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Autore: Ranma789    31/03/2024    1 recensioni
E se Ranma arrivasse al Ryozampaku, il dojo dei folli Maestri di Kenichi, per addestrarsi?
Come la prenderebbe Kenichi, e che rapporto avrebbe Ranma con Miu, una persona con la quale ha molto in comune?
E perché Ranma, un anno dopo il matrimonio fallito, vive da solo con sua madre e non ha più rapporti con Genma, con i Tendo e, soprattutto, con Akane?
Cosa lo ha spinto a rinnegare la sua vita passata a Nerima?
Allenarsi al Ryozampaku potrebbe aiutarlo a crescere e ad assumersi quelle responsabilità che ha sempre rifuggito, accettando il suo destino di diventare un Maestro.
Ma quando Kenichi e l'Alleanza Shimpaku si troveranno in pericolo, sarà solo collaborando che potranno salvarsi tutti...sempre che il cuore non ci metta lo zampino, e che la gelosia non rovini tutto. Ancora una volta.
Nota: per Kenichi, la fiction si svolge circa tre mesi dopo la fine del manga, per Ranma un anno dopo il diploma
[CROSSOVER RANMA 1/2 e KENICHI THE MIGHTIEST DISCIPLE]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nodoka Saotome, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki, Tatewaki Kuno
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Per un lunghissimo istante, nessuno parlò.


Gli occhi di tutti rimasero vitrei, come se non potessero capacitarsi di quanto avevano appena visto.


Fu come se su tutto il prato fosse calato un silenzio di tomba.


Poi la consapevolezza della gravità della cosa, e che fosse accaduto veramente, attraversò in simultanea le menti di tutti, come una scossa elettrica.


Maestri ed Allievi si lanciarono come un sol uomo, anche se a velocità diverse, verso il prato.


Ranma e Kenichi erano paralizzati dall’orrore e, quest’ultimo, anche dal rimorso. Ci mise un po’ a realizzare cos’era davvero successo.


Prima che potesse farlo, tutti quanti si erano messi in cerchio intorno a Miu, escludendoli. La cosa gli fece, se possibile, ancora più male.


Ma fu Hayato, stranamente, a riportare la calma.
“Spostatevi, SPOSTATEVI! Fatela respirare, dannazione!”
Tutti obbedirono, mentre Kensei ed Akisame esaminavano amorevolmente la ragazza.


L’attesa era insostenibile. Tutti guardavano verso il basso, il buio nei loro occhi.
Ciascuno manifestava la preoccupazione a modo proprio.


Kenichi era sconvolto e tremava di dolore, rimorso e rabbia.
Aveva le lacrime agli occhi, che però non volevano scendere. Evitava accuratamente lo sguardo di tutti.


Ranma, però, provava a sua volta una forma indefinibile di rimorso.
Mi sono spostato senza considerare che ci fosse dietro Miu? Ero concentrato solo sul combattimento? Avrei fatto lo stesso, se dietro di me, al posto suo, ci fosse stata…?


Naturalmente, la dinamica di quanto era accaduto era complicata.
Non si può definire davvero che sia stata colpa di qualcuno-rifletté Renka, preoccupata per la sua amica, ma anche sofferente nel vedere la morte in viso a Kenichi-da un lato, Ranma si è spostato senza pensare a lei. Dall’altro, Miu avrebbe logicamente dovuto scansarsi a sua volta e non l’ha fatto. Da un altro punto di vista ancora, Kenichi non ha calcolato il giusto tempismo per attaccare, pur sapendo che Miu fosse lì dietro. In realtà…


non è stata davvero colpa di nessuno-completò il pensiero, senza saperlo, Ryoga-ma di sicuro si sentiranno come se fosse colpa di tutti


Dopo qualche minuto, Miu si era ripresa, era sveglia e riusciva a stare seduta.


“Possiamo confermare che Miu-san sta bene-affermò Kensei-non ha subito danni interni e non avrà conseguenze permanenti. Fortunatamente il Ryusui Mubyoshi di Kenichi punta a trasmettere il Ki nel corpo del nemico, per disconnetterlo.
Non ha effetti altrettanto gravi su una persona che non abbia intenti ostili e che quindi, non si opponga al ricevere il colpo.
Nel momento stesso in cui è stata colpita, Miu si è rilassata completamente, quindi il Ki di Kenichi l’ha attraversata senza danni, come una scarica elettrica che si dissipi a terra.
La ragazza sta bene. L’abbiamo medicata un po’ e l’ho sottoposta all’agopuntura. Ora deve solo riposare e bere una delle mie pozioni”


“E naturalmente stare a riposo per un po’-aggiunse Akisame-e se posso aggiungere una cosa-disse poi, notando gli sguardi mogi di tutto il dojo-trovo che sia inutile che stiate con quelle facce da funerale, domandandovi se sia colpa di questo o di quello.
E’ stato un incidente, lo abbiamo visto tutti, e queste cose in allenamento accadono, purtroppo. Nessuno punterà il dito contro nessuno.
Piuttosto, ciascuno di voi dovrebbe riflettere su una cosa: quando combattete, dovete essere concentrati su quello che state facendo…altrimenti, in una situazione di pericolo reale, questo potrebbe avere conseguenze fatali…per i vostri compagni o per voi”


Ranma non pareva ancora convinto, chiedendosi comunque come potesse scusarsi, ma accettò il discorso, in linea di massima, per quanto si sentisse contrito.
Non aveva detto niente a Kenichi perché immaginava come si sentisse.
Ora però, voltò lo sguardo verso di lui e vide che stava sciogliendo la tensione e che, crollato in ginocchio, stava piangendo a dirotto.
Cosa avrebbe potuto dirgli che gli facesse più male di quanto ne provava già?


Hayato era su un ginocchio a stringere la mano della sua nipotina.
“Come stai, nipotina adorata?”


“Sto…bene, nonno. Dico davvero” affermò la ragazza, più stupita per quanto era successo che realmente dolorante od arrabbiata.


Poi voltò lo sguardo, con una strana calma, sui due uomini della sua vita. Uno aveva una faccia da funerale, l’altro singhiozzava.


“Venite qui, voi due” disse, gentilmente.
Entrambi, lentamente, obbedirono.


Ranma provò a cominciare “Miu, io…”


“Non dire niente, Ranma-san, non ce n’è bisogno.
E tu, Kenichi-aggiunse poi, con calore-ti prego, non voglio vederti così.
Io STO BENE; dico davvero, e non mi passa per l’anticamera del cervello di darti la colpa per questo incidente”


“Però, io…” cominciò Ranma


“Non è vero, avrei dovuto…” protestò Kenichi.


