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Autore: LyannaAnomis    14/04/2024    0 recensioni
Ginevra Santoro è molte cose: intelligente, carina, molto ansiosa e un po' tanto depressa. O e anche etero, certo.
O no?
Lidia Fiore è bellissima, colta, decisamente lesbica ma soprattutto è perfetta. O forse...
Quante cose puoi scoprire su te stessa quando stai conoscendo qualcun'altro?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Capitolo1

1. Feels like drowning

Era una giornata maledettamente troppo calda per essere solo metà marzo, anche considerando che erano le tre e mezza del pomeriggio. Ginevra si spostò una ciocca di capelli umidi di sudore dalla fronte e, imprecando a mezza voce contro il sole cocente, si sbottonò la giacca che era decisamente troppo imbottita per quella giornata. Aggiustò la presa sullo zaino che sembrava essere diventata una zavorra nel mentre e fece un balzo indietro quando una signora che spingeva un carrozzino le corse davanti, cercando in tutta fretta di raggiungere la fermata prima che arrivasse l’autobus.



Ginevra borbottò ancora, poi tirò fuori il cellulare dalla tasca per controllare l’ora: tra dieci minuti partiva il loro autobus, dovevano fare ancora un quarto d’ora di camminata per raggiungere la loro fermata e Giulia non si era ancora fatta viva.

Non che fosse una novità il suo ritardo, infatti ormai Ginevra non ci faceva neanche più caso, e non poteva nemmeno biasimarla: Giulia era una donna sola che lavorava e già solo che riuscisse ad arrivare abbastanza puntualmente a scuola era un segno di quanto importante fosse per lei.

A Ginevra non dava fastidio, davvero, anche perché poteva anche lei uscire più tardi di casa di qualche minuto se avesse voluto non aspettare, non che lo avrebbe mai fatto a meno che non fosse stata costretta, il problema era il caldo.

Non lo aveva mai sopportato, la faceva sentire stanca e pesante, oltre a farla diventare disgustosa a causa del sudore. Aveva sempre preferito il fresco inverno, perché, come ripeteva sempre a chi glielo chiedeva, anche con il freddo potevi coprirti abbastanza da riscaldarti. Ma non importava quanto spoglia fossi, rischiavi sempre di scioglierti con il caldo in estate.

Scrollò la testa, infastidita, scostando con il dorso della mano i capelli che le si erano appiccicati sulla fronte. Li sentì ruvidi e stopposi, come se fossero sporchi, ed emise un gemito disgustato alla sensazione.

Un uomo le lanciò un'occhiata incuriosita prima di spostare lo sguardo verso la chiesa alle spalle di Ginevra e farsi frettolosamente il segno della croce. Ginevra fece un passo indietro per far passare due ragazzi che camminavano nella direzione opposta e si appoggiò al muro della chiesa, chiudendo gli occhi e sospirando.

Per qualcuno che non se li lavava regolarmente come avrebbe dovuto, Ginevra odiava la sensazione di avere i capelli sporchi. I suoi poi erano particolarmente sfibrati e rovinati a causa delle costanti tinte a cui li sottoponeva e anche se faceva attenzione a comprare i prodotti migliori per curarli non sempre trovava la forza per lavarli.

Oggi però era stato un buon giorno, se li era lavati e spazzolati e i suoi capelli, ora tinti in un rosso cupo, le erano sembrati brillanti, morbidi e profumati. Per quanto poco importante fosse sembrato, l'aveva resa particolarmente felice.

Ora invece erano appiccicaticci a causa del sudore e il suo umore stava precipitando. Odiava il modo in cui la più piccola sciocchezza la faceva intristire, ma oramai, dopo anni, ci si era abituata e riusciva a tenere sotto controllo i suoi pensieri.

Scosse la testa per rischiarirsi le idee e si frugò in tasca per recuperare il cellulare e ricontrollare l'ora, quando con la coda dell’occhio vide una donna dai lunghi capelli castani raccolti in una coda alzare verso di lei una mano in segno di saluto. Giulia.



Ginevra si sforzò di sorridere e ricambiò il cenno e strinse la presa su una bretella dello zaino con l’altra mano. Giulia si fermò ansimante davanti a lei, con le mani poggiate sulle ginocchia, lo zaino che le ricadeva dalla spalla. Era evidente che doveva aver corso nel tentativo di arrivare in orario. Lanciò a Ginevra uno sguardo pieno di scuse.

