è l’analisi sanitaria. Vieni qui per favore, e porta anche Giely, se è lì con te. Abbiamo un grosso guaio».
   «Okay, stiamo arrivando. Rivera, chiudo» fece il Capitano. Dopo di che scambiò un’occhiata rassegnata con la compagna. «Mi spiace, il lavoro ci chiama. Temo che dovremo aspettare, prima di terminare il film» sospirò.
   «Peccato, proprio sul più bello...» convenne la Vorta. Si districò dall’abbraccio e scese dal divano, pronta a riprendere i panni di medico di bordo.
 
   «Il cosa?!» domandò il Capitano, quando lui e Giely furono nella stiva, innanzi all’Ispettrice.
   «Noi lo chiamiamo il Flood» spiegò Amirani, serissima. «È un virus originario di Marte, al tempo in cui il pianeta aveva ancora oceani. Sopravvive nell’acqua e si trasmette sempre attraverso di essa. Ciò include anche i droplet, le goccioline che emettiamo col respiro, o più ancora tossendo e starnutendo. Si tratta di un virus insidioso, che assume il controllo del cervello, trasformando le vittime in morti viventi. In tal modo le induce a sputare acqua contro chiunque abbiano intorno, diffondendo sempre più l’epidemia. Guardate, questo è l’aspetto delle vittime».
   Così dicendo l’Ispettrice attivò il bracciale elettronico, proiettando un piccolo ologramma, forse una registrazione. Le vittime del Flood avevano occhi spiritati, innaturalmente chiari, e barcollavano come zombie. La parte inferiore del volto, e in particolare le labbra, erano orribilmente spaccate; i denti parevano anneriti. Non appena si accostavano alla vittima, le rigurgitavano addosso una quantità impressionante d’acqua, segno che il virus le induceva a bere in continuazione. Gli avventurieri osservarono con disgusto la proiezione, finché Amirani pensò che ne avessero abbastanza e la disattivò.
   «In passato la Terra e altri mondi hanno rischiato d’essere devastati dal Flood» spiegò l’Ispettrice. «Credevamo d’averlo sconfitto, ma... ho appena trovato dei virus sui vostri reperti storici, come se qualcuno ci avesse tossito sopra. Anche se questi virus sono morti, in mancanza d’acqua, è un segnale d’allarme che non posso in alcun modo ignorare». Così dicendo mostrò uno strumento che s’era portata dietro, simile a un tricorder medico, coi risultati delle scansioni.
   «Chiedo accesso alla vostra banca dati su questo virus» disse Giely, preoccupata. «Intanto mi dica se esiste una cura».
   «Sì, ne abbiamo sviluppata una, e ve la forniremo subito. Ma vi avverto che funziona solo nel primo stadio della malattia» spiegò Amirani. «E purtroppo non è efficace al 100% sugli alieni... di cui ho notato che questa nave è piena. Ci sono specie che non ho mai visto prima, specie che non esistono nel nostro Universo. Francamente non so se la cura sarà efficace su di loro» aggiunse.
   Rivera e Giely si scambiarono un’occhiata preoccupata. Finora non avevano mai dovuto affrontare un’epidemia a bordo, ma in effetti era solo questione di tempo, prima che uno dei tanti Universi gli riservasse questa pessima sorpresa. Il Capitano si rivolse di nuovo all’Ispettrice, rabbuiato. «Se questo virus è originario del vostro cosmo, come crede che sia avvenuto il contagio? Voglio dire, noi siamo qui da poco. Finora siamo sbarcati solo su Nocturne, quindi...».
   «Il focolaio dev’essere lì» annuì Amirani, anche lei cupa. «Contatterò immediatamente le autorità planetarie, affinché prendano le dovute precauzioni. È probabile che l’intero pianeta verrà messo sotto quarantena. E poiché non possiamo correre il rischio di contagiare la Terra, su cui vive tutt’ora la maggior parte dell’umanità... sono costretta a fare lo stesso con la vostra nave».
   «Vuol metterci in quarantena?!» si disperò Losira, vedendo sfumare la sua tabella di marcia, con gli affari che aveva già programmato nelle prossime settimane.
   «Sono spiacente, ma non ho scelta» spiegò l’Ispettrice. Attivò un oloschermo dal bracciale e vi passò sopra il pollice, barrando una casella con una X rossa. Era il segno che negava lo sbarco delle merci. Poi si rivolse agli avventurieri in tono formale: «Io, Ispettrice Amirani, con l’autorità dell’Ufficio Doganale Terrestre, invoco il Protocollo Medico, stato d’emergenza infettiva, livello d’allerta 1. Pertanto pongo sotto quarantena l’astronave USS Destiny, con tutto ciò che contiene. Resterete in orbita terrestre per non meno di trenta giorni, sorvegliati dai nostri vascelli. Potrete avere comunicazioni audio-video con chi volete, ma nessun trasferimento di persone o merci. Questo riguarda anche e soprattutto il vostro carico di beni culturali, dato che il Flood è stato rilevato lì. Nessuno salirà su questa nave e nessuno ne scenderà, fino al termine dell’isolamento. Qualunque trasgressione sarà severamente punita. Intendo punita con la confisca dell’astronave, mi sono spiegata?» disse, fissando serissima il Capitano.
   «Noi non siamo vostri cittadini. In effetti siamo apolidi in questo cosmo. Perciò non siamo tenuti a sottostare ai vostri regolamenti» avvertì Rivera, vedendo profilarsi uno scontro.
   «Siete nel nostro spazio, e state mettendo in pericolo la Terra, quindi sottostarete eccome!» ribatté Amirani, mentre le due guardie del corpo le si stringevano accanto, con le armi in pugno.
   «Questa nave dispone d’armi e occultamento evoluti. Se volessimo sottrarci al controllo, potremmo farlo» minacciò Naskeel, impugnando a sua volta il phaser.
   «Può darsi, ma sarebbe da irresponsabili» avvertì l’Ispettrice, per nulla intimorita. «Signori, chiariamo una cosa: io faccio il tifo per voi. Spero con tutto il cuore che questa traccia di virus sia un incidente isolato e che nessuno sviluppi il Flood. Ma pensate allo scenario peggiore! Se d’un tratto vi trovaste con un’epidemia sconosciuta e devastante a bordo... coi vostri compagni che vi aggrediscono per contagiarvi... vorreste giovarvi del nostro aiuto, della nostra esperienza in materia, oppure no?».
   «Beh, male non farebbe» ammise il Capitano di malavoglia.
   «Allora confido che starete al regolamento» disse Amirani. «Io stessa mi vedo costretta a rimanere a bordo fino al termine della quarantena, per non mettere in pericolo la Terra. Prometto che sarò un’ospite discreta. Ma questa è la realtà... il meglio che possiamo fare è affrontarla di comune accordo, da persone responsabili. Allora, ci state? Posso contare sulla vostra collaborazione?» chiese, fissando il Capitano.
