Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: Parmandil    31/03/2024    1 recensioni
È un periodo fortunato per la Destiny, che scorrazza tra gli Universi combinando buoni affari. Ma quando alcuni membri dell’equipaggio scompaiono misteriosamente, tocca a Naskeel, l’Ufficiale Tattico, far luce sulla vicenda. L’indagine lo porterà più lontano del previsto, addirittura in un’epoca passata, dove il Tholiano scoprirà di non essere l’unico alieno che si nasconde sulla Terra. Né di essere l’unico inorganico. Altri, più angelici nella forma ma più demoniaci nella natura, sono lì per banchettare con l’ignara umanità. Fra travestimenti e trasformazioni, Naskeel dovrà improvvisarsi detective per venire a capo del mistero e capire di chi può fidarsi. Ma soprattutto... come diavolo fa quella strana cabina telefonica ad essere più grande dentro che fuori?
Genere: Azione, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
-Capitolo 6: Angelo Custode
 
   Nella sala centrale del TARDIS regnava il silenzio. Il Capitano fissava l’Angelo Piangente che un tempo era stata Giely, maledicendosi per non averla riconosciuta al primo sguardo. In tal modo l’aveva costretta a fuggire, a proteggerlo di nascosto, e ora a sacrificarsi per salvarlo dagli altri Angeli. Con un grosso sforzo, Rivera distolse lo sguardo da lei, e tornò a occuparsi di Vastra. «La trasformazione è reversibile?» chiese, cercando di non far tremare la voce.
   «Francamente, non lo so. Gli Angeli Piangenti sono creature misteriose» rispose la Siluriana. Lei e i gregari continuavano a tenere gli avventurieri sotto tiro, avvantaggiati dal fatto di trovarsi più in alto.
   «Beh, potremmo chiederlo a loro, se mi deste il tempo di finire il mio lavoro!» sbottò Irvik, sempre più deluso e irritato dal suo atteggiamento.
   «Temo di non potervelo permettere» rispose Vastra in tono minaccioso. «Mi avete già procurato fin troppi guai. Finora ve la siete cavata, grazie al vostro angelo custode... ma la fortuna è finita».
   «Quindi è stata lei a piazzare la bomba nel laboratorio» comprese Rivera. «Ma c’era anche lei là dentro... come contava di sopravvivere?».
   «C’ero? Per essere il Capitano di questa nave, lei è lento di comprendonio. Mi sa che il suo Ufficiale Tattico ha già capito come stanno le cose» fece la Siluriana in tono beffardo.
   Rivera si rivolse al Tholiano, sperando che fosse così.
   «Signore, ritengo che costoro non siano Lady Vastra e i suoi gregari» spiegò Naskeel con calma. «Credo invece si tratti di Amirani e delle sue guardie del corpo».
   «L’ispettrice doganale?!» fece Rivera, al colmo dello stupore. Con tutti gli eventi degli ultimi giorni, si era praticamente scordato che quei tre erano ancora a bordo, per via della quarantena.
   «Ovviamente anche quella è una copertura» chiarì il Tholiano.
   «Oh, finalmente qualcuno capace d’usare il cervello. O qualunque cosa abbia la sua specie per pensare!» commentò l’essere che pareva Vastra. «Per la cronaca, il mio vero nome è Rani». Così dicendo si portò la mano destra al polso opposto, premendo un comando invisibile. Allora la proiezione olografica sfarfallò e si dissolse, rivelando il suo vero aspetto. Era proprio l’ispettrice, con l’uniforme doganale rossiccia e il bracciale elettronico fitto di comandi. I folti capelli castani, simili a una criniera leonina, le incorniciavano il viso, atteggiato a un sorriso sardonico. Anche i suoi aiutanti disattivarono il mascheramento olografico, rivelandosi le guardie del corpo che l’avevano accompagnata fino a quel momento.
   «Vediamo se indovino, Rani: lei è un ufficiale d’alto rango dei servizi segreti terrestri» disse Naskeel. «Ha architettato l’intera operazione allo scopo d’impossessarsi della Destiny. Grazie ai suoi contatti su Nocturne, ha fatto in modo che sei Angeli Piangenti fossero imbarcati, mimetizzati fra le antichità terrestri. Sperava che ci avrebbero neutralizzati strada facendo, spedendoci indietro nel tempo, così che all’arrivo sulla Terra lei avrebbe trovato un’astronave semivuota, facile da conquistare.
   Ma il piano originale è fallito fin da subito, perché la nostra nave è così veloce, e gli Angeli erano così ben sigillati nella stiva, che all’arrivo non avevano ancora avuto modo di colpire. Quindi ha dovuto presentarsi sotto falsa identità. Si è imbarcata fingendosi l’ispettrice doganale e ha paventato una terribile epidemia, il Flood. Che in realtà non è mai stato una minaccia, dato che i virus da lei stessa introdotta erano inattivi: l’ho verificato assieme al Medico Olografico. Così ha avuto la scusa per metterci in quarantena, dando agli Angeli il tempo di colpire. E al tempo stesso è rimasta a bordo, per controllare come procedevano le cose. Suppongo che si fosse già accordata con gli Angeli, così che non temeva di diventare a sua volta loro vittima».
   «Beh, complimenti» riconobbe Rani con una smorfia. «Continui, vediamo se merita l’applauso».
   «Quando gli Angeli hanno preso gli ufficiali superiori, tra cui il Capitano e me, avrà pensato che la sua vittoria si avvicinava» proseguì Naskeel. «Poi però sono accadute due cose che lei non aveva previsto.
   Primo: invece di spedire Giely nel passato, gli Angeli l’hanno trasformata in una di loro, suppongo nel tentativo d’infoltire i loro ranghi e prenderci più in fretta. Ma anche in questo stato, la dottoressa ha conservato la memoria e la lealtà, diventando la nostra protettrice.
   Secondo: noi che eravamo davvero finiti nel passato abbiamo trovato il modo di tornare. Suppongo che in un primo momento la nostra subitanea ricomparsa l’abbia colta di sorpresa. Poi ha scoperto che eravamo tornati grazie al TARDIS. Allora, visto che ormai sapevamo come tenere a bada gli Angeli, ha spostato le sue mire di conquista dall’astronave alla capsula temporale. Un obiettivo più facile da sottrarre, se solo si fosse impadronita delle chiavi. Noi però stavamo cercando di comunicare con gli Angeli, per rintracciare Giely, e lei temeva che l’avrebbero smascherata. Così ha piazzato la bomba nel laboratorio linguistico, sperando d’eliminarci. Ma Giely vegliava su di noi e ci ha avvertiti. E quando ci siamo trincerati nel TARDIS, lei e le sue guardie avete fatto quest’ultimo tentativo per sbarazzarvi di noi. È evidente che vi siete sostituiti ai nostri ospiti solo nelle ultime ore, dopo l’attentato. Li avete uccisi?».