“Ho detto di calmarvi! Lo capisco, siete sconvolti, ed è molto dolce, ma non voglio che vi tormentiate così.
In fondo abbiamo sbagliato tutti, anzi, a ben vedere, è stato soprattutto un mio errore: dei tre, l’unica che non ha fatto quello che avrebbe dovuto, e cioè scansarsi in tempo, pur sapendo quello che sarebbe successo, sono stata io”


I due ragazzi parvero giusto un po’ rabboniti.
Gli sguardi di entrambi lampeggiarono però sul livido blu che aveva sullo stinco destro.


Certo, è ovvio…non è riuscita a scansarsi per via del colpo che aveva preso prima…


“Però una cosa voglio saperla, Kenichi-san” aggiunse, mettendo particolare calore sul “san” come per dire che non esigeva scuse, ma solo spiegazioni perché sinceramente preoccupata.


Il Discepolo alzò lo sguardo, incrociando il suo per la prima volta.
“Oggi…abbiamo cominciato molto bene…poi, però, ad un certo punto…il nostro lavoro di squadra è peggiorato di colpo…come se non fossimo più in sintonia.
Io…vorrei capire perché


Ryoga non poté fare a meno di pensare “Allora, in effetti, avevo ragione io…”


E nel vedere lo sguardo di dolore di Kenichi, Miu si affrettò ad aggiungere “E non tanto per oggi…ma perché…sono preoccupata. Ci stiamo allenando per affrontare lo Yami. Insieme, come abbiamo sempre fatto.
Ed un domani, dei difetti nella nostra intesa potrebbero costare la vita ad uno dei due.
Quindi io…voglio capire cosa sia successo, senza giudicare. Ma solo per poter migliorare.
Mi sembra che sia ormai da un po’ di tempo che sei freddo nei miei confronti, ma…non ne capisco la ragione


Disse l’ultima parte con un mezzo brivido, come se in cuor suo, in realtà, temesse di conoscere già la risposta.
A Ranma si aggrovigliò lo stomaco. Aveva un bruttissimo presentimento.


Kenichi aveva gli occhi sbarrati, verso terra. Poi li chiuse.


Sembrava molto combattuto.
Sul suo volto si alternarono tutte le espressioni possibili ed immaginabili: sconcerto, indecisione, preoccupazione, paura, incredulità, dubbio, esitazione, rimorso, rancore.

Nessuno capiva cosa lo turbasse così.


Poi accadde una cosa stranissima: fu come se non riuscisse più a trattenersi, si mise una mano su una guancia e gettò la testa all’indietro, spinto da un impulso nervoso.


Si mise a ridere.


Tutti quanti rimasero forse ancora più sconvolti per questa sua reazione isterica che per l’incidente di prima.
Lo guardarono come fosse pazzo ed erano attraversati da una sottile inquietudine.


Miu stessa sgranò gli occhi, scioccata.


Quando Kenichi ebbe finito, riabbassò la testa, guardandola fisso in viso, senza imbarazzo.
Aveva lo sguardo di chi ha perso ogni speranza e non gli importa più di nulla.


Tanto vale vuotare il sacco.


“Da…da quand’è che non andiamo più d’accordo, Miu-SAN?” accentuò in modo sarcastico il “san”, come se fosse arrabbiato.
Nessuno l’aveva mai sentito parlare così.


“Da quand’è che sono freddo nei tuoi confronti?”


“Oh, non lo so, vediamo…potrebbe essere…diciamo…”


“…da quando hai cominciato A FARE SESSO CON RANMA!”


La bomba venne sganciata.


Fu come se le menti di tutte, simultaneamente, fossero entrate in un vuoto pneumatico.


Undici sguardi si fecero sbarrati nelle espressioni più diverse.


Era come se Kenichi avesse detto che gli alieni fossero sbarcati a Tokyo per fare shopping e bere del tè verde.


Come se avesse detto che si trasformava in una pianta e leggeva i libri con le orecchie.


Come se avesse detto che si poteva bere il sole.


Ci volle un certo quantitativo di tempo perché ciascuno realizzasse IL SIGNIFICATO di quello che aveva detto.


Poi, lentamente, iniziarono a reagire.


Ranma sentì una fitta al cuore.
Guardava Kenichi, sconvolto.


No, no, no, no, no….
E’ come l’altra volta. E’ come l’altra volta con Akane e Ryoga.
Non sta succedendo davvero.
Ti prego, ti prego. Non è possibile.

Non di nuovo


Miu fissava Kenichi sbarrata, come se avesse visto un fantasma.
Era rossa in viso e si ritraeva da lui. Sudava, tremava e le batteva forte il cuore.


“Ma…ma…non è…cioè…come…?”


“Oh, non disturbarti a mentire-la informò Kenichi-so di cosa parlo. IO VI HO VISTI”


Miu sembrò attraversata da una scossa.


Ranma fu attraversato da mille pensieri rapidissimi “Ma non è possibile, le mura sono insonorizzate, e la porta era sempre chiusa, ogni dannata volta. Eccetto…eccetto…”


“Quando?” chiese infine Miu con semplicità.


“La sera dei festeggiamenti, quando Ranma è stato proclamato Maestro” finì Kenichi, gelido. “E’ da allora che lo so”.


Miu e Ranma sembrarono sprofondare in un burrone nero.


Ma nello stesso tempo, Renka venne attraversata da una scossa ed iniziò a tremare a sua volta, solo che nessuno se ne accorse.
Solo Mousse voltò lo sguardo e la notò, preoccupato.
Ma che cosa…?


Miu abbassò lo sguardo, sconfitta, vergognandosi che il suo segreto fosse venuto alla luce in quel modo.


Ranma si allontanò da Kenichi di un paio di passi, come se potesse rifuggire le conseguenze di ciò che era stato detto, o come se quel rancore in bocca a Kenichi lo sconvolgesse.


Tutti quanti i Maestri stavano guardandoli, con le espressioni più varie.


Non se lo aspettavano davvero.


Quel Ranma-pensò Akisame-si lamentava sempre di come qui al Ryozampaku gli leggessimo praticamente nel pensiero…ed invece…è riuscito a mantenere un segreto del genere…di tutte le cose che avrei potuto immaginare…


Anche gli amici di Ranma di Nerima erano sconvolti.
Per loro l’idea che fosse andato a letto con una ragazza che non fosse Akane (con la quale, per quanto ne sapessero, non era mai stato) era inconcepibile.


Anche se erano stati testimoni di un altro momento molto simile, quando i due si erano lasciati, nelle menti di tutti, loro due erano fatti l’uno per l’altra.
Persino di più, forse, in quelle di coloro che avrebbero voluto disperatamente separarli.