   «Perderemo molti affari...» mormorò Losira, afflitta.
   «Sempre meglio che perdere la vita» sospirò Rivera. «E va bene, staremo al regolamento» cedette. Pose la mano sul phaser di Naskeel, inducendolo a rimetterlo in cintura. Allora anche le guardie dell’Ispettrice riposero le armi. La tensione si stemperò.
   «Grazie, Capitano. Ha fatto la scelta giusta, sia per il suo equipaggio, sia per la Terra» si addolcì Amirani. «Farò presente al Ministero che il ritardo comporta un danno economico per voi. Non vi prometto niente, ma... non è da escludere che possiate avere un risarcimento».
   «Questo è parlare!» approvò Losira.
   «Allora è deciso. C’immunizzeremo subito contro il virus, e se dovessero ugualmente esserci dei casi, contatteremo la vostra rete ospedaliera per avere consiglio» disse il Capitano. «Se invece, incrociando le dita, andrà tutto bene, ne approfitteremo per tirare il fiato. Questi ultimi mesi sono stati spossanti... ci serve uno stacco. Consideriamola una sorta di vacanza» disse ai suoi, cercando di tirarli su di morale.
   «Fortuna che abbiamo il ponte ologrammi e le sale sportive, per distrarre la ciurma» commentò Losira. D’un tratto le venne un’idea luminosa e si accostò a Amirani, parlandole in tono confidenziale. «Ce le avete le sale ologrammi, dalle vostre parti? Da noi sono il passatempo più diffuso. Sono una forma di realtà virtuale con cui si può fare praticamente di tutto, l’unico limite è la fantasia. Potremmo vendervi la tecnologia olografica... e anche i programmi già belli e pronti, con uno sconto ogni dieci. Il prezzo? Un affarone!» garantì. E si allontanò parlottando fittamente con l’ospite.
 
   Ora che erano in quarantena, gli avventurieri dovettero rassegnarsi a passarla come meglio potevano. Avevano sempre il timore che i sintomi del Flood si palesassero, sebbene Giely li avesse immunizzati. Così ognuno reagiva a modo suo. La dottoressa si era immersa nello studio del virus. Naskeel passava il tempo libero nel suo alloggio, anche se nessuno sapeva che ci combinasse. Il Tholiano era l’unico a non temere il Flood, dato che il suo corpo cristallino e rovente non conteneva acqua, quindi era il più tranquillo. Gli altri cercavano di distrarsi, di tenersi occupati, nella speranza che tutto si risolvesse senza tragedie. Come previsto, le sale ologrammi e quelle sportive erano usate dai più annoiati, come Rivera e Shati. Altri, come Talyn e Irvik, ne approfittarono per studiare il nuovo cosmo in cui erano capitati, cercando di capire se c’erano tecnologie utili da reperire.
   E poi c’era Losira, che considerava ogni minuto non dedicato agli affari come un minuto perso. La Risiana cercava costantemente di combinare nuovi scambi, anche se l’impossibilità di lasciare la nave, o di accogliervi ospiti, la ostacolava. Tutto doveva essere condotto per via telematica. Così la Comandante faceva ciò che poteva, e per il resto prendeva tempo, fissando incontri a dopo il termine della quarantena. Sempre nella speranza che l’epidemia non scoppiasse.
   Tre giorni dopo l’inizio dell’isolamento, Losira si ritrovò nella famigerata stiva di carico, dove tutto era cominciato. Le antichità del XIX secolo erano sempre lì, in bell’ordine, nonché accuratamente disinfettate contro il virus. La Risiana trovava beffardo non potersene liberare per un altro mese. Già che c’era, comunque, provò a rivalutarne il valore, aggiungendo una percentuale del 20% per il risarcimento che sperava d’ottenere.
   Impugnando il d-pad, Losira dette l’ennesima occhiata al carico, osservando in particolare le monete d’epoca. Sterline d’oro sonanti... in effetti davano più soddisfazione dei crediti elettronici, o persino delle ingombranti barre di latinum. Ah, bei tempi, quando si poteva ascoltare il tintinnio della propria ricchezza! La Risiana si era spesso chiesta se non avrebbe preferito vivere nel passato, sul suo pianeta, e rinunciare a tante comodità moderne, pur di vivere in una società che incoraggiava il profitto, convertendolo in oggetti di lusso come quelli. Possibile che, con tutte le risorse moderne, gli oggetti non fossero più decorati in modo artistico, essendo improntati solo alla funzionalità? Perché l’estetica era stata fagocitata dal minimalismo? Perché non si riusciva a creare bei tappeti, bei quadri, o magari belle statue come quelle...?
   Alzando gli occhi dal d-pad, dove aveva aggiornato i calcoli, Losira tornò a osservare il carico. E restò interdetta. C’era qualcosa di strano... qualcosa di diverso da prima. Già, ma cosa? Possibile che mancassero alcuni oggetti? Eppure non potevano averli teletrasportati via mentre lei era presente, senza che lo notasse. Osservando i reperti con più attenzione, la Risiana si convinse che non mancava niente. Allora cos’era a disturbarla? Dopo una breve riflessione, Losira comprese che alcuni oggetti erano spostati. Le statue degli angeli, in particolare, che prima erano allineate lungo la parete di fondo, adesso erano più avanti. Alcune solo di un paio di passi, mentre altre erano avanzate in modo più evidente. Già, ma... escludendo che si fossero mosse sui loro piedi, chi le aveva spostate? La stiva era isolata da quando avevano decretato la quarantena, e Losira era certa che allora le statue fossero tutte addossate alla parete. Per la verità, le sembrava che lo fossero anche qualche minuto prima... ma doveva sbagliarsi.
   A forza di fissare gli angeli, la Risiana notò un altro particolare sconcertante. Se in precedenza avevano tutti il capo chino e seminascosto dalle mani, come se fossero in lacrime, adesso quelli in posizione più avanzata erano a volto scoperto. Sì, le mani erano certamente più basse, tanto che Losira poté scorgere per la prima volta i loro lineamenti. E ciò che vide non le piacque. Le espressioni erano tutt’altro che angeliche. Non esprimevano serenità... e nemmeno lutto, come ci si poteva aspettare da monumenti funebri. Sembravano piuttosto dei sorrisetti ironici, o persino dei ghigni minacciosi. Qualunque cosa fossero, avevano l’aria più profana che sacra, al punto che Losira si sentì inquieta.
