Forse, invece di sgridare Haro, avrebbe dovuto ringraziarlo. Era riuscito a fuggire entrando in quel parco e lui gli aveva corso dietro. Aveva legato il guinzaglio all'albero lì vicino e, affidate a lui le bambine, si era tuffato. In quei giorni l'aveva vista poche volte, eppure l'urlo silenzioso dei suoi occhi a lui non era mai sfuggito. Cercò di distinguere la sua sagoma, non era molto limpido ma il ghiaccio rendeva poi più difficile la risalita. Sgranò gli occhi allungando la mano non appena la vide. Era inerte. Lentamente cercò di nuotare in superficie per evitare di perdere la presa sulla ramata. Dopo l'avrebbe sicuramente rimproverata per l'azione sconsiderata ma per ora doveva portarla in un luogo caldo. Fu sollevato nel sentire il suo polso, l'aveva recuperata in tempo, ma doveva assicurarsi che espellesse l'acqua dai polmoni.
Shiho riprese conoscenza in una stanza sconosciuta, con un odore pungente nell'aria che le solleticava le narici. Sentì una voce dura che la rimproverava: «Non farlo mai più.» Voleva rispondere, ma le parole non uscirono dalla sua gola serrata dall'emozione. «Sai bene a cosa mi riferisco,» continuò l'uomo accanto a lei. Shiho evitò lo sguardo, cercando di negare ciò che era accaduto prima di perdere i sensi. «Che cosa intendi?» chiese, sperando di distogliere l'attenzione dalla situazione imbarazzante in cui si trovava. «Sai di cosa sto parlando. Ti sei lasciata andare! Che cosa credevi di fare? » Shiho si sentì colpevole e vulnerabile.
Era arrabbiato ed era evidente dal suo tono, anche se non ne capiva il motivo ma non gli avrebbe mai dato ragione. A sé stessa non poteva negarlo. Per un attimo aveva pensato che fosse meglio così. Non aveva senso tornare in un luogo in cui non aveva più un posto, ma poi le era venuto in mente il dottore. L’uomo che l'aveva accolta in casa, aveva iniziato a risalire ma il ricordo piacevole era svanito. Sostituito dalle fredde dure parole che Shinichi le aveva rivolto la prima volta. Era e sarebbe sempre stata un'assassina. Aveva avuto l'antidoto ed ora non era più costretto a parlare con lei, a rivolgerle ancora solo uno sguardo anche di disprezzo. Avrebbe accettato anche quello. Era giusto così, lei aveva rovinato la sua vita. Preferiva le parole d'odio e gli sguardi sprezzanti alla sua assenza. Il dottore aveva detto che fosse molto occupato per via dei compiti che doveva recuperare ma…almeno un messaggio anche solo un “Ciao” le sarebbe bastato. « E allora? Tanto a nessuno importa! Così facendo avrei smesso di essere un peso. » urlò la ragazza ramata, esasperata da quella situazione. Possibile che non capiva? Era ritornata alla solitudine del suo laboratorio. A quella costante assenza di calore unita al tormento dei ricordi passati che bruciavano sul suo corpo marchiato a fuoco. «A me importa! E poi, per il dottore non sei mai stata un peso.» esclamò lui, non riuscendo a comprendere il motivo di quei pensieri e del suo folle gesto. L'aveva spogliata e l'aveva visto. Il vestito di mille cicatrici lasciato dal suo passato le ricordava costantemente chi fosse. Era quella la causa? «Non ti lascerò sola.» affermò lui, sorridendo con gentilezza. Quelle parole toccarono il cuore di Shiho come una carezza di calore e conforto ma scacciò immediatamentequellasensazione. « Invece lo farai…» esclamò, guardandolo mentre il biondino aprì la bocca per protestare ma i suoi occhi lo fermarono. Percepiva, nel profondo dei suoi occhi, il grido della sua anima.
Come aveva fatto a non capire? Avrebbe dovuto comprendere. Lui aveva perso Elena e i suoi preziosi compagni. Loro erano la sua famiglia e quei lutti avevano dilaniato la sua anima. Si era sentito affine a lei fin dal primo momento. Entrambi derisi per il loro sangue metà anglosassone, ma consci della vita e della morte. Erano anime in pena, costrette a vagare nelle tenebre con le mani gocciolanti di sangue. «Perché dovrei?» aveva pronunciato a fatica, guardando la ramata chinare il capo. Si era fatta un'immagine sbagliata perché lui non sarebbe stato in grado di abbandonarla. Non di nuovo; aveva rischiato tutto pur di salvarla su quel treno. Aveva pianto nel buio della sua camera ripensando al momento in cui era esplosa davanti ai suoi occhi. La telefonata di Kazami gli aveva dato la flebile speranza che fosse viva, dato che non c'era ombra del suo cadavere. «Ho smesso di credere alle parole, Furuya. Passi la prima, anche la seconda, ma alla terza volta non mi faccio ingannare.» la voce si era incrinata. Delle macchie più scure sul lenzuolo celeste lo fecero avvicinare al letto e le alzò il volto, asciugando le lacrime. «Io non lo farò e voglio dimostrarlo, se me lo permetterai, ovvio.» Il suo cuore era stretto in una morsa, quelle lacrime erano più dolorose di un proiettile.
Il suo tono era gentile e la sua vicinanza aveva accelerato i battiti del suo cuore. Non ci sarebbe cascata, non di nuovo. Non lo avrebbe retto, perché continuava a provare quei sentimenti? Evidentemente, il suo destino era continuare a soffrire, e non poteva cambiarlo. «Te lo permetterò aspettando il giorno in cui sparirai dalla mia vita anche tu.» esclamò rassegnata, stringendo i pugni. «Ne sei proprio convinta, eh?» chiese ironico, dandole un bacio sulla fronte. Non voleva osare, gli sembrava di approfittare della sua fragilità… ma lei… lei gli friggeva il cervello. «Fa parte della natura umana.» mormorò lei, guardandolo negli occhi. La distanza fra le loro labbra era quasi nulla, i loro nasi si sfioravano. Aveva afferrato la testa della ramata, posando la fronte contro la sua, l'avrebbe costretta a guardarlo negli occhi. In quel modo avrebbe capito la verità. «Cosa fa parte della natura umana?» chiese, non riuscendo a comprendere l'allusione. «Nessuno fa qualcosa senza aspettarsi un compenso, Rei. Io non sono speciale e non ho nulla da offrire, tutto ciò che avevo mi è stato strappato violentemente. Mi restano le mie paure, le ansie e la mia solitudine. Perché dovresti restare al mio fianco? Perderesti solo tempo.» Gin era stato fin troppo chiaro nel dargli quella spiegazione. Dopo essere diventata Ai, aveva messo in discussione le fredde parole dell'assassino ma in quei giorni Shinichi gli aveva dato conferma della loro veridicità. Per una volta aveva sbagliato a non credere a Gin. «Ti sbagli Shiho, tu per me sei speciale, prenderò le tue ansie, le tue paure e anche il tuo dolore perché ti amo.» esclamò lui per poi baciarla sulle labbra. Shiho reagì istintivamente, approfondendo quel bacio. Adesso aveva lui al suo fianco, non sarebbe stata più sola.
Alcuni giorni dopo, dato che il dottore era fuori per un convegno, sua cugina si era presentata alla porta con i due fidanzatini liceali. Lei li aveva fatti entrare, non degnando Kudo di un singolo sguardo. Ran indietreggiò mentre Sera restò impietrita. Forse era stata una pessima idea portare Shinichi con lei. Aveva cercato di ristabilire un legame con quella che, ai suoi occhi, sarebbe sempre stata la bambina impaurita che aveva salvato più volte. Tuttavia, lei aveva rifiutato più volte i suoi inviti e credeva che con Shinichi non avrebbe detto di no. Ma lui aveva menzionato Amuro e lei l'aveva preso per la camicia. « Ai ma…» « Ai un corno Kudo! È più di una settimana che non ti fai vivo, hai idea di come mi sia sentita io? » esclamò mentre Ran e Sera abbassarono lo sguardo sentendosi di troppo. « Mi dispiace ma la scuola e i casi…» tentò di giustificarsi lui ma Shiho lo fulminò con lo sguardo.