   «No, si trovano privi di sensi nel mio alloggio» ammise Rani. «Speravo di far ricadere la colpa su di loro, alla fine di tutto. In effetti può ancora funzionare: mi basta sbarazzarmi di voi!» minacciò. Lei e le sue guardie tenevano gli avventurieri sotto tiro, ma anche questi avevano le armi in pugno. E sebbene gli avventurieri si trovassero in una posizione sfavorevole, più in basso e senza ripari, avevano pur sempre il vantaggio numerico, rendendo imprevedibile l’esito della sparatoria.
   «Mi resta solo un dubbio: come avete fatto a ingannare così bene i nostri sensori, tanto da aggirarvi indisturbati sulla nave?» chiese Naskeel, con invidiabile tranquillità.
   «Ho più risorse di quanto crede» avvertì Rani. «Tra il mascheramento olografico e altri gadget, posso diventare ciò che richiedono le circostanze. Avete visto la mia tessera identificativa, no?». Così dicendo la estrasse di tasca e la lasciò cadere giù dalla balaustra.
   Rivera l’afferrò al volo e la osservò, perplesso. Era lo stesso documento che gli aveva mostrato giorni prima, appena salita a bordo. Sembrava una comune tessera, che identificava Rani come ispettrice doganale terrestre.
   «Posso vedere?» fece Talyn, insospettito. Quando l’ebbe tra le mani, la osservò con attenzione, rigirandola più volte. La sua espressione si aggrottò.
   «Che succede?» chiese il Capitano.
   «Questa tessera è bianca. Non c’è scritto niente» rispose l’El-Auriano in tono asciutto.
   «Scherzi? Sarà falsa, ma i dati ci sono. Li ho visti!» obiettò Rivera, sempre più stranito. Riprese la tessera e tornò a osservarla. Non poteva sbagliarsi: c’erano l’immagine di Rani e i suoi dati personali. «Sempre che possa fidarmi dei miei sensi» ragionò l’Umano. Da quand’era cominciata quella storia, non facevano che tradirlo.
   «Quella è una tessera psichica, che cambia in base alle mie esigenze, per farmi entrare dove voglio. Complimenti, giovanotto: pochi sono in grado di non farsene ingannare. È chiaro che anche tu hai il dono» riconobbe Rani, all’improvviso interessata a Talyn.
   A quel punto il Capitano tornò a fissarla, sempre più inquieto. Travestimenti olografici, tessere psichiche, probabilmente anche strumenti da scasso: Rani era fin troppo equipaggiata. Sembrava possedere una tecnologia persino superiore all’epoca corrente. E pareva sempre un passo avanti a tutti. «Ma insomma, lei chi – o che cosa – è?!» chiese Rivera.
   Rani sorrise con divertita superiorità. «La mia natura oltrepassa la vostra comprensione, così tristemente limitata a tre dimensioni. Sappiate comunque che una volta anch’io ero annoverata tra i Signori del Tempo di Gallifrey» rivendicò.
   «Come il Dottore?» s’incupì il Capitano.
   «Sì, abbiamo frequentato assieme l’Accademia» confermò Rani. «In seguito però abbiamo preso strade diverse. Lui si accontenta di proteggere lo status quo, mentre io non esito a intervenire per migliorarlo. Ho visto più linee temporali e ho vissuto più vite di quante ne possiate immaginare. In questa vita, comunque, controllo i servizi segreti terrestri. E vi garantisco che non è facile mandare avanti la baracca. Ci sono minacce ovunque: i Dalek, i Cybermen, i Silence... e naturalmente conoscete gli Angeli Piangenti. L’umanità può essere annientata in qualunque momento. Ecco perché ci occorrono nuove armi e tecnologie, che la vostra nave può offrire. Speravo che gli Angeli facessero piazza pulita dell’equipaggio, lasciandomi la Destiny intatta, ma sembra che dovrò sbrigarmela alla vecchia maniera. A proposito, grazie per essere tornati dal passato. Così mi avete offerto anche il TARDIS. Tutto lo spazio e tutto il tempo che posso desiderare... ora sì che le cose andranno come voglio io. Sarò di nuovo una Signora del Tempo, mentre voi – e il Dottore che avete derubato – non sarete più niente».
 
   Trascorsero alcuni momenti tesi. I due gruppi continuavano a tenersi sotto tiro, il minimo gesto poteva scatenare la sparatoria. E il Capitano aveva il forte sospetto che Rani avesse ancora qualche asso nella manica, per essere così sicura di sé. Forse un campo di forza individuale, in grado di proteggerla dalle loro armi. Così Rivera si mosse adagio, senza mai perderla di vista, finché fu vicino a Naskeel. «Complimenti, detective. Oltre a smascherarla, ha anche trovato il modo di neutralizzarla?» sussurrò.
   «Ci sto lavorando» fu la temuta risposta. «Questi Signori del Tempo sono difficili da prevedere. Ma forse c’è un modo». Dietro di lui fece capolino Ottoperotto, che fino ad allora era rimasto nascosto nella penombra.
   «Signori, avete dieci secondi per deporre le armi e arrendervi!» intimò Rani, dal piano superiore. «Se fate come dico, salverete almeno la vita. Nove, otto...».
   Naskeel fece un cenno a Irvik, che si trovava ancora vicino ai comandi centrali. Per la precisione gli accennò il rotore temporale, la principale fonte di luce dell’ambiente. L’Ingegnere Capo comprese e accostò la mano ai comandi.
   «... sette, sei, cinque...».
   Ottoperotto si fece avanti, con un ronzio incalzante. L’energia stava salendo in lui. Intuendo il piano, gli avventurieri si accostarono sempre più. Solo gli Angeli Piangenti rimasero bloccati.
   «... quattro, tre, due...» fece Rani, preparandosi a sparare.
   Accadde tutto in un attimo. Irvik premette il comando, disattivando il rotore temporale e con esso gran parte dell’illuminazione. Rimasero solo alcuni faretti intermittenti. L’attimo dopo Ottoperotto attivò il campo di forza semisferico. La cupola protettiva avvolse gli avventurieri, lasciando fuori gli Angeli. Allora Rani e le sue guardie fecero fuoco, ma il campo di forza resse.
   «Aspettate, dura solo un minuto!» avvertì Rani, trattenendo i suoi dallo sparare inutilmente. Presto la cupola si sarebbe dissolta e gli avventurieri sarebbero tornati a fare da bersaglio.
   «Guardate!» disse una delle guardie, indicando gli Angeli Piangenti. Nella luce intermittente, i sei più vecchi apparivano ancora al loro posto. Ma il settimo Angelo – Giely – si era mosso. Era un Angelo giovane, che doveva ancora consumare il suo primo pasto. Era un Angelo affamato. E adesso era un Angelo in caccia.
