«Le ho già detto che odio davvero davvero tanto la meccanica temporale?»
«Una o due volte, sì», osservò ironicamente Kate Stewart, capo della UNIT e figlia del defunto brigadiere Alistair Gordon Lethbridge-Stewart, vecchio amico dell'alieno conosciuto come il Dottore. La donna dai capelli corti e dagli occhi penetranti con cui Kate stava parlando non era stata la persona più strana con cui la scienziata aveva avuto a che fare nel corso degli anni. Anche se questa, nello specifico, veniva dal futuro, dal 24° secolo, e indossava abiti a dir poco particolari.
«A proposito, come è finita qui?» Qui era il quartier generale della UNIT a Londra, ora collocato in una zona differente dalla precedente, che comprendeva la Torre di Londra. Kate Stewart e il suo staff avevano preferito dislocare gli uffici in tutta la città, separando il Black Archive dalle altre proprietà sensibili della UNIT e creando anche diversi punti d’appoggio per un'eventuale difesa da aggressioni aliene e non.
«Questa è una bella domanda, ma temo di non poter proprio rispondere, anche se sapessi come spiegarmelo.»
Eva Ferrari, tenente in servizio a bordo della U.S.S. Europa (NCC-1648-E) in qualità di timoniere, non aveva la minima idea di come fosse finita sulla Terra del 21° secolo, figurarsi riuscire a spiegarlo ad altri. A parte il suo comunicatore appuntato sulla divisa, un phaser di Tipo-1 e un tricorder, non aveva altre risorse con cui cercare di tornare alla sua linea temporale, per di più cercando di non distruggerla o di cambiare il futuro.
«Perché? Non è una novità trattare con alieni o creature del futuro.» A parlare era stata una donna più giovane, tra Stewart e Ferrari, con un camice bianco, una sciarpa lunghissima attorno al collo e un outfit davvero particolare.
«In realtà,» disse Ferrari guardando Osgood, «ai miei tempi abbiamo delle regole sui viaggi nel tempo. Una di queste, la più importante, è la Prima Direttiva Temporale. In base alla quale io non devo assolutamente interferire con gli eventi storici e sono tenuta a preservare la linea temporale e a impedire che la storia venga alterata in alcun modo. Quindi, spero mi capiate... non posso proprio rivelare niente.»
«Ma come possiamo aiutarla?»
«Non lo farete,» scrollò le spalle Ferrari. Non sembrava particolarmente preoccupata dalla prospettiva di rimanere bloccata in un altro tempo, meno avanzato del suo, con possibilità quasi zero di tornare a casa e non rivedere più i suoi amici, la sua famiglia e tutto il resto per sempre.
«Troverò il modo di tornare indietro, in una maniera o in un’altra. E se non ci riuscirò, non interferirò con il corretto svolgimento della storia», aggiunse, con un sorriso che non arrivava ai suoi occhi, «e rimarrò nascosta, vivendo una vita il più normale possibile. Perché questa è la cosa giusta da fare. L'unica cosa da fare.»
«Anche se odia... la meccanica temporale, qualunque cosa sia?»
«Soprattutto per questo, signora», rispose Ferrari, alzando lo sguardo dal tablet, che teneva tra le mani, verso Kate Stewart. Gli occhi di Osgood si spalancarono alla risposta, mentre sia lei che il comandante in capo dello UNIT guardarono con rinnovato rispetto l'ufficiale della Flotta Stellare di fronte a loro.
«Suppongo che qui le cose vadano diversamente, a giudicare dalle vostre facce,» osservò con leggerezza Ferrari, mentre guardava il flusso di dati che aveva impostato sull'apparecchio che aveva tra le mani.
«Ci può giurare,» rispose Kate Stewart, «ma ce la caviamo.»
«Non stento a crederlo. Il fatto che non sia rimasta affatto sorpresa nel vedermi all’improvviso e che creda che io venga dal futuro la dice lunga sul suo conto.»
«Sì, beh,» Osgood sembrava un po' a disagio, «è più complesso di quanto potrebbe pensare.»
«Mi creda, non lo voglio proprio sapere. E sono abbastanza sicura di saperne un po’ di paradossi, viaggi nel tempo e, beh… di meccanica temporale. Ricordate? Se nel mio futuro, quindi nel vostro passato, ci incontreremo o ci siamo già incontrati… beh, è una cosa che preferisco vivere se e quando accadrà. Mi avete già detto, con un semplice accenno, che tornerò al mio arco temporale. Meglio non interferire ulteriormente.»
Un toc toc alla porta interruppe le tre donne. Uno dei soldati che aveva scortato Ferrari tra i corridoi del quartier generale dello UNIT entrò, dopo aver ottenuto il permesso da Kate: «Sono arrivati, signora.»
«Grazie,» Stewart congedò il soldato, prima di fare cenno sia a Osgood che a Ferrari di seguirla.
«Devo avvisarla,» disse a quest'ultima, «non le piacciono i soldati e i militari in generale.»
«Non la biasimo, a dire il vero.» La risposta schietta di Ferrari aveva colto un po' di sorpresa sia Kate che Osgood, dato che la stessa Ferrari faceva parte, in senso stretto, di un'organizzazione militare, ma nessuno osò dire altro, in quanto giunsero a dove erano stati portati i nuovi arrivati.
Una donna bionda, con indosso un cappotto celeste, una vivace maglia a righe arcobaleno su sfondo blu intenso, pantaloni a vita alta blu petrolio, bretelle dorate, stivali marroni e calzini arcobaleno stava parlando con un'altra donna, di origini pakistane, con lunghi capelli scuri raccolti in una spessa treccia. Il loro linguaggio corporeo e la stretta vicinanza la dicevano lunga su di loro e sulla loro relazione, anche se le stesse non sembravano rendersene conto o cercavano di ignorarlo.