E per tanto tempo avevano accusato Ranma di essere un dongiovanni-sapendo di mentire-nella speranza che egli crollasse in ginocchio, chiedendo perdono.
Eppure, ora che il suo atteggiamento dimostrava la verità delle parole di Kenichi, a tutti loro sembrava stranissimo pensare che il ragazzo col codino lo fosse davvero.


Ranma è andato con un’altra ragazza?-si domandò Ryoga, sconvolto-in effetti, prima o poi doveva pur succedere…ma è comunque così strano, per chi lo conosca come noi


Ma presto si udì un ribollire, come un vulcano che stia per esplodere.
Tutti si voltarono.
Era Hayato.


L’Anziano stava stringendo i pugni, guardando verso terra, tremando di rabbia e ringonfiando il Ki con intenzioni omicide.
Il terreno tutto attorno iniziava a tremare.


Alzò verso Ranma due occhi iniettati di sangue.


“RANMAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!”



“AAAAH!”


Il ragazzo col codino fece un balzo all’indietro, attraversato da puro terrore.
Simile a quando Sakaki gli aveva rivolto l’ultimo attacco, ma dieci volte più intenso. Cento volte di più.


Era un terrore PRIMORDIALE.
Il terrore delle forme di vita inferiori che sanno, a livello cellulare, di dover scappare da un predatore, se vogliono sopravvivere.


Una sorta di flash attraversò le menti di tutti i Maestri.
Si lanciarono in avanti, intercettando l’Anziano e stringendolo tra le braccia, da ogni parte, per bloccarne i movimenti.
Hayato rimase fermo sul posto, ma, per quanto incredibile, sembrava in grado di spingerli in avanti e di avanzare, un millimetro alla volta.


Ryoga, Mousse e Kuno non avevano mai visto niente del genere.


“Accidenti! Tenetelo fermo!” ordinò Akisame
“Tch! Ci mancava solo questa!” fece Sakaki.
“APA! Non l’ho mai visto così arrabbiato!” confermò Apachai.
“RANMAAAAAA! COS’HAI OSATO FARE ALLA MIA NIPOTINA? MALEDETTOOOOOOOO!”


Ranma ebbe un momento di lucidità.
Si trovò a lanciare uno sguardo verso Shigure.
Questa, mentre teneva un braccio dell’Anziano con una catena, sembrò scoccargli uno sguardo, preoccupata e seccata, al tempo stesso.
Però io te l’avevo detto…sembrava dire


A Ranma venne un flash di una conversazione con la donna di alcuni mesi prima
[“Comunque…ti avverto…se il tuo rapporto con lei…cambierà, tu avrai…di che…pentirtene”]*
Quindi era a questo che si riferiva? Non parlava di Kenichi.
Parlava della gelosia di Hayato che ha cresciuto la sua nipotina e non permette a nessuno di avvicinarla?

CAZZO! E’ la situazione peggiore possibile


“Dannazione, è incredibile! Quasi non ce la facciamo. Ragazzo, fossi in te, mi leverei di torno per un po’…” gli consigliò Sakaki.


L’aura continuava a gonfiarsi e quella specie di gara di spinta si manteneva incredibilmente pari, mentre l’Anziano schiumava di rabbia.


Nel marasma, si sentì distintamente una ragazza singhiozzare.


Kenichi voltò lo sguardo.
Era Renka.


La ragazza alzò il bel viso rigato di lacrime dalle braccia nelle quali l’aveva nascosto e gli disse:
“Kenichi…quindi tu…in realtà…sei ancora geloso di Miu? Eppure, hai fatto l’amore con me per la prima volta…proprio quella stessa sera!


“CHE COSA?” Esclamò Kensei.


Anche Ranma e gli altri volsero lo sguardo verso di lei, sbigottiti.
Una rivelazione dietro l’altra.


“Accidenti!-sbottò Sakaki-non bastava una rogna sola…”


Kenichi si trovò a balbettare e farfugliare qualcosa di incomprensibile.
Si rese conto per la prima volta di cos’aveva fatto.
Aveva vissuto l’ultimo mese e mezzo come in trance.
“Ma io…veramente…”


La ragazza concluse, tra le lacrime
“Ma allora, io…CHE COSA SONO STATA PER TE?”


E con un ultimo scoppio di singhiozzi, corse via ed inforcò la porta del Ryozampaku, per uscire in strada.


“No, Renka! Aspetta! Io…”
“RENKA!”
Kensei lasciò andare Hayato ed in tre balzi fu dietro a sua figlia.
Come padre, non l’aveva mai vista così sconvolta.


“NO! Kensei! FERMATI! Non ce la facciamo senza di te…” esclamò Akisame.
“RANMAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA”


Ranma non sapeva cosa fare, era paralizzato.
Volse lo sguardo, freneticamente, verso tutti, uno per uno.
Ed incrociò quello di Miu, per la prima volta dal momento della rivelazione.
La ragazza aveva guardato in viso suo nonno, deformato in una maschera di rabbia.
E poi si voltò a guardare lui: la bionda aveva il terrore dipinto in volto.


“RANMA! SCAPPA!”


Fu come se avessero dato il via ad un cavallo in una corsa.
Ranma si voltò indietro e corse.
Corse come non aveva mai fatto in tutta la sua vita.
Scavalcò di un sol balzo il muro di cinta e sparì.


In quel momento, mentre le immagini di case, auto, lampioni e persone si confondevano, per la velocità, nel suo sguardo, egli non era più Ranma Saotome, Maestro della Scuola delle Arti Marziali Indiscriminate.
Era soltanto una persona in fuga per la sua vita.


“UOOOOOOOOOH!”
Hayato si sbarazzò di prepotenza degli altri Maestri e partì.
Fu come un treno supersonico.
Si diresse, un’unica massa umana di muscoli e rabbia, verso il muro di cinta, sbriciolandolo come fosse di carta.
Ed iniziò a saettare per le strade come un missile, girando completamente a casaccio, cercando la sua preda.


“RANMAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!”

◊◊◊◊◊

Nel Ryozampaku era calato un silenzio di tomba.


La polvere si era posata da alcuni minuti, ma nessuno sembrava sapere cosa fare, erano tutti troppo sconvolti.


Poi fu Akisame, non ufficialmente ma da sempre il vice capo, a riscuotersi per primo.
“Accidenti! Non abbiamo mai vissuto una crisi del genere! Dobbiamo fare qualcosa!”


Si voltò, uno per uno, verso tutti
“Voi, ragazzi! Ryoga, Mousse, Kuno. Prendete le vostre cose e tornate a casa.
Qui non c’è più nulla che possiate fare, ve lo assicuro.
Le lezioni, TUTTE le lezioni ed ogni altra attività sono sospese fino a nuovo ordine.
Se possibile, avviseremo anche gli altri studenti, ma lo faremo da domani, appendendo un avviso al portone.
Non abbiamo tempo di chiamarli tutti al telefono, non ora.
Se avete dei consigli di qualunque tipo da darci riguardo Ranma, fatelo, altrimenti non cercate di raggiungerlo od aiutarlo: potrebbe andarne della vostra vita.
Avete capito bene?”