 
   L’Angelo Piangente si mosse a formidabile velocità, sfruttando l’oscurità intermittente. Poteva percepire i suoi simili, infastiditi dal suo operato, ma al momento non ci badò. Il suo bersaglio era un altro. Anzi, erano tre.
   Fame... poteva avvertire la fame crescere in lei. Finora l’aveva tenuta a bada, ma ormai il suo autocontrollo stava cedendo. Doveva nutrirsi a qualunque costo, o avrebbe cominciato a erodersi. Ma non si voleva cibare dei suoi compagni, possibilmente. No, il suo obiettivo erano i responsabili di quel disastro. Eccoli là, appollaiati sul ballatoio, che cercavano di scorgerla. Ridicoli. Avrebbe potuto raggiungerli mediante una scaletta, ma intuì che c’era un modo ancora più rapido.
   Buio. Durò solo pochi istanti, ma per i sensi dell’Angelo parve molto di più. Abbastanza per muoversi. La creatura dispiegò le ali e spiccò il volo, atterrando sul ballatoio, a pochi passi dalle vittime designate. Qui dovette immobilizzarsi, al ritorno della luce. Per sua fortuna, non temeva le loro armi. E poteva attendere.
 
   «Attenti!» gridò la prima guardia, accennando all’Angelo che si era materializzato davanti a loro. Sparò istintivamente, colpendolo in pieno, ma senza danneggiarlo. L’altra guardia fece lo stesso, senza miglior esito.
   «Inutile, è invulnerabile. Continuate a guardarlo!» ordinò Rani, sperando di tenerlo bloccato.
   I militari, che avevano fucili a energia di grosso calibro, attivarono i faretti innestati e li diressero contro l’Angelo, così da mantenere il contatto visivo anche nei momenti di buio.
   A quel punto, però, nessuno dei tre stava più badando a cosa facevano gli avventurieri al piano inferiore. Non appena il campo di forza semisferico si disattivò, questi si mossero. Gli ingegneri fissarono gli altri Angeli per tenerli bloccati, mentre Rivera e Naskeel spararono alle guardie, riuscendo ad abbatterle. Il Capitano sparò una seconda volta, contro Rani, ma come sospettava il suo raggio si arrestò contro un campo di forza individuale.
   La Signora del Tempo però aveva ben poco di cui essere soddisfatta. Il settimo Angelo era davanti a lei, più vicino a ogni momento di buio. Rani arretrò, ma trovandosi nel ballatoio circolare non aveva realmente un posto dove fuggire. Non avrebbe fatto in tempo a rintanarsi in uno degli altri ambienti del TARDIS, né voleva provarci, ben sapendo che si sarebbe messa in trappola.
   «Ben calcolato» ammise. «Ma sono una Signora del Tempo e non resterò confinata a lungo. In ogni epoca ci sono scappatoie, sapendo dove guardare, e io le conosco bene. Parliamo di voi, piuttosto. Siete smarriti nel Multiverso da anni e non avete fatto il minimo progresso per tornare a casa. Non ce la farete mai con le vostre sole forze. Ma col mio aiuto sarà tutto diverso. Ho conoscenze che non potete neanche immaginare. E quel che non so, posso scoprirlo in breve tempo. Volete davvero privarvi di quest’occasione irripetibile?!».
   «Mi faccia riflettere... » disse Rivera con decisione. Non si sarebbe mai fidato di quella manipolatrice, che cercava solo una scappatoia.
   «E lei, Naskeel? Lei è un essere razionale. Non è stanco di vivere in mezzo a questi idioti?!» ansimò Rani. Continuava a indietreggiare, ma ad ogni attimo buio l’Angelo guadagnava terreno. Ormai le era addosso, le mani protese a ghermirla.
   «A dire il vero, non ancora» rispose il Tholiano.
   Buio. Quando tornò la luce, sul ballatoio rimaneva solo l’Angelo Piangente. Non c’era alcuna traccia di Rani.
   «Cessato pericolo. Potete ripristinare l’illuminazione» disse Naskeel con tranquillità.
 
   Con un sospiro di sollievo, Irvik mise mano ai comandi, riattivando le luci. Quando si volse, notò che il settimo Angelo aveva ripreso posto innanzi ai suoi simili, intrappolandoli nel blocco quantistico. E restando bloccato a sua volta. Ora che la vedeva da vicino, il Voth riconobbe i lineamenti di Giely. La sua espressione era affranta, come se non si aspettasse d’essere mai più liberata. «Oh, povera ragazza...» mormorò Irvik.
   Tutti i presenti si accostarono, stando attenti a non interrompere il contatto visivo fra gli Angeli. Osservarono la loro dottoressa con un misto di reverenza e orrore. «Adesso che facciamo?» chiese Talyn.
   «Ora che il pericolo è finito possiamo tornare ai nostri alloggi, a riposare» stabilì il Capitano, dato che erano stati svegliati nel cuore della notte. «Domattina riprenderemo i lavori per comunicare con questi esseri. Così vedremo se... si può fare qualcosa» aggiunse, osservando mesto la sua compagna. Non osava nemmeno sfiorarla, per timore che lo spedisse indietro nel tempo per un riflesso condizionato.
   Gli avventurieri lasciarono il TARDIS, che il Capitano si richiuse accuratamente alle spalle. Poi gli ingegneri si ritirarono ai loro alloggi, mentre Rivera e Naskeel sbrigavano un’ultima incombenza. C’erano ancora da liberare Lady Vastra e i suoi gregari. Irvik insisté per accompagnarli, preoccupato per la Siluriana.
   Come previsto trovarono i tre ospiti nell’alloggio di Rani, legati e privi di sensi. «Sono vivi» constatò Irvik con sollievo, leggendo i segni vitali sul tricorder. Dopo averli slegati, dovettero trasferirli in infermeria per consentire al Medico Olografico di rianimarli.
   «Che è successo...» biascicò Vastra, riprendendosi. «Ricordo solo... Rani!» esclamò, rialzandosi di scatto sul lettino. Si guardò attorno, calmandosi leggermente nel vedere che Jenny e Strax erano con lei. Il Medico Olografico li stava risvegliando.
   «Già, era proprio Rani il mandante dietro gli attacchi degli Angeli» confermò Irvik, che le sedeva accanto. «Voleva impadronirsi della Destiny, e poi del TARDIS, ma l’abbiamo fermata. No, mi correggo... Giely l’ha fermata». Il Voth narrò l’accaduto, rispondendo alle frequenti domande di Vastra.
   «Avrei dovuto capire come stavano le cose. Mi sento una pessima detective» mormorò la Siluriana, ricadendo sul lettino.