«Scusami tanto, ho fatto il prima possibile»

«Non preoccuparti, tutto bene a casa?»

«Sì, questa mattina ho visto mio padre, sai? Poi la spesa, la casa…» iniziò a raccontare Giulia.

Ginevra sorrise, questa volta per davvero, e annuì ascoltando il racconto dell’amica.

Le piaceva, Giulia. Probabilmente era l’unica vera amica che avesse ed era contenta di averla incontrata, due anni fa, quando aveva iniziato la scuola. Si sentiva a suo agio con lei, come se davvero fosse accettata e non parlava con lei solo perché compativa la strana donna silenziosa e timida che non apriva bocca con nessuno.

Giulia aveva trent’anni, era single ed era una maniaca del controllo quando si trattava della pulizia della sua casa, la maggior parte delle volte faceva ritardo proprio per questo, oltre che al lavoro.

Camminarono a passo svelto verso la loro fermata, tagliando attraverso il parco pullulante di gente anche a quell’ora, passando il tempo o chiacchierando o in un silenzio che Ginevra temeva fosse imbarazzante. Aveva sempre avuto il terrore di sembrare noiosa, una compagnia sgradevole, ma tentò di ricordarsi che se Giulia era lì con lei in quel momento, se aveva scelto di prendere l’autobus insieme invece che da sola, voleva dire che apprezzava la sua presenza.

Ginevra prese un respiro tremolante e sorrise debolmente alla sua amica che lo prese come un invito a ricominciare a parlare.

«Come va con disegno? Io ho quasi finito l’ultimo, quasi non riesco a crederci, mi sembravano infiniti!» disse scuotendo la testa e facendo ondeggiare la lunga coda castana di capelli. Quando le ricaddero sulla spalla, li scostò con un gesto secco della mano.

« Io devo ancora fare i plat e colorare tutti i figurini. Sono esausta e devo studiare anche le altre materie, non so come fare » sospirò Ginevra. La morsa dell’ansia tornò prepotentemente a stringerle lo stomaco, questa volta alimentata dallo stress. Si sentì nauseata e si porto una mano sullo stomaco come se potesse migliorare le cose solo con un tocco.

« Ma smettila, sei bravissima in tutto, persino disegno, anche se non vuoi ammetterlo » ribatté Giulia appurando con una veloce occhiata che l’autobus fermo alla fermata, la Navetta B, fosse il loro prima di salire sul mezzo e andando a sedersi ai loro soliti posti. A quell’ora la navetta era quasi sempre deserta e le due donne potevano sedersi dove si sedevano sempre, una davanti all’altra.

Ginevra si accomodò e appoggiò la testa contro il vetro, lo sguardo perso a guardare l’edificio grigio scuro davanti al bus. Sapeva, razionalmente, che era dannatamente brava negli studi, si sforzava sempre di dare il massimo e i buoni voti che otteneva erano la prova dei suoi sforzi. Solo che la parte irrazionale continuava a dirle che niente di quello che faceva fosse mai abbastanza e che doveva sempre sforzarsi un po’ di più di essere perfetta. Che era mancante in così tante cose che doveva controbilanciare quantomeno negli studi.

Sobbalzò quando una mano apparve nel suo campo visivo, sventolando con forza.

Ginevra spostò lo sguardo su Giulia, inebetita, e vide la sua amica ridacchiare di gusto. Arrossì violentemente nell’accorgersi come si fosse completamente estraniata, perdendo il contatto con la realtà e ignorando Giulia, anche se la donna non sembrava essersela presa.

« Tu ti lamenti con disegno quando almeno un sette o sette e mezzo lo prendi, mentre io sto impazzendo con matematica. Ancora non ci posso credere che ci è capitata come esterno quest’anno. Proprio a noi! » Giulia fece una smorfia disgustata e finse un brivido che le fece tremare tutto il corpo.

Ginevra sorrise sinceramente divertita; a lei la matematica piaceva ed era anche la migliore della classe in quella materia. Il professore poi era fantastico, aveva un modo di spiegare incredibile ed era molto divertente.

Però capiva il punto di vista di Giulia che aveva iniziato il corso di fashion design, per quello che pensava fosse essenzialmente taglio e cucito, e si era ritrovata con la geometria analitica.