   «Se questo è uno scherzo, è di pessimo gusto» mormorò, guardandosi attorno. Cosa doveva pensare? Che qualcuno avesse rubato le statue, sostituendole con copie in altre pose? E chi mai avrebbe fatto una cosa del genere, un burlone o un ladro?! Se era un burlone, la sua azione era decisamente fuori luogo. Se invece era un ladro... beh, solo uno davvero maldestro poteva illudersi che la sostituzione passasse inosservata. Se vuoi sostituire un’opera d’arte con una copia, non puoi metterne una così palesemente diversa. Quelle repliche non avrebbero mai passato il severo controllo doganale. Ad ogni modo, restava una domanda pressante: che fine avevano fatto gli originali? Bisognava scoprirlo prima che finisse la quarantena. Anzi, prima che Amirani – ancora a bordo – avesse sentore della faccenda. Serviva un’indagine in piena regola. La cosa più urgente era capire se le vere statue erano state teletrasportate via dalla nave. Poi bisognava controllare il resto delle antichità, per sincerarsi che non ci fossero altri falsi, più difficili da riconoscere. Era un problema enorme... se non lo risolvevano in tempo, sarebbero finiti nei guai con le autorità terrestri.
   Losira voltò le spalle agli angeli non più piangenti e si diresse verso l’uscita, col cervello che ribolliva di preoccupazioni. Al tempo stesso si premette il comunicatore. «Losira a Rivera, ci sei?!» chiese agitata.
   «Sono sempre qui, vecchia mia» rispose il Capitano in tono assonnato. In effetti era sera tardi; forse era già andato a letto. «Ora che siamo in quarantena, dove vuoi che vada? Allora, dimmi che succede stavolta» biascicò.
   «Abbiamo un grosso problema con le antichità, qualcuno le ha manomesse» spiegò Losira. «Sembra assurdo, ma credo che...». D’un tratto sentì qualcosa toccarle la spalla. Era una mano umanoide, pesante come se fosse stata di marmo. Colta di sorpresa, la Risiana gridò di terrore. L’attimo dopo la sua vista si oscurò.
 
   «Sembra assurdo, ma credo che... ah!». Il grido di spavento fu troncato sul nascere e dal comunicatore non vennero altri suoni. Allora il Capitano si alzò dal letto, scacciando il sonno dalla mente. «Cos’è successo? Losira, mi senti? Rispondi subito. Sei in ascolto, Comandante?!» chiese in rapida successione e con crescente allarme.
   «Mmmhhh... che succede?» mormorò Giely, alzandosi a sua volta dal giaciglio. Si sfregò gli occhi, assonnata. Erano alcuni mesi ormai che il Capitano le aveva proposto di convivere, e lei aveva accettato di buon grado, trasferendosi nel suo alloggio.
   «Losira mi ha chiamato, dicendo che qualcuno ha manomesso le antichità» spiegò il Capitano, cominciando già a vestirsi. «Poi s’è interrotta con uno strillo, come se l’avessero aggredita. Computer, dove si trova Losira?» volle sapere.
   «La Comandante Losira non è a bordo della Destiny» fu l’agghiacciante risposta. A quelle parole, sia Rivera che Giely s’irrigidirono. E presero a vestirsi ancora più in fretta. «Come sarebbe, non c’è? Mi ha parlato mezzo minuto fa! Qualcuno l’ha teletrasportata via?» si preoccupò il Capitano.
   «Non ci sono stati teletrasporti dall’inizio della quarantena, settantasei ore fa» riferì il computer.
   «E allora dov’è Losira?!».
   «Impossibile stabilire. I suoi segni vitali sono scomparsi quarantasette secondi fa».
   «Scomparsi?!» fece Rivera, scambiando un’occhiata atterrita con la compagna. Non voleva credere che la Risiana fosse stata assassinata. Non ci avrebbe creduto, prima di vedere il cadavere. «Computer, qual è l’ultima posizione nota di Losira?» chiese, imponendosi la calma.
   «La sua ultima posizione nota è la stiva di carico 3».
   «Rivera a Sicurezza, emergenza. Vediamoci subito nella stiva 3!» ordinò il Capitano. Finì precipitosamente d’allacciarsi le scarpe, prese il phaser che teneva nel cassetto del comò – da quando dormiva con Giely aveva smesso di tenerlo sotto il cuscino – e si slanciò verso l’uscita. La compagna lo seguì di corsa, finendo di sistemarsi l’uniforme medica.
 
   Pochi minuti dopo erano nella stiva 3, assieme a Naskeel e alla sua squadra della Sicurezza. C’era anche Talyn, accorso alla notizia della scomparsa della madre adottiva. Non vi era alcuna traccia di Losira, né viva, né morta. Le antichità erano al loro posto, con gli angeli piangenti allineati lungo la parete di fondo, e il resto del carico disposto ordinatamente davanti a loro. Una rapida ispezione confermò che non mancava nulla.
   «Allora, dov’è Losira?! E cosa intendeva nel dire che il carico è stato manomesso? Potrebbe essere quello il movente della sua scomparsa?!» ipotizzò Rivera, camminando nervosamente avanti e indietro.
   «Quesiti interessanti, Capitano» disse Naskeel, studiando la scena del crimine col suo sguardo attento ai dettagli. «Procediamo con ordine: la sorte di Losira. Gli addetti al turno di notte hanno confermato che alle 10:30 la Comandante è scesa in questa stiva. La motivazione era rivalutare il valore del carico archeologico, alla luce di un possibile risarcimento post-quarantena. Alle 11:25 la Comandante ha effettuato la chiamata; l’orario suggerisce che avesse appena terminato il suo compito. Mi conferma il contenuto del messaggio, Capitano?».
   «Sì, Losira ha detto che c’era un grosso problema con le antichità, perché qualcuno le aveva manomesse» confermò Rivera.
   «Sono state le sue esatte parole? Non ha specificato la natura del problema?».
   «Macché, non ha fatto in tempo» ricordò il Capitano. «Le sue ultime parole sono state: “Sembra assurdo, ma credo che...” seguite da un grido. Un grido interrotto, direi».
   «Strano» commentò il Tholiano. «Il carico non sembra affatto manomesso. Tutti i pezzi sono ancora qui. Nulla è stato rimosso, nulla è stato spostato» disse, osservando gli angeli debitamente allineati lungo la parete di fondo, coi volti chini e celati dalle mani.
   «Forse un ladro aveva preso qualcosa, ed è tornato per portar via dell’altro, ma ha sorpreso Losira e l’ha sopraffatta. Poi, spaventato, ha restituito la refurtiva...» ipotizzò Giely.
   «Suggerisco di non avanzare ipotesi indimostrabili» disse Naskeel. «Atteniamoci ai fatti. Al momento sappiamo solo che, dopo la chiamata interrotta, Losira è scomparsa. I sensori interni indicano che da allora non si trova più sulla Destiny. Non ha preso una navetta né una capsula, dato che sono tutte al loro posto. Non si è teletrasportata via, perché gli archivi del teletrasporto confermano che non vi sono stati trasferimenti dall’inizio della quarantena. Ciò comporta inoltre che nessun malintenzionato sia salito a bordo in questo lasso di tempo. Escluderei che la Comandante sia stata disintegrata, dato che non vi sono tracce organiche né bruciature sul pavimento, e i sensori non hanno rilevato alcun picco energetico».
   «Confortante» brontolò il Capitano. «Stabilito cosa non le è successo... siamo in grado di determinare cosa le è successo?!».