   «Non angustiatevi, milady. È stato costui a tenervi confinata, impedendovi d’indagare» la confortò Jenny, lanciando un’occhiataccia al Capitano, che attendeva poco distante.
   «Ma io non avrei dovuto lasciarmi sopraffare dal nemico» disse Strax, in preda alla vergogna. «Oggi è un giorno nero per l’Impero Sontarano. Chiedo il permesso di flagellarmi per espiare la mia colpa, milady».
   «Permesso negato!» fece Vastra con decisione. «L’importante è che siamo tutti in salvo».
   «Non tutti» disse Rivera con amarezza. «Giely è ancora là dentro, convertita in Angelo Piangente. C’è modo d’invertire la trasformazione?».
   «Non sapevo nemmeno che si potesse diventare un Angelo» ammise Vastra, sconsolata. «Gli unici che possono rispondere a questa domanda sono proprio loro».
   «Allora sarà meglio che lo facciano, se non vogliono subire l’iconoclastia!» ringhiò il Capitano, e lasciò l’infermeria.
 
   L’indomani gli ingegneri tornarono sul TARDIS e si rimisero al lavoro. Ora che sapevano come fare, non ci volle molto a modificare gli emettitori tachionici, trasformandoli in strumenti di comunicazione. Entro sera i preparativi erano terminati. Allora Irvik chiamò il Capitano e gli altri ufficiali, affinché conducessero l’interrogatorio. Furono invitati anche Lady Vastra e i suoi gregari ad assistere. La piccola folla si allineò lungo le pareti ricurve, in attesa, mentre Rivera si affiancò a Irvik presso la consolle di controllo.
   «Sono tutti suoi. La prego, cerchi d’essere... diplomatico» implorò il Voth.
   Il Capitano non rispose, ma azionò il traduttore. Gli emettitori s’illuminarono debolmente. In quella luce giallognola, gli Angeli Piangenti parvero ancora più inquietanti. «Mi sentite? Sì, lo so che mi sentite» disse Rivera, controllandosi a stento. «Avete assistito allo scontro con Rani, quindi sapete che ormai siamo al corrente della situazione. Siete una forza ostile su questa nave e ci avete attaccati senza provocazione. Avete persino trasformato Giely in una di voi. Ora però siete sotto controllo, quindi pensate bene alla prossima mossa. Se rifiutate di collaborare, mi sentirò autorizzato a gettarvi in un buco nero!» minacciò.
   «Tanti saluti alla diplomazia» sospirò Irvik, alzando gli occhi. Tutti fissarono gli Angeli Piangenti, in attesa della risposta. E la risposta venne, preceduta da un crepitio dei microfoni.
   «Noi agiamo secondo la nostra natura» disse una voce sintetica. Non si sapeva a chi attribuirla, perché tutti gli Angeli erano perfettamente immobili.
   «E noi secondo la nostra, che prevede di soccorrerci a vicenda ed eliminare le minacce» ribatté Rivera. «Se siete esseri senzienti, ed è evidente che lo siete, capirete qual è il vostro interesse. L’unico modo che avete di salvarvi è riportare Giely alla normalità».
   «E se non fosse possibile?» lo provocò l’Angelo.
   «Rendetelo possibile, o la vostra sorte è segnata!» minacciò il Capitano.
   «Chiarire i termini dell’accordo» disse la creatura, più conciliante.
   «È molto semplice. Voi ci restituite Giely, nelle condizioni psico-fisiche antecedenti la trasformazione. In cambio noi vi trasferiremo sulla superficie» promise Rivera. La Destiny infatti era ancora in orbita attorno alla Terra.
   «Ne sei certo?» mormorò Losira a disagio. «Così condannerai molte più persone. Qui abbiamo gli Angeli sotto controllo, ma laggiù non li fermerà nessuno. Avranno molte più occasioni di mimetizzarsi e attaccare chi vogliono».
   «Di attaccare degli estranei. Da quand’è che ci preoccupiamo del bene dei molti?!» le rinfacciò il Capitano.
   La Comandante non se la sentì d’insistere. Impedire l’accordo significava condannare Giely, dopo che lei aveva salvato più volte tutti loro. Sembrava un atto infame. Ma sguinzagliare gli Angeli Piangenti sulla Terra, dove avrebbero banchettato indisturbati, creando paradossi temporali a non finire... non era da irresponsabili?
   «Dicevo: restituiteci Giely com’era prima. Poi consentiteci di agganciarvi col teletrasporto e di trasferirvi in superficie. Così saremo tutti soddisfatti, e ognuno per la sua strada» riprese il Capitano. «L’alternativa sarebbe decisamente sgradevole. Se non ci rendete la dottoressa, vi scaraventerò nel più vicino buco nero. E lì resterete fino alla morte termica dell’Universo, divorati da una fame che non potrete mai più placare. L’Inferno fatto realtà... qualcosa mi dice che nemmeno voi potete sopportarlo. Non è più ragionevole restituirci un unico individuo? Uno che per giunta vi ha già traditi, dimostrando di non voler essere dei vostri?» incalzò Rivera.
   Ci fu un silenzio teso. Anzi, non proprio un silenzio. Dal microfono venivano dei bisbigli, come se gli Angeli si stessero consultando fra loro a bassa voce. Infine una voce tornò a imporsi: «Lei non ci lascia scelta, Capitano. Vi renderemo la dottoressa, anche se ciò significa spendere molta energia. Dopo di che, ci aspettiamo che onori la sua parola. Altrimenti non cesseremo mai di darle la caccia».
   «Mi sta bene».
   «Esigiamo inoltre la sua promessa che, trasferendoci in superficie, lei non ci lasci in blocco quantistico. Dobbiamo essere liberi di muoverci» aggiunse l’Angelo.
   Il Capitano fece una smorfia. Aveva sperato di prenderli in castagna, ma quegli esseri non erano ingenui. «E va bene. Giuro che non vi lasceremo in blocco quantistico» promise.
   «L’accordo è fatto» concluse l’Angelo.
   «Ha riscattato la sua compagna a caro prezzo» commentò Vastra, in tono di disapprovazione.
   «Mi pare che la Terra sia già infestata dagli Angeli Piangenti, visto che ne abbiamo trovati anche nel XIX secolo. Erano decine solo a Londra; sei in più non faranno una gran differenza. E poi... non c’è il suo amico Dottore per occuparsi di loro?» obiettò Rivera.