I tre giovani erano sconvolti e non sapevano cosa dire.
Avrebbero voluto aiutare in qualche modo, ma si rendevano conto che la situazione era più grande di loro.
Lentamente, mogi mogi, uno dopo l’altro, si allontanarono.


“Sakaki!-continuò Akisame-Tu sei l’unico a sapere dove potrebbe essere andato Ranma…vive con sua madre, è esatto?
Ma per fortuna l’Anziano non conosce l’indirizzo…e non siamo sicuri che Ranma sia tornato a casa, per non metterla in pericolo”


“Esatto, ed inoltre, anche se lo avesse fatto, non so se sia prudente recarci lì ora, o potremmo essere proprio noi a condurre l’Anziano sulla loro pista…”


“Giusto, ed è per questo che per ora non lo faremo.
Né avviserò la signora per telefono: non voglio farla preoccupare inutilmente.
Per ora, prendi la moto e gira i quartieri qui intorno, cercando di trovare Ranma, restando però a distanza e poi riferisci, per telefono”


“Subito!”


“Apachai, tu invece dovresti cercare di rintracciare Hayato, restando sempre a debita distanza.
Chiedi pure l’aiuto dei tuoi amici cani, col loro olfatto, ma non correre rischi inutili”


“APA! Lo farò”


“Shigure”


“Sì?”


“E’ strano che Kensei non sia ancora tornato con Renka…veloce com’è, avrebbe dovuto raggiungerla subito e riportarla indietro…non vorrei…”


“Pensi che…le sia successo...qualcosa?”


Akisame volse lo sguardo verso il cielo.
Saiga, amico mio…tu ci avevi avvertito…che lo Yami avrebbe tentato qualcosa e che siamo tutti sorvegliati…è possibile che…No, sarebbe la situazione peggiore possibile! Proprio adesso?
E come avrebbero mai fatto ad immaginare che…?

◊◊◊◊◊

[QUALCHE MINUTO PRIMA; IN UNA STRADA LATERALE.


Renka stava correndo senza meta e piangendo a dirotto, le mani sugli occhi, alla cieca, come non faceva da quand’era bambina.
Non le importava più di nulla.
Si infilò in un vicolo.


Ad un certo punto si riscosse.
Aveva percepito qualcosa.
Le sembrò che un’ombra gigantesca si ergesse alle sue spalle.


“Ma beeeene! Che cos’abbiamo qui? Un cucciolo smarrito che è uscito dalla tana. Ooh, ma non si fa così…non ti hanno mai detto…”


Renka si voltò ma era troppo tardi.
O meglio, non avrebbe potuto reagire in ogni caso


“…che se vai nel bosco puoi incontrare il lupo cattivo?”


L’ombra la avvolse ed ella sparì.]

◊◊◊◊◊

Miu e Kenichi stavano seduti in mezzo al prato, emotivamente annientati.


Tutti se n’erano andati, lasciandoli soli.


Solamente Akisame era rientrato per provare a contattare Ranma tramite la ricetrasmittente che Sakaki gli aveva dato.


In realtà c’era un’altra persona che, approfittando del fatto di vivere in una tenda, nel giardino, non se n’era affatto andata.


Ryoga stava ad occhi chiusi con la testa piegata verso il basso, le braccia incrociate, un piede appoggiato ad un albero.


Kenichi era come svuotato.
Stava ancora finendo di realizzare tutto quello che era successo.
Non si capacitava di quante conseguenze terribili avessero avuto le sue parole.
Non ne aveva mai avuto l’intenzione e non ne aveva idea.


Miu si teneva i pugni sulle palpebre e non smetteva di piangere, in silenzio.


Ryoga si staccò dall’albero e si avvicinò ai due ragazzi.
“Kenichi…”


“Lasciami stare, Ryoga, non è giornata”
“Ed invece è proprio perché stai così male che hai bisogno di parlare con me.
So cosa voglia dire, ci sono passato”.


“Piantala Ryoga! Cosa vuoi saperne tu?”
“Oh, io so esattamente che cosa significhi.
Perché vedi, noi due siamo uguali.
E tu conosci la storia, quindi sai che è vero.
Ho amato una donna che invece voleva Ranma.
E come sai, anche in quel caso, fu un segreto che non avrebbe dovuto venire rivelato a rovinare tutto.
Sia per lui che per me.
Come puoi vedere, la storia si è ripetuta”.


“No…La nostra situazione…non è affatto la stessa. Conosco la vostra storia.
Tu…non hai mai davvero avuto il cuore di quella ragazza, Akane, non è così?
Quindi, non è come se…lui te l’avesse portata via, giusto?
Invece, noi…prima che arrivasse qui Ranma…eravamo felici.
Noi…io e Miu…avevamo qualcosa! E lui…ha rovinato tutto!
E se penso…che all’inizio ero geloso di Ranma…e poi, invece…ho cambiato idea.
Mi sono fidato. Siamo diventati amici.
E lui, alle mie spalle…quanto sono stato stupido!
Vorrei che Ranma non fosse mai arrivato al Ryozampaku!”


Il ragazzo abbassò lo sguardo e ricominciò a singhiozzare un po’.


Ryoga lo osservò a lungo e la sua compassione divenne qualcos’altro.


“Davvero? Quindi me lo confermi: tu pensi di avercela con Miu per essere stata con Ranma, ma in realtà ce l’hai con lui per essere arrivato qui.
Per aver preso quello che tu avresti voluto, ma non hai davvero provato ad ottenere.
Non è così?”


Kenichi sollevò lo sguardo, contrariato.
Non capiva dove volesse andare a parare.
Poi il ragazzo con la bandana riprese la parola.


“Anche io ho passato un mucchio di tempo ad invidiare ed odiare Ranma.
Speravo che sparisse, così ero convinto che senza di lui avrei di colpo ottenuto tutto ciò che volevo.
Che senza di lui, Akane mi avrebbe cominciato ad amare come per magia.
Ed invece non ho mai passato abbastanza tempo a migliorare me stesso, come avrei dovuto fare.
Non le ho mai detto ciò che provavo veramente”.


Ryoga abbassò lo sguardo e provò ancora una fitta al cuore, dopo tanto tempo.


“Proprio lo stesso errore che hai fatto tu.
Tu credi di avere dei diritti su Miu, e ti piace pensare che Ranma sia il cattivo della storia…lascia che te lo dica, non lo è.
Credimi, ho passato anni a sperare che lo fosse…così sarebbe stato più facile odiarlo.
Ma mi sono dovuto rassegnare al fatto che lui sia una brava persona”.