   «Non ancora» rispose l’Ufficiale Tattico. «Condurrò un’indagine accurata, signore. Ispezionerò il carico per stabilire cosa intendesse Losira, parlando di una manomissione. Se la individuassi, potrebbe essere la chiave per comprendere la sua scomparsa. Inoltre interrogherò l’Ispettrice Amirani e la sua scorta. Sono gli unici estranei attualmente a bordo, e sono anche collegati a questa transazione».
   «Uhm, sì, cerchiamo di tracciare i loro spostamenti. Vediamo dove sono stati, ora per ora» approvò il Capitano.
   «Dobbiamo anche cautelarci» ammonì il Tholiano. «Suggerisco di andare in Allarme Giallo e attivare gli scudi. Nel caso che la Comandante sia stata rapita con un teletrasporto che sfugge ai nostri sensori, questo eviterà ulteriori sequestri».
   «Ma potrebbe indispettire le autorità terrestri» borbottò Rivera. «Già adesso ho l’impressione che non si fidino tanto di noi. Se attiviamo gli scudi, lo prenderanno come un segno d’ostilità».
   «L’ostilità l’abbiamo già subita noi! Losira è stata rapita!» protestò Talyn, appoggiando l’Ufficiale Tattico. «A questo punto abbiamo il diritto di difenderci!».
   «E sia» sospirò il Capitano, che teneva sempre in gran considerazione i pareri del giovane El-Auriano. La sua preveggenza li aveva già salvati in numerose occasioni. «Computer, Allarme Giallo fino a mia revoca. Alzare gli scudi, ma non attivare le armi!» raccomandò l’Umano, sperando di limitare i danni.
   Intanto Naskeel percorreva il salone, osservando con attenzione il pavimento.
   «Stai cercando qualcosa?» chiese Rivera, incuriosito dal suo comportamento.
   «Quando è scesa per fare l’inventario, Losira aveva con sé tricorder e d-pad» spiegò il Tholiano. «Adesso anche quegli oggetti sono spariti. Forse contenevano informazioni compromettenti per il colpevole. Cercherò di ritrovarli, sempre che si trovino ancora a bordo e non siano... spariti come la Comandante».
   «Se qualcuno può far sparire Losira, a maggior ragione avrà portato via anche i suoi strumenti» rifletté il Capitano. «Continuo a chiedermi quale sia il movente... se capissimo quello, sono certo che anche il resto della matassa si sbroglierebbe».
   «Uhm, in quest’ultimo anno, Losira ha combinato molti affari. Qualcuno potrebbe essere rimasto scontento» ragionò Talyn. «D’altra parte, dubito che abbiano potuto inseguirla da un cosmo all’altro. E siamo in questo Universo da così poco tempo che non ha ancora avuto occasione di truff... ehm, di scontentare nessuno».
   Rivera si rivolse al giovane. «Le tue percezioni ci hanno già aiutato parecchie volte. E naturalmente sei molto legato a Losira, il che dovrebbe rafforzarle. Quindi dimmi se avverti qualcosa. Anche la minima sensazione può essere fondamentale» lo esortò.
   «Sì, lo so che dovrei percepire qualcosa» mormorò il giovane, osservando le antichità. Il suo talento più distintivo era la psicometria, ossia la capacità di raccogliere le impressioni emotive che le persone avevano lasciato sugli oggetti a loro appartenuti. Quei reperti, antichi di secoli, avevano avuto molti proprietari, protagonisti d’innumerevoli vicende. I preziosi arredi erano stati in ville signorili, testimoni di discussioni e affari, a volte anche di drammi familiari. Le sterline tintinnanti erano passate per molte mani, non tutte raccomandabili. Le uniformi, le bandiere e gli equipaggiamenti militari avevano assistito a feroci carneficine. Tutto questo però era sepolto nel passato, tanto che gli echi sensoriali erano quasi svaniti. Tuttavia, chiudendo gli occhi, Talyn avvertì un senso latente di pericolo, pur non riuscendo a localizzarlo, per via del rumore di fondo.
   «Avverti qualcosa?» chiese il Capitano, vedendolo aggrottare la fronte.
   «Una minaccia, anche se non riesco a individuarla. Non so, forse è un’auto-suggestione» mormorò il giovane. «Ho bisogno di restare da solo a meditare. Allora forse capirò».
   «Una percezione extrasensoriale, del tutto soggettiva, non può superare la validità di una prova scientifica» obiettò Naskeel.
   «Quando sarà in grado di darmi prove scientifiche, Tenente, le esaminerò volentieri» promise Rivera. «Fino ad allora, lasciamolo tentare. Dico a tutti... lasciamolo in pace» ordinò, facendo segno agli altri d’uscire.
   «Solo un momento» insisté il Tholiano. «Vorrei lasciare una telecamera, nel caso... accadesse qualcosa». Così dicendo si scostò, lasciando entrare uno degli Exocomp, i robottini riparatutto che assistevano gli ingegneri. Non era un Exocomp qualunque: era il numero 64, detto Ottoperotto dagli amici. E il suo amico più stretto era sempre stato Talyn. Insieme, quei due avevano già affrontato minacce e risolto misteri. Di recente, inoltre, Ottoperotto era stato potenziato, acquisendo la capacità di proiettare un campo di forza semisferico per proteggere quanti lo attorniavano. L’unico limite era che, a causa del grande dispendio energetico, la cupola protettiva durava un minuto al massimo.
   «Be-beep. Ottoperotto sorveglia Talyn!» garantì il robottino ovoidale, avvicinandosi fluttuando.
   «Va bene, basta che non fai baccano» raccomandò il giovane. Sedette a gambe incrociate davanti ai reperti. Fatto un respiro profondo, chiuse gli occhi e cercò d’entrare in meditazione, come gli aveva insegnato il Viaggiatore nei giorni che avevano trascorso assieme. L’Exocomp si recò in un angolo della stiva e da lì lo sorvegliò coi sensori. Allora il Capitano e gli altri uscirono.
   «Plancia a Rivera, ci chiamano dalla Terra. Vogliono sapere perché abbiamo alzato gli scudi» giunse la voce di un ufficiale.
   «Groan, arrivo» disse il Capitano, preparandosi alle rogne diplomatiche. Poi si rivolse a Naskeel: «Faccia la sua indagine. Cominci interrogando i nostri ospiti... adesso, non domattina. Poi torni qui a ispezionare il carico, in cerca della presunta manomissione. Per allora Talyn dovrebbe aver finito di meditare, e se ha scoperto qualcosa ce lo farà sapere».
   «Io controllerò i diari dei sensori, in cerca di tracce organiche. Voglio accertarmi che niente sia entrato o uscito dalla nave» disse Giely, che non aveva trovato indizi nella stiva. Ora che tutti avevano le loro consegne, gli avventurieri si separarono, decisi ad andare a fondo del mistero.