   Così dicendo il Capitano indietreggiò, mentre un’indefinibile energia serpeggiava tra gli Angeli più vecchi – che ora brillavano debolmente – e Giely. Se la prima trasformazione era partita dai piedi, risalendo il corpo fino alla testa, questa seguì il percorso inverso. Dapprima furono gli occhi a colorarsi, poi tutto il viso, mentre la chioma si scioglieva nuovamente in un’infinità di capelli neri. La Vorta inspirò a fondo, quasi boccheggiando, per reintrodurre aria nei polmoni. Il cuore riprese a battere, il sangue a scorrere nelle vene. Sulla schiena, le grandi ali piumate si dissolsero in una cascata di polvere grigiastra. Anche la veste fluente ridivenne l’uniforme della Flotta Stellare che la dottoressa indossava al momento della metamorfosi. Giely tremò, riuscendo finalmente a muoversi. Aprì e chiuse le mani, mentre queste riprendevano vita. Infine riuscì a muovere le gambe, facendo alcuni passi esitanti.
   «È finita?» sussurrò con un filo di voce.
   «Sì, querida, è finita» confermò il Capitano, abbracciandola con sollievo. La sentì di nuovo viva tra le sue braccia, la pelle calda e morbida. Quante volte aveva rischiato di perderla! Questa non era la prima, e forse non sarebbe stata l’ultima. Ma ogni volta capiva quanto la Vorta gli fosse preziosa, e quanto fosse determinato a stare con lei.
   «Abbiamo rispettato la nostra parte dell’accordo» disse l’Angelo, impassibile. «Ora spetta a voi tener fede ai patti».
   Il Capitano si riscosse, fronteggiando la creatura. «Sì, avevo promesso di trasferirvi sulla superficie. Ed è quello che farò. Così finalmente sloggerete dalla mia nave. Siete pronti a farvi teletrasportare?».
   «Siamo in attesa» confermò l’Angelo.
   «Sala teletrasporto a Rivera, abbiamo finalmente l’aggancio» informò l’addetto via comunicatore.
   «Bene, procedete» confermò il Capitano. «E con tutto il rispetto, speriamo di non rivederci mai più» aggiunse, rivolto agli Angeli Piangenti.
   Le sei creature svanirono nel bagliore azzurro del teletrasporto. Il trasferimento fu insolitamente lungo, tanto che per qualche secondo si temette che stessero opponendo resistenza. Ma non fu così, e in breve le loro sagome alate scomparvero del tutto.
   «Trasferimento completato. Gli Angeli sono sulla superficie» confermò l’addetto.
   «Bene, trasferite anche il carico archeologico della stiva 3. Giusto per non avere conti in sospeso» ordinò il Capitano. «Quello mandatelo direttamente al museo. Al diavolo la dogana».
   Così dicendo Rivera uscì dal TARDIS, seguito dai suoi. Si ritrovarono nella sala teletrasporto annessa alla plancia, dove la cabina era rimasta custodita per tutto il tempo.
   «Trasferimento completato» confermò l’addetto. «Ci stanno chiamando dall’ufficio doganale. Chiedono perché questi trasferimenti non autorizzati ed esigono di parlare con l’ispettrice».
   «Su gli scudi. Attivare l’occultamento. E via da qui, a massima velocità!» ordinò Rivera, che aveva pianificato le sue mosse. Lui e gli altri passarono rapidamente in plancia, riprendendo le loro postazioni dagli ufficiali ausiliari.
   Detto fatto, la Destiny abbandonò l’orbita terrestre. Balzò in cavitazione quantica, puntando verso lo spazio profondo. «Le navi pattuglia terrestri c’inseguono, ma le stiamo distanziando» riferì Naskeel. «È evidente che non riescono a rilevarci, stanno andando nella direzione sbagliata. Ormai le abbiamo seminate».
   «Riposo, gente. L’emergenza è finita» concluse il Capitano. L’Allarme Giallo, che negli ultimi giorni era rimasto costantemente acceso, fu finalmente disattivato, riportando la plancia all’assetto regolare.
   «Sigh... peccato che siamo dovuti fuggire prima di aver intascato il compenso per quel carico archeologico!» sospirò Losira, che aveva gestito l’affare fin dal principio. «A questo punto potevamo tenercelo, e rivenderlo da qualche altra parte» ragionò.
   «Ringrazia che siamo sopravvissuti» disse Rivera, guardandola severamente. «E poi chissà quanti altri orrori cosmici erano nascosti fra quei reperti! No, meglio essercene sbarazzati».
   «E va bene... allora procediamo al prossimo affare» disse la Risiana, consultando un elenco sul suo d-pad. «Uhm, siamo un po’ in ritardo, ma spero che i Raxacoricofallapatoriani siano ancora interessati ai nostri giochi da tavolo. Vedrai, questo sarà un affarone. Lascia che me ne occupi, e andrà tutto bene» garantì.
   «Sì, l’ultimo abbiamo visto com’è filato liscio!» commentò il Capitano, ma poi la lasciò fare. Mediamente su dieci affari combinati da Losira, nove andavano piuttosto bene, e solo uno rischiava di distruggere l’astronave.
   «Ehm, se non c’è altro, noi togliamo il disturbo. La Londra vittoriana ci aspetta» disse Lady Vastra. Come al solito Jenny e Strax le facevano ala, a mo’ di guardie del corpo.
   «Dateci il tempo di sbaraccare le nostre attrezzature dal TARDIS e potrete andare» acconsentì Rivera, restituendole le chiavi della capsula. «E scusate per i contrattempi. Non avrei mai voluto forzare il nostro accordo, ma... non ho avuto scelta» si giustificò. Prese la mano di Giely, che gli sedeva accanto, sulla poltroncina del Consigliere.
   «Suppongo di no» fece la Siluriana, rimettendosi le chiavi al collo. «Devo dire che conoscervi è stata un’esperienza indimenticabile. Quasi mi dispiace che non abbiate incontrato il Dottore».
   «Perché, crede che saremmo andati d’accordo?».
   Vastra lo squadrò, riflettendo per qualche attimo. «Temo proprio di no. A lui non piacciono i dilettanti. Addio, Capitano Rivera... o forse arrivederci» salutò. E lasciò la plancia, seguita dai suoi, per aiutare gli ingegneri a sgombrare il TARDIS.
   «Che caratterino!» commentò Giely. «Ma spiegami una cosa. Che ci fa un dinosauro nella Londra vittoriana?».
   «Che domande, ci fa la detective» rispose il Capitano con naturalezza, lasciandola con più domande di prima. «E a proposito di detective... ottimo lavoro, signor Naskeel! Ha risolto egregiamente questo caso» si congratulò.
   «Ho solo fatto il mio dovere, Capitano» rispose il Tholiano, imperscrutabile. Ricordava ancora l’ultimo ordine che l’Ammiraglio gli aveva impartito, subito prima d’abbordare la Destiny: doveva tenere integra la nave, finché le loro truppe non avrebbero potuto reclamarla. Era ciò che aveva cercato di fare in quegli anni. Tuttavia, una parte di lui – una parte sempre più importante – sperava che non sarebbe mai arrivata la resa dei conti. Che al momento del ritorno avrebbe potuto semplicemente tornare dalla sua gente, senza nuocere ai compagni di viaggio. Era un pensiero che coltivava sempre più, e che si rafforzava ad ogni avversità superata. Forse gli Organici lo avevano contagiato con la loro irrazionalità. In quella gli venne un ultimo dubbio sulla missione appena conclusa.