Il giovane sollevò poi lo sguardo sul Primo Discepolo


“Al contrario, tu non lo sei.
Perché, se non sbaglio, Miu è una persona adulta, perfettamente in grado di fare le sue scelte.
Lei e Ranma non hanno fatto assolutamente nulla di male.
Tu, invece, hai illuso quella ragazza chiamata Renka, usandola come rimpiazzo di Miu.


Ed ora, dal momento che non riesci a sopportare il peso del tuo fallimento, hai scaricato il tuo nervoso su Miu, facendo di conseguenza crollare come un castello di carte la nuova vita che Ranma si era costruito qui.


Credimi, so di cosa parlo.
La vita di quel ragazzo è già stata rovinata una volta.
Da me.
Ed ora tu, sei sceso esattamente al mio livello.
Spero che ne sia soddisfatto”.


E se ne andò.

◊◊◊◊◊

Ranma correva, correva e correva.


Non aveva nessuna intenzione di fermarsi.


Il cuore gli batteva nel petto come se dovesse scoppiare.


Ma era più facile che fermarsi a riflettere.


Provava un vortice di emozioni diverse.


Paura. Rabbia. Rimorso. Rimpianto. Amarezza.


Doveva andarsene, doveva radunare tutto e…dannazione, aveva perso tutto.


DI NUOVO.


Tutto quello che aveva.


Aveva sperato di potersi ricostruirsi una vita laggiù, al Ryozampaku, ed invece…non erano stati i residui della sua vecchia vita a rovinare tutto, ma la persona più insospettabile.


Ed ora? Cosa doveva fare?


Cosa fai, quando sei disperato e non sai a chi rivolgerti?
Chi è che ci sarà sempre per te, qualunque cosa accada?

◊◊◊◊◊

Mousse si era ritirato in un angolo del quartiere vicino.


Due ombre comparvero all’improvviso sul muro di cinta dietro di lui, ma tacquero.


“Le cose sono andate come previsto, ma persino più rapidamente di quanto ci aspettassimo” disse lui.


“E quindi, Laobàn? Cosa dovremmo fare? Prego!”


“Passatemi il radiotelefono. Devo avvertire quella persona


“Quella persona? Ma è sicuro? Prego!”


“E’ molto pericoloso! Prego!”


“Già, ma è imperativo che io lo faccia.
A quest’ora l’operazione sarà cominciata, quindi deve sapere tutto.
Abbiamo un mucchio di cose da fare e troppo poco tempo”

 

◊◊◊◊◊

Ikki Takeda salutò con un lungo bacio la sua ragazza, Rachel Stanley e si avviò a piedi verso casa propria.


La vita, per una volta, stava andando bene, pensò.


Persino Ukita e Kaname, insieme, stavano bene che era una meraviglia.
Era stato un po’ strano fare la prima uscita a quattro, considerando che Kaname era la sua ex, che Ukita era il suo migliore amico, che lui era stato fidanzato con Kisara, cioè la migliore amica di Kaname e che Rachel era stata a lungo una nemica di tutti quanti.


Eppure i loro rapporti non erano mai stati così sereni. Tutti sembravano essere esattamente al posto giusto.
Erano usciti a mangiare il nabe, il piatto di carne simbolo dell’unione familiare.
E per lui era questa l’Alleanza Shimpaku. Un'altra famiglia.


Rachel, cioè l’ex membro dello Yomi di nome Castor, non condivideva pensieri altrettanto sereni mentre si allontanava in direzione opposta.
Aveva avuto una sensazione che non le piaceva.


Mentre si allontanava con Takeda, avrebbe giurato di essere seguita.
Per una che aveva vissuto tanto a lungo nelle ombre come lei, era facile percepire cose che gli altri non avrebbero notato.


Ed abituata ad un mondo di doppi, tripli giochi e pugnalate alla schiena (un mondo, si rese conto, molto più complicato di quello che stava sperimentando con Takeda, si trovò a pensare), preferì dare retta a quella sensazione.
Meglio sbagliarsi una volta in più, che sottovalutare il pericolo una volta di troppo.


Eppure era strano. Da quando si era separata dal suo ragazzo, quella sensazione l’aveva abbandonata.


Possibile che…?


Ebbe un sussulto.
Tornò sui suoi passi, correndo alla propria massima velocità in direzione opposta.


Quando voltò nella strada adiacente, Ikki non c’era più.
Era svanito nell’aria.

◊◊◊◊◊

Hayato Furinji, il cosiddetto Superuomo Invincibile, stava correndo come un forsennato per le strade di Tokyo.
Nella sua mente, non c’era nessun pensiero, a parte uno: trovare Ranma e fargliela pagare.
Era un combattente Sei, ma in quel momento, ogni compostezza era andata a farsi benedire.
Voleva vendetta.
Quel ragazzo. Che aveva accolto nel suo dojo. Che aveva addestrato. Che aveva portato tanti cambiamenti nella vita di tutti loro.
Proprio lui.
Non poteva aver…toccato Miu.
La sua tenera nipotina. Gliel’avrebbe fatta pagare.


Finalmente capiva perché non si fidasse di lui.
Forse non era a rischio di sprofondare sulla strada sbagliata, ma questo era peggio.
Cento volte peggio. Mille volte peggio.
Immerso in questi pensieri, si rese conto di non aver affatto notato in quale direzione fosse fuggito Ranma.
Non importava, si disse.
Avrebbe continuato a girare Tokyo a velocità supersonica fin quando non l’avrebbe trovato.
Poteva farlo, dopotutto.
Era il Superuomo Invincibile.
Ed aveva tutto il tempo del mondo…

◊◊◊◊◊
 

Kenichi stava fisso al centro del prato, immobile come una statua.


Quello che Ryoga gli aveva detto lo aveva scosso nel profondo.


Non era abituato a quella sensazione.
A sapere di avere combinato qualcosa di terribile, di aver fatto del male alle persone che amava…senza volerlo.


Già, era davvero così? Non lo voleva? O non aveva riflettuto sulle possibili conseguenze?
Era stato accecato dalla gelosia, dal rancore…dall’invidia? Si era sentito tradito?


Era diventato un buon amico di Ranma, non si aspettava che questi gli portasse via Miu.


Ma era davvero così?


Ryoga, che era già passato attraverso la consapevolezza dei propri errori, gli aveva aperto gli occhi.
Lui e Miu ne avevano passate di cotte e di crude insieme.
E sapevano di provare qualcosa l’uno per l’altra.


Ma non avevano mai davvero razionalizzato la cosa.
Non ne avevano davvero parlato.
Non si erano mai giurati eterno amore.


E dunque…sbagliava? Nel ritenere che Miu fosse sua di diritto?
Nel prendersela con lei? O con Ranma?