   Recatosi dall’Ispettrice, Naskeel aveva appena cominciato a interrogarla quando sentì un allarme automatico. «Attenzione: rilevata sparizione di segni vitali» avvertì il computer, che dopo la prima scomparsa era stato impostato per dare l’allarme.
   «Identificare vittima» ordinò prontamente il Tholiano.
   «Le letture scomparse appartengono al Guardiamarina Talyn. Luogo della sparizione: stiva di carico 3» rispose il processore.
   «Naskeel a Talyn, rispondi» verificò l’Ufficiale Tattico, premendosi il comunicatore appuntato sulla cintura. Non ebbe risposta né da lui, né da Ottoperotto. Abbandonato l’interrogatorio, il Tholiano tornò in tutta fretta alla stiva, in testa a una squadra. Fecero irruzione con le armi spianate... e trovarono la sala deserta. Il carico era sempre lì, in bell’ordine, ma non c’era alcuna traccia del giovane El-Auriano. E nemmeno dell’Exocomp che doveva vegliare su di lui. Come Losira, sembravano essersi volatilizzati.
 
   «Inaudito! Due sparizioni sulla nave, nel giro di un’ora! Anzi, tre sparizioni, contando anche Ottoperotto! E mi dice che nemmeno stavolta ci sono indizi?!» chiese il Capitano, osservando la stiva.
   «La scomparsa ha seguito le stesse modalità della precedente» confermò Naskeel. «I segni vitali di Talyn sono svaniti alle 00:22. Nello stesso momento si sono persi i contatti con l’Exocomp. Anche stavolta non c’è traccia di rapimento, né di disintegrazione. Aggiungo che, a differenza del primo caso, ora la Destiny ha gli scudi alzati, quindi nessuno ha potuto teletrasportarli. A meno di usare un tipo ignoto di teletrasporto, capace di penetrare i nostri scudi cronofasici».
   «Improbabile... anche se suppongo non possiamo escluderlo categoricamente» commentò Rivera. «A questo punto non so proprio che pensare. Devo aspettarmi altre sparizioni nelle prossime ore? I responsabili, chiunque siano, ci prenderanno tutti uno dopo l’altro?!».
   «Non conosco la risposta, Capitano, ma raccomando di prendere alcune precauzioni logiche» disse Naskeel. «La prima è sigillare questa stiva, dal momento che tutte le sparizioni sono avvenute qui. Se una volta impedito l’accesso i sequestri finiranno, avremo arginato l’emergenza e ristretto il campo d’indagine. Altrimenti...».
   «Altrimenti siamo fregati» borbottò Rivera. «Speravo nelle percezioni di Talyn per capirci qualcosa; ora invece dovremo cavarcela senza di lui. In effetti mi chiedo se non l’abbiano preso proprio per questo. Per impedirci di far luce sul mistero».
   «È possibile» ammise il Tholiano. «Se gli attacchi sono mirati, allora devo pensare alla sua sicurezza. Farò in modo che sia sempre sotto scorta, Capitano. E aumenterò la sorveglianza in plancia e in sala macchine».
   «Altre precauzioni, eh? Okay, lo faccia» annuì Rivera. «Se solo capissimo cos’è successo agli scomparsi... dove sono finiti... sperando che siano ancora vivi...» si tormentò.
   «Non possiamo fare congetture senza indizi» disse Naskeel. «Tuttavia ci sono delle alternative alla disintegrazione e al sequestro. Gli scomparsi potrebbero essere ancora fisicamente presenti, ma fuori dal nostro quadro percettivo».
   «Fuori dal... intende che non li vediamo?!» si stupì il Capitano.
   «Intendo che potrebbero sfuggire a tutti i nostri sensi, e anche ai sensori della nave» precisò il Tholiano. «Gli archivi della Flotta Stellare illustrano dei precedenti di ufficiali che, per incidenti o attacchi deliberati, finirono leggermente “fuori fase” rispetto alla nostra realtà. Altri furono accelerati nel tempo, divenendo così rapidi da non essere percepiti. Altri ancora furono persino rimpiccioliti. Al momento non possiamo escludere nessuna ipotesi».
   «Beh, dobbiamo cominciare a escluderle!» esclamò Rivera. «Parliamo dei sospetti. Che mi dice dei nostri ospiti, Amirani e le sue guardie?».
   «I sensori indicano che erano nei loro alloggi, al momento di ambedue le sparizioni» rispose il Tholiano. «Nel caso di Amirani, la stavo personalmente interrogando al momento della seconda scomparsa. L’Ispettrice sostiene di non sapere niente. Anche se mentisse, non potrebbe aver attaccato Talyn mentre parlava con me».
   «Così restiamo con un pugno di mosche!» brontolò il Capitano. Guardò i reperti, maledicendo la decisione di prenderli a bordo. Chi l’avrebbe mai detto che un affare all’apparenza tanto facile sarebbe diventato un mistero così spaventoso?
   «Se permette, Capitano, le consiglio di andare a riposare. Al momento non è lucido. Io posso restare in attività senza perdere in efficienza, e domattina l’aggiornerò sui progressi» promise Naskeel.
   Rivera lo guardò indispettito, quasi invidioso delle sue capacità; ma si disse che era inutile negare la stanchezza. «E va bene. Mi affido a lei, continui l’indagine durante la notte. Ma se ci fossero altre sparizioni, o qualunque novità rilevante, voglio essere svegliato» raccomandò. E lasciò la stiva, per tornare nel suo alloggio, dove comunque le preoccupazioni gli avrebbero reso difficile il sonno.
 
   Rimasto solo, Naskeel osservò il carico, avvalendosi della sua memoria fotografica per cercare la minima alterazione. All’apparenza era tutto in ordine. Eppure qualcosa era successo in quella stiva, ed era improbabile che la presenza dei reperti fosse puramente casuale. Finalmente il Tholiano notò che un pugnale mancava all’appello. Qualcuno lo aveva tolto dalla rastrelliera delle armi. Era stato il colpevole, per colpire? O piuttosto Talyn, per difendersi? In ogni caso, dov’erano le macchie di sangue? La ricerca condusse Naskeel a una nuova, inquietante scoperta. Ma sebbene il Capitano gli avesse ordinato di riferire ogni novità, per il momento il Tholiano la tenne per sé. Voleva ruminarci sopra, prima di comunicare le sue scoperte e le relative ipotesi.
   Lasciata rapidamente la sala, l’Ufficiale Tattico la sigillò con un codice di sicurezza e per ulteriore precauzione pose due sentinelle all’ingresso. Poi riprese la sua indagine. C’erano molte verifiche da fare sui sensori per stabilire se qualcosa fosse entrato o uscito dalla nave, o se gli scomparsi potessero ancora essere lì, impossibili da rilevare.