   «Dottoressa, sarei curioso di sapere dove ha inviato Rani» disse Naskeel.
   «Già, siamo tutti curiosi» convenne Rivera, guardando con interesse la compagna. Conoscendo il suo buon cuore, stentava a credere che avesse spedito l’avversaria in un’epoca troppo dura, o persino verso morte certa. Ma in quel momento Giely era un Angelo Piangente, e forse non andava troppo per il sottile.
   La Vorta inclinò la testa e si concentrò. «Io... stento a ricordare ciò che ho fatto mentre ero trasformata. Era una condizione inimmaginabile, sapete. Non ero propriamente viva, ma non ero nemmeno morta. Mi trovavo in una sorta di limbo, di regno a parte» rivelò. «Ricordo la fame, questo sì. Una fame indescrivibile. E ricordo d’averla placata quando mi sono nutrita degli anni potenziali di Rani. Vedete, i Signori del Tempo possono rigenerarsi, così da prolungare le loro vite. Perciò un solo pasto è valso come una dozzina. Quanto alla destinazione... sì, adesso ricordo» disse, con un sorriso inquietante. «Per quanto Rani sia esperta di viaggi nel tempo, dubito che la rivedremo mai più. L’ho mandata in un’epoca in cui spero che non faccia danni».
 
   Sfiorata dall’Angelo Piangente, Rani si sentì inghiottire dall’oscurità. Provò una sensazione familiare: stava precipitando fra le correnti del tempo. Stavolta però non aveva il controllo della destinazione. Non era nemmeno in una capsula TARDIS, per cui non aveva modo di tornare. Come aveva fatto a farsi prendere così alla sprovvista? Eppure se l’era cavata in situazioni peggiori...
   A un tratto si ritrovò a incespicare sul terreno. La maggior parte delle persone sarebbe crollata, in preda all’afasia, ma la Signora del Tempo si riprese subito. Si guardò attorno, schermandosi gli occhi dal sole abbagliante. Aveva lasciato la Destiny, naturalmente, e si trovava sulla superficie di un pianeta. Era per forza la Terra, dato che gli Angeli Piangenti non potevano trasferire le loro vittime ad anni luce di distanza. Restava da vedere dove si trovava di preciso, e soprattutto quando. Come aveva rivendicato poco prima, quasi tutte le epoche storiche avevano delle scappatoie, se si sapeva dove cercarle... e lei lo sapeva. Nel peggiore dei casi avrebbe lasciato dei messaggi per i suoi alleati e collaboratori, che sarebbero tornati a riprenderla.
   Davanti a lei si estendeva il mare, a perdita d’occhio. Le onde si rovesciavano pigramente sulla spiaggia sabbiosa, costellata di detriti organici. C’erano meduse spiaggiate, di varie forme e colori, che si squagliavano lentamente al solleone. E c’erano conchiglie dalle strane fogge, molte delle quali spiraliformi. Faceva caldo: dovevano esserci almeno 35º C. Rani dovette togliersi la giacca della divisa, restando in canottiera, per sopportare la temperatura. Dunque Giely l’aveva spedita ai tropici... questo complicava le cose. Non sarebbe stato facile tornare nel mondo civilizzato, specialmente se si trovava su un’isola. E doveva ancora capire in che epoca si trovava.
   Non le restò che avviarsi verso l’entroterra, sperando d’incontrare qualche essere umano. Era ancora armata e aveva con sé diversi gadget tecnologici, quindi non intendeva lasciarsi sopraffare. No, ovunque fosse finita, sarebbe stata lei a dettar legge. Più procedeva, tuttavia, e più si sentì a disagio. La vegetazione, piuttosto stentata, era strana: niente erba, niente piante da frutto. Quelle che dapprima sembravano palme si rivelarono, a un più attento esame, delle felci arboree. Decisamente qualcosa non quadrava...
   Una serie di scricchiolii attirò l’attenzione di Rani. Qualcuno, o qualcosa, si avvicinava nel sottobosco. La Signora del Tempo puntò immediatamente la sua arma in direzione dei rumori. «Chi è la?! Fatti avanti, con le mani in alto!» ordinò, pronta a sparare.
   Il visitatore uscì dal sottobosco e avanzò adagio, per nulla intimidito. Non era un essere umano, bensì un animale. E che animale! Sembrava un enorme lucertolone verdastro, con zampe artigliate e la grossa testa un poco rialzata. Le fauci semiaperte mostravano zanne da predatore. Ma la sua caratteristica più appariscente era l’enorme vela dorsale, formata dalle vertebre allungate, simili a spine. Tra una spina e l’altra erano tesi lembi di pelle sottile e rossastra, assai vascolarizzata. La creatura si dispose con la vela rivolta al sole, per assorbirne il calore. Allora Rani la riconobbe: era un dimetrodonte. Un rettile primitivo – anzi, un sinapside più affine ai mammiferi – vissuto nel Permiano inferiore, fra 270 e 295 milioni di anni fa. Più antico dei dinosauri. E quindi anche più antico dei Siluriani, il popolo di Lady Vastra.
   La Signora del Tempo si guardò attorno scioccata, scorgendo altre creature preistoriche – rettili e insetti – che zampettavano nel sottobosco. Quelli non erano i tropici. Era la Pangea, il supercontinente – in gran parte desertico – esistito prima che le masse continentali si separassero. Si trovava in un passato ben più remoto di qualunque epoca avesse mai visitato. Così remoto da essere poco o nulla trafficato dai viaggiatori del tempo. Le probabilità d’incontrarne un altro, per puro caso, erano sostanzialmente zero. A questo pensiero, Rani gettò indietro la testa e urlò di rabbia e disperazione. Continuò a strillare, finché la voce le divenne roca.
 
   «Bene, direi che abbiamo finito» commentò Irvik, guardandosi attorno. Gli ingegneri avevano sgombrato le loro attrezzature dal TARDIS, riportandolo alla normalità, col salone semivuoto. Ora Jenny stava spazzando, per eliminare la polvere grigia formatasi quando Giely aveva perso le ali d’angelo. Strax passava da una consolle all’altra, lucidando le superfici.
   «Allora è il momento di salutarci» disse Lady Vastra.
   «Suppongo di sì» mugugnò l’Ingegnere Capo, controvoglia. «Mi scuso ancora per i contrattempi che avete passato, tutti e tre, a fronte della vostra disponibilità. Sono mortificato che siate stati detenuti e abbiate rischiato di perdere il TARDIS. Il Capitano non avrebbe mai agito così, se non fosse stato in pena per la sua compagna».