L’autobus finalmente partì ma le due donne quasi non se ne accorsero per quanto erano assorte nelle loro lamentele nei confronti della scuola. Il mezzo scivolò sull’asfalto lungo il lungomare di Bari, e anche da lì dentro Ginevra riusciva a sentire l’odore salato del mare. Era il suo odore preferito e per un momento smise di parlare con Giulia per rubare un’occhiata al mare, quel giorno calmo e di un profondo blu. Amava il mare, guardarlo le dava sempre una sensazione di tranquillità, soprattutto quando non era agitato ma piatto come oggi. Per quanto Ginevra odiasse il caldo, trovava accettabile l'estate per l'unica ragione di poter andare a immergersi nelle acque che amava tanto.

«Fermata!» strillò all'improvviso Giulia, che come lei stava guardando fuori dal finestrino, ma dalla parte giusta, quando notò che si stavano avvicinando dove dovevano scendere.

Giulia si alzò di scatto e, dopo essersi scontrata con alcune persone che era salite durante la corsa, si avventò sul pulsante di prenotazione della fermata, premendolo con più forza del necessario.

Ginevra balzò in piedi per seguire l'amica e imprecò nel vedere che erano così vicine alla loro fermata che probabilmente l'autobus non avrebbe potuto frenare in tempo.

«Qui?» chiese l'autista all'improvviso cercando di farsi sentire al di sopra del rumore provocato dal mezzo e dal chiacchiericcio delle altre persone.

«CHE?» urlò Giulia di tutta risposta facendo scattare la testa verso di lui.

«DEVE SCENDERE QUI, SIGNORA?» ripeté l'uomo indicando con un dito la fermata.

«Sì, grazie!»

L'autobus si fermò di scatto, decisamente in modo troppo brusco anche a giudicare gli insulti che volarono verso l'autista, ma Ginevra e Giulia sospirarono di sollievo mentre mettevano piede sul marciapiede.



Il Santarella era una struttura imponente, almeno lo era per Ginevra. Togliendo il muro imbrattato dai graffiti, ma quale scuola non li aveva?, era situata davanti a un parchetto che Ginevra attraversava ogni giorno per arrivare a scuola e si trovava a pochi passi dalla spiaggia di Pane e Pomodoro. Infatti quando era andata a iscriversi quasi due anni prima ne aveva approfittato per andare a fare un tuffo, tanto erano vicine. La spiaggia non era il massimo, per tanti motivi, oramai lo sapeva ma aveva anche tanti benefici come la vicinanza o gli addetti di pulizia che la rastrellavano ogni giorno nel mese estivo. Ma, soprattutto, era stata la sua infanzia, da piccola i suoi genitori l'avevano sempre portata lì e oramai, a ventiquattro anni suonati, ci era affezionata.

La scuola, il primo giorno in avrebbe dovuto attendere, le era sembrata spaventosa. Una specie di mostro che l'avrebbe divorata appena ci avesse messo piede dentro e la sua ansia era stata così forte che quasi era scappata a casa. Aveva aspettato sul ciglio del portone e solo dopo aver visto altre ragazze entrare aveva fatto lo stesso. Nell'atrio si era bloccata nuovamente, indecisa e allo stesso tempo rapita da un display alla sua sinistra che mostrava ammiccante foto di passate sfilate con abiti cuciti a mano dalle studentesse della scuola.

"Potrò farlo anche io, un giorno?" si chiese con una lieve eccitazione mentre sullo schermo appariva una tuta lamé aderente con le gambe svasate. Raffaella Carrà, pensò ottenebrata per un secondo hanno ricreato un vestito di Raffaella Carrà.

Alzò lo sguardo, staccando controvoglia gli occhi dai capi che sullo schermo sembravano perfetti, solo per posarlo su un nuovo vestito, questa volta dal vivo.

L'abito era rinchiuso in una teca di vetro, in esposizione. Sembrava antico, di un viola chiaro e a balze bianche sul davanti. Era bellissimo.

Scuotendo lievemente la testa, Ginevra ritornò al presente. Lanciò un'occhiata fugace al vestito che aveva imparato fosse una replica di quello famoso di Lina Cavalieri. Lo trovò magnifico come la prima volta che l'aveva visto.

«Buonasera!» salutò Giulia e Ginevra le fece subito eco.

Mario, il proprietario del piccolo bar interno alla scuola, e Annalisa, una delle collaboratrici scolastiche, risposero al saluto con un sorriso frettoloso prima di tornare a guardare alcuni fogli su cui erano chinati.