   Naskeel dedicò tutta la notte alle ricerche, escludendo un’ipotesi dopo l’altra. Il suo modo di procedere era preciso, metodico. Agli occhi degli umanoidi, poteva sembrare che i Tholiani fossero privi d’emozioni. Questo non era del tutto esatto... se non altro, quegli esseri sulfurei erano capaci di avere interessi. Ed erano interessati soprattutto a risolvere gli enigmi. Quando si presentava qualcosa di misterioso, d’apparentemente inspiegabile, i Tholiani avevano l’irresistibile desiderio di far luce. Era stata la molla che li aveva indotti a sviluppare il metodo scientifico e quindi una tecnologia evoluta. E ora che c’era un mistero sulla Destiny, a stuzzicare la sua curiosità, Naskeel non avrebbe avuto pace finché non l’avesse risolto.
   Il Tholiano non aveva mai dimenticato il modo coatto in cui si era trovato a prestare servizio su quella nave, tra gli ex nemici, tuttavia doveva ammettere che le cose avrebbero potuto andargli peggio. In quegli anni aveva appreso cose inaspettate e, tutto sommato, interessanti sui compagni di viaggio. Se poteva capire cos’era successo agli scomparsi, bene; avrebbe soddisfatto la sua curiosità intellettuale. Se poi fosse riuscito a recuperarli sani e salvi, ancora meglio. In fondo era il suo dovere di Ufficiale Tattico garantire la sicurezza di nave ed equipaggio, fino al momento del ritorno. Dopo di allora, beh... le sue priorità sarebbero cambiate. Ma più passava il tempo, più Naskeel cercava di non pensare al dopo.
 
   La prima cosa che il Capitano fece, al risveglio, fu chiamare Naskeel per chiedergli aggiornamenti. Il Tholiano poté rassicurarlo almeno su un punto: nelle ultime ore non c’erano state ulteriori sparizioni. L’emergenza pareva arginata, almeno per il momento. Ma non conoscendo la causa delle scomparse, c’era poco da stare allegri. Non potevano prevedere se ve ne sarebbero state altre, né prevenirle in alcun modo. Di rado gli avventurieri si erano sentiti così impotenti. Si erano già trovati davanti ad avversari formidabili, ma almeno sapevano di chi si trattasse. Stavolta invece non riuscivano a dare un volto al nemico, e questo era snervante. Solo Naskeel appariva imperturbabile, mentre ruminava le sue ultime scoperte, cercando di darvi un senso.
   Intanto il Tholiano continuava la sua indagine. Gli ospiti furono re-interrogati, senza ricavarne alcunché di utile. I diari dei sensori furono passati al setaccio, in cerca d’anomalie. I sensori stessi furono calibrati in ogni modo possibile, nella speranza di cogliere qualcosa che prima sfuggiva. Ma ogni tentativo dava invariabilmente esito negativo.
   Nel pomeriggio, Naskeel contattò Rivera e Giely, chiedendogli di raggiungerlo nella stiva 3 per fare il punto della situazione. Era strano che fosse l’Ufficiale Tattico a convocare il Capitano, e non viceversa. Rivera pensò che forse Naskeel aveva finalmente scoperto qualcosa e quindi si affrettò. Giely lo raggiunse strada facendo, così che arrivarono insieme dal Tholiano, che li attendeva davanti alla stiva sigillata.
   «Allora, ci sono novità?» chiese il Capitano.
   «Alcune, sì. Inoltre volevo mettervi al corrente delle mie riflessioni e suggerire un nuovo approccio alle indagini» disse Naskeel, enigmatico. Rivera notò che era pesantemente armato: aveva due phaser manuali del tipo più potente, assicurati in cintura. Al momento, tuttavia, non gliene chiese ragione.
   Il Tholiano riaprì la stiva col suo codice e vi entrò. Il Capitano e la dottoressa lo seguirono, incuriositi. Una volta dentro, l’Ufficiale Tattico osservò ancora una volta il carico. Poi girò su se stesso, rivolgendosi ai colleghi.
   «Signori, ogni crimine necessita di tre componenti: l’arma, il movente e l’occasione» esordì Naskeel, levando altrettante dita. «Al momento non siamo in grado di determinare nessuno dei tre. Non sappiamo con quali strumenti gli scomparsi siano stati uccisi o sequestrati. Non conosciamo il movente, sebbene si possa congetturare che questo insolito carico vi sia in qualche modo collegato. Quanto all’occasione, sappiamo solo che gli scomparsi si trovavano in questa stiva, senza testimoni».
   «Se la mette così, sembra senza speranza» notò Rivera.
   «Anche se il carico non è stato rubato, forse qualcuno sta cercando d’impedire la consegna» suggerì Giely. «Prima il virus, per farci perdere tempo; poi queste inspiegabili sparizioni. Chi può avere interesse a far fallire la transazione?».
   «Una giusta domanda, ma anche in questo caso non abbiamo elementi probanti. La transazione è pubblica, chiunque può esserne venuto a conoscenza. E per quanto prezioso, in senso sia prettamente economico che storico, il carico non è unico nel suo genere. I musei terrestri sono pieni di simili antichità» ragionò Naskeel.
   «E quindi?!» incalzò il Capitano, chiedendosi dove volesse andare a parare.
   «Quindi suggerisco di riflettere sui pochi indizi a nostra disposizione» disse il Tholiano. «Secondo Losira il carico era stato manomesso, mentre Talyn percepiva una minaccia. Entrambi avevano individuato un’anomalia o un pericolo inerenti il carico. Ed entrambi sono scomparsi subito dopo, in presenza del carico stesso, prima di poter precisare la natura del problema. Dopo la seconda scomparsa, inoltre, ho notato una manomissione: un pugnale indiano è scomparso dalla rastrelliera» disse, indicando lo spazio vuoto tra le armi. «Sono certo che ci fosse ancora, quando abbiamo lasciato Talyn nella stiva. Quindi deve essere stato asportato in seguito» precisò.
   «Potrebbe essere stato usato contro Talyn?» s’inquietò Rivera, temendo il peggio. «Ma non abbiamo trovato alcuna traccia di sangue...».
   «Questo è inesatto» corresse Naskeel. «Sempre dopo la seconda sparizione, ho rinvenuto piccole macchie di sangue lì sopra» disse, indicando uno degli angeli piangenti.
   «La statua?! E il sangue è...» si allarmò il Capitano.
   «Di Talyn, corretto» confermò l’Ufficiale Tattico. «Ma è troppo poco per far pensare che il Guardiamarina sia stato pugnalato a morte. In effetti, a giudicare dalla posizione frontale degli schizzi, il sangue non è colato. Si direbbe che sia stato gettato, oserei dire intenzionalmente, da una certa distanza. Come per marchiare l’angelo. E c’è un dettaglio ancor più sorprendente. Se osservate da vicino, noterete che gli schizzi sono quasi tutti coperti dalle braccia e dalle mani dell’angelo, tanto che è assai difficile notarli».