   «Va bene, mettiamoci una pietra sopra» disse la Siluriana. «L’importante è che tutto si sia risolto. Voi avete riavuto la dottoressa, noi il TARDIS. Direi che meglio di così non poteva andare».
   «Già... confesso che avrei preferito impiegare meglio questi giorni. Ad esempio mostrandole la Destiny, o anche la Terra di questo secolo» aggiunse il Voth.
   «Meglio di no. Ormai la mia vita è nel XIX secolo. Se scoprissi troppe cose sul futuro, le conseguenze sarebbero imprevedibili» ragionò la detective.
   «Ma è davvero sicura di voler tornare in quel secolo primitivo?» chiese l’Ingegnere Capo, con una debolissima speranza. «A quanto mi hanno detto è pieno di conflitti, malattie e inquinamento. Avendone la possibilità, non ha mai pensato di trasferirsi in un’epoca più civilizzata?».
   Vastra rifletté brevemente. «Sarei una bugiarda se rispondessi di no» ammise. «Certo che ci ho pensato, ogni volta che ho avuto a che fare coi viaggi nel tempo. Ma c’è sempre stato qualcosa che mi ha trattenuta. Ormai, come le dicevo, la mia vita è lì. E considerata la mia longevità, conto di vivere per tutto il XX secolo e almeno la prima parte del XXI».
   «Non vuol nemmeno portarsi dietro qualche comodità moderna? Finché siamo qui, posso fornirle tutto ciò che le occorre. Che so, un replicatore alimentare» insisté Irvik, in cerca di qualunque scusa per posticipare l’addio.
   «Questo sì che sarebbe rischioso!» obiettò la Siluriana. «Tecnologia del XXVII secolo importata nel XIX... potrebbe alterare la Storia umana. E in men che non si dica dovrei spiegare al Dottore come me la sono procurata. No, apprezzo la sua offerta, ma preferisco non rischiare. Del resto, a che scopo portarmi dietro un replicatore, se poi non ho l’energia per attivarlo? E poi l’Ottocento non è così primitivo come crede. Forse siete voi del futuro a essere viziati dalla tecnologia» suggerì, con aria divertita.
   «Sì, può darsi» ammise Irvik, rattristato. Ormai gli era chiaro che non sarebbe riuscito a trattenerla. Tuttavia volle fare un ultimo tentativo. «Ma senta, non le provoca disagio vivere in un mondo popolato solo da Umani? Essere costretta a velarsi il viso, addirittura, per non essere additata come mostro? Se stesse qui, non avrebbe di questi impacci. Potrebbe mostrarsi per ciò che è... e sarebbe apprezzata per questo» si lasciò sfuggire.
   A queste parole, la detective capì perché l’Ingegnere fosse così riluttante a lasciarla andare. «Apprezzata... da chi, signor Irvik? Da lei?» chiese a bassa voce.
   «In effetti sì» confessò il Voth, raccogliendo il coraggio a due mani. «Siamo entrambi sauri, costretti a vivere tra i mammiferi. E per quanto ci siano divenuti cari, credo che condivida la nostalgia, il desiderio d’avere accanto un proprio simile. Qualcuno che la comprende e che... la ama».
   Vastra tacque brevemente, cercando il modo migliore di rispondere a quella dichiarazione. «Mi fa piacere che abbia detto la verità, Irvik. E mi creda, sono lusingata dalle sue attenzioni. Se le circostanze fossero diverse, forse potrei contraccambiare. Ma il fatto è che sono già impegnata sentimentalmente» rivelò.
   Irvik cadde dalle nuvole. «Già impegnata... nella Londra vittoriana?! E con chi, di grazia? Avevo capito che lei era l’unica Siluriana in circolazione!» protestò.
   «Infatti è così» confermò Vastra, tra il divertito e il dispiaciuto. «Ma vede, quando c’è sintonia di carattere, poco importa se il tuo partner ha le scaglie». In quella Jenny le si accostò, e Vastra la prese teneramente a braccetto. Sorrisero.
   Il Voth arrossì dalla prima all’ultima scaglia. Questa proprio non se l’aspettava. Rettili e mammiferi... gli sembrava già tanto che potessero diventare amici, figurarsi più di quello. La sua ultima speranza evaporò definitivamente. «Ladies, vi auguro un buon viaggio di ritorno. E una buona vita nella Londra vittoriana, se è quello che desiderate» mormorò, fissando il pavimento.
   «Buona fortuna anche a lei, Irvik. La ringrazio di cuore e le auguro ogni bene» salutò Vastra.
   L’Ingegnere Capo si voltò per uscire, trovandosi di fronte a Strax.
   «Nel caso se lo chieda, io sono libero. Ma non sono interessato» puntualizzò il Sontarano, col suo vocione baritonale.
   «Nemmeno io, vecchio mio» garantì il Voth, raccapezzandosi. «Stammi bene anche tu e... boh, gloria all’Impero Sontarano!» augurò, non conoscendo il suo saluto abituale. E sgattaiolò fuori dal TARDIS, augurandosi di non rimetterci più piede dopo la figuraccia.
 
   Tornato in sala teletrasporto, Irvik vi indugiò per qualche minuto, osservando l’insospettabile cabina telefonica, ora richiusa. Chi l’avrebbe detto che sotto quelle vecchie lamiere si celava uno dei veicoli spazio-temporali più sofisticati e sorprendenti mai realizzati?
   «Wow, quanta voglia avrei di farci un giro!» commentò Shati. Anche la timoniera era lì, per assistere alla partenza. «È vero che può raggiungere ogni epoca e ogni luogo dell’Universo?!».
   «Così pare» commentò Irvik distrattamente. «Ma noi con la Destiny esploriamo il Multiverso, quindi direi che non abbiamo nulla da invidiargli».
   «Certo che scorrazzare per il cosmo solo in due o tre... non so come faccia quel Dottore di cui parlano a cavarsela senza un equipaggio» commentò Shati, scuotendo la testa.
   «Avrà i suoi trucchi» fece il Voth, sempre melanconico.
   Notando la sua afflizione, la Caitiana gli si rivolse in tono più comprensivo. «È andata male, eh? Con Vastra, intendo. Avevo notato che eri interessato a lei».
   «Doveva tornare nel suo secolo» spiegò Irvik, senza scendere nei dettagli.
   «Mi spiace, vi avrei visti bene assieme. Eh, anch’io so che significa essere l’unica della propria specie sull’astronave!» sospirò Shati, lasciando trapelare la sua frustrazione.
   «Beh, sai... Vastra crede nelle relazioni tra rettili e mammiferi» rivelò il Voth, con una strana occhiata.