Le due donne svoltarono a sinistra e raggiunsero la loro aula. All'interno alcune ragazze erano già sedute al banco e chiacchieravano tra loro; Sara, la più giovane tra loro a sedici anni e la più brava a disegnare, aveva tra le mani un gessetto e stava tratteggiando un cuore spaventosamente realistico sulla lavagna.

La prof non era ancora arrivata, quindi Ginevra e Giulia si sedettero con calma al loro posto e salutarono le loro compagne. Silvia, la più grande della classe con i suoi sessanta anni, le salutò con affetto e offrì loro di prendere un caffè.

«Dopo, magari. Ne ho già preso uno prima di venire qui» disse Giulia sventolandosi con una mano.

Silvia guardò Ginevra con gentile pazienza in attesa di una sua risposta.

«No, grazie. Fa troppo caldo per il caffè» rispose Ginevra con voce timida.

Le piaceva Silvia, era bello poter parlare con qualcuno che non fosse solamente Giulia, e anche se non la considerava propriamente amica le piaceva come Silvia la trattava, non con condiscendenza o compassione, ma come si trattano normalmente due persone che si conoscono. Non che Ginevra venisse trattata con condiscendenza spesso, era solo quello che la sua mente pensava ogni volta che qualcuno le rivolgeva la parola. O almeno sperava.

Il suo cervello, velenoso, le ricordò che Silvia la trattava bene solo per tenersela buona visto che copiava da lei matematica e inglese. Ginevra scosse la testa, non poteva, non doveva pensare sempre al peggio. Doveva ricordare di essere positiva a volte.

Non aveva bisogno di un caffè, ma di un buon tè, per rilassarsi.

Il pensiero del tè le ricordo che il giorno dopo, che era sabato, avrebbe dovuto lavorare tutto il giorno. Con un gemito addolorato batté la fronte sul banco producendo un rumore sordo che richiamò l'attenzione di Giulia e Silvia, impegnate a parlottare, che si girarono e la guardarono come se fosse pazza.

Che diamine.

Proprio quando Giulia stava per chiederle spiegazioni la professoressa entrò richiamando l'ordine.



Le ore passarono in fretta tra interrogazioni e spiegazioni, Ginevra stessa venne interrogata in storia prendendo un buon voto anche se, come sempre, non si sentiva pienamente soddisfatta della sua "performance". Come sempre aveva finito per balbettare o mangiarsi le parole, non dando il massimo. Lei sapeva che poteva fare di meglio ma l'angoscia si impadroniva di lei e la lasciava, letteralmente senza parole. L'unica cosa che poteva consolarla era che i professori ormai avessero compreso il suo problema e le mettevano un buon voto quasi sulla fiducia e su quel poco che carpivano dalle sue parole.

Ma anche questo era macchiato da qualche pensiero oscuro che le ricordava che ogni voto decente preso era non meritato.

Scosse la testa, pensare a certe cose non le faceva bene. E poi, come le diceva sempre la sua psicologa, doveva pensare positivo, vedere la luce in fondo al tunnel. Non doveva lasciarsi schiacciare dal pessimismo. Aveva studiato duramente per ottenere quei voti, se li era meritati e al diavolo la sua depressione.

Ritornando alla realtà, iniziò a sentire Giulia e Silvia chiacchierare mentre preparavano la loro roba per tornare a casa. Diede uno sguardo al resto della classe e notò che molte erano andate via o erano in procinto di farlo. Si alzò lentamente dal suo posto e rimise le sue cose nello zaino, quando ritornava alla realtà da una dei suoi momenti "no" si sentiva sempre un po' spaesata. Ginevra le chiamava le sue "turbe mentali" anche se era abbastanza sicura che non avrebbe dovuto chiamarle in quel modo e che le sue dottoresse si sarebbero quasi certamente arrabbiate.

Giulia le diede di gomito così improvvisamente che Ginevra sobbalzò, tanto era ancora persa nei suoi pensieri. Giulia ridacchiò alla reazione e le indicò la porta con un cenno della mano.

«Che dici andiamo? L'autobus non ci aspetterà mica»

Ginevra annuì con un risolino imbarazzato e la seguì fuori dalla scuola.

Doveva ritornare con la mente al presente, subito, o come minimo si sarebbe fatta investire da una macchina.

   
 
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