« Non mi importano le tue scuse. Con che diritto vieni qui a sindacare sulla mia vita privata? Mi hai abbandonato. Io avevo bisogno di te e tu mi hai voltato le spalle! » Era furiosa. Era in debito con lui, ma aveva bisogno di togliersi quel sassolino dalla scarpa. Doveva comprendere che non esistevano solo i cadaveri. « Perché non me l'hai detto? » chiese lui mentre la ramata lo guardò. « Avresti dovuto capirlo, oltre a te e il dottore non avevo nessuno… tu mi avevi promesso di proteggermi ma non l'hai fatto. Mentre tu eri con i tuoi casi, concentrato sui cadaveri e i gialli, R-Amuro mi ha protetta. » si fermò per riprendere fiato. Aveva realizzato solo ora che non erano soli. Ran e Sera non dovevano scoprire la vera identità di Amuro. « Da chi dovevo proteggerti? » Ran restò sorpreso nel tono impaurito del suo fidanzato, ora che l'organizzazione era finita la ramata non correva più alcun pericolo.
Perché quel tono così preoccupato?
Il cuore di Shinichi si fermò. Temeva la risposta della sua amica, non aveva voluto ripetere l'errore con la sua fidanzata ma lo aveva inconsciamente ripetuto con Ai. « Mi dispiace Shiho, sono un’ idiota…» mormorò mentre la ragazza lasciò la presa e Shinichi l'abbraccio sorprendendola. « Da chi dovevi proteggerla Shii-chi? » chiese Ran curiosa. Shinichi restò muto, guardando la sua ragazza come se fosse un extraterrestre. « Da me stessa. Tra un po’ viene Amuro, pretendo le tue scuse perché se non fosse stato per lui avresti visto il mio cadavere. So che ieri lo hai preso a pugni. » Era stata Azula a raccontargli l'accaduto, per quello l'aveva preso per il colletto non appena aveva pronunciato quel nome. Temeva la usasse, ma doveva capire che se non prestava la dovuta attenzione a chi lo circondava in futuro lo avrebbe rimpianto.
Angolo Autrice:
Allora premetto che questa storia è nata su due
piedi. In classe abbiamo svolto la simulazione
d'esame, si sa che l'ispirazione viene nei momenti meno
opportuni. Il motivo di questo breve angolo era per spiegare
la correlazione fra il titolo e Shiho, seppur Rei abbia colto
negli occhi della ramata il disperato bisogno d'aiuto credo di dover chiarire questo aspetto. Innanzitutto Shiho ha già pensato riferimento al caso "Il dirottamento dell'autobus",
mi pare si chiami così, di essere un peso. In seguito
nel film Trappola di cristallo, resta nuovamente ferma
convinta che la sua morte possa proteggere i suoi amici.
L'urlo silenzioso è l'incapacità verbale che ha Shiho nell'aprirsi e nel chiedere aiuto, con Rei è esplosa liberandosi di tutto e ora sta provando a cambiare. Spero di non aver trattato in modo
superficiale la tematica del suicidio, era in particolare questo a frenarmi dal pubblicare. Spero la storia vi sia piaciuta
Angolo Autrice:
Allora premetto che questa storia è nata su due
piedi. In classe abbiamo svolto la simulazione
d'esame, si sa che l'ispirazione viene nei momenti meno
opportuni. Il motivo di questo breve angolo era per spiegare
la correlazione fra il titolo e Shiho, seppur Rei abbia colto
negli occhi della ramata il disperato bisogno d'aiuto credo di dover chiarire questo aspetto. Innanzitutto Shiho ha già pensato riferimento al caso "Il dirottamento dell'autobus",
mi pare si chiami così, di essere un peso. In seguito
nel film Trappola di cristallo, resta nuovamente ferma
convinta che la sua morte possa proteggere i suoi amici.
L'urlo silenzioso è l'incapacità verbale che ha Shiho nell'aprirsi e nel chiedere aiuto, con Rei è esplosa liberandosi di tutto e ora sta provando a cambiare. Spero di non aver trattato in modo
superficiale la tematica del suicidio, era in particolare questo a frenarmi dal pubblicare. Spero la storia vi sia piaciuta