Lei poteva fare ciò che voleva, giusto?
Kenichi non aveva mai pensato a sé stesso come ad un uomo possessivo. Voleva negare la sua libertà di scelta?


E Ranma…avrebbe dovuto rendersene conto? Del loro rapporto?
E quindi starle lontano? In qualche modo, glielo doveva?
O forse questo era solo un sottinteso, che poteva valere al Ryozampaku, ma non per lui?


E quanto a Renka…Kenichi non riusciva a credere di averla fatta soffrire in questo modo.
In effetti, non ne aveva l’intenzione.
Da quando era cominciata la loro storia, qualcosa in lui era cambiato.


Era come se si fosse chiuso a tutto il resto.
Al passato, alla speranza, alla gioia.
Cercava di autoconvincersi che ora questa fosse la sua nuova realtà. Che stava con Renka, che gli stava bene così.
Che non aveva mai davvero capito i suoi sentimenti prima, ma che stavano bene insieme ora.


Ed invece…aveva fatto anche di peggio.


Perché non si può fare violenza alla propria natura.
E non era davvero Renka che lui voleva.


Tuttavia…come aveva potuto non considerarne i sentimenti?
Come aveva potuto sbottare in quel modo, nel cortile, senza pensare a cosa avrebbe significato per lei?


Ora si sentiva terribilmente in colpa.


Per Renka, principalmente.


Per Miu, che lui aveva svergognato di fronte a tutti e che certo non aveva visto il suo lato migliore.


Per Ranma, che rischiava di essere triturato finemente dall’Anziano a causa della sua gelosia, più che per una colpa vera e propria.


E per sé stesso, perché sapeva che non sarebbe mai più riuscito a guardare in faccia tutti gli altri come prima.


Per Kenichi era una sensazione nuova.


Si vergognava profondamente.
Di solito lui era quello nel giusto.
Era quello che difendeva gli altri, che li aiutava, che si sacrificava per loro.
Non lo faceva per la gloria, o per venire celebrato. Gli veniva naturale.


Però lo sapeva. Sapeva di essere quello buono.
Non ci era abituato.
Non si aspettava di poter…essere il cattivo della storia, per una volta.

◊◊◊◊◊

 

Akisame riemerse dalla stanza, mogio.
Ranma aveva il trasmettitore spento, come temeva, e non era stato nemmeno possibile avvisare Nijima per richiedere la collaborazione dell’Alleanza Shimpaku nelle ricerche. Problemi di linea, a quanto pare.


Il Maestro Filosofo del Ju Jitsu si avvicinò al suo Primo Allievo, per farlo riscuotere.


Mentre camminava in quella direzione, Miu aveva smesso di piangere e si era rimessa in piedi.
Poi era entrata in casa ed era andata a prepararsi qualcosa da mangiare.


La sua espressione era neutra e solenne.
Era come se intuisse che doveva reagire, doveva fare qualcosa e che non sarebbe stata d’aiuto a nessuno né rimanendo lì a piangere, né restando a stomaco vuoto.


Akisame la vide che gli passava di fianco di corsa e pensò “Uhm…è proprio la nipote del Superuomo Invincibile…si è già ripresa da un colpo simile.
Meglio così. Dovrò consolare una persona sola


Si accostò a Kenichi e gli disse:
“Kenichi, capisco che sia stato un bruttissimo colpo, ma devi scuoterti.
Guarda Miu, sta reagendo, eppure deve sentirsi male quanto te.


Ascolta, in questo momento tu ti senti in colpa, ma la verità è che provare vergogna, colpa...è da esseri umani.
TUTTI fanno degli errori, Kenichi, PERSINO tu.


Forse sei sempre stato troppo abituato ad essere nel giusto, non hai neanche mai pensato che ti saresti potuto trovare in questa situazione.
Eppure…gli esseri umani, a volte, per il solo fatto di vivere, capita che facciano del male agli altri. Anche senza volerlo. Forse, persino più spesso, senza volerlo.


Il fatto che tu ti senta male, che non ne avessi l’intenzione, è la prova che il tuo cuore è buono.


Ma ora devi contribuire a risolvere la situazione, perché i tuoi amici hanno bisogno di te, ancora una volta.
E non li aiuterai rimanendo depresso”


La cosa sembrò sortire qualche effetto nel ragazzo.
Sembrò tornare a vedere la luce.


Poi però tornarono i Maestri.


Kensei rientrò dai cancelli del Ryozampaku con lo sguardo basso e mogio come nessuno lo aveva mai visto prima.


Non era ancora arrivato a metà del prato che Shigure balzò dentro, scavalcando il muro di cinta, dalla parte opposta.
L’omino alzò lo sguardo, speranzoso, ma la giovane donna dovette scuotere la testa, anche se detestava doverne deludere le aspettative.


Akisame nel vederli soli e con quelle facce intuì i risultati delle loro ricerche ed ebbe conferma dei suoi peggiori timori.


Non poté trattenersi dal fare un’esclamazione di sconforto.


“Ascoltatemi tutti! La situazione è più grave di quanto pensiate!
A parte quello che è successo con Ranma e l’Anziano…ho ragione di credere che Renka sia stata rapita!


E se è stato fatto nei pochi secondi tra quando è uscita e quando Kensei ha provato a raggiungerla…può essere stato solo qualcuno di livello Gran Maestro!”


A quella dichiarazione, sia Kenichi che Miu parvero riscuotersi come se avessero ricevuto una scarica elettrica.


Renka è stata rapita…


…da un Gran Maestro?


“Ma…com’è possibile?-esclamò Kensei, disperato-per fare una cosa del genere…avrebbero dovuto tenerci sotto stretta sorveglianza…anzi, forse persino aspettarsi che succedesse una cosa come quella di oggi
…no, non è possibile!” esclamò poi, mentre univa i puntini.


Akisame scosse la testa, maledicendosi per non aver saputo prevedere il tutto.


“E’ così, Kensei. Non ci sono più dubbi.
C’entra di sicuro l’avvertimento che Saiga ci ha fatto pervenire un mese fa.
Purtroppo, siamo stati ciechi”


“Un avvertimento? Mio padre vi ha mandato un avvertimento? Da ben un mese? E non ci avevate detto niente?” esclamò Miu, stupita ed indignata.


“Mi dispiace Miu, hai ogni ragione di arrabbiarti, ma non volevamo farvi preoccupare, in un momento molto importante, senza sapere nulla di sicuro.
Saiga aveva assicurato che si stava occupando della cosa e che ci avrebbe fatto avere degli aggiornamenti appena possibile.
Evidentemente, persino le sue previsioni si sono rivelate errate”.


“Io…io non posso crederci!-gridò quasi la ragazza-è come quando mio nonno non mi aveva detto di mio padre e mia madre!