   «Perbacco, è vero!» constatò il Capitano, accostatosi per osservare. «Com’è possibile? Se il sangue è schizzato da lontano, avrebbe dovuto macchiare gli arti della statua. Se invece è schizzato da vicino... beh, mi chiedo come sia accaduto. Tra le mani e il volto c’è appena una spanna vuota».
   «Forse c’era più di una spanna, quando il sangue è schizzato» suggerì Naskeel. «La mia ipotesi è che Talyn non sia stato aggredito col pugnale mancante, ma che lui stesso l’abbia impugnato, forse per difendersi. E quando ha capito di non poterlo fare, ci ha lasciato un indizio. Ha marchiato qualcosa col suo sangue, per far sì che lo notassimo».
   «La statua? Ma perché proprio quella?!» chiese Rivera, sempre più smarrito.
   «Signore, a questo punto ritengo che dovremmo considerare queste sculture – o presunte tali – non come dei meri oggetti, ma come dei soggetti in grado d’agire e reagire» dichiarò il Tholiano.
   «Vuol dire che potrebbero essere animate?!» trasecolò l’Umano. «Naskeel, quel che sta proponendo è... beh, non dico folle, ma senz’altro non me lo aspettavo da lei. Non era lei a fidarsi solo delle osservazioni scientifiche?».
   «Sì, ma una volta eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto altamente improbabile, deve corrispondere a verità. E solo perché qualcosa è fatto di pietra, non significa che sia inanimato. Forse è più facile per me giungere a questa conclusione, essendo io stesso inorganico» ragionò il Tholiano, osservando gli angeli piangenti.
   «Forme di vita rocciose?» sussurrò Giely. Era raro, ma non impossibile. La Flotta ne conosceva alcune: oltre ai Tholiani c’erano gli Excalbiani, i Melkotiani, gli Sheliak, le Horta...
   «È possibile» confermò Naskeel.
   «Okay, diciamo che sono alieni rocciosi... ma come fanno ad avere l’aspetto di angeli? Con tanto d’abiti rocciosi, tra l’altro! Sarei curioso di vedere come li hanno indossati» obiettò Rivera. «E perché se ne stanno immobili? Che fanno, giocano alle belle statuine?!».
   «Non ho le risposte, ma il primo passo è verificare se quelle “statue” siano in realtà esseri viventi. Per quanto ne sappiamo, potrebbero essere dei mutaforma affini ai Fondatori. Dottoressa Giely, le spiace analizzarli in cerca di metabolismo?» chiese il Tholiano.
   Analizzare delle statue era una richiesta insolita, ma la Vorta non si tirò indietro. «Se sono mutaforma, lo scoprirò subito» disse, impugnando il tricorder medico. Impostò i parametri d’analisi: un’operazione semplice, che richiese pochi secondi. Quando rialzò gli occhi verso le sculture, sobbalzò ed emise un gridolino di terrore.
   Gli angeli non erano più allineati in fondo alla stiva, e non erano più piangenti. Adesso stavano a pochi passi dai visitatori, come se si fossero mossi mentre non li guardavano. Le loro pose erano cambiate... si erano fatte agghiaccianti, del tutto opposte ai canoni dell’arte cristiana. Le mani avevano lunghi artigli ed erano tese in avanti, come per ghermire le prede. I volti avevano lineamenti demoniaci, con gli occhi malefici contornati da rughe profonde. Le bocche dai denti aguzzi erano spalancate in un muto urlo. Tutto, in quelle cose, suscitava orrore e repulsione.
   «Avete visto?!» boccheggiò Giely, indietreggiando spaventata.
   «Caramba, si sono mossi!» esclamò Rivera.
   Naskeel impugnò prontamente un phaser, gettando l’altro al Capitano, che lo prese al volo e lo impugnò a sua volta. Tennero sotto tiro gli angeli, che tuttavia erano di nuovo fermi. Non solo avevano smesso d’avanzare, ma non tentavano neppure d’arretrare o di proteggersi. Erano del tutto immobili, proprio come statue, sebbene le pose fossero diverse da prima.
   «Lo avete visto anche voi che sono cambiati, vero?!» fremette Rivera, quasi dubitando dei propri sensi.
   «Affermativo, Capitano. Tutti gli angeli si sono mossi, e tutti hanno cambiato pose ed espressioni. Non può esserci alcun dubbio al riguardo» confermò Naskeel, forte della sua memoria fotografica.
   Il Capitano fu confortato di sapere che non stava impazzendo. Assodato questo, tuttavia, non sapeva cosa pensare di quegli “angeli”. Se erano degli esseri viventi, e se le loro intenzioni erano mostruose come il loro aspetto, che aspettavano a ghermirli? Perché immobilizzarsi di nuovo come statue? Ormai non ingannavano più nessuno. Doveva esserci una spiegazione...
   «Le sentinelle presidiano l’ingresso. Suggerisco d’arretrare verso l’uscita e, una volta fuori, sigillare la stiva» propose Naskeel.
   «O magari decomprimerla» borbottò Rivera. Al diavolo i reperti storici; non voleva che quegli abomini restassero un minuto di più sulla sua nave. Dette una rapidissima occhiata al portone dietro di lui, e altrettanto fecero gli altri. Quando tornarono a guardare in avanti, gli angeli si erano ulteriormente avvicinati. Le loro mani artigliate erano a un soffio da loro, come se volessero smembrarli, e gli occhi demoniaci sembravano promettere l’Inferno. Adesso l’Umano capiva cos’era successo a Losira e Talyn...
   Anzi no, non lo capiva per niente. Quegli esseri non potevano averli uccisi a mani nude, perché non c’era traccia dei corpi. Che li avessero disintegrati? E come, visto che erano disarmati? O forse parevano disarmati... come fino a poco prima parevano innocue statue.
   «Indietro! È inutile bloccarvi, tanto non c’ingannate più! Tornate contro il muro, ho detto!» gridò il Capitano, senza ottenere risposta. Tale era il suo nervosismo che gli sfuggì un colpo. Il raggio phaser, tarato su stordimento, colpì l’ala di un angelo. Non ottenne più effetto che se avesse colpito una vera statua di marmo.
   «Capitano, se vuol sortire qualche effetto, le suggerisco d’aumentare il settaggio del phaser» disse Naskeel, che aveva già regolato il suo.
   «Un momento... Capitano a Sicurezza, emergenza nella stiva 3. Servono rinforzi immediati!» ordinò Rivera, pigiandosi il comunicatore. Sentì il cuore martellargli in petto, sempre più forte, mentre non giungeva alcuna risposta. La situazione continuava a peggiorare. «Niente da fare... scommetto che sono loro a disturbare le comunicazioni!» ringhiò, all’indirizzo degli angeli.
   «Ehm... ritirata strategica?» suggerì Giely.
   «Un momento» avvertì Naskeel. «A giudicare dalla velocità degli angeli, è evidente che non possiamo sfuggirgli».
   «Se sono così veloci, perché non ci attaccano? E non credo che siano impietriti dalla paura dei nostri phaser» ammise il Capitano. Era strano parlare di loro in terza persona, ma del resto le creature non avevano risposto al suo tentativo di comunicazione.
   «No, infatti. È un quesito interessante, Capitano» riconobbe Naskeel. «Valutando il loro comportamento, direi che non vogliono o non possono muoversi finché qualcuno li guarda. Le uniche volte in cui l’hanno fatto, finora, sono stati quei brevi attimi in cui nessuno di noi tre li stava osservando» notò.
   «Quindi sono i campioni galattici di “un, due, tre, stella”?!» si stupì Rivera. «Beh, se anche fosse, non possiamo fissarli per sempre. Prima o poi dovremo sbloccare la situazione».
   «Dovremmo cercare di comunicare» propose Giely. «Se capissimo chi sono e cosa vogliono, forse troveremmo una soluzione pacifica».
   «Io vorrei solo capire cos’hanno fatto a Talyn e Losira!» mugugnò il Capitano, alzando il settaggio del suo phaser. «Basta con la commedia, signori angeli. Diteci che ne è stato dei nostri compagni, o qualcuno di voi si farà male. Vi avverto! Se non vi si scioglie la lingua, al mio tre aprirò il fuoco!» minacciò, puntando l’angelo più vicino.
   Da quando s’erano impadroniti della Destiny, Rivera si era sempre sforzato d’imitare la disciplina della Flotta Stellare, e in parte d’imporla all’equipaggio. Ma non aveva mai scordato che restavano pur sempre degli avventurieri, dei rinnegati. E in momenti come quello, le regole dei rinnegati gli sembravano più efficaci di quelle della Flotta. Preferiva sparare per primo, a rischio di pentirsene, piuttosto che lasciare la prima mossa agli avversari. «Uno... due... tre» contò.
   Gli angeli non si mossero. Non un battito di ciglia, non il minimo tentativo d’entrare in contatto. Per non apparire un debole che minacciava a vuoto, Rivera fu costretto ad aprire il fuoco. Centrò l’angelo più vicino, col phaser tarato su uccisione. E non gli fece alcunché. La creatura restò perfettamente immobile, proprio come una statua.
   «Mannaggia...» fece il Capitano, regolando precipitosamente la sua arma. Se né lo stordimento, né l’uccisione avevano effetto, non restava che settarla al massimo. Al livello 10, un phaser manuale come quello poteva vaporizzare un macigno e tagliare una parete di duranio. Era più che sufficiente contro un alieno roccioso, giusto?
   «Vi avevo avvertiti» disse Rivera, sparando ancora una volta. Centrò l’angelo in pieno volto, proprio in mezzo agli occhi. Se fosse stato una statua di marmo, o d’altre rocce note, l’avrebbe disintegrato all’istante. Invece, dopo dieci secondi di fuoco continuo, l’Umano dovette desistere. L’angelo era ancora lì, perfettamente integro. Il suo volto non era scheggiato e non sembrava nemmeno scaldato, sebbene Rivera non osasse toccarlo per sincerarsene. «Beh, questa è la prova definitiva che non sono statue» mormorò.
   «In mancanza di scudi, dovrebbero essere fatti di neutronio per resistere a quel colpo» commentò Naskeel. «Ma in tal caso sarebbero così pesanti da affondare nel pavimento. La mia ipotesi è che rinnovino costantemente la loro struttura molecolare».
   «Non ho mai letto d’esseri viventi con questa capacità» mormorò Giely. «Se non possiamo contrastarli, allora dobbiamo andarcene subito. Prima di finire nelle loro grinfie» disse mentre indietreggiava.
   «Okay... l’importante è non smettere di guardarli. Non perdeteli di vista neanche per un istante!» raccomandò il Capitano, pur non avendo idea del perché gli angeli s’immobilizzassero. Era un comportamento che sfidava ogni logica, tanto da far sospettare che fosse un inganno.
   «Nessun problema, Capitano. A differenza vostra, io non ho palpebre e non rischio d’interrompere il contatto visivo» lo rassicurò Naskeel.
   In effetti, lo sguardo vigile del Tholiano permise a tutti e tre d’arretrare, allontanandosi dagli artigli protesi degli angeli. Ormai erano vicini al portone. Ancora pochi passi e ne avrebbero provocata l’apertura automatica. Sembrava facile... fin troppo facile. Che razza di predatore è uno che si blocca se solo viene scorto dalla sua preda? Con Losira e Talyn, forse gli angeli avevano approfittato della sorpresa, prendendoli alle spalle. Ma nel loro ambiente naturale – quale che fosse – quanto spesso riuscivano a ghermire le vittime?
   La risposta non si fece attendere. Già da un po’ gli avventurieri avevano notato che gli angeli in posizione più arretrata non avevano gli artigli protesi contro di loro, bensì sembravano indicare il soffitto della stiva. Ad essere più precisi, le luci sul soffitto. Quale che fosse il loro potere, le luci iniziarono a sfarfallare. Ogni volta si spegnevano per un istante, ma era sufficiente agli angeli per avanzare di qualche passo. Evidentemente il loro misterioso blocco non funzionava, se l’oscurità impediva d’osservarli. Come in una serie di fotogrammi, gli avventurieri videro le creature farsi sempre più vicine. Giely ormai era alla porta, ma Rivera e Naskeel si trovarono incalzati.
   «Non ce la faremo!» gemette il Capitano. Non era più nemmeno certo di voler lasciare la stiva. Se gli angeli erano invulnerabili e inarrestabili, aprire la porta rischiava solo di sguinzagliarli in giro per la nave.
   «Afferri ciò che può» consigliò Naskeel, dato che Rivera era l’unico abbastanza vicino al carico da poter toccare qualcosa. Vedendo la sua occhiata interrogativa, il Tholiano spiegò il motivo: «Tutti gli scomparsi sono svaniti con ciò che avevano in mano. Se sopravvivremo al tocco degli angeli, potrebbe farci comodo avere degli oggetti di valore».
   Era un’esile speranza, perché non sapevano nemmeno se sarebbero sopravvissuti, ma in quel momento il Capitano non ebbe tempo per pensare. Incalzato dagli angeli, agì d’istinto. Dette una rapidissima occhiata ai reperti accanto a lui, riconobbe la cassetta contenente le antiche sterline d’oro e vi tuffò dentro la mano libera. L’attimo dopo sentì una mano, dura e pesante come pietra, che si serrava attorno alla sua gola. Boccheggiò, voltandosi appena in tempo per vedere il volto demoniaco della creatura a pochi centimetri dal suo. Che destino bizzarro, morire strangolati da una finta statua angelica, che in realtà era un vero demone...
   In quella le luci tornarono a spegnersi, solo per un istante. Quando si riaccesero, non c’era più traccia degli avventurieri. Non vi erano corpi, né schizzi di sangue: erano semplicemente svaniti. E gli angeli piangenti erano allineati lungo la parete di fondo, i volti celati dalle mani, come se non si fossero mai mossi. 
 
   
 
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