«Dottore, siete riusciti a unirvi a noi,» disse Kate Stewart, mentre Osgood e Ferrari rimasero leggermente in disparte.
Le due donne smisero di parlare e si allontanarono di un paio di passi l'una dall'altra, pur restando vicine, e quella bionda prese l'iniziativa, in modo quasi frenetico: «Hai chiamato e hai parlato di una vecchia amica?»
Subito dietro ad entrambe, un uomo dai capelli grigi con un sorriso stampato sulle labbra si affiancò alle due donne, unendosi silenziosamente alla conversazione.
Il Dottore guardò oltre Kate Stewart, sorvolando Petronella Osgood per poi fermarsi di colpo su Eva Ferrari. I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa e lo stupore: «Cosa ci fai qui?»
«Allora è vero», disse Ferrari sorridendo, «ci conosciamo.»
Il Dottore si avvicinò a lei studiandola: «Non ancora, direi. Non per te, almeno. I tuoi occhi», spiegò, «il tuo viso. Sei molto più giovane di quanto ricordassi. Io…»
«…non posso parlarne», concluse Ferrari, annuendo, «capisco perfettamente. Potrebbe cambiare la linea temporale tanto quanto uccidere accidentalmente una farfalla.»
«Sì, anche quello, in effetti,» riconobbe il Dottore, sorridendo. La Signora del Tempo sembrava molto felice di vedere Ferrari, anche se quest'ultima non sapeva davvero il perché, a parte quello che aveva colto ascoltando Osgood e Kate Stewart. L'aliena era energica, quasi frenetica nel parlare, camminare e gesticolare con le mani, mentre i suoi due compagni (rispettivamente Yaz e Dan) erano molto più silenziosi e riservati. Soprattutto Yaz, anche se seguiva sempre il Dottore con lo sguardo, anche quando Dan le rivolse sommessamente la parola.
Dopo qualche momento, e un piccolo brontolio da parte del Dottore, Kate riuscì finalmente a chiederle il favore che aveva portato il comandante in capo della UNIT a contattare la Gallifreyana: riportare nel suo flusso temporale l'ufficiale della Flotta Stellare. Il Dottore non se lo lasciò ripetere due volte e accettò volentieri di farlo, facendo segno sia ai suoi due amici che a Ferrari di seguirla, senza nemmeno voltarsi indietro per verificare se gli altri effettivamente la stavano seguendo.
Yaz fu la prima a incamminarsi, adeguandosi all'andatura del Dottore, mentre Dan rimase indietro, camminando al fianco di Ferrari, ancora perplessa riguardo all’identità di chi affermava di conoscerla così bene, anche se apparentemente sembrava che, nel suo futuro, si sarebbe trattato di una persona con sembianze diverse, maschili.
«Un po' complesso, vero?»
«Senza dubbio,» fu la garbata risposta di Ferrari, «ma sono abbastanza sicura che prima o poi capirò. Devo solo aspettare il momento giusto, sperando di non perdermi nel frattempo.»
«Oh, sono sicuro che non sbaglierai,» rispose il Dottore, mentre finalmente si avvicinarono a una grande cabina blu della polizia, parcheggiata distrattamente in bella vista, sicché tutti potevano vederla. Incredibilmente nessuno sembrava preoccuparsene: ogni passante pareva ignaro della sua presenza, come se la cabina blu non fosse realmente lì.
Solo allora Ferrari, profondamente persa nei suoi pensieri e nelle poche parole scambiate con Dan, si accorse davvero di averli seguiti fuori dal quartier generale della UNIT, immergendosi nella folla mattutina di persone che non aveva assolutamente notato prima.
«Ecco, di qua,» aggiunse il Dottore, spingendo una delle doppie porte ed entrando, subito seguita da Yaz. Dan rimase indietro, insieme a Ferrari, che guardava incredula la cabina blu: «Si aspetta che ci entriamo tutti, vero?»
«Beh, sì,» sorrise Dan, «c’è molto spazio, si fidi.»
«È una cabina della polizia,» precisò Ferrari, «dell'Inghilterra degli anni '60...»
«È molto di più. Entri,» incitò l’altro umano, gesticolando e precedendola oltre la porta, «venga a vedere.»
Guardando brevemente il Dottore e i suoi due compagni, che si erano voltati verso di lei, Eva fece un giro di 360° cercando di abbracciare con lo sguardo tutto l’ambiente, per poi esclamare: «Più grande all’interno, eh?»
«Ingegneria dimensionale,» spiegò, con un sorrisetto, Yaz.
«Non pensavo che fosse possibile ingegnerizzare le dimensioni,» anche se Ferrari era abituata ai ponti ologrammi dei suoi tempi, si trattava di qualcosa di completamente diverso e, in qualche modo, inaspettato, in un certo senso più reale e, allo stesso tempo irreale. Così irreale che pensò di doversi dare un pizzicotto per essere sicura di essere sveglia.
«Forse non lo è per te!» Il sorriso del Dottore era infantile e bellissimo e la sua risposta non era affatto amara, più uno scherzo. «Benvenuta sul mio TARDIS, comunque. Anche lei è lieta di darti un passaggio a casa!»
Mentre Ferrari si aggirava per la sala controllo, seguita da vicino da Dan, che era felice di chiacchierare con lei, il Dottore e Yaz si avvicinarono alla console e iniziarono a toccare alcuni pulsanti e leve: «24° secolo, stiamo arrivando!»