E’ come quando VOI TUTTI non mi avete detto che Ranma si trasforma in ragazza!


Sì, lo so, me l’ha detto lui in persona, è inutile che fingiate stupore!
Com’è possibile che qui…io finisca sempre col sapere le cose per ultima?
Che abbiate così poca considerazione per noi?
Per me ancor meno che per gli altri…mi trattate tutti come se fossi una bambola di porcellana da proteggere.


Ed anche mio nonno, che vuole massacrare Ranma per una cosa che IO ho fatto con lui…come se non fossi abbastanza grande da fare le mie scelte da sola!


E poi, forse…se Renka-san avesse immaginato…che c’era un possibile pericolo…per quanto sconvolta fosse, non sarebbe uscita dal Ryozampaku da sola…ed a quest’ora lei…”


Akisame abbassò lo sguardo.
Era raro che non se la sentisse di rispondere.


Fu invece Kenichi, a sorpresa, a prendere la parola, dopo aver dato un rapido sguardo in direzione della tenda di Ryoga.


“Miu-san ha ragione.
Persino tra di noi, al Ryozampaku…è venuta a mancare la fiducia. Anzi, peggio, è mancata la sincerità.


Come quando le vite di Ranma e Ryoga sono state rovinate…a causa di un segreto prima tenuto nascosto a lungo, e poi rivelato al momento sbagliato.


Esattamente la stessa cosa che è accaduta poco fa.
Io ho rovinato la vita di Ranma, di nuovo, e quella di Renka…rivelando un segreto.
Che però, forse, non avrebbe mai dovuto essere tale da principio.


Forse, fin dall’inizio, avremmo dovuto essere tutti onesti. Allievi E Maestri.
Tutti possiamo sbagliare, persino i migliori tra di noi.


Non bisogna mai pensare di essere al di sopra di tale rischio. Si diventa compiacenti.
Arroganti. 
Così come voi Maestri…di certo pensavate di fare bene, ma avete sbagliato i calcoli”.


Tutti i Maestri annuirono.


“Possiamo soltanto fare tutto quello che è necessario per rimediare-affermò Akisame-ma la cosa più urgente è contattare Saiga.
L’ultima volta che ci siamo visti mi ha rivelato una frequenza radio segreta da usare in caso di necessità.
Vado subito a mettermi in contatto con lui tramite le mie apparecchiature”.


I dieci minuti seguenti furono tra i più snervanti della vita di tutti quanti al Ryozampaku.


Per di più, Kenichi e Miu tenevano entrambi lo sguardo basso, ed il ragazzo e Kensei evitavano di incrociarsi: comprensibilmente, il Maestro cinese era scosso per il dolore che Kenichi aveva causato a Renka, ma ogni discussione venne rimandata a dopo.


Shigure passava il tempo giocando nervosamente a ping pong col suo topolino, Tochoumaru.


Ad un certo punto, Kenichi sciolse le riserve ed andò da Kensei, inginocchiandosi con viso e braccia appoggiate a terra.
“Kensei-shishou, io…volevo solo dirle che…”
A sorpresa, il Maestro cinese gli mise una mano sulla spalla.


Il ragazzo alzò lo sguardo. Il Maestro stava sorridendo.
“Kenichi, ragazzo mio, devo dirti solo una cosa: non mi importa che tu e mia figlia ve la siate spassata, anzi per certi versi mi fa piacere, ma non ti perdonerò tanto facilmente per averle spezzato il cuore.
Prega i tuoi Kami che torni sana e salva, perché se le dovesse succedere qualcosa…ti farò a pezzettini


Disse questa cosa con lo stesso sorriso sul volto che aveva all’inizio.
Kenichi sudò freddo in maniera peggiore che se lo avesse minacciato con tono irato.


Infine, grazie agli déi, Akisame riemerse dalla stanza della tecnologia.


 “Ho contattato Saiga. Gli ho spiegato la situazione e lui mi ha detto di radunare tutte le forze disponibili per tenere un consiglio di guerra qui al Ryozampaku.
Gli ho detto che alcuni erano impegnati, ma non ha voluto sentire ragioni.
Sta venendo qui lui in persona per darci istruzioni.”


Mio padre sta venendo qui di persona? Allora la situazione è davvero critica!


“Kensei, te la senti di contattare al telefono Kuno? Dovremmo avere il numero di casa sua, chiedigli di tornare indietro. Io farò lo stesso con Mousse.
Shigure, esci di qui e trova al più presto Apachai e Sakaki e dì loro di tornare, sia che abbiano sia che non abbiano avuto successo con le rispettive missioni”.


“Va…bene”


“Vi aiuterò anch’io” proclamò Ryoga, ma in quella venne raggiunto dalla catena rotante di Shigure che lo legò come un salame ad un albero.


“Tu rimani…qui, giovane…disperso. Se venissi anche…tu, poi dovremmo…venire a recuperarti nell’…Hokkaido**.
Aspetta che…siano arrivati…tutti”


Il ragazzo con la bandana annuì.
Avrebbe portato pazienza.


Akisame si avvicinò alla Maestra delle Armi.
“Inoltre, Shigure, avrei un compito da assegnare anche a Tochoumaru”

◊◊◊◊◊

Ranma arrivò a casa di sua madre sul calare della sera.
Nodoka non aveva mai visto suo figlio così sconvolto.
Per giunta, quando gli chiedeva cosa fosse successo, dava solo risposte brevi ed evasive.


Tutto il contrario del suo comportamento.
Stava ribaltando freneticamente tutta la casa per cercare tutto quello che poteva essergli utile e riempiva più rapidamente che poteva il suo grande zaino da viaggio con vestiti, provviste, e quant’altro gli potesse essere utile.


“Ma…Ranma caro…devi partire per un viaggio? Così all’improvviso? Cosa succede? Io pensavo che…”


“Mi dispiace, madre, ma non posso spiegarti tutto ora.
Sono di fretta, maledettamente di fretta.
Ti basti sapere che è necessario che io parta, assolutamente necessario.
E’ una questione di vita o di morte.
Tornerò, ma ci vorrà del tempo.
Non so esattamente quanto”


“Ma…Ranma”.


Ranma per qualche altro secondo continuò a riempire lo zaino alla rinfusa.


Poi, lentamente, si fermò.


Abbassò la testa, dandole le spalle e fremette.


Cosa stava facendo? Stava mentendo a sua madre? Di nuovo?


Non erano stati i segreti, per l’ennesima volta, a causare quella situazione?


Ma come avrebbe potuto dirle la verità?
Che era lo stesso Hayato che voleva ridurlo in poltiglia?


E lui? Non si vergognava? A fuggire di fronte ad un nemico?
Andarsene da casa propria come un ladro nella notte?


Non un comportamento molto virile, vero?


Prese un bel respiro e si calmò.
Le doveva almeno una spiegazione.


Ma era tutto così difficile.
Le aspettative. Le maledette aspettative che sua madre aveva per lui.
Era così difficile corrispondervi in pieno.


“Mi dispiace madre-cominciò, parlando lentamente, dandole sempre le spalle-sono consapevole che non è così che vorreste vedermi.
Devo ammettere che…ho paura.


Un nemico terribile è sulle mie tracce, e non ho intenzione di coinvolgervi in questa storia.
Per il bene di tutti, dovremo separarci per qualche tempo.
Ma tornerò, ve lo prometto.
Mi…mi dispiace di avervi delusa”.


Nodoka rimase per un istante come scioccata.
Poi però disse:
“Ma Ranma, io…non sono delusa.
Non credo affatto che avere paura sia un sintomo di debolezza”.


Ranma si voltò di scatto e la fissò, troppo stupito per provare ancora vergogna.
“Ma come…ma io credevo…?”


Nodoka lo guardò, comprensiva e fece un sorriso amaro.


“Oh, figlio mio.
Solo ora capisco quanto male ti abbiano fatto gli insegnamenti di tuo padre.
Ed anche…le mie aspettative, temo.


Ranma, TUTTI provano paura.
Chiunque abbia qualcosa che valga la pena di non perdere ne prova.
Gli animali, gli esseri umani…forse persino gli déi.


Credi che non abbia avuto paura quando ci siamo separati e tu eri piccolo? Di non rivedervi mai più?
Eppure, l’ho fatto lo stesso.
L’ho fatto perché avevo fede.
Che da quel sacrificio sarebbe derivato un domani migliore.


Se…allontanarti da questo problema è davvero la condotta più giusta…allora fallo, hai la mia benedizione. Ho fiducia in te”.


Ranma si era calmato e la fissava a bocca aperta.
Era la prima volta che sentiva sua madre parlare così.
Poi la signora Saotome riprese.


“Sono consapevole, non nonostante, ma proprio perché sono la moglie di un Maestro di arti marziali, che gettarsi incontro ad un pericolo che non puoi affrontare sia stupidità, anzi pazzia, non certo coraggio”.


Fece una piccola pausa per lasciar assorbire bene il concetto e poi riprese.


Ma…se invece esistesse, anche una sola possibilità che il tuo problema si possa risolvere, non dico combattendo, ma in qualche-qualunque-altro modo…io, in quanto tua madre, insisto perché tu lo affronti, Ranma.


Non voglio che diventi il tipo di uomo che…scappa dalle sue responsabilità.


Non devi assomigliare…a tuo padre.
Non su quello, almeno”.


Ranma riprese a respirare lentamente.
Un sentimento nuovo gli stava crescendo in petto.
Era…sollievo? Speranza? La sensazione di sentirsi compresi?


“Ranma. Forse tu, hai sempre creduto che il coraggio volesse dire non provare paura.
Questo è sbagliato.
Il coraggio non è l’assenza di paura.
Il coraggio è fare le cose nonostante la paura”.


Tu-tump


Ranma giurò che il battito del suo cuore si fosse sentito fino in strada.


Nodoka gli rivolse un sorriso dolce.



“Scegli che tipo di uomo vuoi essere, figlio mio.
Ma sappi che, qualunque cosa deciderai di fare, tua madre sarà sempre fiera di te”.


Ranma rimase in piedi davanti a lei per un momento che parve durare una vita.


Poi si gettò in avanti e l’abbracciò forte.


Nodoka ricambiò l’abbraccio.


 

◊◊◊◊◊

 

Nota dell'Autore:

Probabilmente non ve lo aspettavate. Nel caso, ho fatto bene il mio lavoro.
Ho scelto di concludere con questo momento toccante perché mi sembrava di aver combinato abbastanza casini, per un capitolo solo, e bisognava tirarsi su di morale.
Se posso mettere da parte la modestia, è un dialogo del quale vado molto fiero.
Tra parentesi, spero di non essere OOC: vediamo sempre i lati peggiori di Nodoka, mi sembrava giusto cambiare, per una volta. E Ranma ha bisogno di essere influenzato da un punto di vista diverso.
Tornando a bomba, la carne al fuoco è tanta.
Ranma ha impiegato un sacco di tempo a ricostruirsi una nuova vita, ed ora tutto è di nuovo in pezzi.
A causa della persona più insospettabile: Kenichi.
Il quale a sua volta è sconvolto da ciò che è accaduto ed ha perso ogni sua certezza.
Ora, non è sadismo. Adoro tutti questi personaggi.
Ma il conflitto è motore di ogni storia (Takahashi docet), e non c'erano molti modi per mettere in contrasto questi personaggi.
Quando ho iniziato a scrivere, mi ero fatto due domande:
1) Ranma viene sempre accusato di essere un dongiovanni; e se per una volta l'accusa fosse reale?
2) Kenichi è sempre buono, altruista, nel giusto: e se per una volta non lo fosse? (pur con una lista di scusanti alta quanto una montagna)
Tra parentesi, Hayato che vuole ridurre in poltiglia chiunque si avvicini a Miu è invece la cosa più in character che si potesse immaginare.
Chiaramente, la scomparsa della povera Renka (e quella successiva di Takeda) lascia spazio ad implicazioni ben più sinistre che un semplice litigio sentimentale...il Ryozampaku dovrà presto affrontare la minaccia più pericolosa mai vista!
Tra parentesi, questo è il primo di tre capitoli densi di avvenimenti e punti di vista diversi, per sviscerare bene la situazione, in preparazione di quelli finali che saranno ricchi d'azione.
Ed a proposito di punti di vista...a che gioco starà giocando Mousse?



Legenda


*: cioè nel capitolo 8 della storia


**Hokkaido: la regione più a Nord del Giappone, perennemente fredda.


 
Mini-Guida per il manga di Kenichi:


Dou: il modo di combattere sfruttando le proprie emozioni e facendo esplodere il Ki all’esterno. Sakaki, Apachai, Miu, Ryoga, Kuno e Kisara usano il Dou


Sei: il modo di combattere sfruttando la calma interiore e la capacità analitica e controllando le emozioni, per trattenere il Ki. Hayato, Akisame, Kensei, Shigure, Kenichi, Ranma e Mousse usano il Sei.


Katsujinken: o Pugno Che Salva, è la filosofia seguita al Ryozampaku, per la quale le arti marziali si usano per il bene, per salvare il prossimo e non per uccidere


Satsujinken: o Pugno Che Uccide, è la filosofia seguita dall’Organizzazione Yami, per la quale le arti marziali si usano per egoismo, profitto personale ed uccidere i nemici
 

   
 
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