   La Caitiana sgranò gli occhioni gialli e si ritrasse istintivamente. «Amico, tu mi stai simpatico, ma... no» mise bene in chiaro.
   Irvik fece un sorriso sornione. Non aveva realmente pensato di corteggiarla, voleva solo gustarsi la sua espressione. Così, tanto per ritrovare il buonumore.
   In quella il TARDIS emise un suono raschiante, mentre la sirena della polizia posta in cima alla cabina s’illuminava. Pochi attimi dopo la cabina stessa prese a sbiadire, fino a svanire del tutto. Vastra e la sua gang erano tornati nel loro secolo.
 
   Il Capitano Rivera si stiracchiò sul divano, mentre sull’oloschermo scorrevano i titoli di coda azzurri dell’antico film terrestre. In sottofondo si udiva ancora la fanfara di Star Wars. Accanto a lui, Giely si asciugò una lacrimuccia, commossa dal toccante finale di Episodio VI.
   «Allora, che te ne pare?» chiese l’Umano.
   «Stupendo, commovente. Guarda qui, mi ha ridotta a un disastro» rispose la Vorta, asciugandosi un’altra lacrima col fazzoletto ormai umido. «Ti dirò, contrariamente all’opinione diffusa, questo mi è piaciuto ancor più di Episodio V. Sarà che ho un debole per il lieto fine. In particolare tutta la parte sulla Morte Nera, con la redenzione di Vader, è stata meravigliosa. Finalmente quello schifoso Imperatore è morto e la Galassia è salva. E gli Ewok sono carinissimi. Ci sono altri episodi, dopo?» s’interessò.
   «Certo, è una saga enorme» spiegò Rivera. «Ci sono tre prequel che vale la pena di vedere. Quanto ai sequel, invece, devo dire che non li ho mai sopportati».
   «Ah, capisco. La maledizione dei sequel commerciali» annuì Giely. «Beh, comunque questo mi è proprio piaciuto».
   «In tal caso, uno di questi giorni ti andrebbe di sperimentarlo dal vivo, sul ponte ologrammi?» propose il Capitano. Quasi tutti gli antichi kolossal, infatti, avevano delle moderne trasposizioni olografiche.
   La dottoressa ci pensò un attimo. «Perché no? Sembra interessante» acconsentì. «Però non aspettarti che io faccia Leia schiava con quel bikini dorato. Che detto fra noi, sembra scomodissimo!» avvertì.
   «Come preferisci. Allora farai Chewbacca» propose Rivera, riuscendo chissà come a non ridere.
   Giely gli diede una spinta che avrebbe dovuto essere stizzita, ma finì per essere affettuosa. «Spiritoso. Non riesco a dare il meglio di me, se devo esprimermi a grugniti. E va bene, interpreterò la scosciatissima principessa. Del resto, non c’è niente che tu non abbia già visto» cedette.
   «Evvai!».
   «Però allora tu non puoi interpretare Luke Skywalker, dato che è il fratello di Leia. Dovrai fare per forza Han Solo» ragionò la Vorta. «Quindi passerai la prima parte della storia congelato nella carbonite. E quando ne uscirai, dovrai restare bendato in tutte le scene in cui indosso il bikini, visto che il povero Han era accecato dai postumi dell’ibernazione» aggiunse perfidamente.
   «Mannaggia, mi hai incastrato!» riconobbe l’Umano. «Beh, anche se sarò così derelitto, potrò sempre contare sul mio angelo custode» commentò, riferendosi alla compagna.
   «Su, non chiamarmi così» fece lei, imbarazzata.
   «Perché no? Direi proprio che lo sei stata» fece Rivera, improvvisamente serio. «Per tua ammissione non eri né viva né morta, eppure hai continuato a preoccuparti della mia incolumità. Ci hai salvati tutti, almeno tre o quattro volte. Sei ufficialmente l’angelo custode della Destiny».
   «Ne valeva la pena» disse Giely, guardandolo con affetto. «Ma a proposito degli Angeli... sei certo che sia stata una buona idea rimandarli sulla Terra? Sì, lo so che avevate un accordo» aggiunse, prevenendo la risposta. «E so che la Terra è già infestata da quegli esseri. Ma aggiungerne altri peggiorerà le cose. Molte persone subiranno la nostra sorte, e dubito che avranno la fortuna di salvarsi. Questa cosa non mi fa dormire».
   «Allora puoi smetterla di preoccuparti, querida» la rassicurò il Capitano, con un sorriso sagace. «Vedi, quando ci siamo accordati, io ho promesso che li avremmo riportati sulla superficie. Ma non ho mai specificato che fosse quella terrestre...».
 
   Il globo bianco-azzurro della Terra brillava nel cielo nero della Luna. All’alba del XXVII secolo, la Terra era un mondo fortemente urbanizzato e al centro di fiorenti traffici interstellari. Ma la Luna era un altro discorso. Sebbene ci fossero alcune colonie, perlopiù sotterranee, gran parte del satellite rimaneva un deserto craterizzato. Nient’altro che rocce grigie, vecchie di miliardi d’anni, coperte da un sottile strato di regolite. Non c’era atmosfera, quindi niente agenti atmosferici, e nemmeno suoni che turbassero la quiete sempiterna. Solo rocce roventi sotto il sole, e rocce gelide all’ombra dei rilievi. Qua e là, nelle regioni basaltiche impropriamente dette “mari”, c’erano delle caverne, residui dell’attività vulcanica estinta da tempi immemorabili. Per la maggior parte erano ancora inesplorate, e lo sarebbero rimaste per molto tempo.
   In una di queste caverne, profonda e buia, sei Angeli Piangenti attendevano nell’immobilità e nel silenzio. Tenevano i volti chini, coperti dalle mani, e si erano come avvoltolati nelle loro ali. Non potevano uscire, perché il canale magmatico era franato al tempo dell’ultima eruzione, tre miliardi d’anni prima. Così erano confinati in quella grotta angusta. Sepolti vivi.
   Qualunque altro essere sarebbe impazzito, per la rabbia dell’inganno e la disperazione della prigionia. Ma non gli Angeli. Anzi, una parte di loro apprezzava l’astuzia del Capitano Rivera, che li aveva confinati in un luogo nel quale non potevano nuocere. Lì sarebbero rimasti per un tempo incalcolabile, tormentati dalla fame, che li avrebbe erosi fisicamente, trasformandoli in calchi a malapena umanoidi. Una sorte che, per i viventi, era indistinguibile dall’Inferno. Ma quelli erano Angeli Piangenti e sopportavano con pazienza. Attendevano il giorno in cui, fatalmente, gli ignari Umani avrebbero scavato anche in quella zona, riportandoli alla luce.
   In fondo il tempo era sempre stato dalla loro parte. 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil